di FLAVIO BAROZZI
Articolo uscito in origine su : www.agrarialombardia.it e Riso Italiano
Cento anni fa, il 13 agosto 1922, nasceva a Bologna Antonio Tinarelli. Tracciare una dettagliata biografia di questa straordinaria figura di agronomo, genetista, studioso e divulgatore che ha legato indissolubilmente il suo nome alla coltura ed alla cultura del riso, è impresa non facile.
L’insegnamento del Tinarelli agronomo, il suo contributo al miglioramento genetico (è stato il “padre” di alcune tra le più importanti varietà italiane di riso, come Baldo, S.Andrea, Ribe, Europa), la sua opera di organizzatore e divulgatore efficace ed instancabile, rappresentano un vero e proprio patrimonio della risicoltura italiana. Rappresentano la preziosa eredità -di cui tanti agronomi, risicoltori e studiosi, a cominciare da chi scrive, debbono serbare riconoscente memoria- di una vita lunga (Antonio Tinarelli si è spento a Vercelli, città in cui viveva dagli anni’50, il 25 luglio 2014), intensa ed attivissima.
Dell’impegno editoriale di Tinarelli tutti conoscono la principale opera ad indirizzo tecnico-divulgativo: quel volume “La coltivazione del riso”, più volte aggiornato e rieditato, che rappresenta ancor oggi -a circa 50 anni di distanza dalla prima pubblicazione- un insuperato modello per rigore metodologico e valore scientifico, per ricchezza di dati e chiarezza espositiva, oltre che un riferimento tecnico e bibliografico di straordinaria attualità e completezza.
Forse meno noto, ma non per questo di minore interesse, è un altro agile volume scritto da un Tinarelli meno “tecnico” ma decisamente più “poetico”.
Si tratta de “Il canto del riso”, edito nel 2013 per i tipi della Edizioni Mercurio di Vercelli, con cui ci piace ricordare la non comune figura del suo Autore. In poco meno di cento pagine Tinarelli vi raccoglie poesie, proverbi, leggende, aneddoti, racconti ed aforismi dedicati alla pianta del riso, alla sua coltura ed alla straordinaria “cultura” che ne deriva. Forse perché nessuna pianta e nessuna coltivazione come il riso possiede la capacità di incidere sul territorio, sul paesaggio, sullo stesso modo di vivere di chi appunto “lo vive” come coltivatore, come tecnico, come trasformatore e persino come consumatore attento e sensibile.
Ne “Il canto del riso” Tinarelli rivive e fa rivivere -partendo dalla Cina come sua zona d’origine- uno di quegli affascinanti percorsi nella “Origine e viaggi avventurosi delle piante coltivate” (citare il bel volumetto con questo titolo, opera dell’amico prof. Luigi Mariani, appare d’obbligo parlando di una delle piante che hanno più “viaggiato” nella storia dell’umanità) che caratterizzano l’evoluzione delle specie, a cominciare dalla specie umana che di queste modificazioni ed adattamenti è stata spesso artefice e beneficiaria.
Leggendo “Il canto del riso” si è quasi cullati in un viaggio fantastico, in cui partendo dall’Asia si toccano tutti i continenti, e si incontrano varie culture, varie religioni (il richiamo ad una qualche forma di divinità ricorre spesso nel racconto), varie poetiche (vi si trovano tra gli altri scritti legati al riso di Giovanni Pascoli, Carlo Emidio Gadda, James Joyce e Federico Garcia Lorca).
E come ogni salmo che degnamente finisce in gloria, il volume si chiude con alcuni riferimenti gastronomici al riso come ingrediente per prelibate ricette. Val la pena di citare -tra tutte- una versione in dialetto piemontese della “Panissa d’j povar”, vero e proprio inno alla “ricchezza” di una cucina “povera” come quella italiana, basata non su complesse elaborazioni gastronomiche, ma sulla semplicità di pochi e ben assortiti ingredienti di cui ogni contadino poteva disporre. Nel caso di specie appunto il riso (che la ricetta originale vuole “a grana rionda”, ovvero tondo, come se ne poteva disporre in origine, quando i risi “da risotto” alla cui costituzione Tinarelli ha tanto contribuito non erano ancora stati selezionati), il mitico salamino sotto grasso (o “d’la duja”), il fagiolo borlotto di Saluggia (che diventa di Gambolò nella declinazione lomellina), la cipolla ed il lardo “sansa cuja”.
Con questo cenno alla nostra storia gastronomica, appunto povera negli ingredienti, ma ricca per nutrimento, tradizione e cultura, ci piace tributare un ricordo forse non convenzionale ma non meno sentito alla straordinaria figura di Antonio Tinarelli cultore del riso.
*si ringrazia in particolare la Sig.ra Elena Lovati per la preziosa collaborazione alla ricerca bibliografica
Flavio Barozzi
Dottore agronomo libero professionista ed imprenditore agricolo, già coordinatore della Commissione di Studio "Agricoltura sostenibile-PSR" dell' ODAF di Milano, è accademico aggregato all' Accademia dei Georgofili di Firenze. Nel dicembre 2016 è stato eletto Presidente della Società Agraria di Lombardia, istituzione accademica e culturale fondata nel 1861.
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