martedì 9 aprile 2024

ABBIAMO VISTO " FOOD FOR PROFIT"

di  ALESSANDRO FANTINI

 

Locandina di " Food for profit" cinema Odeon ( Fi), foto Agrarian Sciences.

Una parte della redazione di Ruminantia, in onore al suo pay-off “Libero confronto d’idee”, si è recata controvoglia e con poca curiosità a vedere Food for Profit,il documentario di Giulia Innocenzi e Pablo D’Ambrosi proiettato addirittura al Parlamento europeo, nella sala cinematografica di un paese vicino alla nostra sede e pagando un biglietto d’ingresso del costo uguale a quello di qualsiasi altro film. Già questo è stato per noi motivo d’irritazione: non si paga infatti per partecipare ad una manifestazione per sentire un comizio, anzi se si sciopera ci si rimette economicamente di tasca propria. Problematico è anche il titolo del film che vuole dare una sensazione di negatività associando il cibo al profitto, come se ci si auspicasse che questa attività non debba essere economica o remunerativa; ma trattandosi di populismo animalista (concetto che abbiamo spiegato in questo articolo), anzi vegano, non ci ha affatto meravigliato.Tutto il documentario ha usato colori, immagini e scene con il chiaro obiettivo di parlare alla “pancia” della gente e non alla loro mente.
Come fanno tutte le associazioni animaliste, anche qui si usano termini come “inviati sotto copertura”, “infiltrati” e quant’altro, ossia definizioni che si usano quando le forze dell’ordine si infiltrano nelle organizzazioni delinquenziali come quelle dedite allo spaccio della droga e alla mafia, e si dipingono gli allevatori come aggressivi e ignoranti. In Europa ci sono moltissimi allevamenti, ed in Italia alla fine dello scorso anno erano precisamente 356.513. Per la Innocenzi sono tutti perfettamente uguali a quelli che accusa nel suo documentario delle peggiori nefandezze e che palesemente non rappresentano la realtà della quasi totalità degli allevamenti.Il documentario si scaglia contro gli allevamenti intensivi, ma il confine che li separa da quelli cosiddetti “estensivi” è di fatto fumoso. 
Gli animali che si vedono pascolare apparentemente felici sugli alpeggi in estate, per i restanti otto mesi l’anno vengono ospitati in stalle spesso piccole e anguste, e non per la crudeltà degli allevatori ma per la scarsa remuneratività di questo tipo di allevamenti e per il poco spazio di cui si dispone. Il modello abitativo scelto dalla maggior parte degli uomini è quello “intensivo” delle città, dove in pochi chilometri quadrati vivono grandi quantità di persone. Questo modo di vivere porta, come ogni cosa, vantaggi e svantaggi. I primi sono quelli dei servizi e del minor costo della casa, perché solo una piccola parte della popolazione ha soldi a sufficienza per vivere nelle ville. L’uomo ha semplicemente replicato il suo modo di vivere per gli animali che alleva per farne cibo.Il documentario di Giulia Innocenzi e Pablo D’ambrosi ha rappresentato una realtà zootecnica tipica di decenni fa, ora abbondantemente superata dalle leggi e dalle norme europee e nazionali, e dalla ormai diffusa consapevolezza degli allevatori che far vivere male gli animali è da stupidi perché così non si genera alcun profitto, come avviene per gli operai nelle fabbriche e per gli impiegati negli uffici, vessati e maltrattati. 
Rappresentare degli operatori che picchiano gli animali significa non conoscere minimamente gli allevamenti, dove chi viene sorpreso a compiere tali atti è prontamente allontanato in quanto produce danni sia dal punto di vista etico che economico. Un documentario pieno di contraddizioni, anche perché il suo obiettivo non è quello di diffondere cultura e consapevolezza ma solo quel disagio e quella frustrazione emotiva più facilmente “cavalcabili” quando si cerca populisticamente il consenso. Sono state buttate in faccia agli spettatori immagini di animali ammalati e sofferenti, come se anche nelle città intensive dell’uomo non esistesse gente che soffre, muore e viene curata. Mistificante la scena di un’operatrice che fa iniezioni di antibiotici ad un vitello ammalato, come se questi animali non si dovessero curare come si fa con i nostri figli nelle prime settimane di asilo dove si contraggono tante di quelle malattie da stupire anche i pediatri.
Nessuna menzione al fatto che dal 2010 ad oggi l’utilizzo degli antibiotici in allevamento si sia dimezzato, mentre non so se si può dire la stessa cosa in pediatria o nelle altre discipline mediche umane o nella cura dei piccoli animali. Anzi, viene lasciato intendere che questi farmaci siano utilizzati ancora come promotori della crescita, utilizzo vietato ormai da decenni. Molto del tempo del film si è svolto nel Parlamento europeo, e tanto tempo l’Innocenzi lo ha dedicato a denigrare il Prof. Paolo De Castro, ritenuto uno dei pochissimi parlamentari europei a conoscere la zootecnia e l’agricoltura. La più grande frustrazione che ci ha assalito arrivati ai titoli di coda di Food for Profit, è stata capire quanto sia purtroppo inutile contrapporre a questa accozzaglia emotiva di mala fede e demagogia i fatti oggettivi e l’etica dell’allevare gli animali che producono cibo per l’uomo. Il populismo animalista-vegano non propone alternative utili a migliorare la qualità della vita degli animali d’allevamento perché non gli interessa, non è un suo obiettivo. La sensazione, considerando che la retorica del documentario della Innocenzi è utilizzata anche nelle innumerevoli campagne delle tantissime organizzazioni animaliste e che i suoi contenuti sono ormai noti e stranoti, è che l’autrice voglia ergersi a paladina del veganesimo e magari conquistare un bel posto nel Parlamento europeo visto che le elezioni sono vicine. A noi di Ruminantia piace confrontarci con chi non la pensa come noi perché ciò permette cultura e crescita, e quindi è un pre-requisito per prosperità e benessere. Ci terrorizza invece il cieco radicalismo, i cui effetti nefasti si vedono nelle diseguaglianze, nelle guerre e nell’odio dalle quali l’umanità non riesce ad affrancarsi.

Uscito in origine sul sito www.ruminantia.it ,  per gentile concessione  dell' autore pubblichiamo.

 

Alessio Fantini
 
E' Direttore del web-magazine gratuito Ruminantia® , destinato a tutti gli operatori della filiera produttiva del latte e della carne proveniente dall'allevamento dei ruminanti.
 
 
 
 
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