di ETTORE CANTÙ
Ricorre quest’anno il cinquantenario della presentazione del primo rapporto del “Club di Roma” sullo stato dell’Umanità e il suo prevedibile futuro. Il report ha avuto tanta diffusione ed attenzione da essere considerato il primo autorevole atto di denuncia pubblica dei mali dell’Umanità destinata all’implosione in assenza di adeguati e ingenti interventi correttivi. Trascorsi cinquant’anni, del Club di Roma si sono quasi perse le tracce, delle sue apocalittiche e profetiche previsioni è rimasto ben poco, con ombre e luci che è opportuno ricordare per comprendere come le denunce, spesso sconfinando nelle utopie, sono fonte di ambiguità e raramente concorrono a raggiungere gli scopi prefissati.
Il “Club di Roma” non è sfuggito a questo destino. Aurelio Peccei, manager, economista, filosofo, politico, fu l’animatore di quel gruppo di economisti e manager di mezzo mondo, dell’Ovest, Est, Nord e Sud preoccupato per il futuro dell’Umanità per la ripresa economica troppo veloce ed espansiva dell’Occidente dopo la fine della seconda guerra mondiale. Riunito a Roma, in allarme per i nuovi problemi che affliggevano il mondo, era impegnato a valutare il futuro dopo avere commissionato uno studio ad hoc al MIT di Boston. I contenuti del report intitolato “I limiti dello sviluppo” redatto a cura degli economisti Meadow e Behrens, e presentato a Washington proprio nel 1972, ebbero grande risonanza e scatenarono violente polemiche in quanto mettevano in discussione i modelli politici ed economici dell’epoca, presentavano la decrescita unica soluzione possibile, ricavata da modelli matematici catastrofistici sul futuro, che la realtà si è impegnata a smentire, almeno in parte. Il report sosteneva, infatti, che nel caso in cui la crescita dei cinque fattori più critici dell’Umanità, -l’aumento della popolazione, la produzione di alimenti, l’industrializzazione, l’esaurimento delle risorse naturali e l’inquinamento fossero continuati al ritmo del 1972, sarebbe stato messo in pericolo il limite massimo dello sviluppo consentito dalle risorse limitate a disposizione dell’Umanità. Il secondo punto del report affermava che il superamento di tale limite, stando così i fatti, si sarebbe raggiunto nel corso della prossima generazione.
Dopo cinquant’anni, ci si ricorda ancora come tale catastrofica previsione, smentita dalla storia, innescasse quel processo che portò l’ecologia a degradare ad ecologismo, ma ottenne molta attenzione: comparvero i catastrofisti più illustri a sostegno del “Club di Roma”: “Stiamo andando verso il disastro” (New Scientist), “E’ ormai troppo tardi per salvare il nostro pianeta” (da Angry Earth), “La catastrofe ecologica, sociale e psicologica del pianeta è ormai alle porte” sentenziava il Worldwatch Institute. “L’ambiente di oggi è in una situazione di rischio: se non si accettano determinate condizioni e compromessi con l’ambiente che ci circonda, non avremo possibilità di sopravvivenza.
Così il Dr. Noel Brown incaricato delle Nazioni Unite. Gli anni trascorsi hanno ridimensionato i pericoli smentendo le più fosche previsioni: le risorse di combustibili fossili, allora messe in pericolo dal conflitto nei Paesi Arabi, sono attive e lo saranno ancora per molto tempo, l’energia nucleare, presentata come il pericolo per l’Umanità si è diffusa rapidamente in quasi tutte le nazioni sviluppate e in via di sviluppo, dagli USA alla Francia, all’India, alla Cina, l‘Ozono non è più un pericolo, la popolazione si è quasi raddoppiata e la speranza di vita, in un secolo, è passata da 35 a 65 anni a livello globale e in Italia da 52 a 80 anni; le risorse alimentari, oggetto di maltusiane preoccupazioni, sono cresciute in proporzione maggiore dell’aumento strepitoso della popolazione, raddoppiate in sessant’anni. Fu infatti il trentennio della “Rivoluzione verde” introdotta dal Premio Nobel Borlaug con innovazioni nella genetica e nella tecnica agricola a vedere triplicate le produzioni agricole a favore della popolazione dei paesi poveri in rapido aumento. Al primo studio del “Club di Roma” fecero seguito altre ricerche, uscirono altre pubblicazioni, Strategie per sopravvivere nel 1976, a cui seguì oltre il limite dello sviluppo nel 1992, nelle quali gli autori aggiornarono il modello degli studi con un maggiore numero di variabili e riformularono le previsioni ancora più pessimistiche sul futuro. Vent’anni dopo il primo report, gli studi affermarono che lo sfruttamento di molte risorse essenziali, la produzione di inquinanti, il rilascio dei gas serra, avevano superato i limiti sostenibili e si sarebbe avviato il declino incontrollato dell’energia e della produzione alimentare pro capite. La storia ha smentito l’eccessivo pessimismo.
Il report del 1992, tuttavia, aggiunse alcune indicazioni per superare il limite che porta alla decrescita riconoscendo che il declino non era inevitabile e Aurelio Peccei non escluse una certa dose di soggettivismo nello studio. Occorrono in modo assoluto, si sostiene, due cambiamenti: una revisione delle politiche che perpetuano la crescita della popolazione e regolano il consumo di materie prime e degli alimenti, ed un veloce aumento dell’efficienza nell’uso dell’energia e delle risorse della biosfera. Occorre quindi una società sostenibile che accentua gli aspetti di efficienza, equità, qualità della vita, partecipazione umana, saggezza e maturità. Una società che non cerca di oltrepassare i limiti intrinseci dei sistemi naturali continuando ad indebolirli e depauperarli. Esiste questa società o può esistere? Si può convenire su questo approccio intelligente per lasciare alle prossime generazioni un pianeta vivibile per la specie umana, ma è necessario superare alcuni ostacoli: purtroppo siamo nell’era del relativismo e della riduzione dei valori dell’uomo. Gli imprevisti effetti perversi della globalizzazione, la prospettiva del cambiamento dell’ordine mondiale innescato dall’invasione russa dell’Ucraina, lo scenario della mancata autosufficienza alimentare in tanti Paesi, impongono l’impegno alla conservazione del patrimonio socio-culturale dell’umanità.
In altri termini garantire i diritti irrinunciabili dell’uomo, pace, giustizia, istruzione, libertà e sussistenza alimentare. Senza atteggiamenti strumentali, eccessivi allarmismi e ideologie fuorvianti, per nutrire il mondo è necessario il ricorso alla scienza e alla tecnica, in particolare alla biotecnologia, che il nostro Paese affronta con ritardo. Per perseguire quella condizione che consenta “un armonico equilibrio fra natura e società” sostenuto anche da Giovanni Paolo II all’inizio di questo secolo, occorre fare tesoro di quanto afferma Elena Cattaneo, senatrice e scienziata: “L’Italia è uno strano Paese che vive profonde contraddizioni, sempre in bilico fra competenze e superstizioni: siamo stati i primi ad arrivare alle cure basate sulle cellule staminali e manteniamo il rifiuto ideologico degli OGM. Conoscenza e studio sono strumenti per conquistare la libertà e ridurre le disparità”. Sono forse queste le condizioni che lamentava il “Club di Roma” come ostacoli per superare ogni limite ad un ragionevole e progressivo grado di sviluppo.
L'articolo è uscito in origine su sito della Società Agraria di Lombardia.
Ettore Cantù
E' Presidente Onorario della Società Agraria di Lombardia
Non riuscite a comprendere il concetto di "overshoot", la capacità dei sistemi di mantenersi in equilibrio, e siamo abbondantemente in overshoot da decine di lustri.
RispondiEliminaC'è la siccità, quindi ci vogliono più pompe per esaurire le falde acquifere.
E' la tecnologia ad avere creato un disequilibrio nella fertitlità dei suoli, nelle falde, nella copertura boschiva, nell'autonomia alimentare, bene, allora ci vuole più tecnologia.
Auguri, soprattutto a chi ha fatto figli.