mercoledì 23 ottobre 2024

FRUMENTO: EVOLUZIONE DELLA CREAZIONE VARIETALE DEI FRUMENTI IN ITALIA

di ALBERTO GUIDORZI


Foto 1- ( da Roberto Franchini per Agrarian Sciences ) 
Vasto appezzamento di grano tenero varietà Bologna coltivato nella piana del Bisenzio. Si noti la densità e l' uniformità della coltura.


Giusto premettere che ciò che coltiviamo oggi (frumento duro e frumento tenero) inizialmente non esistevano come tali ma esistevano forme con genomi diversi che man mano incrociandosi tra di loro e con specie selvatiche affini hanno dato origine ai frumenti che coltiviamo oggi. Per molto tempo furono coltivati i farri, nei quali sono ascrivibili tre specie: il farro piccolo, il farro medio ed il farro grande o spelta che avevano come caratteristica di avere semi vestiti, cioè la cariosside era intimamente avvolta dai tegumenti fiorali, e all’inizio i semi cadevano spontaneamente sul terreno (disseminazione naturale). 
Tramite rimaneggiamenti cromosomici spontanei avvenuti nel tempo si formarono prima il grano duro e poi il grano tenero, i cui semi erano facilmente svestibili dai tegumenti fiorali, dando pertanto cariossidi nude, ma, soprattutto, avevano qualità delle farine o delle semole migliori. Ecco perché nel tempo si abbandonarono i farri per coltivare i frumenti, ma questo avvenne lentamente nel corso dei secoli e per molto tempo nei campi crescevano dei miscugli di farri, di grani duri e poi anche di teneri. Possiamo datare l’inizio del prevalere nei campi dei frumenti duri prima e dei frumenti teneri poi verso il XV sec. d.C. L’origine dei farri e dei frumenti è la “mezzaluna fertile” che è una fascia geografica incurvata che tocca l’Iran, la Turchia e la Palestina, essi poi man mano passarono in Grecia e da qui, via mare attraversi l’Italia, nell’Europa Occidentale, mentre tramite la rotta balcanica si espansero nell’Europa Orientale. 


Foto 2- ( da Roberto Franchini per Agrarian Sciences )
 Grano duro varietà Cappelli. Da notare le caratteristiche ariste lunghe e brune, tipiche della varietà.


Inizialmente, mescolati a questi, sicuramente vi era una piccola percentuale di grano tenero (il grano duro non poté salire oltre una certa latitudine perché non resistente al freddo). Infatti, durante i secoli nelle zone a clima mediterraneo la presenza dei farri man mano calò e quindi crebbe la percentuale di piante di grano duro (genoma AABB), mentre nelle zone più continentali man mano persero d’importanza i farri a favore del frumento tenero (genoma AABBDD). Da un punto di vista della genetica delle piante di frumento duro e tenero dobbiamo dire che si trattava di popolazioni (landraces) e non di varietà definite in senso moderno. Ossia ciò che si seminava erano miscugli di genotipi diversi o linee diverse: erano presenti linee più produttive e più rustiche ed altre meno produttive e meno resistenti alle malattie. La validità della popolazione dipendeva dalla maggiore presenza percentuale di linee del primo tipo. Inoltre nel passato ciò che ogni agricoltore usava per le semine annuali lo ricavava dalla produzione dell’anno precedente e pertanto le caratteristiche genetiche poco variavano nel tempo. Infatti, essendo il frumento essenzialmente autofecondo o autogamo ed in gran parte cleistogamo (polline e ovulo che si uniscono provengono dallo stesso fiore che, tra l’altro, neppure si apre) ecco che i fenotipi anzidetti avevano un’alta percentuale di omozigosi (ogni gene era presente con alleli uguali).
Dobbiamo però segnalare che quanto appena detto vale per il 95% delle piante di un campo, per l’altro 5% circa è possibile l’allogamia, cioè la fecondazione con altre piante di frumento o anche di graminacee selvatiche di alcuni generi. Comunque a causa delle percentuali appena citate nel frumento si creava consanguineità, ma questa non influiva nel deprimere le piante (tipico delle piante a fecondazione incrociata) ed inoltre negli incroci il vigore ibrido non era tanto evidente. Al massimo gli agricoltori più intraprendenti ogni tanto andavano a rifornirsi per le semine in zone geografiche limitrofe dove si sperava, o meglio si vedeva, che vi erano presenti linee migliori. Anzi sempre i migliori agricoltori cercavano nei loro raccolti di individuare le linee migliori nel maggior numero possibile, le raccoglievano a parte, le mescolavano e ne moltiplicavano il seme per le semine degli anni successivi. Il metodo è conosciuto come “selezione massale”. 
Fu Louis de Vilmorin che nel 1856 descrisse un nuovo metodo: egli comprese che nella selezione massale la scelta delle piante era basata sul fenotipo (aspetto esteriore), ma così facendo non si aveva cognizione di quanto la scelta fosse dovuta al genotipo (ciò che invece è ereditabile) e quanto all’influenza dell’ambiente (non ereditabile); egli pertanto suggerì di valutare anche la discendenza dei soggetti selezionati in modo tale di stabilire il tasso di ereditabilità e quindi la permanenza nel tempo dei caratteri che avevano determinato la scelta. In altri termini fu il Vilmorin che suggerì il metodo della selezione genealogica e lo sviluppo delle linee pure e non più l’uso della sola selezione massale, perché, appunto, non assicurava che la scelta fosse buona e conveniente. Tuttavia essendo i soggetti che componevano la linea pura omozigoti le possibilità di progresso erano quasi nulle. Con la riscoperta delle Leggi di Mendel si comprese che si poteva aumentare la variabilità genetica (e quindi aumentare le possibilità di scelta) tramite gli incroci ossia l’ibridazione artificiale e controllata. Nel caso del frumento a causa della sua autogamia l’incrocio serviva per introdurre geni mancanti in una linea pura già di per sé interessante. È nota la contrapposizione tra i genetisti Todaro e Strampelli circa il fatto che il primo si limitava ad applicare la tecnica di Vilmorin, mentre il secondo aveva optato di iniziare dall’incrocio e poi applicare il metodo della selezione genealogica. Infatti Strampelli diceva: io faccio selezione “creatrice”, mentre, rivolgendosi a Todaro, diceva voi fate selezione “conservatrice”.

Miglioramento genetico del frumento tenero

Epoca dei frumenti teneri a taglia alta e tardivi È tramite la selezione massale che si sono ottenute nel tempo (maggiormente tra il 1850-1900) le cosiddette “varietà-popolazioni”: Chiddam bianco e rosso, principe Alberto e Victoria in Inghilterra; Rostof, Blé Red Chaff Dantzick, blé d’Odessa in Francia (popolazioni queste riunite sotto la denominazione comune di “grani d’Aquitania”). In realtà esse erano popolazioni derivate da partite commerciali a destinazione molitoria arrivate nei porti atlantici e provenienti dalla Galizia austroungarica (territori oggi facenti parte dell’Ucraina e della Russia e conosciuti come terreni a Chernozem). 
Un caso tipico è il frumento Noè, una popolazione selezionata da un carico di frumento di una nave russa dal francese Marchese di Noè e che tanta diffusione ha avuto oltralpe e anche da noi, ma più che altro come parentale d’incrocio. Addirittura i coloni americani si fecero inviare campioni di questi frumenti ed è da qui che è nato inizialmente il miglioramento genetico operato sui frumenti nell’America dei Nord. Il Manitoba ha questa origine. In Italia invece come varietà-popolazioni troviamo il Gentil rosso ed il Rieti (divenuto “Rieti originario” dopo i primi tentativi di selezione di linee pure eseguiti nella piana omonima), ma anche nei porti italiani, dopo l’Unità d’Italia, arrivarono partite di grano provenienti dalle regioni galiziane, evidentemente imbarcate ad Odessa e non nei porti del Mar Baltico. Ad inizio del XX secolo il Todaro, tramite la selezione genealogica ottenne la Razza 48 dal Gentil Rosso e la Razza 11 dal Rieti, mentre lo Strampelli incrociando (primo incrocio descritto in Italia) il Rieti con il Massy creo nel 1914 il Carlotta Strampelli, esso mostrava una maggiore resistenza alle ruggini (tanto dal concorrenziare molto le semine anche del Rieti originario). Vi è da aggiungere che il Carlotta Strampelli era uno dei 1089 prodotti d’incrocio che Strampelli aveva selezionato e di cui aveva conservato le sementi. 
Le landraces francesi di cui sopra furono usate per fare incroci con le landraces italiane. Abbiamo esempi di incroci con il Noè sia del Gentil rosso che del Rieti. I parametri che più si ricercavano erano la resistenza all’allettamento (che il Noè in parte l’aveva) e la resistenza alle ruggini (che mancava in Noè ma era presente nel Rieti); in fin dei conti erano i fattori che facevano produrre di più o di meno e che facevano la fortuna di una landraces. Poteva anche darsi che avvenisse un incrocio naturale, visto quel 5% di fecondazione incrociata. Tuttavia con il senno di poi anche le mutazioni naturali (di cui non si aveva cognizione allora) possono avere influito. È giusto che si sappia che vi sono in media 120 mutazioni tra un nuovo seme di frumento e la sua pianta madre. Quindi se si seminano 2 milioni di piante/ha significa che avvengono 240 milioni di mutazioni/ha. In conclusione in un campo di 1 ettaro tutti i geni del grano (90.000) hanno almeno una mutazione; che però in grandissima parte si perdono per selezione naturale.
Nel Nord dell’Italia si diffuse l’Inallettabile Vilmorin, sinonimo dell’ Hatif inversable francese (Chiddam x Noè) che dette origine all’Inallettabile 38 e poi l’Inallettabile 96 italiani. Strampelli invece fece l’incrocio tra l’Inallettabile Vilmorin e il Rieti e creò una serie di varietà come il Virgilio, Catria e Zara, frumenti che alla maggiore resistenza all’allettamento univano anche una buona resistenza alle ruggini. Sempre Strampelli dall’incrocio tra Principe Alberto x Rieti ottenne il Rosso Leonessa ed il Baionette. Sempre, Strampelli, già nel 1902, incrociò il Rieti con la segale e l’ibrido lo incrociò ancora con il Rieti ottenendo il Terminillo, si voleva elevare in altitudine la coltivazione del grano ottenendo varietà più resistenti al freddo. Anche il Frassineto 405 di Michaelles era derivato dall’incrocio tra Gentil rosso e Noè. Non scordiamoci che a quei tempi si coltivavano 25-26 milioni di ettari di terra contro i 12 milioni di oggi.

Foto 3 - ( da Roberto Franchini per Agrarian Sciences )
Suggestiva foto in notturna di grano duro varietà Saragolla nella fase fenologica di maturazione cerosa


Comunque le caratteristiche generali di tutte queste varietà era l’eccessiva taglia (130-150 cm) e la tardività, che era stata aggravata dal “sangue” immesso tramite le landraces francesi e inglesi. Una delle intuizioni geniali di Strampelli fu quello di eseguire uno studio sulla botanica dei culmi di frumento per stabile come si poteva renderli più resistenti alle meteore e si accorse che i fasci fibro-legnosi dovevano essere i più numerosi possibile. Ecco perché egli fece l’incrocio tra il Rieti ed il T.villosum=Dasypyrum villosum (il reale ottenimento di questo incrocio intergenerico fu molto contestato). Incrociando l’Akagomughi con il T. Villosum ottenne la varietà Roma. Circa i rischi della tardività fu proprio il Carlotta Strampelli che li rese evidenti. Infatti i primi tre anni di coltivazione della varietà, e che ne fece una varietà leader, fu la concomitanza di tre estati fresche, mentre quando poi arrivarono le estati con alte temperature (la normalità) la varietà subì il fenomeno della “stretta” (essicazione degli ultimi internodi del culmo e interruzione dell’arrivo del nutrimento alla spiga e quindi essiccazione dei semi ancora incompleti). Questi handicap obbligarono al miglioramento dei frumenti disponibili, dando origine ad una nuova fase di miglioramento genetico. 
Vorrei finire sfatando la leggenda metropolitana secondo la quale i frumenti antichi potrebbero essere convenientemente seminati oggi perché più rustici e resistenti alle malattie dei moderni. Lo faccio dicendo che nessuno mi crederebbe se affermassi che un imperatore romano è stato investito da un’automobile, e questo perché 2000 anni fa le automobili non esistevano, Ebbene la stessa cosa vale ad esempio per la resistenza alle ruggini del frumento. I frumenti antichi sono solo resistenti alle razze di ruggine che vi erano allora, ma i funghi come tutti i viventi evolvono e quindi non possono avere acquisito la resistenza alle razze sorte 50 anni dopo. I grani moderni invece son più resistenti alle ruggini in assoluto in quanto hanno accumulato le resistente delle razze antiche (derivando esse da questo materiale) e delle razze moderne di ruggine (perché opportunamente inserite nel tempo con gli incroci). Lo stesso discorso vale per le farine, i frumenti antichi oggi sarebbero considerati nella categoria degli impanificabili
Epoca dei frumenti teneri a taglia bassa e precoci. Se si voleva sfuggire alla stretta occorrevano frumenti più precoci di 15/20 giorni e proprio a Strampelli dobbiamo l’incrocio “chiave” (pentaparentale) che dopo vari tentativi ha permesso l’apertura di questa fase. In realtà si precocizzò la seconda fase del ciclo biologico del frumento. Egli usò una varietà olandese (Wilhelmina Tarwe, ottenuta dal breeder Brockema incrociando una prima volta la “varietà Zeeuwse Witte” con il frumento inglese Squarehead, e poi una seconda volta ancora con Squarehead), Il prodotto di questo incrocio plurimo lo ibridò con il Rieti. Da questo lavoro sono state conservate due linee: la “21ar” (aristata) e la “67m” (mutica), ma non ancora adeguatamente precoci, seppure di ottima resa e resistenti alle ruggini. 
Queste due linee fecero oggetto di vari incroci con la varietà giapponese “Akagomughi” (di nessun valore agronomico, ma precocissima ed inoltre contenente il gene Rht8 della taglia bassa, Pdp 1 Insensibilità al fotoperiodo e Vrn geni di regolazione della vernalizzazione) originando, con la 21ar, le varietà Ardito e Mentana, mentre con la 67m ottenne le varietà Damiano e Villa Glori. Strampelli ha, insomma, fatto 60 anni prima ciò che fece poi Borlaug, e che gli valse il premio Nobel per a pace. Quali caratteri era riuscito a mettere insieme lo Strampelli? Eccoli: bassa taglia, precocità, insensibilità al fotoperiodo (la fioritura non è più dipendente dalla durata di luce del giorno e quindi la pianta può adattarsi a diverse latitudini), resistenza al freddo, resistenza alle ruggini, elevata fertilità della spiga, adattamento a condizioni agroclimatiche diverse.
Strampelli ottenne diverse altre varietà ( Balilla, Tevere, Ausonia, Cerere ecc. ma una menzione particolare merita la varietà San Pastore, derivata da un incrocio del 1931 tra Balilla x Villa Glori, poi riselezionata da Maliani e chiamata San Pastore 14 che per 30 anni fu la più coltivata in Italia). E’ doveroso citare che anche altri genetisti contribuirono alla creazione varietale di grano tenero nella prima parte del XX secolo e nel primo dopoguerra, citiamo Avanzi, Orlandi (che usò come frumento di bassa taglia il grano giapponese Saitama 27), Bonvicini, Draghetti, Marchetti, Trentin (Libellula e altre varietà il cui nome inizia con la “L”e infine il Michaelles (Autonomia A e B). 
Tutti questi fecero uso come parentali delle varietà di Strampelli succitate. Successivamente la creazione varietale da eminentemente pubblica divenne quasi esclusivamente privata e qui citiamo le varietà più note che sono state ottenute: Libellula, Marzotto, Irnerio, Mec, Gemini, Centauro, Pandas, Funo; guarda caso, nella genealogia di tutti questi vi è un genotipo di Strampelli. Dopo aver finito di sfruttare i caratteri inseriti da Strampelli, purtroppo la creazione varietale italiana non ha più avuto grandi successi per mancanza di strutture di ricerca genetica valida. Le strutture pubbliche non potevano più permettersi la ricerca finalizzata alla creazione varietale in quanto troppo costosa e le strutture private sfruttarono il germoplasma esistente fin che fu possibile, ma dagli anni 90-2000 ben poco crearono che abbia avuto successo agronomico e quindi commerciale. La genetica straniera ormai prende sempre più piede, ma si tratta solo di materiale genetico ottenuto altrove e più o meno adattabile ai climi italiani. Purtroppo anche per quanto riguarda il frumento tenero la creazione varietale latita da ormai 20-25 anni. Per verificarlo basta scorrere le prove varietali che ogni anno sono fatte e pubblicate, purtroppo si è persa la buona abitudine di citare, di ogni varietà messa in sperimentazione, il costitutore. Tuttavia già a guardare le denominazioni si può evincere che ogni  anno dipendiamo sempre più dalla creazione varietale estera, se poi si rendessero pubblici i costitutori, o meglio i mantenitori in purezza, ci accorgeremmo che il fenomeno è più ampio. Come ultimo vorrei riportare come la genetica e le pratiche agronomiche (apporto di azoto) in un secolo abbiano fatto passare il W (forza panificatoria) da 60 di inizio del 1900 a un W di 180 di oggi. Qualcuno potrebbe obiettare che il pane lievitava anche una volta, certo che lo faceva, ma solo se impastavamo a mano e allungavamo i tempi di lievitazione. Cioè le proteine delle farine aventi W=60 o W 180 se le impastiamo a macchina e a parità di numero di giri, gli impasti delle prime non lieviterebbbero a causa della denaturazione delle proteine che l’impastatrice genera, mentre le seconde lievitano magnificamente.


Foto 4 - (da Roberto Franchini per Agrarian Sciences )
Granella di grano duro " in natura" appena uscito dalla mietitrebbia. 


Miglioramento genetico del frumento duro 

Occorre subito dire che il frumento duro nel mondo è il parente povero del genere Triticum, da un punto di vista della diffusione della coltivazione nel mondo, alcune fonti parlano del 5% ed altri arrivano a malapena al 10%. Il grano duro è coltivato sulle sponde del bacino del Mediterraneo nel Northern Plains tra gli Stati Uniti d’America, in Canada e nelle aree desertiche dell’est degli USA , infine nel nord del Messico ed altre aree minori. A fine 800 ed inizio novecento noi coltivavamo delle landraces conosciute come Saragolle o duro di Puglia, Russie e trigu murru in Sardegna. Vi erano anche alcune popolazioni o landraces nord-africane come il Tripolino ed il Bidi. Tuttavia di denominazioni ve n’erano molte di più ma ad un’analisi successiva ci si è accorti che la diversità genetica spesso non esisteva o che addirittura la popolazione si era persa ed era totalmente cambiata come presenza e conservazione dei genotipi iniziali. Ecco perché sorrido quando oggi si propongono le varietà antiche come se fossero rimaste immutate, si tratta solamente di trovate commerciali e quindi i panificati o i pastificati che si ricavano rispecchiano semplicemente di materiale genetico giunto a noi più o meno modificato e non certo quello originale di un secolo fa.
A partire dagli anni 1920 e fino al primo dopoguerra si è messo in atto un primo tentativo di miglioramento genetico. Il germoplasma disponibile era ascrivibile a due gruppi: il “mediterraneo tipico” ed il “siriaco tipico”. Il secondo era caratterizzato da minore altezza, maggiore precocità, maggiore accestimento e minore lunghezza delle reste rispetto al primo. I miglioratori del tempo erano U. de Cillis, Conti, Casale e Strampelli.
La prima costituzione di successo fu il Senatore Cappelli (all’inizio degli anni ’50 la varietà occupava 600.000 ha, cioè il 50% della superficie a grano duro). L’origine del Cappelli viene fatta risalire alla popolazione nord-africana Jean Retifah su cui si è fatta una selezione di genotipi interessanti presenti. La varietà era caratterizzata da buona adattabilità, spiga con più cariossidi (maggiore produttività) e una qualità della semola prima sconosciuta. Essendo però di taglia alta essa allettava e non resisteva alle ruggini. Altre varietà erano i gruppi siglati del Russello (tratti da popolazioni locali), le Timilie (altre popolazioni locali) e la Stirpe 74 tratta dal Bidi. Infine ci sono i primi frumenti duri originati da incrocio effettuati da Strampelli come il gruppo dei Dauno (parentali sconosciuti) ed il Garigliano (tripolino X Cappelli) ottenuto nel 1927. 
Esso fu il capostipite del secondo periodo di creazione varietale (che arriva fino agli anni ’60), caratterizzato da incroci tra linee di origine mediterranea e linee di origine siriaca. L’incrocio tra tipi mediterranei e tipi siriaci ebbe in generale l’effetto di portare la taglia circa intorno ai 120 cm, mentre prima si era sui 150 cm, migliorando quindi la resistenza all’allettamento, con aumento della precocità e diminuzione dell’incidenza della stretta. Frutto di questo lavoro di selezione, che data a metà degli anni ’60 , furono due varietà: Capeiti 8 e Patrizio 6 alle quali è ascrivibile l’inizio dell’erosione del dominio del Cappelli in quanto ne miglioravano alcuni parametri. Specialmente si era fatto scendere il rapporto paglia/granella al di sotto di 1 e quindi migliorato l’indice di raccolto o Hervester index. Purtroppo, però, con le nuove varietà si peggiorarono le qualità pastificatorie e molitorie. Dunque se da una parte con le vecchie varietà vi era l’impossibilità di aumentare le produzioni tramite l’apporto di azoto sintetico perché si sarebbe favorito l’allettamento (taglie troppo alte), dall’altro la migliore produttività ottenuta tramite la genetica (abbassamento della taglia) andava a peggiorare la qualità tecnologica. Ecco che vi fu bisogno di impostare un terzo periodo di miglioramento varietale caratterizzato anche da una nuova generazione di genetisti e soprattutto dal ricorso a ibridazioni interspecifiche (duro per tenero ed altre specie tetraploidi). È l’epoca anche della mutagenesi indotta (oggi la tecnica mutagena usata allora non è considerata generante OGM, visto che i nostri genitori hanno fatto da cavie, mentre la stessa tecnica se si usa oggi genererebbe OGM; in altri termini l’ideologia ha preso il posto della scienza). Con questo metodo furono ottenute da Scarascia-Mugnozza le varietà della serie “castel” (Castelporziano e Castelfusano irraggiando il Cappelli; Casteldelmonte agendo sul Grifoni e Castelnuovo, usando il Garigliano), mentre tramite l’ibridazione interspecifica Barbieri e Deidda ottennero Maristella ed Ichnusa per la granicoltura sarda, Nel contempo Ballatore in Sicilia ottenne il Trinakria. In Puglia Dionigi ottenne Appulo, che con il Capeiti 8 divenne tra le varietà di grano duro più coltivate. 
Siamo a cavallo degli anni ‘70 del secolo scorso e ancora una volta dobbiamo annotare che produttivamente superavano il Cappelli, ma non sempre lo sopravanzano tecnologicamente. Comunque si trattava eminentemente di ricerca pubblica che però poco riceveva in fatto di ritorno finanziario della loro creazione varietale. Spesso non si coprivano i costi della ricerca effettuata, in quanto, anche dopo un decennio dalla promulgazione della legge sementiera del 1971 , che non permetteva la commercializzazione delle sementi se non erano certificate, i tre quarti del seme usato per le semine di grano duro era prelevato dalle masse prodotte l’anno prima in azienda ma con poco o niente ricambio varietale. Gli incentivi pubblici fecero lievitare la superficie a grano duro, infatti nei primi anni ’70 si arrivò a 1,6 milioni di ettari. 
Anche la ricerca ebbe un soprassalto perché iniziò un ulteriore raccorciamento della taglia dei frumenti e come nei frumenti teneri, la taglia più bassa fu ottenuta con il raccorciamento della lunghezza degli internodi, mentre il loro numero e quindi il numero di foglie rimase costante, come pure la superficie fotosintetizzante che, pertanto, lavorò più per la granella che per la parte pagliosa. Anche qui intervennero i frumenti giapponesi, sia direttamente che indirettamente usando materiale del CIMMYT fondato da Borlaug. La varietà usata fu il Norin 10 (gene Gai/Rht1). Per fortuna era ancora operante la Stazione sperimentale di cerealicoltura e l’ENEA (ente per l’energia atomica) che si occupò di creare mutazioni in frumento. È di questo decennio (1970-80) la creazione della serie di varietà conosciute come “Val” (Valnova, Valgerardo, Valforte ecc.) e del Creso costituito da un incrocio tra un mutante indotto del Cappelli (Cp B 144) e un prodotto d’incrocio ottenuto da Borlaug. Dalle conseguenti segregazioni si selezionarono due varietà, appunto il Creso ed il Mida. Il Creso era tardivo, questa caratteristica fece sì che il frumento duro risalisse di latitudine nelle semine e ciò fece della varietà la quinta più coltivata in Italia (7,5% di tutta la produzione sementiera di grano duro). Non ci si lasci confondere da questo dato perché esso rispecchia il non confacente utilizzo di sementi di qualità, ossia il dato rispecchia ciò che è stato certificato, ma una varietà come Creso è stata usata in ben maggiori quantità, ma molta o è sfuggiva alla certificazione o le statistiche non rispecchiavano la realtà. A conferma vi è la sorte della serie dei frumenti “val” che essendo più precoci potevano sfruttare i bacini meridionali ben più importanti in superficie e quindi il successo doveva essere ben maggiore. A quanto risulta dai dati ufficiali non si verificò perche la granicoltura del duro troppo poca importanza dava alle novità vegetali ed al relativo ricambio.
Nel decennio successivo (80-90) la superficie resta stabile ed i sostegni al grano duro incentivano la creazione varietale, ma si osserva che questa, contrariamente a prima, non deriva più maggioritariamente dalla ricerca pubblica, ma da quella privata. Nello stesso tempo assistiamo per la prima volta alla venuta in Italia delle creazioni francesi (non si dimentichi che la creazione varietale nel grano duro in Francia è sorta nel 1975 dal nulla) . Ancora una volta dobbiamo notare che il rinnovo varietale nelle campagne avviene in tempi molto più lunghi rispetto alla creazione varietale in altri stati europei (una varietà vegetale nuova si afferma sul mercato dopo anche un decennio dalla costituzione, mentre una varietà in Francia o si affermava dopo 4-5 anni dalla costituzione oppure spariva). 
A conferma si cita il caso della varietà Latino, che per la verità non avrebbe dovuto neppure essere iscritta al Registro vista l’infima qualità della semola, che raggiunse il 10% della superficie dopo un decennio. Altre varietà degne di citazione come diffusione sono Appio e Duilio. Tuttavia per queste tre varietà, di costituzione Federconsorzi, bisogna dire che il loro successo è dovuto soprattutto alla distribuzione capillare e penetrante che si poteva permettere l’organismo cooperativo sparso in tutta Italia. La ricerca pubblica creò 4 varietà tra le quali occorre citare il Simeto che nel decennio di fine secolo sostituì il Creso come varietà più coltivata seguita a distanza dal Duilio. Mentre la ricerca privata, escludendo la Federconsorzi, ne propose altre 6 (di cui due di costituzione estera). Nessuna delle varietà però tolse il primato al Creso (dall’82 al 90 esso fu coltivato tra il 30 ed il 40%). Tuttavia le rese unitarie (22 q/ha), seppure cresciute, restarono troppo basse rispetto ad altri paesi, che tra l’altro coltivavano più estensivamente, e quindi le superfici si mantennero più per effetto del sostegno pubblico concesso alla coltura che non per i ricavi derivati dalle produzioni. Negli anni successivi continuò la creazione varietale esclusivamente privata, quella pubblica sparì completamente e in tempi più recenti l’avvento di creazioni estere (francesi in particolare e ditte sementiere multinazionali) è cresciuta d’importanza, ma, non si deve mai dimenticare che la creazione varietale è finalizzata per altri ambienti e solo dopo si valuta se eventualmente può essere introdotta nell’ambiente italiano, il che non sempre ci favorisce, potremmo anche essere indotti ad usare il meno peggio!

ALBERTO GUIDORZI

Agronomo. Diplomato all'Istituto Tecnico Agrario di Remedello (BS) e laureato in Scienze Agrarie presso l'UCSC Piacenza. Ha lavorato per tre anni per la nota azienda sementiera francese Florimond Desprez come aiuto miglioratore genetico di specie agrarie interessanti l'Italia. Successivamente ne è diventato il rappresentante esclusivo per Italia; incarico che ha svolto per 40 anni accumulando così conoscenze sia dell'agricoltura francese che italiana.








2 commenti:

  1. Bel lavoro. Complimenti!

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  2. Molto interessante, complimenti. Una curiosità, esistono varietà oggi utilizzate a taglia bassa, che nella loro geneaologia non hanno mutanti indotti?

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