giovedì 2 gennaio 2025

L'ALPE DI SIUSI E LA PRATICA DELL'ALPEGGIO IN ALTA QUOTA

di ANNA SANDRUCCI



Foto Anna Sandrucci. Articolo uscito in origine sul sito : www.spigolatureagronomiche.it

Riassunto

L'Alpe di Siusi, nelle Dolomiti italiane, è il più grande alpeggio d'alta quota d'Europa. Con i suoi vasti pascoli quasi pianeggianti che si estendono per circa 56 km², quest’area ha una storia che affonda le sue radici nel Mesolitico, circa 10.500 anni fa, quando gruppi di cacciatori-raccoglitori la utilizzavano come punto di sosta. A partire dall’Età del Bronzo (circa 4000-3000 anni fa), l'intervento umano ha iniziato a trasformare profondamente il paesaggio di tutto l’arco alpino: lo sfruttamento dei pascoli di alta quota ebbe un forte impatto, con estesi disboscamenti per creare nuove aree per il bestiame. La pratica della transumanza estiva, con lo spostamento del bestiame dalle valli agli alpeggi d'alta quota, ha modellato questi scenari per secoli, dando vita ad un mosaico di paesaggi e agroecosistemi di grande valore naturalistico, economico e culturale. Questi ambienti non solo forniscono risorse essenziali per l'allevamento, ma producono anche alimenti di alta qualità, come latte e formaggi, e contribuiscono alla ricchezza del paesaggio montano e alla conservazione della biodiversità e delle tradizioni culturali locali. Negli ultimi decenni, tuttavia, il progressivo spopolamento delle regioni montane e il cambiamento delle pratiche agricole hanno portato all'abbandono di molti alpeggi. Questo processo ha innescato il degrado dei pascoli e l’avanzamento del bosco, con conseguente perdita di biodiversità e produttività. Al contempo, nelle aree più accessibili si è assistito al fenomeno opposto, il sovrapascolamento, con effetti negativi sul suolo e sulla biodiversità. In molte aree, la transumanza è stata sostituita da sistemi produttivi stanziali nei fondovalle, generando squilibri nei nutrienti e rischi di inquinamento ambientale.

L’Alpe di Siusi, situata nelle Dolomiti italiane, è il più grande alpeggio d’alta quota d'Europa, con una superficie di circa 56 km² e altitudini comprese tra i 1.680 e i 2.350 metri. Come molte altre aree di alpeggio dell’arco alpino, l’Alpe di Siusi è stata frequentata dall’uomo fin da tempi remoti. Studi archeologici e paleoambientali hanno rivelato tracce di attività umana risalenti al Mesolitico (circa 10.500 anni fa), quando la zona veniva usata come punto di sosta da gruppi di cacciatori-raccoglitori (Kompatscher et al., 2020), mentre successivamente vi sono prove di attività di pastorizia transumante databili all’Età del Bronzo (circa 4000-3000 anni fa) (Avanzini et al., 2002).
I segni del pascolo del bestiame in alta quota sono riscontrabili lungo tutto l'arco alpino, dove gli alpeggi rappresentano un elemento essenziale del paesaggio. Attualmente, prati e pascoli montani rappresentano circa il 25% della vegetazione alpina. Si tratta di formazioni prevalentemente erbose seminaturali, modellate da pratiche agricole millenarie che continuano a fornire risorse foraggere importanti per bovini, ovini, caprini ed equini (Sundseth, 2009). La pratica dell’alpeggio estivo in alta quota è una forma di transumanza verticale che prevede lo spostamento di persone e bestiame tra insediamenti permanenti situati nelle valli in inverno e insediamenti temporanei in montagna per il pascolo estivo (monticazione). L'attività tradizionale dell'alpeggio estivo include spesso la lavorazione del latte, principalmente bovino ma talvolta anche caprino, direttamente in quota. In altri casi il bestiame permane sui pascoli d'alta quota, ma il latte viene trasportato a valle per essere lavorato. Un terzo sistema prevede l'utilizzo dei pascoli alpini esclusivamente per l'allevamento del bestiame giovane o per la produzione di carne (bovina, ovicaprina o anche equina).

Analogamente a quanto riscontrato nell’Alpe di Siusi, durante il Paleolitico e il Mesolitico, gruppi di cacciatori frequentavano le Alpi alla ricerca di selvaggina. Intorno al 4500-4000 a.C., alcune comunità iniziarono a stabilirsi nelle grandi valli, dedicandosi all'allevamento del bestiame e alla coltivazione dei cereali (Gilck e Poschlod, 2019). Da quel momento, è probabile che abbiano cominciato a sfruttare i pascoli naturali oltre la linea degli alberi per il bestiame, poiché i terreni pianeggianti nelle valli, scarsi e preziosi, erano destinati alle coltivazioni.

Le prove combinate di ricerche paleobotaniche, paleoecologiche, archeologiche e linguistiche confermano la presenza di pascoli ad alta quota sulle Alpi a partire almeno dall'Età del Bronzo, se non prima (Gilck e Poschlod, 2019). La ricerca paleoecologica traccia la storia dell'uso degli alpeggi attraverso l’analisi di pollini fossili, spore e sedimenti, in particolare considerando il rapporto tra pollini arborei e non arborei, la presenza di spore di funghi coprofili che crescono nel letame, la concentrazione di fosforo nei sedimenti, indicativa della frequentazione di animali, e la presenza di carbone, indicativa dell'uso del fuoco da parte degli esseri umani per pulire i pascoli da specie arboree e arbustive (Pini et al., 2017). Durante l’Età del Bronzo, si osserva una costante diminuzione del polline arboreo (dal 70% al 50%), mentre varie specie erbacee mostrano un aumento, con un incremento della biodiversità (Pini et al., 2017).

In quel periodo, lo sfruttamento dei pascoli di alta quota ebbe un forte impatto sul paesaggio, con estesi disboscamenti per creare nuovi pascoli. Le foreste, che occupavano gran parte del territorio, furono abbattute o incendiate per lasciare spazio al bestiame, favorendo l'espansione di specie erbacee adatte al pascolo (Sundseth, 2009).

La transumanza estiva e lo sfruttamento secolare degli alpeggi hanno plasmato un mosaico complesso di paesaggi e agroecosistemi di grande valore naturalistico, economico e culturale. Questi ambienti non solo forniscono risorse alimentari importanti per il bestiame e prodotti di qualità per l’uomo (come latte e formaggi), ma svolgono anche un ruolo fondamentale nel mantenimento delle tradizioni culturali delle comunità montane (Mascetti et al., 2023). I pascoli hanno una notevole rilevanza anche dal punto di vista turistico, rendendo i paesaggi montani esteticamente attraenti e accessibili per attività ricreative. Inoltre contribuiscono, se ben gestiti, alla protezione del suolo e alla conservazione della biodiversità. Una corretta gestione delle mandrie e una pressione di pascolo ottimale assicurano il mantenimento di una copertura erbosa sana, prevenendo il degrado del suolo, favorendo la biodiversità vegetale e supportando habitat per la fauna selvatica (Battaglini et al., 2014). La molteplicità di specie erbacee attrae infatti un’ampia gamma di insetti, come farfalle e api, oltre a erbivori selvatici.

Nell'ultimo secolo, lo spopolamento delle regioni montane ha portato all'abbandono dei sistemi basati sui pascoli (Battaglini et al., 2014), in particolare quelli di alta quota. Negli ultimi decenni, le Alpi hanno visto un significativo declino dell'attività pastorale tradizionale, principalmente a causa della diminuzione della popolazione rurale e del cambiamento delle pratiche agricole. Tra il 1980 e il 2000,), il numero di aziende agricole nell’arco alpino è diminuito del 40% (Streifeneder et al., 2007). Questo fenomeno ha comportato, in termini di uso del suolo, l'abbandono di circa il 20% delle terre agricole alpine, con picchi fino al 70% in alcune aree (Tasser et al., 2007). L'abbandono e la bassa pressione di pascolo su queste terre hanno causato una successione ecologica progressiva (Cislaghi et al., 2019), favorendo la diffusione di specie erbacee poco esigenti e di basso valore foraggero e, nelle aree sotto la linea degli alberi, la ricolonizzazione da parte di specie arboree e arbustive. L'abbandono e il sotto utilizzo dei pascoli ha portato così all’avanzamento del bosco e alla progressiva perdita del mosaico territoriale creatosi nei secoli, con conseguenze negative per il patrimonio culturale e il valore estetico del paesaggio. Inoltre parallelamente si sta verificando una perdita di produttività della biomassa foraggera, di biodiversità vegetale e di servizi ecosistemici. 

Parallelamente all’abbandono o al sottoutilizzo dei pascoli più alti e scomodi, in questi decenni si è assistito spesso anche a fenomeni di sovrapascolamento nei pascoli più accessibili. Tale situazione di sovrasfruttamento è parimenti dannosa in quanto comporta un accumulo di nutrienti nei suoli, una riduzione della biodiversità a favore delle specie vegetali nitrofile e un rischio importante di compattamento dei suoli. Questi fenomeni alterano le condizioni ambientali e la composizione delle specie vegetali, con effetti negativi sulla produzione casearia, creando un circolo vizioso che scoraggia l'uso dei pascoli montani (Mascetti et al., 2023). In molte aree, la transumanza verticale è stata sostituita da sistemi produttivi permanenti situati nei fondovalle che impiegano razze più produttive e mangimi extra-aziendali, secondo un modello intensivo o semi-intensivo. Ciò comporta uno sbilanciamento dei nutrienti, con un aumento della concentrazione di azoto nelle aree di stabulazione e rischi di inquinamento ambientale (Penati et al., 2011).

Bibliografia
  • Avanzini, M., Broglio, A., De Stefani, M., Lanzinger, M., Lemorini, C., & Rossetti, P. (2002). Il riparo di Tschonstoan sull’Alpe di Siusi–Seiser Alm., Atti della XXXIII Riunione Scientifica dell’IIPP, 117-144.

  • Battaglini, L., Bovolenta, S., Gusmeroli, F., Salvador, S., & Sturaro, E. (2014). Environmental sustainability of Alpine livestock farms. Italian Journal of Animal Science, 13(2), 3155. qui

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  • Mascetti, G., Gentili, R., Ferré, C., Fuccella, R., Agaba, S., Pricca, N., ... & Comolli, R. (2023). Sustainable management, critical issues and environmental services of a pastoral system in the Central Alps. Biodiversity24(1-2), 79-84. qui

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  • Tasser, E., Walde, J., Tappeiner, U., Teutsch, A., & Noggler, W. (2007). Land-use changes and natural reforestation in the Eastern Central Alps. Agriculture, Ecosystems & Environment, 118(1-4), 115-129. qui.


Anna Sandrucci
È Professoressa Ordinaria di Zootecnia Speciale, presso il Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali -Produzione, Territorio, Agroenergia. Università degli Studi di Milano
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