L’attualità dell’argomento è testimoniata dalle oltre 900 risposte di PubMed alla voce “cultured meat”, di cui oltre 700 nell’ultimo ventennio e oltre 200 negli ultimi 5 anni. Identificata anche come carne sintetica, carne artificiale o carne in provetta, è ottenuta partendo da cellule muscolari di animali (veri), fatte crescere in bioreattori, su substrato nutritivo e strutturale, in condizioni controllate. Una panoramica non recentissima ma articolata è disponibile (
qui)⁶, pur nella discutibilità della citazione:
“Questo cibo non è naturale? I cibi coltivati sono innaturali allo stesso modo di come il pane, il formaggio, lo yogurt e il vino sono innaturali (…) Probabilmente, la produzione di carne coltivata è meno innaturale dell' allevamento di animali in sistemi di confinamento intensivo, iniettando loro ormoni sintetici e alimentandoli con diete artificiali composte da antibiotici e rifiuti animali." (M. N. Antonuccio, I. Chiesa, A. Cignoni, M. Dal Canto, G. Fortunato, C. Milieri. 2016-2017. UNIPI). Al di là della confusione, che si ricicla e si moltiplica autoalimentandosi delle stesse convinzioni, un aspetto alquanto citato è l’impatto ambientale che, per quanto riguarda la carne coltivata, manca di evidenti dati oggettivi, stante lo scale-up in divenire, pur essendo generalmente atteso come migliorativo. Come ogni nuovo alimento, il successo finale della carne coltivata dipenderà dall' accettazione da parte del consumatore e i fattori che possono influenzarla rappresentano il passaggio più importante, insieme agli aspetti tecnologici ed economici. (…). La carne coltivata potrebbe apparire un' alternativa per i consumatori alla ricerca di una dieta più sostenibile ma non vogliono cambiarne la composizione (no veganismo), come pure le preoccupazioni etiche e ambientali potrebbero (forse?) spingere i consumatori a essere disposti a pagare un prezzo maggiorato per l' acquisto di sostituti ma non necessariamente carne coltivata. Anche la neofobia alimentare e le incertezze sulla sicurezza e la salute potrebbero apparire ostacoli importanti all' adozione di questa tecnologia. Ancora, il prezzo, l’attrattiva sensoriale, la naturalezza percepita, le sensibilità etiche e ambientali, i benefici per la salute pubblica e l’orientamento normativo appaiono fattori determinanti.
Sebbene l' esatta natura della transizione dall’allevamento tradizionale ai prodotti proteici alternativi sia ancora incerta, è già iniziata e probabilmente continuerà a prendere slancio nel prossimo decennio. (Chen L. et al.,2022) (
qui)⁷. E’ recente (
qui)⁸ la pubblicazione da parte di FDA (U.S. Food and Drug Administration) della prima consultazione pre-commercializzazione per il cibo umano prodotto utilizzando la tecnologia della coltura di cellule animali. Pur trattandosi di consultazione e non di processo di approvazione, la valutazione è significativamente importante certificando la sicurezza della produzione e del materiale cellulare, utile per i successivi step. Passaggio importante dell’elaborato FDA (
qui)⁹ è la dissociazione dall’utilizzo del termine proposto dal produttore “cultured chicken cell material”, a significare quasi una investitura, a venire, della strategicità dei messaggi comunicativi al consumatore. Sarà questo un punto cruciale del dibattito, alla luce della irresistibile tentazione delle new entry di cavalcare, si, l’innovazione ma all’interno della comfort zone della denominazione tradizionale (hamburger vegetatale, latte di soia, ecc.). Ora, in tema di informazione al consumatore, l’esclusività della denominazione “latte”, quale solo proveniente dalla secrezione mammaria bovina (se proveniente da altre specie va specificato), è contemplata dal “Reg. UE 1308/2013, articolo 78, Allegato VII, Parte III” (
qui)¹⁰ ed inoltre pluri-confermata dalla Corte di Giustizia UE. Per la carne manca una base normativa altrettanto solida e la battaglia contro il “meat sounding” sarà tutta da combattere. Quella della corretta collocazione lessicale e merceologica appare il vero traguardo, anziché le prese di posizione di facciata di Coldiretti e del Ministro. Demonizzare una attività imprenditoriale solo perché invade l’orticello consolidato è anacronistico e pare più destinato a lanciare il piattello che a colpirlo. Perseguire la corretta informazione al consumatore, l’adeguata terminologia, il rispetto dei confini etici e, non ultimo, la separazione espositiva dalla carne tradizionale sugli scaffali di vendita, anziché “solo noi e nessun altro”, parrebbero obiettivi più appropriati.
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