sabato 24 dicembre 2022

PERICOLO, RISCHIO E RISCHIO PERCEPITO - Per non farsi manipolare dai demagoghi è essenziale saper distinguere fra questi tre concetti. Alcune riflessioni sul rischio associato al clima che cambia e ai fitofarmaci

di LUIGI MARIANI 

L'articolo è  uscito in origine sul sito della Società agraria di Lombardia

Foto di Charles C. Ebbets,  "Lunch atop a Skyscraper, 30 settembre 1932, Rockefeller Plaza".


La prof.ssa Judith Curry, climatologia statunitense, ha scritto alcuni giorni orsono un articolo (Curry, 2022) in cui evidenzia l’importanza di un approccio scientifico al rischio soffermandosi in particolare sulla differenza esistente fra pericolo e rischio e fra rischio reale e rischio percepito. La lettura del suo testo, riferito nello specifico al rischio climatico, ha costituito il punto di partenza per le considerazioni che seguono, che spero possano suscitare l’interesse dei lettori. 

Pericolo, rischio, vulnerabilità ed esposizione 

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità il pericolo (in inglese hazard) è la proprietà caratteristica di un agente chimico, fisico o biologico o di un fenomeno (atmosferico, marino, geologico, ecc.) che ha la potenzialità di causare effetti avversi su in un organismo, un sistema o una popolazione (umana, animale o vegetale). Il rischio (risk) è invece la probabilità di avere un effetto avverso in un organismo, sistema o popolazione causato dall’esposizione in circostanze specificate a un agente o a un fenomeno pericoloso (WHO, 2010). L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce inoltre la sicurezza (safety) come l’elevata probabilità che in determinate circostanze un agente o fenomeno pericoloso non dia luogo ad alcun effetto avverso (Moretto, 2019). Pertanto pericolo e rischio sono concetti molto diversi l’uno dall’altro, per cui in sede tecnica è errato utilizzarli come sinonimi come esso accade nel linguaggio comune. 
Più in dettaglio l'equazione che lega il pericolo al rischio è la seguente:

Rischio=Pericolo x Vulnerabilità x Esposizione (1) 

Tale equazione indica che perché un pericolo generi un rischio per una popolazione occorre che la popolazione sia suscettibile e sia esposta al pericolo. Utilizzando un esempio agricolo, il rischio di mortalità per una popolazione di frumento in accestimento seminata il 15 ottobre e che a gennaio è esposta a una temperatura di -8°C è molto basso o nullo in quanto sussiste un pericolo e la popolazione in esame è esposta ma non è vulnerabile avendo subito un processo fisiologico noto come indurimento dei tessuti. Viceversa per una gelata a -4°C che si verifica a inizio aprile il rischio di mortalità per un frumento allo stadio fenologico di levata è elevato in quanto sussiste il pericolo e la popolazione è esposta e vulnerabile. L’equazione del rischio (equazione 1) indica anche che per ridurre il rischio è possibile agire riducendo il pericolo con azioni di mitigazione oppure agire su vulnerabilità ed esposizione con azioni di adattamento. Sempre utilizzando l’esempio del frumento il rischio di attacco di un patogeno fungino può essere mitigato effettuando un trattamento fungicida mentre la vulnerabilità del frumento può essere ridotta utilizzando varietà resistenti; infine l’esposizione alla stretta provocata dalle ondate di caldo di luglio può essere ridotta adottando varietà a maturazione precoce. Nel caso di rischio legato ai fitofarmaci, l’equazione di cui sopra è spesso espressa nella forma che non considera in modo esplicito la vulnerabilità:

Rischio=pericolo x esposizione (2)

Come vedremo ciò non significa che la vulnerabilità non sia considerata, in quanto alla differente vulnerabilità che può esistere in differenti categorie di individui si ispira l’introduzione di un fattore di incertezza usato per ridurre la dose giornaliera accettabile (DGA) rispetto a quella ricavata a partire dalla dose priva di effetti avversi osservati (NOAEL)¹ . Sul piano storico si deve rammentare che Paracelso (1493-1541), medico e alchimista svizzero (figura 1), fu probabilmente il primo a proporre un approccio corretto al pericolo e al rischio e in virtù di ciò è oggi considerato il padre della moderna tossicologia. Di Paracelso è nota la frase: “Cosa vi è che non sia tossico? Tutte le cose sono tossiche e nessuna non lo è. Solo la dose fa si che una cosa non sia tossica”, che spesso si trova espressa come “è la dose che da il veleno”. Si noti che in tali frasi sono insiti i concetti di pericolo (legato alla sostanza) e di rischio (pericolo x dose).

Figura 1 – Paracelso, alias Philippus Aureolus Theophrastus Bombastus von Hohenheim. Copia da Quentin Metsys (c.1465-1530) di Peter Paul Rubens (1617/18) Brussels, Museo Reale d’Arte.


Rischio reale e rischio percepito Spesso la nostra percezione di un rischio differisce dall’entità reale del rischio stesso. Comprendere questa differenza fornisce indicazioni essenziali sia per razionalizzare le nostre paure (si pensi alla paura del buio o del vuoto o alla fobia per insetti e topi) sia per comprendere come tale differenza sia spesso sfruttata dai demagoghi, perennemente alla ricerca di argomenti per convincere la popolazione della bontà delle proprie tesi. Judith Curry ci ricorda che la scienza del rischio fa una chiara distinzione tra i giudizi professionali sul rischio e la percezione pubblica del rischio, definendo quest’ultima come un giudizio soggettivo che coinvolge fattori sociali, culturali e psicologici che spesso portano ad una percezione del rischio lontana dalla realtà. In altri termini le persone si preoccupano di alcuni rischi (radiazioni nucleari, incidenti aerei, residui di fitofarmaci negli alimenti, cibi geneticamente modificati, ecc.) più di quanto meriterebbero in base agli elementi di prova esistenti mentre la preoccupazione è molto inferiore per rischi per i quali esistono prove incontrovertibili (obesità, fumo di sigaretta, utilizzo di telefoni cellulari durante la guida, guida su strade molto trafficate, ecc.). 
Questo divario nella percezione del rischio produce politiche sociali che ci proteggono più da ciò di cui abbiamo paura che da ciò che in realtà ci minaccia di più. In tal senso si pensi alla politica europea del Farm to fork (F2F), nella quale la paura irrazionale dei residui di fitofarmaci negli alimenti sta spingendo la UE a imporre vincoli all’uso dei fitofarmaci che ci paiono inaccettabili sul piano tecnico, con il rischio concreto di mettere in crisi una serie di settori strategici della nostra agricoltura1. Per porre in luce la distanza esistente fra rischio percepito e rischio reale, in figura 2 si riportano le due “piramidi” del rischio alimentare percepito e reale: si noti che mentre l'opinione corrente sui fattori di rischio alimentare pone ai primi posti pesticidi, contaminanti chimici e additivi, la verifica scientifica pone al primo posto la malnutrizione e la nutrizione errata spostando pesticidi, contaminanti chimici e additivi alimentari agli ultimi posti. La figura 3 si riporta invece un esempio riferito ad un’intossicazione provocata da abuso nell’assunzione di acqua (un caso analogo è descritto in tabella 1). Si noti che l’acqua è una sostanza per la quale il rischio percepito dal comune cittadino è praticamente nullo mentre il rischio reale non deve essere trascurato, specie con riferimento alle persone sensibili a mode che vedono nell’elevata assunzione di acqua un rimedio contro patologie vere o presunte. 




Figura 2 – Rischio alimentare reale e percepito - Fonte: regione Piemonte, ARPA, qui (sito visitato l’1 dicembre 2022), 


Figura 3 - Notizia apparsa su un quotidiano relativa ad una intossicazione per assunzione di acqua in quantità smodate (Moretto, 2019).

Perché il rischio percepito può essere molto diverso da quello reale Comprendere la psicologia della percezione del rischio è importante per gestire razionalmente i rischi che sorgono quando il nostro sistema di percezione soggettiva del rischio sbaglia. La ricerca di Paul Slovic (1987) sul paradigma psicometrico descrive una serie di caratteristiche psicologiche che fanno percepire un rischio come più o meno elevato rispetto a quello reale (Crator, 2008; Espinoza, 2008). 
In particolare si consideri la lista seguente: 
  • 1. rischi naturali rispetto a rischi artificiali 
  • 2. rischi rilevabili rispetto a rischi non rilevabili senza strumentazioni speciali 
  • 3. rischi controllabili rispetto a rischi incontrollabili 
  • 4. rischi cui ci si espone volontariamente rispetto a rischi imposti 
  • 5. rischi compensati da benefici rispetto a rischi non compensati 
  • 6. rischi noti rispetto a rischi vaghi 
  • 7. rischi comuni a cui ci si espone nella vita quotidiana rispetto a rischi non comuni 
  • 8. rischi futuri rispetto a rischi immediati 
  • 9. distribuzione dei rischi equa rispetto a una distribuzione asimmetrica.
In  ognuna di queste coppie, il primo tipo di rischio è generalmente molto meno preoccupante rispetto al secondo. Ad esempio, i rischi comuni, cui ci si espone volontariamente (guida, fumo, assunzione di alcol, ecc.) generano una limitata apprensione sociale mentre rischi non comuni, rischi artificiali e rischi imposti (terrorismo, residui di fitofarmaci, cambiamento climatico antropogenico, ecc.) provocano un’apprensione molto più grande, cosa su cui giocano frequentemente i demagoghi.

Il rischio associato ai disastri naturali e al cambiamento climatico 
Un esempio molto efficace delle relazioni che intercorrono fra pericolo, rischio e rischio percepito è offerto dai disastri naturali (figura 4). Dal diagramma in figura 5 si evidenzia che i disastri naturali sono saliti rapidamente a partire dagli anni ‘60 del XX secolo e si sono poi stabilizzati risultando stazionari o in lieve calo dal 2000 ad oggi come si può anche cogliere dalla figura 6. Lo stesso vale per i disastri meteorologici e climatologici (barre in blu e azzurro) e quelli idrologici (barre in verde). Per i disastri meteorologici e climatologici si veda anche quanto emerge da figura 7

Figura 4 - Quattro importanti tipologie di disastri naturali che sono fonte di pericolo per l’incolumità la popolazione. Perché il pericolo si tramuti in rischio per una popolazione occorre che si associ all’esposizione e ala suscettibilità. 


Figura 5 – Andamento del numero dei disastri naturali dal 1900 al 2021. I dati sono tratti dalla banca dati mondiale sui disastri naturali EM-DAT gestita dal CRED dell’Università di Lovanio. Il diagramma a barre sovrapposte riporta il numero dei disastri meteorologici (temperature estreme, nebbie, tempeste), climatologici (siccità, laghi glaciali, incendi), idrologici (Alluvioni, colate detritiche e di fango) e geofisici (attività vulcanica, terremoti, frane in roccia). 


Figura 6 – Il numero dei disastri naturali dal 2000 al 2019. Emerge con grande evidenza la stazionarietà che caratterizza tali fenomeni (UNDRR e CRED, 2021). 

Figura 7 – Andamento del numero dei disastri meteorologici e climatologici dal 1900 al 2021.

La ragione del rapido incremento registrato dal 1960 al 2000 è spiegata nel report 2015 del Centre for Research on the Epidemiology of Disasters (CRED) dell’università di Lovanio, nel quale si afferma che “Il volume e la qualità dei dati relativi ai disastri naturali sono aumentati enormemente dopo il 1960, quando la statunitense OFDA (Office of Foreign Disaster Assistance) ha iniziato attivamente a raccogliere informazioni su questi eventi. L'attivazione del CRED nel 1973 ha ulteriormente migliorato la registrazione dei dati. Infine a una migliore segnalazione delle disastri hanno contribuito lo sviluppo delle telecomunicazioni globali e dei media, l’aumento dei finanziamenti umanitari ed il rafforzamento della cooperazione internazionale. Pertanto l’aumento della frequenza dei disastri nel mezzo secolo scorso è almeno in parte dovuto alle aumentate possibilità di monitoraggio”. Il fatto poi che l’aumento nel numero dei disastri naturali dal 1960 al 2000 sia in prevalenza frutto del migliore monitoraggio e non di altri fattori quali il cambiamento climatico è confermato dal fatto che un andamento del tutto analogo a quello dei disastri meteo-climatici e idrologici lo mostrano i disastri geofisici (attività vulcanica, terremoti, grandi frane in roccia - figura 8) che non sono ovviamente influenzati dal cambiamento climatico (Alimonti e Mariani, 2022 b). Al riguardo si deve purtroppo segnalare che nell'ultimo rapporto dell’Ufficio della Nazioni Unite UNDRR (United Nations Office for Disaster Risk Reduction), applicando una interpolante lineare ai dati dal 1970 (figura 9 a) si arriva a prevede un significativo aumento dei disastri nel futuro prossimo giungendo a dire che “Se le tendenze attuali continuano, il numero di disastri per anno a livello globale può aumentare da circa 400 nel 2015 a 560 all'anno entro il 2030 con un aumento del 40%”. 
A costo di essere accusati di “sparare sulla croce rossa”, il collega Gianluca Alimonti ed io abbiamo per ben due volte scritto al responsabile dell’UNDRR segnalando che l’interpretazione corretta dei dati è quella mostrata in figura 9 b in cui in luogo di una interpolante lineare si usa una spezzata (metodo di Tomé e Miranda) evidenziando il lieve calo nei disastri in atto dal 2000 (Alimonti e Mariani, 2022 b). Alle nostre missive non è mai stata data risposta da UNDRR, il che porta ad interrogarci circa le politiche delle organizzazioni internazionali che mirano a creare allarmi non giustificati dai dati. Si tenga inoltre conto che, come evidenzia la figura 10, il rischio espresso in termini di mortalità media per decennio della popolazione mondiale è in forte calo (e tale calo sarebbe ancora più drastico se lo esprimessimo in numero di morti per milione di abitanti, essendo la popolazione mondiale quintuplicata dal 1900 a oggi). Tale calo è frutto soprattutto del miglioramento delle condizioni di vita e dei sistemi di protezione civile che rendono le popolazioni meno esposte e meno vulnerabili al rischio climatico, il che ci addita la strada da seguire per i prossimi decenni e che deve essere improntata a sagge politiche di adattamento al rischio. A questo punto occorre dire che se la mortalità globale per disastri cala e il numero di disastri è grossomodo stazionario, l’ovvia conclusione è che il rischio climatico globale è anch’esso in calo, il che contrasta con la demagogia mediatica sulla catastrofe climatica incombente, una demagogia che crea problemi in primis alle categorie più fragili: si pensi a persone con problemi psichici o ancora ai bambini cui le maestre raccontano che il mondo sta per finire e che la colpa è di noi occidentali (Curry, 2022 b).

Figura 8 – Andamento del numero dei disastri geofisici dal 1900 al 2021.

Figura 9 – Mortalità per disastri geofisici dal 1900 al 2021 (mortalità media annua per decennio).

Figura 10 – Il trend nei disastri naturali dal 1970 al 2021 descritto con una linea di trend lineare (approccio adottato da UNDRR – in alto) e con una spezzata (metodo piecewise di Tomé e Miranda – in basso). 




Il rischio associato ai fitofarmaci e il ruolo dell’EFSA 

A questo punto veniamo a parlare del rischio legato ai fitofarmaci, strumenti essenziali per la difesa delle colture dai loro nemici (malerbe, parassiti, patogeni e avversità abiotiche) e da cui dipende oggi la sicurezza alimentare globale e la sostenibilità economica del settore agro-alimentare3 . L'uso dei fitofarmaci dev’essere compatibile con la tutela della salute umana e animale (tossicità acuta, tossicità cronica, cancerogenicità, effetti sulla riproduzione) e con la tutela dell’ambiente e a tale principio di fondo si ispira il Regolamento CE 1107/2009 che stabilisce le norme per l’autorizzazione, l’immissione in commercio, l’utilizzo e il controllo dei prodotti fitosanitari. In tale contesto L'EFSA (European Food Safety Authority) su mandato della Commissione Europea ha la responsabilità di valutare: - il rischio per la salute umana e animale e per l’ambiente insito nei prodotti fitosanitari utilizzati nella UE - il rischio associato al livello massimo di residuo (MRL) di un particolare fitofarmaco consentito nei prodotti di origine vegetale o animale commercializzati nell'UE e dunque prodotti nella UE o in Paesi da cui importiamo prodotti. Tali analisi del rischio effettuate da EFSA sono effettuate valutando pericolo, esposizione e vulnerabilità. 

La stima del livello massimo di residui MRL 

Per un dato fitofarmaco la stima di MRL avviene a seguito della stima di una serie di parametri qui di seguito elencati e che sono prodotti dalla ditta che cura la registrazione di un nuovo prodotto (FAO, 2022) e valutati a livello europeo da EFSA e a livello mondiale dal Joint FAO/WHO Meeting on Pesticide Residues (JMPR). 

A) la NOAEL - No Observed Adverse Effect Level (= dose priva di effetti avversi osservati) e cioè la dose massima con cui si può entrare in contatto senza che si abbiano effetti avversi (WHO, 2010), Il diagramma in figura 11 descrive la risposta (effetto critico) a dosi crescenti di un fitofarmaco evidenziando la NOAEL. 

Figura 11 – Curva dose – risposta per un generico fitofarmaco (Moretto, 2019).


B) l’Acceptable Daily Intake ADI (= dose giornaliera accettabile DGA) che esprime la tossicità cronica intesa come dose giornaliera in mg/kg di peso corporeo (bw) di una sostanza che può essere assunta per tutta la vita senza rischio apprezzabile per la salute 4 . L’ADI si ricava dalla NOAEL di lungo periodo (Echa, 2016) e viene fissato in modo prudenziale dividendo il suo valore per un fattore di incertezza (Uncertainty Factor UF) di 100, ottenuto moltiplicando l’UF inter-specie di 10 x l’UF inter-individuo di 10 (EFSA, 2012). Il fattore di incertezza tiene in sostanza conto della vulnerabilità diversa esistente fra diversi individui della specie umana o fra l’uomo e le specie usate per sperimentare gli effetti dei fitofarmaci. In tabella 2 si riporta a titolo d’esempio l’ADI stabilito in base a criteri prudenziali per il piretroide di sintesi flucythrinate (JMPR 1985). 



C) l’Acute reference dose ARD (= dose acuta di riferimento DAR) che esprime la tossicità acuta intesa come quantità di sostanza in mg/kg di bw che può essere ingerita in un pasto/un giorno senza rischio apprezzabile per la salute5 . L’ARD si ricava dalla NOAEL di breve periodo (Echa, 2016) e anche per esso si utilizza il fattore di incertezza di 100. 

D) il Maximum Residue Limit MRL (= limite massimo di residuo LMR espresso in mg di residui per kg di alimento o mangime zootecnico) presente in/su alimenti a seguito dell'utilizzo di un fitofarmaco effettuato seguendo le raccomandazioni presenti in etichetta e le buone pratiche agricole (Good Agricultual Practices - GAP). L'MRL viene ricavato da prove sperimentali effettuate in campo o indoor in sede di predisposizione del dossier per la registrazione di un nuovo principio attivo (Chemsafetypro, 2019; EFSA, 2015). Più nello specifico per ottenere l’MRL occorre disporre di 8 o più misure di residui indipendenti da inserire nel foglio di calcolo OCSE, accettato a livello internazionale per calcolare l’MRL. L’MRL così ottenuto viene sottoposto alla valutazione del rischio dietetico, il che avviene associando l’MRL alla dieta praticata (per l’Europa il calcolo si può effettuare utilizzando la dieta europea del WHO oppure informazioni dietetiche nazionali) per calcolare l'assunzione giornaliera massima teorica (theoretical maximum daily intake – TMDI) (Chemsafetypro, 2019). Se TMDI non supera l’ADI, L’MRL proposto viene approvato dalle autorità competenti assumendo valore normativo, altrimenti sarà respinto. In caso poi di un fitofarmaco che non sia stato approvato per l'uso su una determinata coltura, l’MRL può essere comunque fissato al limite di determinazione (LOD), a cui nell'UE viene assegnato il valore di 0,01 mg/kg. 

E) l’Acceptable Operator Exposure Level AOEL (= limite massimo di esposizione per operatori professionali - mg/kg di bw) è la quantità massima di principio attivo cui l’operatore professionale può essere esposto, senza che si abbiano conseguenze negative per la salute.

Fitofarmaci – i problemi insiti in una valutazione del rischio basata unicamente sul pericolo 

L’EFSA esegue l’analisi del rischio associato ai diversi fitofarmaci valutandolo sulla base a pericolo, dell’esposizione e della vulnerabilità. Infatti, come sottolinea Angelo Moretto (2019), se si trascurano esposizione e vulnerabilità e ci si limita alla sola nozione di pericolo si perviene a una valutazione parziale del rischio che causa una percezione distorta del pubblico, dei lavoratori e in alcuni casi degli stessi addetti ai lavori. Ciò si traduce da un lato in risposte irrazionali, in ansie per la salute e in ingiustificati rimorsi e dall’altro in azioni inutili o dannose (blocco di fitofarmaci tecnologicamente utili, sostituzione con composti meno studiati e quindi potenzialmente a maggiore rischio, spreco di risorse per contrastare minacce percepite e non reali). Sul solo pericolo sono fondati i report di IARC che peraltro presentano il titolo di “IARC monographs on the evaluation of the carcinogenic risks to humans”. In tale titolo si parla di rischio in modo improprio, come del resto appare evidente leggendo il “Peramble to monographs” ove sta scritto che “il “pericolo di cancerogenesi” si riferisce a un agente in grado di causare il cancro in determinate circostanze, mentre il “rischio di cancrerogenesi” è una stima degli effetti cancerogenetici attesi in seguito all’esposizione ad un agente che presenta pericolo di cancerogenesi. Le Monografie Iarc sono un esercizio di valutazione dei pericoli di cancerogenesi, nonostante la presenza storica della parola “rischio” nel titolo. La distinzione fra pericolo e rischio è importante, e le Monografie identificano pericoli di cancerogenesi anche quando i rischi sono molto bassi alle attuali esposizioni, perché possibili nuovi usi o esposizioni non previste potrebbero essere associate a rischi significativamente più elevati. Nelle monografie IARC sono considerati circa 1000 agenti suddivisi nei 5 gruppi seguenti:

  • Gruppo 1: l'agente è cancerogeno per l'uomo (circa il 13% del totale degli agenti valutati) 
  • Gruppo 2A: l'agente è probabilmente (probably) cancerogeno per l'uomo (circa il 9% degli agenti valutati) 
  • Gruppo 2B: l'agente è forse (possibly) cancerogeno per l'uomo (circa il 23% degli agenti valutati) 
  • Gruppo 3: L'agente non è classificabile per quanto riguarda la sua cancerogenicità per l'uomo (circa il 55% degli agenti valutati) 
  • Gruppo 4: L'agente non è probabilmente cancerogeno per umani (circa lo 0,1% degli agenti valutati) 
Al Gruppo 1 afferiscono l’asbesto, le carni lavorate e l’alcol etilico, e qui si deve notare che la Gazzetta Ufficiale riporta la cessazione d’impiego dell’amianto ma non quella delle carni lavorate e dell’etanolo. Analogamente al Gruppo 2A afferiscono gliphosate, bevande calde (sopra i 65°C) e le carni rosse (bovine, suine e ovi-caprine) e qui si deve evidenziare che assistiamo a manifestazioni pubbliche e raccolta di firme per abolire l’uso del glyphosate ma non quello di bevande calde o carni rosse. Circa il Glyphosate, si tratta di un prodotto con tossicità acuta molto bassa: con una DL506 di 5600 mg/kg di bw risulta ad esempio più tossico dell’etanolo (DL50=9000) e meno tossico del bicarbonato di sodio (DL50=4220), del cloruro di sodio (DL50=3000) e molto meno tossico del solfato di rame (DL50=300). 
Per quanto riguarda la cancerogenicità, il Glyphosate ricade nella categoria di pericolo 2A di IARC. Tuttavia, come abbiamo visto, è l’esposizione che determina il fatto che il pericolo si tramuti o meno in rischio. Questo spiega perché gli enti regolatori (EPA per gli USA, EFSA per l’Unione europea, ecc. ecc.) a seguito di analisi di rischio hanno ritenuto improbabile la cancerogenicità del Glyphosate per le dosi d’impiego consigliate o per residui negli alimenti inferiori alle dosi massime indicate dalle normative. Le indicazioni più probanti in termini di cancerogenicità vengono oggi da lavori effettuati su vaste coorti di individui (decine di migliaia) di varie classi di età, alcuni dei quali sono stati esposti al Glyphosate e altri non sono stati esposti. Al riguardo Andreotti et al. (2018), analizzando i dati relativi a un gruppo di 54251 individui di cui 44932 (82.8%) usavano il Glyphosate concludono che: “In this large, prospective cohort study, no association was apparent between glyphosate and any solid tumors or lymphoid malignancies overall, including NHL and its subtypes. There was some evidence of increased risk of AML among the highest exposed group that requires confirmation”. Occorre inoltre segnalare che l’autorizzazione all’uso di Glyphosate nell’Unione Europea è in via di rinnovo e che l’attività di indagine è stata prorogata al 15 dicembre 2023, per dar modo a EFSA e ECHA di esprimere il proprio giudizio in base alle evidenze scientifiche più recenti (qui). Il giudizio di EFSA e ECHA era atteso a maggio 2022, ma le due agenzie ne hanno rivisto le tempistiche rinviando a luglio 2023 le proprie conclusioni per via del numero molto elevato di osservazioni e pareri scientifici sull'argomento. Di conseguenza Bruxelles ha deciso di prorogare l'autorizzazione «affinché vi sia il tempo necessario per completare la valutazione». Qualche considerazione merita anche il rame, i cui composti (Copper hydroxide, copper oxychloride, Bordeaux mixture, tribasic copper sulfate and copper(I) oxide) in virtù della loro buona efficacia sono utilizzati da oltre un secolo come fungicidi di copertura in agricoltura convenzionale e biologica. Tali composti presentano tuttavia problematiche ambientali evidenziate in EFSA (2018) e che sono legate all’accumulo nei suoli, all’inquinamento delle acque e alla tossicità con effetti di lunga durata per organismi acquatici, insetti e organismi del suolo. A ciò si aggiungono problematiche per la salute umana, con riferimento alle quali si segnala la review dell’EFSA (2022) che analizza le evidenze bibliografiche su epatotossicità (malattia di Wilson), neurotossicità, morbo di Alzheimer, genotossicità e cancerogenicità (Coelho et al 2020; Ge et al., 2022; Zhen et al., 2022) giungendo alla proposta di ridurre l’Acceptable daily Intake (ADI) da 0.15 a 0.07 mg /kg di peso corporeo. Poiché il rame soddisfa due dei criteri (bioaccumulo e tossicità) previsti per le sostanze persistenti, bioaccumulabili e tossiche (PBT), nel 2015 il regolamento esecutivo (UE) 2015/408 della Commissione ha incluso i composti del rame nell'elenco dei candidati alla sostituzione, che contiene principi attivi che presentano caratteristiche di pericolo intrinseche che destano preoccupazione. I prodotti fitosanitari candidati alla sostituzione sono sottoposti a una procedura di valutazione comparativa che porta alla graduale sostituzione con prodotti con profili tossicologici ed ecotossicologici più sicuri (La Torre et al., 2018). Peraltro le caratteristiche problematiche del rame hanno recentemente indotto l’Unione Europea a limitarne l’uso a max. 28 kg/ha di rame metallici in 7 anni ovvero 4 kg/ha annui (1981/2018 EC regulation).

Conclusioni 

Nel settembre 2022, il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres, a margine della pubblicazione del rapporto “United in Science”, ha fatto le seguenti affermazioni: “Inondazioni, siccità, ondate di caldo, tempeste estreme e incendi stanno andando di male in peggio, battendo record con una frequenza sempre più allarmante. Ondate di caldo in Europa, colossali inondazioni in Pakistan, siccità prolungate e gravi in Cina, nel Corno d'Africa e negli Stati Uniti. Non c'è nulla di naturale nella nuova portata di questi disastri. Sono il prezzo della dipendenza da combustibili fossili dell'umanità. Il numero di disastri meteorologici, climatici e idrologici è aumentato di un fattore cinque7 negli ultimi 50 anni”. Proprio per fronteggiare queste forme di demagogia, che sono definibili come tali in quanto prive di riscontro nei dati osservativi (Alimonti et al., 2022), ho cercato di porre in luce in questo articolo l’importanza di distinguere il pericolo dal rischio (rischio = pericolo x suscettibilità x esposizione) e di discernere il rischio percepito dal rischio reale. Tale approccio può essere applicato ad una vasta gamma di fenomeni, non solo ai fitofarmaci o al cambiamento climatico, ed è essenziale per convivere in modo sereno con il rischio senza lasciasi travolgere dall’ondata di demagogia che rischia sempre più di mettere a repentaglio i nostri sistemi socio-economici. 

Ringraziamenti 

A conclusione di questo scritto ritengo doveroso ringraziare: 

  • il prof. Angelo Moretto per aver condiviso con me alcune sue interessanti      presentazioni
  • il prof. Gianluca Alimonti con il quale conduco da tempo indagini sul rischio climatico e sulla presunta “crisi climatica” (Alimonti et al., 2022). 
  • il prof. Gabriele Fontana e la d.ssa Barbara Martellini per la revisione dei testi e i suggerimenti 
  • il dott. Flavio Barozzi per aver condiviso un suo intervento ricco di spunti utili per questo scritto e per gli scambi di idee che da anni abbiamo sull’argomento.

1-DGA e NOAEL saranno discusse più avanti.

2- In F2F si propone che l’Italia entro il 2030 riduca del 52% il quantitativo di fitofarmaci impiegato, il che porterebbe in molti casi all’impossibilità di garantire la difesa di colture (si pensi ad esempio alla vite, ai fruttiferi o alle orticole) che diverrebbero insostenibili sul paino economico. Tutto ciò peraltro accade in Europa, ove il consumo di fitofarmaci è soggetto da vari anni a in graduale calo essendo passato dalle 370.000 t del 2016 alle 333.000 del 2019. 

3-Secondo un'indagine condotta da Vsafe (Spinoff dell'Universtà Cattolica del Sacro Cuore) su commessa di Agrofarma e pubblicata nel 2019, la rinuncia totale ai fitofarmaci in 10 filiere strategiche per l'Italia (melo, uva da tavolo e da vino, pomodoro da indusrtia, olivo da olio, mais, grano duro, riso e insalata di IV gamma porterebbe alla perdita di più dei due terzi della produzione, sia in termini di rese che di valore. Più nello specifico il valore della produzione agricola calerebbe da 8,87 a 2,56 miliardi di Euro (-71%) e nessuna delle 10 filiere risulterebbe più sostenibile sul piano economico. Inoltre il fatturato delle industrie connesse a queste filiere calerebbe da 34,8 a 7,8 miliardi di euro (- 78%) e la bilancia commerciale peggiorerebbe di circa 10 Mdi di Euro a seguito del calo di 6,8 Mdi di Euro nelle esportazioni e dell'aumento di 3 Mdi di euro nelle importazioni). 

4-Senza rischio apprezzabile” indica la certezza pratica che non si ha danno per la salute.

5-DL50=dose letale per il 50% degli individui.

6-e cioè del 500%


Bibliografia 

Alimonti G, Mariani L, Prodi F, Ricci R A (2022). A critical assessment of extreme events trends in times of global warming, Eur. Phys. J. Plus, (2022) 137:112 https://doi.org/10.1140/epjp/s13360-021-02243-9. 
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Andreotti G. et al., 2018. Glyphosate Use and Cancer Incidence in the Agricultural Health Study, J Natl Cancer Inst. 2018 
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LUIGI MARIANI

Professore Associato di Agronomia presso l' Università degli Studi di Brescia. E' Direttore del Museo Lombardo di Storia dell’Agricoltura e vicepresidente della Società Agraria di Lombardia.


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