di FLAVIO BAROZZI
Editoriale pubblicato anche dall’ Istituto "Bruno Leoni" e da RisoItaliano
La protesta agricola che da mesi serpeggia in Europa ha raggiunto anche l’Italia. Pure da noi si protesta con i trattori (fortunatamente in maniera composta e civile) per esprimere un diffuso e profondo disagio. Le manifestazioni del malcontento delle campagne sono iniziate circa un anno fa in Belgio e Olanda, diffondendosi poi con lento ma inesorabile “effetto domino”, a testimoniare il malessere di tutto il mondo agricolo verso le politiche dell’UE.
Dalla Francia (dove il letame sparso dai “paysans” nei pressi dell’Eliseo è diventato simbolo della rabbia degli agricoltori per gli eccessi della burocrazia, la lentezza e le vessazioni di una amministrazione accusata di non rispettare chi lavora nei campi), alla Germania (qui la “goccia che ha fatto traboccare il vaso” è stata l’abolizione delle agevolazioni sul gasolio agricolo annunciata dal governo “semaforo”), passando per Romania, Polonia, Ungheria e Grecia, tutto il vecchio continente è attraversato dall’agitazione degli agricoltori.
Ora anche in Italia il fuoco che da tempo covava sotto la cenere sembra accendersi. Le motivazioni della protesta sono talora confuse, come sovente accade quando “tutto va male”: chi reclama per le difficoltà del mercato, chi per i costi di produzione, chi se la prende con rappresentanze sindacali effettivamente in crisi d’identità. Come nel detto per cui “quando il dito indica la Luna lo sciocco guarda il dito” qualcuno potrebbe commettere l’errore di liquidare un problema reale come “rigurgito reazionario” o come difesa di anacronistici privilegi “corporativi”. La realtà, magistralmente rappresentata in un recente articolo del prof. Dario Casati per l’Accademia dei Georgofili, è ben diversa ed investe tutta la politica europea. Condizionate da un “malinteso ambientalismo” che sembra talvolta finalizzato a giustificare lo smantellamento di un intero sistema produttivo, le Istituzioni della “vecchia” Europa (ma pure governi nazionali piuttosto intorpiditi) sembrano incapaci di comprendere l’errore insito nel dirigismo verso cui si è orientata la politica agricola comunitaria. Con esso una “classe dirigente” avulsa dalla realtà ma saldamente insediata nei “palazzi” di Bruxelles, dei Ministeri o delle Regioni vorrebbe imporre ai produttori un assistenzialismo soffocante, fatto di sovvenzioni simili ad elemosine a fronte di impraticabili regole operative “in campo”.
Siccome la protesta disgiunta dalla proposta non porta nulla di buono, sarebbe davvero necessario intavolare quel “dialogo strategico” sull’agricoltura cui la Presidente von der Leyen si è detta disponibile. Ancor più servirebbe rafforzare quella “alleanza” tra agricoltura e società su cui si fonda una sicurezza alimentare oggi esposta a concreti rischi. Ma per farlo è indispensabile una base culturale rispetto alla quale tanto il mondo agricolo quanto il decisore politico forse oggi sono carenti.
E' Presidente della Società Agraria di Lombardia, Accademico aggregato dei Georgofili e dott. Agronomo.
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