di ALBERTO GUIDORZI
La foto illustra la pittura su una parete della tomba di Sennedjem, artigiano e funzionario di rango, incaricato dei lavori nella necropoli di Deir- el-Medina durante la XIX dinastia (1317-1285 a.C.). La decorazione, realizzata dallo stesso artigiano nei suoi momenti liberi, illustra scene di vita quotidiana e in particolare del lavoro dei campi. Il proprietario era un architetto che visse durante la XIX dinastia, sotto il regno di Ramesse II. La famiglia di Sennedjem, sua moglie Iyneferti e i suoi tredici figli, è nota essendo citata nella tomba. La foto fa vedere alcuni lavorazioni agricole. Prima di tutto è bene segnalare che le suddivisioni (con tratteggio grigio) delle varie bande disegnate non sono neutre, ma sono delle canalizzazioni e ciò ci dimostra come l’agricoltura egiziana fosse intimamente legata alle alluvioni ed alle secche del Nilo ed inoltre l’acqua del Nilo era largamente usata per irrigare, solo che, trattandosi di un terreno piatto, occorreva costruire canali e soprattutto opere di bonifica perché l’acqua arrivasse nei campi. Un’agricoltura irrigata è stata anche quella araba, appunto perché derivava da quella egiziana.
I Frumenti. Nella prima banda in alto vi sono i riti di preparazione all’aldilà, mentre nella seconda vi è la raccolta del grano. Come si vede il taglio con la falce non è fatta alla base dello stelo, bensì appena sotto le spighe e tra l’altro sono afferrate con la mano. La spiegazione sta nel fatto che a quei tempi il distacco spontaneo della spiga a maturazione era cosa molto più normale di adesso e quindi bisognava afferrarle prima di tagliarle. Certo anche così la caduta a terra di spighe non era infrequente (e il dipinto lo mostra), ecco spiegata anche la seconda figura umana che le raccoglie (noi diremmo che le spigola e, viste le produzioni scarse, forse spigolava anche i semi spesso deiscenti). Anche nella Bibbia abbiamo testimonianza della spigolatura, ce lo dice il racconto di Noemi e Ruth del Vecchio Testamento: Ruth per prendersi cura di Noemi fu costretta a fare l’unico lavoro permesso ad una vedova, cioè la spigolatrice. Quindi la spigolatura è una pratica millenaria tanto che appena finita la seconda guerra mondiale anche da noi in Italia dopo la mietitura si pigolava. Altro elemento interessante è il come i contadini tagliassero le spighe con una falce dal manico corto in modo che stesse ben salda nella mano; la lama abbastanza larga dalla parte del manico finiva a punta. Le spighe raccolte erano depositate in ceste e queste confluivano poi nei granai del Faraone. La foggia della falce dunque non è cambiata nei millenni. Il grano è l'elemento base della prosperità egiziana. Ancora nel VII secolo dopo Cristo l'Egitto figurerà fra i grandi esportatori di grano. Si trattava di specie di farri (farro medio e farro maggiore o spelta mescolati con il frumento duro). Solo Tolomeo I Sotere (323-283 a. C.) ne proibisce l'esportazione provvisoriamente per paura di una carestia (corsi e ricorsi storici direbbe il Vico riferendosi a cosa sta capitando ora). Sono frequenti le raffigurazioni tombali dove si vedono ancelle macinare il grano, inoltre molti geroglifici simboleggiano le panetterie e il pane in varie forme. La conquista della Sicilia da parte dei romani ha rappresentato il primo granaio da cui approvvigionarsi e la successiva conquista del Nord Africa e dell’Egitto in particolare fu il secondo granaio da cui prendere il grano per sfamare Roma. Guarda caso le guerre Puniche di allora e quelle nei granai orientali di oggi hanno avuto ambedue lo stesso scopo.
L’orzo. Si è ammesso che le spighe del dipinto fosse grano, ma potevano anche appartenere all’orzo. L'orzo era una pianta importante perché serviva per la preparazione della birra che era la bevanda nazionale degli Egiziani. La si beveva infatti dappertutto: in casa, sulle navi, nelle osterie. La prima cosa che fa Sinuhe, contemporaneo di Sesostri 1° (XII din.), quando ritorna in Egitto, dopo il suo avventuroso viaggio sulla strada di Iti-Taui, è di bere della birra. La birra egizia era fatta con orzo o frumento e con datteri. L'orzo veniva macinato e manipolato per farne una pasta, successivamente veniva cotto superficialmente come un pane. Questo pane veniva poi messo a macerare in acqua, forse zuccherata per aggiunta di datteri. Dopo la fermentazione, pasta e liquido venivano filtrati in un recipiente. La pasta si chiamava « uadgit » (la fresca). Per il consumo, la birra veniva travasata in brocche della capacità di uno o due litri. I bevitori avevano delle ciotole di pietra, di maiolica o di metallo. La birra amara, che i Nubiani fabbricavano pressappoco nella stessa maniera, durava solo poco tempo. Gli egiziani non usavano il luppolo che oltre a dare il gusto amaro è un conservante.
Il Lino. Altra pianta importate (la seconda dopo il grano) dell’agricoltura faraonica era il lino (Linun usitatissimum L.) che rappresentava la fibra nazionale. Infatti la prima parte della terza banda disegnata ci mostra appunto la raccolta. Per raccogliere il lino si isolava una mannella (mazzetto di steli) e lo si afferrava con le due mani nella parte alta e tirando, ma facendo attenzione a non strappare le fibre situate per tutta la lunghezza degli steli, si sradicavano le piantine della mannella. Se si faceva questa operazione con le piante ancora in fiore si ottenevano fibre più belle e resistenti. Le mannelle erano scrollate per far cadere la terra dalle radici e poi si depositavano a terra una sull’altra prima in un senso e poi nell’altro in modo da ottenere un mazzo con fiori da ambo i lati. Infine si legavano usando qualche piantina di lino che si sacrificava. Una parte era lasciata maturare per procurarsi il seme per l’anno dopo. Evidentemente poi si doveva far staccare le fibre dagli steli e questo lo si otteneva stendendoli per terra e lasciandoli all’azione del sole e della rugiada.
La semina. La seconda parte della banda disegnata invece sembrerebbe mostrarci il sistema di aratura, in realtà si tratta sempre un’incisione del terreno (infatti l’aratro è a chiodo ed esso non differisce poi gran che da quello usato dagli odierni fellahin) , ma ha lo scopo di interrare i semi. Cioè i due personaggi (quello che conduce l’aratro e l’altro che in realtà semina) in mancanza di prospettiva sembrano sullo steso piano, ma in realtà quello dietro che semina è sfalsato rispetto all’altro, che appunto “arando” ricopre i semi distribuiti dal primo. Gli egiziani per il traino usavano oltre agli asini le vacche (la figura ce lo mostra) e non i buoi.
La frutta. Il pannello appena sotto mostra tre specie di alberi. La palma dum ( Hyphaene thebaica (L.) Mart.), specie sacra per gli egizi ed è quella raffigurata con i frutti grandi. Questa palma è tipica per i fusti biforcuti ed il frutto era poco consumato come cibo, ma molto come fonte di medicamenti. Con le foglie intrecciate si costruiscono ancora cesti, stuoie, corde e perfino calzature. Da parte di noi italiani, nel nostro periodo coloniale, vi fu un uso autarchico dei semi di questa pianta, la si usò per fare bottoni in mancanza del corozo sudamericano che ci dava l’avorio vegetale. La palma da dattero ( Phenix dactylifera L.), con piccoli frutti a grappoli pendenti. Il sicomoro (Ficus sycomorus L.) è l’albero dipinto davanti ai buoi e anche nel pannello degli alberi. I fichi di sicomoro (nebak) sono più piccoli e meno buoni di quelli del fico normale. Il sicomoro è anche l’albero su cui è salito Zaccheo per vedere meglio Gesù quando questi si recò a Gerico. Per gli egizi era un albero sacro dedicato ad Hator (Signora del sicomoro) che era la dea dell’amore e della gioia e che al tramonto mangiava il dio Sole (Horus) a cui poi ridava la vita all’alba. Il profeta Giuda intorno al 700 a.c. asserisce di essere stato, prima di dedicarsi alla missione profetica, un pastore e pungitore di fichi di sicomoro, questa era una pratica che favoriva la maturazione del frutto. Con il legno di sicomoro, che è tenero e poroso, venivano costruiti i sarcofagi dei defunti. È un albero che può crescere fino a 10 metri di altezza. Avendo una buona densità di rami e foglie, fornisce buona ombra e luoghi freschi sotto cui sostare. Queste caratteristiche fanno sì che anche oggi il sicomoro venga coltivato in Medio Oriente come albero ornamentale per creare zone ombreggiate. Attenzione a non individuare come sicomori l’Acer pseudoplatanus o il Platanus occidentalis, anche se in inglese questi alberi sono detti “sycamore”.
Quanto ad altra frutta, gli antichi Egizi non conoscevano né le arance, né i limoni, né le banane. La pera, la pesca, la mandorla e la ciliegia appaiono sulla tavola solo all'epoca romana. C'erano però in compenso i fichi, i datteri che in Egitto non erano molto buoni fuorché nella Tebaide. La noce di cocco era piuttosto rara. Il melograno, l'ulivo e il melo, introdotti al tempo degli Hyksos (1730-1580 a.C. durante la XVI e XVII dinastia) insieme all'allevamento del cavallo (animale primo sconosciuto presso gli Egizi), erano coltivati.
La vite. Importantissima era poi la coltura della vite che, però, prima della XIX* dinastia non si era molto diffusa. Infatti furono i Ramessidi a diffonderla nella regione del delta del Nilo proprio in quella zona dalla quale essi provenivano e nella quale Ramsete II aveva probabilmente fatto costruire dagli ebrei le due città di Fitom e di Pi Ramses Merit Araon (casa di Ramsete amore di Amon). Anche la moglie prediletta di Ramsete, Nefertari-Mi-En-Mut, è dipinta nella sua tomba mentre offre il vino alla dea Hathor. Il papiro Harris ci parla abbondantemente dell'incremento della produzione della vite sotto Ramsete (1198-116 a.C.). Conosciamo anche il nome dei vini più prelibati come quelli della palude (meh) di Imit al nord di Faqus, della Peschiera {ham), di Sin nella regione di Pelusio, il vino di Abech, che veniva posto in giare di tipo speciale protette da un cuscino di vimini e infine i prodotti dell'importantissima vigna di Seba-hor-Khenti-Pet che venivano trasportati in orci sigillati fino alla residenza dei faraoni tiniti.
Le piante oleifere. Era coltivato l’olivo, ma in genere serviva per l’illuminazione. Si coltivavano, però, anche altri alberi che producevano olio come il moringabak (Moringa oleifera) e il bakula (Mimusops elengi L.). Assieme al giuggiolo sono dunque da considerarsi alberi da cui estrarre olio. La classe povera usava poi il gambo di papiro in un modo del tutto diverso da quello che noi siamo soliti considerare: ne masticava cioè l'interno come oggi si farebbe con la canna da zucchero. Piante da frutto ne sono state raffigurate in varie tombe.
Gli ortaggi. Circa queste piante coltivate e mangiate in Egitto ce ne danno una testimonianza gli Ebrei in marcia verso la terra promessa, essi rimpiangono i cetrioli, le angurie, i porri, le cipolle e gli agli che invece in Egitto avevano in abbondanza. Anche fave, piselli e ceci sono stati trovati in grande quantità nelle tombe.
Piante ad effetto drogante. Un posto particolare è rappresentato dal genere Lactuca e non tanto come ortaggio; presso la cultura occidentale questo prodotto era considerato, oltre che anafrodisiaco, dotato di proprietà narcotico-sedative simili a quelle dell’oppio, riconosciute anche dalla farmacopea moderna. Le proprietà oppiacee sono attribuite particolarmente al lattucario ricavato da Lactuca virosa L., una lattuga selvatica europea. Sono usate come medicine soporifere e sedative anche L. serriola e la medesima lattuga da orto, L. sativa, una selezione derivata dalla “serriola” per eliminare l’amaro. Gli Egizi avevano eretto questa verdura come la pianta del dio Min (dio itifallico) a cui veniva offerta. Min era il dio della fertilità e della fecondità umana, animale e vegetale. È testimoniato il fatto che l’offerta della lattuga al dio aveva lo scopo di fare eseguire al suo membro l’atto sessuale e i comuni mortali se ne cibavano assegnandovi virtù afrodisiache e considerandola quindi una pianta amorosa. Una curiosità: da noi la Lactuca sativa var. longifolia è chiamata “lattuga romana”, solo che i romani antichi non la conoscevano come ortaggio. Le altre due piante che dagli egiziani erano considerate amorose ed erotiche erano la ninfea azzurra del Nilo (Nymphaea caerulea) e la mandragora o mandragola (una solanacea), della prima si usavano i petali e sembra che fosse ad uso esclusivo femminile, mentre della seconda si usavano i frutti e la radice alla quale spesso era dato un aspetto antropomorfo.
D’altronde anche un’altra solanacea aveva estrinsecazioni sessuali, ma ciò in epoca molto più tarda, cioè durante il Rinascimento, essa era la “belladonna” (Atropa belladonna – Atropa era la Parca che tagliava il filo della vita e quindi l’uso di questo nome per la pianta voleva significare la tossicità acuta). Atropa ha dato il nome ad uno degli alcaloidi presenti, cioè l’atropina. Gli alcaloidi della pianta quando usati come collirio sugli occhi facevano dilatare le pupille e questo era comunemente interpretato come sintomo voluttuosità della donna. Il fenomeno è chiamato “midriasi”. Tutto questo bagaglio storico tramandato nel tempo sulle solanacee del Vecchio Mondo probabilmente fu una delle cause per le quali la patata, solanacea che ci proveniva dal Nuovo Mondo (abitato da gente a cui non è stato dato subito lo statuto di persona umana), fu ostracizzata come pianta commestibile.
L'allevamento del bestiame. Esso è, come ben si sa, strettamente legato all'agricoltura e quello dei bovini era il più importante anche perché legato alla produzione del latte considerato una vera ghiottoneria. Sappiamo, fra l'altro, che si versava il latte sulle 365 tavole da offerte (raffiguranti i giorni dell'anno) che circondavano la tomba di Osiride. Gli Egiziani, oltre al latte tenevano in alta considerazione anche il miele come dimostra la tomba di Pabasa a Tebe della XXVI dinastia in epoca saitica. Non sono infrequenti le scene di mungitura e di visita ad una fattoria come quella del sarcofago della regina Kawit, prima moglie del faraone Mentuhotep Nebepetré della XI dinastia cui si deve lo sviluppo di Tebe. Vale la pena qui rammentare che è frequente il caso di un sovrano che prende il latte dalla dea dell'amore Hathor, rappresentata sotto la forma di vacca come è il caso della regina Hatscepsut e di Amenofi II . È opportuno però tener presente l'allevamento di altri animali assai utili come le oche (risulta che anche le antilopi venissero allevate ad uso domestico). Si può dire che ogni tomba riproduca almeno una scena di caccia, che era lo sport preferito degli Egizi. Anche la pesca si trova raffigurata un po' dovunque. Ci sono offerti in visione diversi sistemi di questa come quello con la rete, dalla tomba già citata di Antefoqer, con la fiocina, dalla tomba di Menna è pure menzionata la lenza rigida a quattro rebbi o fiocina. Questa volta si tratta della mastaba della principessa Idut della VI a dinastia, situata nella necropoli dell'altipiano di Saqqara.
Agronomo. Diplomato all'Istituto Tecnico Agrario di Remedello (BS) e laureato in Scienze Agrarie presso l'UCSC Piacenza. Ha lavorato per tre anni per la nota azienda sementiera francese Florimond Desprez come aiuto miglioratore genetico di specie agrarie interessanti l'Italia. Successivamente ne è diventato il rappresentante esclusivo per Italia; incarico che ha svolto per 40 anni accumulando così conoscenze sia dell'agricoltura francese che italiana.
Dottor Guidorzi ho trovato utilissimo il Suo articolo, dal quale prenderò spunto per preparare una verifica di Arte, per le mie classi di scuola primaria. Volevo ringraziarLa e complimentarmi per la grande quantità di informazioni.
RispondiEliminaMi fa piacere esserle stato utile. Grazie
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