L’agricoltura è sistematicamente coinvolta in diatribe sulla sua sostenibilità ambientale. Purtroppo il consumatore ed il cittadino, molto profano sul contendere, non sa giudicare fino in fondo tutte le implicazioni. Certo se gli dicono che l’agricoltura lo avvelena e gli fornisce cibo non salutare la sua scelta risulta chiara: smettiamo di fare un’agricoltura malsana fondata sull’agronomia e scegliamone un’altra fondata sull’agrologia. A questo punto, e sempre per il lettore profano, dobbiamo spiegare cosa s’intende per agronomia e cosa s’intende per agrologia e come esse affrontano la produzione di cibo a livello planetario. Dato che si tratta di ambito scientifico ci possiamo domandare se questa disamina è tipica dei tempi moderni o se nella storia è stata già vissuta in altri ambiti e se questi presentano similitudini. La risposta è positiva anche se vi è una inversione temporale, nel senso che ad esempio dall’astrologia si è passati all’astronomia, mentre oggi dall’agronomia si vuole passare all’agrologia. Per chiarire meglio vediamo come si pone, davanti alla produzione alimentare, l’agronomo e l’agrologo. Cioè quali visioni e metodologie hanno queste due figure.
- L'agronomo considera che vi siano aspetti della sua attività che rientrano nelle scienze esatte (valutazioni degli impatti ambientali dell’agricoltura) ed altre che invece sono da valutare nell'ambito delle scienze umane (scelte da farsi dopo aver valutato l’impatto). L’agrologo invece dice che ogni questione, nessuna esclusa, deve essere affrontato sempre integrando il contributo: delle scienze umane come la sociologia, l’antropologia, a costo di trascurare l’economia (sic!); degli Stakeholder (in quanto espressione di chiunque mangi). Evidentemente gli agrologi scelgono questo approccio perché possono dire di adottare un metodo più democratico e di conseguenza mettono in minoranza gli agronomi additandoli come espressione di altri tempi.
- Gli agronomi sono ancora legati al concetto che l’approccio sistemico e l’approccio riduzionista siano complementari: il primo identifica tutti i fattori implicati e poi il secondo li analizza uno per uno mediante misurazioni per svelarne le interazioni. Gli agrologi invece dicono che basta l’approccio sistemico, il secondo è inutile, ma ambedue sono sopraffatti da un terzo approccio di tipo olistico. Esemplificando: l’agricoltura biologica è superiore all’agricoltura ragionata (considerata riduzionistica) perché più sistemica; ambedue poi sarebbero superate dall’agricoltura biodinamica perché dominata dall’approccio olistico.
- Gli agronomi pensano che l’agricoltura europea abbia come missione di produrre cibo di qualità ed in misura sufficiente per non dover defraudare di derrate zone geografiche carenti; questo, beninteso, senza rischi per salute umana e ambiente. Gli agrologi, invece, come obiettivo hanno la produzione di servizi ecosistemici e la produzione di cibo è solo uno di questi, ma non più importante della salute umana, animale e degli ecosistemi stessi.
- Da qui discende che per l’agronomo il principio di precauzione si applica solo se di una tecnica non si è potuto accertare l’assenza di rischio, mentre per gli ecologi basta intravvedere l’eventualità di un pericolo per dare applicazione al principio. Solo che di un pericolo è molto più facile la dimostrazione che non l’assenza di un rischio. Infatti i tossico-agrologi sono molto più numerosi dei tossico-agronomi. La tigre è sicuramente un animale pericoloso, ma che rischi corre un europeo?
- Per gli agronomi gli input agricoli devono essere valutati indipendentemente dalla loro origine, mentre per gli agrologi è inutile valutare i derivati della chimica minerale (solfato di rame) e dagli estratti vegetali (olio di neem che purtroppo è un noto perturbatore endocrino), mentre è imperativo valutare da vicino quelli derivati dalla chimica organica. Gli agrologi affermano che è molto più inquinante un concime minerale di sintesi che quelli derivati dalla biochimica organica.
- Gli agronomi reputano che forme agroecologiche ben valutate di agricoltura siano l’unica risposta per nutrire il mondo, mentre gli agrologi vogliono l’eliminazione tout court dell’agricoltura intensiva anche se il passaggio a forme estensive avranno impronte di carbonio peggiori e più impattanti la biodiversità globale.
- in definitiva gli agrologi dicono agli agronomi che le loro idee sono sbagliate, mentre questi ultimi rispondono che gli agrologi dovrebbero “pestare” molto di più i campi coltivati e scendere dal pulpito su cui si sono installati.
Vi è pure una visione diversa dei metodi statistici:
- 1 – Gli agronomi di fronte ad una correlazione dicono che non è detto che vi sia causalità, lo si potrà dire solo quando si sarà verificato, con una sperimentazione, l’azione del fattore causale. Gli agrologi giudicano questo approccio improntato al riduzionismo, per loro la correlazione dimostra già la causalità purché i fattori di confusione siano stati aggiustati. Un esempio chiarirà meglio la differenza: per gli agrologi, un campo di colza in fiore essendo molto visitato dalle api, che sono insetti pronubi, esiste la correlazione per la quale: alta presenza di api e maggior produzione sono per forza correlati e questo non si discute, anzi affermano che senza api si perde un 35% di produzione. Gli agronomi non disconoscono che il colza sia una pianta mellifera e quindi se visitata dalle api si favorisce l’impollinazione, solo che, sapendo che in una pianta l’impollinazione avviene anche attraverso altri meccanismi, ha voluto andare a vedere quanto è veramente l’impatto delle api sulla produzione ed ha coltivato il colza in ambiente confinato che impedisce l’accesso alle api ed ha visto che le perdite di resa produttiva sono minime.
- 2 - Per gli agronomi, l'assenza di correlazione non dimostra l'assenza di causalità. Per gli agrologi, questa è una prova sufficiente. Anche qui un esempio chiarirà. Sempre sul colza esiste un coleottero che mangia il polline, ma questo ha un suo parassitoide, cioè una vespa che si comporta da agente di controllo biologico del coleottero. Per gli agrologi questo è sufficiente per bandire qualsiasi trattamento di lotta chimica contro il coleottero, però si dimenticano che il realizzarsi del controllo è intimamente legato alla quantità di coleotteri parassiti presenti. In altri termini se il coleottero è troppo numeroso il parassitoide non riesce a produrre un controllo efficace e quindi potrebbe darsi che la popolazione restante provochi comunque danni nella produzione.
- 3 – per gli agronomi un dato con significatività statistica del 5% vuol dire che vi è una possibilità su 20 che si sbagli nell'accettarlo, mentre per gli agrologi il dato è dimostrato anche se proviene da un elenco di 20 risultati, di cui 19 non significativi.
Infine vi è da valutare anche il modo di porsi nei rapporti con la società e la politica.
- Gli agronomi parlano con gli agricoltori (2% delle nostre società urbanizzate e terziaruzzate), mentre gli agrologi parlano a dei consumatori che hanno perso qualsiasi rapporto con il fare agricoltura oggi, ma che per i politici sono la stragrande maggioranza di votanti e quindi la politica ascolta gli agrologi.
- Le ricerche più importanti degli agronomi sono confinate nella stampa agricola, mentre quelli degli agrologi sono ripresi da tutti i media e social, a tal punto, che ormai finiscono sui libri di testo e sono ritenuti “vangelo” dal corpo insegnante.
- Gli agronomi accettano le critiche del loro modo di agire e pensare, ma solo se hanno valenza e argomentazioni scientifiche. Anche gli agrologi il linea di principio accettano le critiche solo se sono a livello generale, ma quando sono calate sui loro “totem” come l’agricoltura biologica o biodinamica la critica o è declassificata come emessa da “mercanti del dubbio” o accettata solo se a lato vengono enumerate tutte le qualità del biologico.
ALBERTO GUIDORZI
Agronomo. Diplomato all'Istituto Tecnico Agrario di Remedello (BS) e laureato in Scienze Agrarie presso l'UCSC Piacenza. Ha lavorato per tre anni per la nota azienda sementiera francese Florimond Desprez come aiuto miglioratore genetico di specie agrarie interessanti l'Italia. Successivamente ne è diventato il rappresentante esclusivo per Italia; incarico che ha svolto per 40 anni accumulando così conoscenze sia dell'agricoltura francese che italiana.
Volevo precisare che il contenuto dell'articolo è il frutto di una sintesi di vari articoli del francese Philippe Stoop
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