giovedì 12 ottobre 2023

EVOLUZIONE SEMENTIERA ALLA LUCE DELLE NUOVE TECNICHE BIOTECNOLOGICHE

di ALBERTO GUIDORZI



Breve sintesi dell’evoluzione del settore sementiero mondiale.



Epoca delle sementi aziendali

Nei primi 60 o 70 anni del secolo scorso, la maggior parte della selezione genetica delle derrate agricole, con l’importante eccezione del mais ibrido, veniva effettuata da istituzioni pubbliche. Per rimanere all’Italia basta ricordare le varie stazioni sperimentali disseminate nella penisola: Stazione di bieticoltura a Rovigo, di maisicoltura a Bergamo, di cerealicoltura a Roma ecc. ecc. che si occupavano di miglioramento genetico e di ricerca agronomica. Vi erano anche società private ma la fase di miglioramento genetico era minoritaria rispetto alla sola moltiplicazione di varietà autocreate o create dalla ricerca pubblica. Gli agricoltori poi risparmiavano una parte del raccolto da utilizzare uso-seme nelle stagioni successive. I pochi più professionali periodicamente rinnovavano le sementi aziendali acquistandole sul mercato al fine di migliorare la purezza e la qualità dei raccolti o per adottare nuove varietà ritenute innovative. A questo proposito non possiamo sottacere che con il panorama sementiero sopra delineato, se ad esempio si producevano 5 q/ha di frumento al tempo dei romani questa quantità è rimasta invariata per 18 secoli, per poi passare a 10 q/ha medi alla fine del 1800 e arrivare a 15 q/ha fra le due guerre. È solo a partire dagli anni 50/60 del secolo scorso che abbiamo avuto un’impennata nelle produzioni e abbiamo registrato incrementi di 1,3 q/ha/anno, di cui, secondo molti studi, il 40% dell’incremento annuale è da assegnare ai nuovi metodi di miglioramento genetico e alla conseguente creazione varietale nuova, mentre il restante 60% è stato dato dalle innovative tecniche agronomiche. L’incremento annuo di produzione del frumento tenero purtroppo è ora fermo da una decina d’anni. Tale exploit convinse molti agricoltori che era un vantaggio acquistare le sementi ogni anno, appunto per avere accesso a sementi selezionate e godere delle performaces della genetica che, tra l’altro, aumentava il panorama varietale disponibile. Se solo mezzo secolo fa una varietà di frumento di successo aveva una vita commerciale di 15 o anche 20 anni, oggi una varietà di successo non dura sul mercato per più di 4-5 anni. Si contano sulle dita di una mano le varietà che nel XX sec. sono durate valide per 30/40 anni e più.

§ - Inizio della legislazione sementiera

Una rottura di questo panorama avvenne con l’avvento delle varietà ibride di mais, che producevano raccolti molto più scadenti se si fossero riseminati i semi della seconda generazione dell’ibrido prodotta in azienda. Fu una svolta epocale per l’attività sementiera, in quanto se prima la creazione varietale rendeva poco al creatore della varietà (solo la gloria!) a causa del generalizzato utilizzo delle sementi aziendali e soprattutto non assicurava nessuna protezione all’opera intellettuale del costitutore, con l’avvento dei mais ibridi il panorama cambiò in quanto il creatore dell’ibrido poteva ripagare il suo lavoro di R&S con la vendita in esclusiva e soprattutto acquisto obbligato ogni anno delle sementi da parte dell’agricoltore.

È dagli anni 1970 che USA ed Europa cominciarono a dotarsi di leggi che consideravano una varietà vegetale un ritrovato intellettuale al pari di qualsiasi invenzione industriale e che si cominciò a legiferare per proteggere i selezionatori al fine di stimolare e dare impulso alla creazione varietale ed incentivare così gli aumenti produttivi già verificati essere dovuti alla genetica. In USA con il Plant Variety Protection Act (PVPA) e a livello mondiale la creazione dell’UPOV-Unione Internazionale per la Protezione delle Nuove Varietà Vegetali, alla quale oggi aderiscono 78 nazioni, compresi gli USA, si istituì una protezione legale delle varietà riconosciute nuove, omogenee e stabili. In USA si chiama “Plant Variety Protection certificates” (PVPs)” ed in UE “Certificat d’Obtention Vegetale (COV)”. Ambedue di durata di 20 anni (25 in caso di specie arboree). Sono tutele queste che prevedono l’uso libero della varietà in commercio per scopi di ulteriore creazione varietale nuova. Ambedue le privative permettono l’utilizzazione uso-seme della produzione aziendale nei casi in cui il vantaggio permanga, ma non è permesso esercitarne il commercio. In USA era possibile anche la brevettazione, ma ciò impediva l’uso libero per delle varietà brevettate, sia come materiale da incrocio che come uso aziendale delle sementi. Effettivamente questa nuova legislazione incentivò la creazione varietale, ma più da parte di privati che del pubblico in quanto ormai creare una varietà cominciava a divenire molto più costoso e la produzione delle sementi da vendere al coltivatore implicava un’organizzazione (infrastrutture, controlli e organizzazione commerciale) che all’istituzione pubblica era resa impossibile per gli eccessivi costi. Con lo sviluppo poi di metodi di selezione più complessi e richiedenti più anticipazioni di denaro, la ricerca pubblica dovette abbandonare la creazione varietale.

Un ulteriore passo in avanti si ottenne quando cominciò a farsi strada l’interesse per il settore sementiero da parte di società chimiche dedite ormai anche alla ricerca e sviluppo di prodotti di protezione comprese le nuove molecole chimiche diserbanti. Cioè, si comprese che sementi e i prodotti di trattamento potevano essere complementari, se non altro perché l’organizzazione commerciale necessaria per far conoscere e far arrivare i fitofarmaci all’agricoltore, potendo disporre anche delle sementi da proporre all’agricoltore, avrebbe permesso un’economia di scala. Inoltre la protezione delle sementi con fitofarmaci appositi prima della semina rappresentava un nuovo business in sviluppo. Non ultimo: l’interesse delle società chimiche per il settore sementiero era generato anche dall’affacciarsi di veri e propri pogrom contro le industrie chimiche, spesso favorite molto dalle produzioni di molecole chimiche ad uso bellico e che in tempo di pace erano viste molto male. Occorre anche far notare che la nuova legislazione non favorì in ugual grado le diverse specie agricole. 
Si scelse innanzitutto le colture destinate ad occupare superfici molto ampie, cioè con maggior uso quantitativo di sementi, che avevano gravi problemi di parassiti, e preferire le specie le cui sementi non erano facilmente producibili in azienda: mais, cotone, soia e colza/canola fecero la parte del leone, molto meno le specie autogame e quelle riproducibili agamicamente o che le potenziali estensioni non potevano divenire rilevanti. Altro aspetto che caratterizzò l’entrata delle ditte chimiche nel campo sementiero fu tutta la regolamentazione che si andava imponendo, aumentandone di molto i costi, per autorizzare nuove molecole chimiche di fitofarmaci. Nel 2010 occorrevano 280 milioni di $ per la ricerca, sviluppo e registrazione di una nuova molecola di fitofarmaco e solo (si fa per dire) 140 per la ricerca, sviluppo e registrazione di un tratto OGM (Fig. 1). Inoltre questo poteva legare il tratto genetico aggiunto con l’uso esclusivo di una o più molecole fitofarmaceutiche (glifosate e glufosinate). Nel contempo, mentre avanzava a grandi passi la tecnica transgenetica di trasferimento di geni esogeni nelle piante coltivate (tecnica OGM), aumentò anche la discrasia nelle scelte delle specie da modificare e ancora una volta la fecero da padrone mais, soia, cotone e colza/canola; a queste si aggiunse barbabietola da zucchero in USA e, su scala commerciale minore; patate, papaia, zucca e mele.


Figura 1 Costo di scoperta, sviluppo e registrazione di un nuovo prodotto agrochimico e di un nuovo tratto di sementi GM nel 1995, 2000, 2005-2008 e 2010-2014 (in milioni di USD) (Fonte 1)


§ - Inizio della concentrazione sementiera

La lista sotto mostra, decennio per decennio, come a partire dal 1985 e fino al 2007 si è evoluto il panorama sementiero mondiale delle maggiori società.


La concentrazione sementiera ha avuto inizio dunque negli anni ’80 del secolo scorso, cioè quando è iniziata anche la concentrazione delle società agrochimiche in quanto queste per entrare nel mondo delle sementi avevano bisogno di materiale genetico già selezionato su cui contare per la vendita o da modificare geneticamente. La forte richiesta fece salire i prezzi che le società chimiche erano disposte a pagare e quindi prima di tutto molte società farmaceutiche (vedi Figura 3) che possedevano branche sementiere preferirono disfarsene per usare i proventi incassati per il loro core business, in un secondo momento anche società sementiere private, trovandosi ormai di fronte al dilemma di doversi indebitare per sostenere i nuovi costi di R&S o cedere l’attività, preferirono incassare introiti insperati vendendole. Assistiamo, così, alla nascita della branche sementiere di Monsanto, Syngenta, Dupont, Dow, Bayer e BASF (definite le “Big Six” – Fig. 2). Il campo delle sementi orticole era ed è ancora dominato dalla società private: (Rijk Zwaan (NL), TAKII (J) e Sakata (J), Bejo (NL), Enza Zaden (NL) e Ball (USA); ma anche Bayer e Syngenta se ne sono dotate.

Figura 2 Vendite semi e pesticidi da parte delle "The Big Six" e delle altre principali società di semi nel 2016 (in miliardi di dollari). (Fonte 1)


§ - Avvento della legislazione brevettuale

Tra l’altro l’avvento delle PGM rese insufficiente la legislazione di protezione della creazione varietale data da PVPs e COV. Infatti i costi per modificare geneticamente le piante erano ingenti e solo se si mostrava agli azionisti un sicuro aumento dei loro investimenti in azioni si aveva accesso ad adeguati aumenti di capitale. Ecco che si fece ricorso in modo molto più importante alla brevettazione delle varietà vegetali, la quale escludeva però l’uso gratuito della varietà brevettata come parentale per ulteriore creazione varietale e in assoluto il riutilizzo delle sementi prodotte in azienda. Tuttavia anche la brevettazione ha una scadenza, solo che spesso rimangono in essere altri brevetti che non facilitano la completa disponibilità della varietà alla scadenza del brevetto. Le ultime biotecnologie di editing genetico hanno ulteriormente complicato la situazione, anche perché certe tecniche di editing genetico generano modifiche non distinguibili tra artificiali o naturali. I brevetti erano la norma negli USA anche prima dell’avvento degli OGM, mentre in Europa l’avvento è concomitante. Tuttavia la legislazione brevettuale da sempre ha valenza transnazionale. Non possiamo non ricordare comunque che ormai è prassi che anche la ricerca pubblica possa brevettare una varietà vegetale e tra l’altro i proventi del brevetto non vanno al ricercatore, ma allo Stato.

§ - Lotta alla concentrazione sementiera

La concentrazione sementiera, ormai interessa tutto il pianeta, fu oggetto di attacchi da parte di ONG che avevano dichiarato guerra alla transgenesi ed anche alle modifiche genetiche ottenute tramite le biotecnologie. Il mondo delle sementi fu messo in discussione e gabinetti di avvocati si organizzarono per intentare delle azioni legali collettive adducendo danni provocati o dall’erbicida a cui le varietà erano state rese resistenti mediante la modifica genetica o addirittura dalla derrata prodotta dalla pianta GM. La Monsanto fu fin da subito il capro espiatorio di questa campagna diffamatoria sviluppatasi a livello mondiale. Dobbiamo dire che la politica di sviluppo della Monsanto tramite le sementi OGM (condotta forse con troppa altezzosità) fu tale che presto assunse una vera e propria posizione dominante nel campo delle sementi e ciò sicuramente adombrò e lese gli interessi delle altre cinque grandi, pertanto non è da escludere che sotto sotto ci sia stato, benché solo inizialmente, lo zampino di queste, mediante il finanziamento di movimenti ecologisti al fine di indire campagne mediatiche di screditamento della Monsanto o favorendo le azioni legali indette da grandi studi di avvocati. Lo screditamento e la diffusione delle paure nell’opinione pubblica ebbe buon gioco nell’UE, in quanto questa, applicando il famigerato “principio di precauzione”, praticamente proibì di coltivare specie OGM ed ancora non vi è una legislazione aggiornata al far progredire delle biotecnologie. A rigore le TEA – Tecniche di Evoluzione Assistita non produrrebbero immissioni di geni esogeni e quindi non dovrebbero rientrare nei dettami della direttiva 2001/18/CE sugli OGM, solo che nel frattempo la Corte di Giustizia europea (CGUE) si è intromessa ed ha dichiarato che tutte le tecniche biotecnologiche antecedenti e posteriori all’emanazione della direttiva comunitaria sono da considerarsi producenti OGM e quindi soggette alle regolamentazioni discendenti dalla direttiva. Evidentemente i prodotti modificati derivati dalle biotecnologie ottenuti prima del 2001 erano già in uso da tempo e quindi la Corte di giustizia li escluse adducendo che il tempo aveva confermato l’assenza di effetti nocivi a uomo e ambiente da parte di questi prodotti. Non è stato così nelle due Americhe dove l’adozione è stata pressoché subitanea, mentre in Asia la situazione è variegata, In Africa il ricatto delle ONG ambientaliste colà operanti, sia verso i governi propensi ad adottare OGM ed Editing genetico che verso l’opinione pubblica, è perfettamente visibile. Lo strumento usato è quello di paventare l’interruzione della fornitura di aiuti umanitari controllati dalle ONG stesse o da organismi esterni ricattabili. Inoltre l’UE ha colpe gravi verso l’adozione delle PGM in Africa: li ha letteralmente ricattati dicendo che se avessero adottato le PGM avrebbero interrotto l’importazione dei relativi prodotti. Ora che ciò sia stata e sia una politica miope ce lo dicono questi dati: L’agricoltura in Africa rappresenta il 17,2% del prodotto interno lordo (mentre è solo il 3% in Ue e USA) e sostiene oltre il 50% della popolazione, pertanto se non aumentiamo qui le produzioni, almeno preservando e proteggendo ciò che si produce, non si vede come si potrà sfamare gli africani. Comunque tutto ciò non ebbe effetti sulle strategie di concentrazione societarie che invece continuarono. Un’altra critica che si sente frequentemente (e purtroppo è creduta essere vera) e che le piante geneticamente modificate farebbero diminuire la biodiversità varietale delle varie specie interessate. 
La critica oltre ad essere destituita di fondamento afferma il contrario della realtà. Alcune ricerche suffragano tutto ciò: in Spagna su 35.000 ettari di mais GM si sono coltivate ben 87 varietà diverse portanti il gene Bt del MON 810. In altri termini sono uguali solo per il gene esogeno ma diverse per tutto il resto. In India si potrebbe pensare che il cotone Bt abbia diminuito la biodiversita varietale, mentre la realtà è che sono coltivate 205 varietà con il tratto modificato MON 531 e ben 309 con il MON 15985. Nel mais vi sono 4.300 varietà di mais transgenico commercializzate con 202 marchi diversi e prodotte da 173 aziende. La coltivazione della papaya nelle Hawaii era a rischio di scomparsa: è stata salvata da un tratto genetico di resistenza, la papaya occupa 7.130 ettari, con un tasso di adozione della coltivazione transgenica dell’86%, ma quante altre varietà e specie in via di estinzione a causa di malattie e parassiti potrebbero essere salvate? Pensiamo alle banane minate da parassiti incontrollabili ed alle leguminose del genere “vigna” (fagiolo dell’occhio), che sono la base dell’alimentazione africana. Si dice anche che le PGM sono coltivate solo in grandi aziende capitalistiche, mentre sono più (in termini di superfici) le aziende famigliari che le coltivano, basta citare l’esempio della melanzana in Bangladesh, in cui la specie rappresenta la terza coltura agricola più grande: 20 agricoltori hanno iniziato la coltivazione su 2 ettari, con un aumento delle rese del 30% e una riduzione dal 30 al 70% dei trattamenti insetticidi. Dopo questi risultati gli agricoltori hanno continuato ad aumentare le superfici fino a coprire, nel 2017, 2.400 ettari gestiti da 27.000 agricoltori e, nel 2018, sono stati quasi 3.000 ettari.

§ - Ulteriore concentrazione delle società chimico-sementiere negli anni 2015-2019

Già nel 2015 i reparti agricoli di Dupont e Dow decisero di fondersi e da qui nacque CORTEVA, nel 2016 la società cinese ChemChina acquistò Syngenta per 43 miliardi di $. Nel 2016 la Bayer tedesca propose alla Monsanto di vendersi per 66 miliardi di $. La Monsanto ormai era diventata anche per l’opinione pubblica la società “colpevole di tutto” e sotto scacco per numerosi processi class action perché il suo prodotto di punta gliphosate era incolpato di causare tumori. In definitiva di 5 delle big six se ne formarono tre. La Fig. 3 mostra come nel tempo si sono formate



Figura 3 (Fonte Catherine Regnault-Roger)


Solo la Basf rimase apparentemente non interessata, ma in realtà poi godette delle imposizioni che le fusioni predette subirono quando dovettero passare al vaglio delle autorità antitrust; essa infatti comprò tutte le attività sementiere e chimiche di cui le precedenti 5 società nel fondersi furono obbligate a cedere per non assumere posizioni dominanti in specifici settori. Infatti non dobbiamo dimenticare che queste società detenevano il maggior numero di brevetti e privative sulle varietà delle specie più importanti. A titolo di esempio potremo citare ciò che è avvenuto in USA , ma che poi si ripercuoteva sugli scambi mondiali di sementi. La BASF approfittò del lavoro fatto dall’università della Louisiana per ottenere, mediante mutazioni indotte delle resistenza agli erbicidi (inibizione dell’enzima ALS) di cui deteneva le molecole diserbanti e creò veri e propri sistemi di coltivazione contrattualizzati che hanno permesso di vendere sementi e erbicida insieme (sementi di riso e girasole Clearfield e sementi di riso Provisa). In particolare con l’incorporazione della Monsanto in Bayer fu imposta la cessione di certe attività e che BASF comprò; ecco alcuni esempi: Bayer dovette disfarsi dei settori soia, colza e ortaggi e il settore cotone degli USA e molte attività sugli erbicidi e di assistenza e ausilio agli agricoltori, che appunto la BASF comprò. Prima di queste fusioni l’incidenza del settore sementiero sui volumi d’affari era maggioritario per Monsanto e per Dupont. 
Inversamente per ChemChina, Dow, Bayer e Syngenta lo erano i prodotti chimici. Le ragioni di queste concentrazioni vanno ricercate nel fatto che le aziende avevano bisogno di realizzare economie di scala per investire e sostenere la ricerca. Le fusioni inoltre crearono portafogli più equilibrati tra attività sementiere e chimiche (Fig 4), apportando così un maggiore autofinanziamento per la R&D e quindi per la sopravvivenza dei settori di competenza. Come spinta alla concentrazione non è ultimo il fatto che i dossier di presentazione di una PGM per ottenere l’omologazione e la successiva sorveglianza del post-commercializzazione (molto gravosa) sono talmente complessi e costosi che solo grandi multinazionali se li possono permettere. Questo è un altro fattore che esclude la ricerca pubblica ad occuparsi di TEA se queste saranno comprese nella direttiva 2001/18/CE, o comunque normate da regolamenti talmente costringenti da essere troppo onerosi.




Figura 4 - Le principali 12 aziende nel settore delle sementi dopo l'ondata di consolidamento 2017-2019 (Fonte 1)

§ - La concentrazione e le PGM ebbero effetti sulla concorrenza e sull’aumento dei prezzi delle sementi?


Gli oppositori della concentrazione hanno sostenuto che con l’instaurarsi di una minore concorrenza si sarebbe verificato un aumento dei prezzi delle sementi e sarebbe venuto meno l’interesse a investire in ricerca e innovazione. Inoltre, da parte di ONG si tentò di convincere l’opinione pubblica che l’agricoltore veniva privato del diritto atavico di autoprodursi le sementi e quindi sarebbe stato succube delle società detentrici delle varietà brevettate o comunque soggette a privativa. L’opinione pubblica bevve la “panzana” in quanto non considerò che l’agricoltore è un imprenditore agricolo, e in quanto tale, le scelte le fa in funzione del ritorno economico che gli deriva con l’acquisto di sementi selezionate. Cioè se riscontra che i benefici sono superiori ai costi compra le sementi, altrimenti non le compra, visto, anche, che di varietà ormai non soggette a nessuna privativa di sorta ne esistono migliaia.
A vero dire se da una parte certi dati statistici supportavano i pericoli della diminuita concorrenza dall’altra, altri dati statistici hanno smentito le previsioni. In USA i tratti OGM posseduti o concessi in licenza dalla Monsanto erano utilizzati nel 95% degli acri di soia, nell’81% degli acri di mais e nel 79% degli acri di cotone (Moschini). Questi numeri dimostrerebbero la posizione dominante, ma anche che gli aumentati prezzi delle sementi OGM non avevano influito sulle scelte libere degli agricoltori di comprare o meno quei certi tipi di sementi; qui i dati di un’indagine che ci confermano che tra il 1990 e il 2020, la media del prezzo pagato dagli agricoltori per le sementi normali delle tre specie è aumentato del 270%, rispetto all’inflazione dei prezzi delle materie prime che invece è aumentata solo del 56%. Per le colture piantate prevalentemente con semi GM (mais, soia e cotone), invece i prezzi delle sementi sono aumentati in media del 463%. Nonostante tutto ciò si è calcolato che la coltivazione di colture GM per il periodo 1996-2020 “ha contribuito ad aumentare la resa di soia e mais rispettivamente di 330 milioni di tonnellate e 595 milioni di tonnellate, portando ad un profitto per gli agricoltori di 261 miliardi di dollari. In India, il cotone geneticamente modificato resistente agli insetti nocivi ha contribuito ad un aumento dei rendimenti compreso tra il 44 e il 63% ed infatti se ne coltivano 11,6 milioni di ettari. Tuttavia la Vandana Shiva ci ha venduto la panzana che l’adozione del cotone GM era causa dell’aumento dei suicidi in India; in Cina, grazie allo stesso cotone OGM, si è riusciti a ridurre della metà l’uso di insetticidi! In definitiva gli agricoltori hanno scelto liberamente le sementi delle piante GM perché semplificavano il loro coltivare, diminuivano i costi e apportavano loro oltre 5 miliardi di dollari all’anno, di cui il 44% a vantaggio dagli agricoltori e il 56% per cento per le aziende produttrici di semi (Ciliberto et al. 2019). Una meta-analisi di studi sugli impatti economici dei tratti GM in tutto il mondo è giunto a una conclusione simile: nonostante l’adozione di sementi varietà GM più costose agli agricoltori sono derivati profitti significativi e il maggior costo delle sementi delle varietà GM non sono state per nulla un freno (Klümper & Qaim, 2014). Le Fig 5 e 6 (Fonte 2) mostrano quanto sopra scritto.


Fig. 5 Nota: i prezzi medi statunitensi delle sementi GM sono aumentati sostanzialmente nel primo decennio del millennio 2000, ma da allora sono diminuiti un po'. Anche i prezzi delle sementi non OGM sono cresciuti più rapidamente dei prezzi dei raccolti negli ultimi dieci anni. In parte l'aumento dei prezzi delle sementi riflettono una migliore qualità delle sementi derivante dalla selezione e dalla genetica che hanno aumentato la resa e la produttività dell’azienda agricola.
Fonte: indici dei prezzi delle colture e delle sementi USDA dell'USDA, National Agricultural Statistics Service (NASS). L'indice dei prezzi delle sementi per gli OGM raccolti è la media semplice degli indici dei prezzi delle sementi di mais, soia e cotone. L’indice dei prezzi per le colture non OGM è una media semplice degli indici dei prezzi delle sementi di grano, orzo, avena, sorgo, riso, semi di lino, patate e arachidi.



Fig. 6 GM = geneticamente modificato; cwt = quintale.
Nota: l’USDA ha smesso di riportare i prezzi separati delle sementi per sementi ibride e non ibride e per sementi GM e non GM una volta che la nuova tecnologia delle sementi è stata adottata dalla grande maggioranza degli agricoltori. Fonte: USDA, Servizio nazionale di statistica agricola (NASS), Annuario annuale delle statistiche agricole. L'USDA e il NASS hanno smesso di riportare i prezzi delle sementi per le singole colture dopo il 2015. I prezzi delle sementi nel periodo 2016-2020 sono derivati ​​dalle stime dei costi di produzione dell'USDA, dell'Economic Research Service.

Inoltre secondo l’ISAAA chi usa sementi OGM sono in maggioranza aziende agricole famigliari. Anche i timori di diminuita ricerca per la diminuita concorrenza nel settore sono stati smentiti in quanto si calcola che le ditte sementiere investano in media almeno il 10% della loro cifra d’affari in R&S. La Fig. 7 (Fonte 2) lo conferma.

Fig. 7 R&S = ricerca e sviluppo.
Nota: la figura mostra la spesa globale combinata per la ricerca e lo sviluppo delle colture e i ricavi delle vendite delle sette maggiori aziende sementiere del mondo: Bayer, Corteva, Syngenta, BASF, Limagrain, KWS e Rijk Zwaan, oltre a 25 società preesistenti che si sono fuse o sono state acquisite da queste aziende dal 1990. I ricavi includono la vendita di sementi, prodotti chimici per l'agricoltura e altri prodotti e servizi per il miglioramento delle colture. L’aumento del valore delle vendite di sementi agricole e pesticidi è stato accompagnato da crescenti investimenti da parte di queste aziende in ricerca e sviluppo. Collettivamente, le aziende hanno costantemente investito circa il 10% delle loro vendite annuali di prodotti agricoli in ricerca e sviluppo.
Fonte: USDA, Economic Research Service, sulla base dei rapporti finanziari aziendali e di altre fonti.


Di seguito qualche altro dato di conferma: Le coltivazioni con PGM nel 2018 erano 191,7 milioni di ettari, la soia biotec era seminata nel 79% della superficie, nel cotone si era al 77,1%, per il mais si era al 32% e per il colza al 30%. Il 13% sono piante modificate per la resistenza agli insetti, mentre il 47% sono modificate per la resistenza ad una molecola erbicida, il restante 40% hanno incorporato ambedue le modifiche genetiche.

§ - In futuro la concentrazione aumenterà e la concorrenza diminuirà ancora?

Per sviluppare questo paragrafo partiamo da questi dati: In USA (seppure ormai solo Corteva sia una società americana, mentre le altre due sono una cinese ed una europea) il 71% dei brevetti di utilità e il 58% dei PVPC per nuove varietà sono assegnati alle tre maggiori società sementiere (Bayer, Corteva e Syngenta), comprese le loro società preesistenti, o società con cui si erano fuse o acquisite). Le quote di proprietà dei diritti di proprietà intellettuale di queste tre società sono significativamente più elevati per le colture GM rispetto alle colture non GM. Il grafico della Fig. 8 (Fonte 2) mostra l’evoluzione temporale.


Fig. 8 PVPC = Certificati di Protezione delle Varietà Vegetali.
Nota: i brevetti di utilità includono i brevetti rilasciati per varietà di colture, cultivar, ibridi, consanguinei e linee di allevamento. I brevetti vegetali sono una categoria speciale di brevetti per le colture a propagazione vegetativa, escluse le patate. Per gli stessi possono essere rilasciati brevetti di utilità e PVPC per cultivar. Il numero di nuove varietà di colture sviluppate e a cui sono stati riconosciuti diritti di proprietà intellettuale è cresciuto costantemente dagli anni ’70 agli anni 2000 ed è rimasto al livello all’incirca questo livello di picco durante gli anni 2010.
Fonte: i dati sui brevetti di utilità e vegetali provengono dall'Ufficio brevetti e marchi degli Stati Uniti (USPTO); Certificato di protezione della varietà vegetale (PVPC) i dati provengono dall'USDA, Agricultural Marketing Service


Evidentemente i tratti genetici modificati sono in gran parte frutto delle vecchie tecniche di transgenesi, ma ora si affacciano in modo massiccio le modifiche transgenetiche e cisgenetiche derivate dalle TEA e ciò apporterà un ulteriore impatto sul settore sementiero. L’orientamento della ricerca potrebbe essere un buon barometro per informare sull’evoluzione futura del settore e delle sementi. I metodi transgenetici che hanno dato origine ai primi OGM sono ormai stati abbandonati, anche perché con i nuovi si può fare l’uno (transgenesi) e l’altro (cisgenesi e editing genetico). Una recente revisione della letteratura scientifica elenca le pubblicazioni sul tema NPBT tra gennaio 1996 e fine maggio 2018. Su 1.328 studi dedicati alle applicazioni dell'editing genomico nel campo delle piante e dei modelli agricoli, la tecnica CRISPR, scoperta nel 2012, ha mobilitato il maggior numero di ricercatori: ad essa sono dedicati 1.032 articoli (Fig. 9). La recentissima tecnica di editing genomico menzionata per la prima volta nel novembre 2017, aveva già generato 42 articoli in sei mesi. Essendo queste informazioni ormai datate è facile immaginare cosa sia capitato nei successivi 7/8 anni ed in seguito.

Figura 9 - Pubblicazioni di ricerca dedicate a diverse NPBT per tecniche tra gennaio 1996 e fine maggio 2018 (Fonte Catherine Regnault-Roger)

Interessante far notare che la ricerca ha interessato 68 paesi, solo che due di questi, Cina ed USA, rappresentano il 40% ed il 33 % delle pubblicazioni. La Cina è quella che deposita più brevetti per le applicazioni agricole. Vi è da aggiungere che anche molte università sono interessate a questi studi oltre a centri di ricerca e società sementiere. L’Europa purtroppo latita: solo il 9% dei brevetti depositati e solo il 13% delle pubblicazioni nel mondo; se la situazione nell’UE non evolverà verso una maggiore apertura circa le biotecnologie applicate all’agricoltura ci ritroveremo con un’agricoltura comunitaria non competitiva. Soprattutto deve evolvere il concetto che si devono valutare i prodotti ottenuti dalle innovazioni biotecnologiche applicate e non le tecniche applicate per ottenerli.

Per spiegare meglio questo impatto ho bisogno di fare una premessa. La creazione varietale si è sviluppata (anche quando si operava su popolazioni e non per linee d’incrocio) partendo da ciò che agricoltori-miglioratori (più o meno coscienti) del passato avevano riunito in una popolazione o in una cultivar. Questo accumulo di geni interessanti e la possibile non perdita nella moltiplicazione riproduttiva, riassume il progresso genetico di cui noi godiamo oggi, inoltre una ditta sementiera era valutata per le perfomances varietali delle specie che migliorava e che periodicamente offriva agli agricoltori. D’altronde le società chimiche quando hanno deciso di entrare nel settore delle sementi partivano da zero, cioè non erano dotati di nessun germoplasma su cui cominciare a lavorare, ecco spiegato anche l’esigenza e lo sconvolgimento operato nel settore delle sementi per acquistare e convincere le ditte sementiere a vendersi. Evidentemente puntarono sulle società che più erano reputate per detenere buon materiale genetico e hanno anche scelto di acquistare più società che si occupavano della stessa specie coltivata se questa aveva caratteristiche tali da poter vendere seme ibrido e che prevedesse superfici di coltivazione importanti, ciò al fine di poter eventualmente operare su mercati molto ampi. Si videro passaggi di società sementire pagate con prezzi da capogiro, fino a 10 volte il fatturato; ecco perché anche molte ditte private furono invogliate a cedere l’attività. Quando si sente dire oggi che le ditte chimiche si sono appropriate delle sementi si dimentica di aggiungere che le hanno pagate molto profumatamente, con passaggi di proprietà avvenuti alla luce del sole e soprattutto nessun governo si è opposto alle vendite perché non riteneva strategico il settore delle sementi che la nazione deteneva. 
Quindi certe favolette raccontate oggi dalle ONG ambientaliste sono destituite di fondamento; non è avvenuto nessun “furto” e nessun atto poco etico come sembra sospettare anche l’Enciclica di Papa FrancescoLaudato si “. Altro aspetto da non trascurare è che acquistando una società sementiera poi la sfrondavano, nel senso che non dedicavano più un’azione miglioratrice sulle specie detenute nei “caveau”, ma che non presentavano i due parametri prima citati (autoprotezione e potenzialità di occupare ampie superfici). Un esempio ci è dato dalle specie frumento o riso di cui nessuna società sementiera multinazionale ha voluto occuparsi in quanto scarsamente proteggibili, ivi comprese tutte le specie a riproduzione agamica.
La stessa identica cosa avveniva quando ad esempio acquistava tre società che si occupavano di mais o di soia; del triplo materiale acquisito scartava i germoplasmi meno performanti e quindi meno interessanti. In questo frangente è possibile che la concentrazione abbia fatto perdere qualche gene che l’evoluzione dei mercati o dell’ambiente avrebbe valorizzato in futuro. A dire il vero sono geni non del tutto persi, ma solamente riportati alla diluizione naturale e quindi, se ridivenuti interessanti, sarebbero solo da andare a reperire di nuovo. Le banche dei semi esistono appunto per questo. Tutto ciò premesso per dire che la riuscita di una cultivar è il frutto di un assemblaggio di tanti geni d’interesse ben riuscito sia accumulati nel passato che aggiunti nel presente. Un assemblaggio di geni riuscito solo in parte e proposto agli agricoltori è destinato a venire scartato dagli stessi. E’ evidente che questo discorso è propedeutico all’affermarmazione che questi assemblaggi performanti, per quanto concerne le quattro specie anzidette, sono in grandissima parte in possesso delle sole quattro società sementiere multinazionali rimaste. Pertanto un tratto OGM, ossia un gene modificato, e ora, a differenza del passato, inseribile da subito mediante le TEA in un punto preciso del DNA, oppure l’edizione di una variante di un gene esistente mediante le nuove biotecnologie, assume e riflette tutta la sua innovazione solo se inserito nell’assemblaggio di geni migliore che si possiede e che ulteriormente si crea. In altri termini non ha senso inserire una resistenza ad un parassita in una varietà scarsamente produttiva a causa di un corredo genetico insufficiente; questa certo migliorerà, ma non più di tanto. Insomma occorre scegliere le migliori varietà attuali e future in cui inserire un transgene o far funzionare un gene del DNA variato. In altre parole le metodologie di genetica classica per migliorare le piante non è stata messa in soffitta, ma è ancora usata, anche se sveltita nei tempi (uso di marcatori) appunto perché solo l’inserimento di modifiche genetiche puntiformi ha senso farlo su varietà elite. Ma ormai questi assemblaggi genetici elite sono in possesso, in grande maggioranza e per le poche specie succitate, delle “quattro big sementiere”, che tra l’altro, con la concentrazione, dispongono di mezzi finanziari maggiori per sviluppare le TEA.
La conclusione è facile da intravvedere: le tre big potranno ambire a conquistare fette di mercato sempre più ampie e assumere sempre più posizione dominante. Per la ricerca pubblica e per le università rimarrà solo la possibilità di partenariato con le società sementiere non multinazionali o vendere eventuali brevetti se molto innovativi. Saranno queste che si occuperanno sempre più delle specie rimaste prive di interesse per le multinazionali. In conclusione, allo stato attuale due strade, per ora, ci sono prospettate: una è quella del rifiuto delle biotecnologie e loro proibizione per non subire il presunto ricatto delle quattro “big”, ma ben sappiamo trattarsi di semplice “caccia alle streghe”, anche perchè la proibizione non sarà mai unanime su tutto il pianeta e le innovazioni in agricoltura penalizzeranno sempre più chi non le persegue. Tuttavia noi sappiamo che di fronte a noi abbiamo l’esigenza di nutrire più individui e soprattutto di nutrirli meglio ampliando le diete; ma è altrettanto vero che di terra coltivabile non ne abbiamo praticamente più e quindi occorre far produrre di più quella che abbiamo e soprattutto quella detenuta dalle popolazioni più povere. La seconda via potrebbe essere quella di addivenire ad un accordo aggiornato sulle leggi esistenti che permetta all’industria sementiera di essere sufficientemente protetta e nel contempo che all’industria sementiera non multinazionale sia permesso sfruttare i progressi che la scienza genetica farà senza essere gravata da proibizioni e balzelli eccessivamente onerosi per il proseguimento della loro attività. La questione del diritto dell’agricoltore di destinare ad uso-seme una parte della sua produzione aziendale è una questione solo di principio in quanto se il vantaggio che l’agricoltore riceverà sarà superiore allo svantaggio di non comprare il seme innovativo questi sarà ben contento di non autoprodursi la semente.


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Fonte 1 – Sylvie Bonny - Corporate Concentration and Technological Change in the Global Seed Industry

Fonte 2 – USDA Economic Research Service - James M. MacDonald, Xiao Dong, and Keith O. Fuglie -Concentration and Competition in U.S. Agribusiness



ALBERTO GUIDORZI

Agronomo. Diplomato all'Istituto Tecnico Agrario di Remedello (BS) e laureato in Scienze Agrarie presso l'UCSC Piacenza. Ha lavorato per tre anni per la nota azienda sementiera francese Florimond Desprez come aiuto miglioratore genetico di specie agrarie interessanti l'Italia. Successivamente ne è diventato il rappresentante esclusivo per Italia; incarico che ha svolto per 40 anni accumulando così conoscenze sia dell'agricoltura francese che italiana. 







1 commento:

  1. E' di questi giorni il comunicato stampa di Corteva Agriscience che annuncia di aver depositato una denuncia in tribunale a carico della società Inari agriculture che si sarebbe appropriata di sementi brevettate di proprietà Corteva comprandole a desta e a manca negli USA ed esportandole fuori dagli USA. In questo frangente, essendo Inari una start-up biotecnologica avrebbe leggermente modificato le sementi per tentare di poterle brevettare a suo nome. Come dico nell'articolo, si può essere all'avanguardia nelle biotecnologie, ma se non si ha il materiale genetico dove inserirlo si è in un cul de sac. Corteva nel suo comunicato ci da anche delle cifre interessanti circa i tempi della creazione varietale biotecnologica. Corteva Agriscience afferma di investire ogni giorno quasi 4 miliardi di $ in R&D . Inoltre dice che per creare una varietà vegetale nuova e farla giungere sul mercato occorrono 7 anni, per inserirvi un tratto genetico di protezione e commercializzarla ne occorrono 13 anni, mentre per apportarvi una modifica biotecnologica addirittura 16 anni. Il commento ha appunto lo scopo di integrare quanto si è detto nell'articolo sopra

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