Articolo a cura del Gruppo Interdisciplinare Analisi Sistemi Agricoli
autori: LUIGI MARIANI e ALBERTO GUIDORZI
revisori: Osvaldo Failla, Tommaso Maggiore, Francesco Marino e Silvano Fuso
Dopo aver letto con crescente fastidio le riflessioni di Luca Mercalli (“Lasciamo perdere la biodinamica, l’agroecologia ci salverà”: intervista a Luca Mercalli a un certo punto abbiamo sbottato: “Ma questo signore è fuori dal mondo: pretende di leggere l’agricoltura di un paese evoluto con il metro dei sui 5000 mq di terreno coltivati a tempo perso”.
Circa le affermazioni di Mercalli ci preme anzitutto stigmatizzare la frase a dir poco inquietante secondo cui "ll biologico non è solo rese o sapore, è soprattutto salute. Io quando coltivo so che pianto 100 per ottenere 80, perché 20 piante di pomodori saranno attaccate da parassiti o prenderanno malattie. Ma spero di non prendermi un cancro: non c’è solo l’euro, la mia salute non ha prezzo, non ha prezzo!”. Circa tale frase, che a nostro avviso rasenta il "procurato allarme", da tecnici del settore ci teniamo a ricordare che:
Segnaliamo inoltre alcuni decisive evidenze contrarie alle tesi di Mercalli secondo cui il biologico, a differenza del convenzionale, ”è soprattutto salute”:
Analizziamo poi in dettaglio un’altra considerazione di Mercalli: lui ci dice che semina pomodori con un potenziale di 100 per ricavarne 80 perché sa già che una parte sarà “mangiata” dai parassiti.
Prima considerazione: Mercalli non ha evidentemente subito un attacco di peronospora di quelli che ciclicamente capitano nelle annate piovose ed in cui lui semina 100 per raccogliere 20 se va bene. A lui possono andare bene anche i 20 (tanto vive d'altro), ma per un agricoltore che campa con ciò che raccoglie una simile prospettiva è totalmente insostenibile.
Seconda considerazione: a Mercalli può andar bene anche seminare 100 e raccogliere un po' meno fintanto che l’"un po' meno" è prodotto per essere mangiato da lui e dai suoi amici. Invece un agricoltore che semina e che non sfrutta appieno i fattori che ha a disposizione per mantenere il più possibile elevata e costante la sua produzione, in breve tempo ci lascia le penne e cioè fallisce. Questi fattori sono: rispetto del terreno, protezione delle piante da parassiti, patogeni e malerbe (intervenendo solo quando è necessario poiché i fitofarmaci e la loro distribuzione costano) e nutrimenti sufficienti per raggiungere l’obiettivo produttivo che l’agricoltore si è dato e dunque concimazione razionale e basata su bilanci dei nutrienti (e qui siamo già in un contesto di agricoltura integrata). Ma anche così, producendo sotto il cielo, il nostro agricoltore rimane esposto a varie altre alee (grandinate, siccità e piogge eccessive, brinate, gelate ecc.) che Mercalli con il suo orto può sopportare benissimo perché campa d'altro.
Inoltre se si conoscesse il modo per mobilizzare le riserve nutritive del terreno, Mercalli crede davvero che l'agricoltore convenzionale diventerebbe biologico? A nostro avviso diventerebbe semplicemente un agricoltore convenzionale che sfrutta ciò che la ricerca ha scoperto. Prendiamo il caso dell'azoto: si sa che un punto percentuale di sostanza organica corrisponde a circa 35 t/ha di carbonio, il che se si considera un rapporto Carbonio/Azoto di 10 significa disporre di circa 3,5 t/ha di azoto organico². Dunque se perdo un punto di sostanza organica in 20 anni avrò disponibile ogni anno 3500 / 20 = 175 kg/ha di azoto e viceversa, se aumento di un punto il tasso di sostanza organica, dovrò somministrare ogni anno 175 kg per ettaro di azoto organico. La nostra riflessione è stata condotta tendendo conto del comportamento del serbatoio di azoto organico del terreno, l’unico su cui potevano contare i nostri padri e nonni, i quali per avere abbastanza azoto per nutrire la poca produzione che si potevano permettere (da un terzo a un quinto di quella odierna) letamavano abbondantemente, e per avere abbastanza letame dovevano avere il bestiame, che alimentavano destinando i 3/5 del terreno a erba medica. Ed è qui che casca l'asino del coltivare biologico: nell’agricoltura convenzionale e integrata si concima con sostanza organica e con supplementi esterni (concimi di sintesi, come urea e nitrato d’ammonio) mentre in biologico i concimi di sintesi non sono ammessi e inoltre pochissime aziende hanno la stalla (che in pochissimi vogliono perché le vacche mangiano più volte al giorno e devono essere accudite per 365 giorni l’anno), per cui la sostanza organica che serve agli agricoltori biologici per alimentare il serbatoio del terreno viene acquistata in aziende non biologiche, dove gli animali sono allevati con mangimi provenienti da coltivazioni convenzionali, magari OGM, concimate con concimi di sintesi e trattate con fitofarmaci proibiti in bio. Ma qual è il livello di dipendenza? Secondo l’analisi condotta Nowak et al. (2013) le aziende biologiche dipendono da quelle convenzionali e integrate per il 73% del fosforo, il 53% del potassio e il 23% dell’azoto.
In soldoni dunque l’agricoltura biologica produce dal 20 al 70% in meno di quella convenzionale a seconda delle colture (il che la rende palesemente insostenibile perché se si sostituisse a quella convenzionale/integrata richiederebbe il doppio della terra, di cui non disponiamo) ed è così poco produttiva perché non difende adeguatamente le colture dai loro nemici e non le nutre adeguatamente con azoto e altro. Inoltre questo nutrimento inadeguato è ottenuto appoggiandosi all’agricoltura convenzionale, per cui se tutto diventasse biologico il fiume della fertilità andrebbe in secca come sta accadendo in Paesi ove il biologico è stato adottato in modo generalizzato.
Per l’amor di Dio, ognuno nella propria azienda è libero di produrre come vuole (ovviamente nel pieno rispetto delle leggi) ma almeno superiamo le contraddizioni e le foglie di fico nella gestione della sostanza organica e della fertilità e diciamo chiaro e tondo che il bio per essere serio (il che dovrebbe essere nell’interesse degli stessi agricoltori biologici) non può che essere un’agricoltura di nicchia, fatta da aziende che hanno la stalla e che gestiscono in azienda l’intero ciclo della sostanza organica. E finiamola per favore di raccontare la fola che con il bio puoi nutrire il mondo, roba questa da predicatori televisivi dalla parlantina avvincente ma che non regge in alcun modo il confronto con la realtà dei fatti: se la resa per ettaro è la metà³ avrai bisogno del doppio della terra per ottenere la stessa quantità di prodotto, e se la terra non ce l’hai dovrai tagliare il bosco o dissodare praterie naturali, un aspetto questo su cui a nostro avviso anche movimenti ambientalistici non di sola facciata dovrebbero iniziare ad interrogarsi in modo serio.
Circa le affermazioni di Mercalli ci preme anzitutto stigmatizzare la frase a dir poco inquietante secondo cui "ll biologico non è solo rese o sapore, è soprattutto salute. Io quando coltivo so che pianto 100 per ottenere 80, perché 20 piante di pomodori saranno attaccate da parassiti o prenderanno malattie. Ma spero di non prendermi un cancro: non c’è solo l’euro, la mia salute non ha prezzo, non ha prezzo!”. Circa tale frase, che a nostro avviso rasenta il "procurato allarme", da tecnici del settore ci teniamo a ricordare che:
- per quanto attiene alla tossicità, i fitofarmaci usati nel pieno rispetto delle norme¹ danno luogo a una massima assunzione giornaliera da parte del consumatore (Acceptable Daily Intake - ADI) che è inferiore a un centesimo della dose risultata innocua in sperimentazioni di lungo periodo su animali (No-observed-adverse-effect level - NOEL)
- per quanto attiene invece alla cancerogenicità, i prodotti fitosanitari in uso subiscono un elevato numero di controlli a cui alcuni Paesi (Francia, Usa) aggiungono prove di coorte condotte "in campo" su un gran numero di soggetti esposti ovvero non esposti ad un determinato prodotto fitosanitario. Il risultato di tali controlli consente di escludere il sussistere di rischi concreti.
Segnaliamo inoltre alcuni decisive evidenze contrarie alle tesi di Mercalli secondo cui il biologico, a differenza del convenzionale, ”è soprattutto salute”:
- La nota di Gil Rivière Wekstein (2022) relativa al solfato di rame, molecola fungicida largamente utilizzata in agricoltura biologica, e che presenta l’emblematico titolo: "Organic food health time bomb? Potentially carcinogenic and confirmed irritant organic pesticide copper sulfate used to grow wine grapes, potatoes and tomatoes found in ‘almost entire French population and in particular children”.
- La scheda tecnica sul solfato di rame del New Jersey Department of Health (2016) in cui per tale molecola si riportano una serie di effetti acuti (irritazione per contatto e ustioni su pelle e occhi, irritazioni di naso e gola, mal di testa, nausea, vomito, diarrea, dolori addominali e sapore metallico) e cronici (il solfato di rame è un mutageno e la sua capacità di provocare o meno il cancro richiede ulteriori studi; a livello riproduttivo vi è limitata evidenza che il solfato di rame sia un teratogeno per gli animali ma fin tanto che ulteriori verifiche non siano condotte, dovrebbe essere trattato come possibile teratogeno anche per gli esseri umani).
- Il caso delle tossine da funghi (aflatossine, fumonisine, deossinivalenolo, ecc.) che possono entrare a far parte delle nostre diete in presenza di attacchi di patogeni fungini non combattuti adeguatamente con fungicidi (e qui va sottolineato che i prodotti fitosanitari servono anche a difenderci da questo tipo di pericolo).
Analizziamo poi in dettaglio un’altra considerazione di Mercalli: lui ci dice che semina pomodori con un potenziale di 100 per ricavarne 80 perché sa già che una parte sarà “mangiata” dai parassiti.
Prima considerazione: Mercalli non ha evidentemente subito un attacco di peronospora di quelli che ciclicamente capitano nelle annate piovose ed in cui lui semina 100 per raccogliere 20 se va bene. A lui possono andare bene anche i 20 (tanto vive d'altro), ma per un agricoltore che campa con ciò che raccoglie una simile prospettiva è totalmente insostenibile.
Seconda considerazione: a Mercalli può andar bene anche seminare 100 e raccogliere un po' meno fintanto che l’"un po' meno" è prodotto per essere mangiato da lui e dai suoi amici. Invece un agricoltore che semina e che non sfrutta appieno i fattori che ha a disposizione per mantenere il più possibile elevata e costante la sua produzione, in breve tempo ci lascia le penne e cioè fallisce. Questi fattori sono: rispetto del terreno, protezione delle piante da parassiti, patogeni e malerbe (intervenendo solo quando è necessario poiché i fitofarmaci e la loro distribuzione costano) e nutrimenti sufficienti per raggiungere l’obiettivo produttivo che l’agricoltore si è dato e dunque concimazione razionale e basata su bilanci dei nutrienti (e qui siamo già in un contesto di agricoltura integrata). Ma anche così, producendo sotto il cielo, il nostro agricoltore rimane esposto a varie altre alee (grandinate, siccità e piogge eccessive, brinate, gelate ecc.) che Mercalli con il suo orto può sopportare benissimo perché campa d'altro.
Inoltre se si conoscesse il modo per mobilizzare le riserve nutritive del terreno, Mercalli crede davvero che l'agricoltore convenzionale diventerebbe biologico? A nostro avviso diventerebbe semplicemente un agricoltore convenzionale che sfrutta ciò che la ricerca ha scoperto. Prendiamo il caso dell'azoto: si sa che un punto percentuale di sostanza organica corrisponde a circa 35 t/ha di carbonio, il che se si considera un rapporto Carbonio/Azoto di 10 significa disporre di circa 3,5 t/ha di azoto organico². Dunque se perdo un punto di sostanza organica in 20 anni avrò disponibile ogni anno 3500 / 20 = 175 kg/ha di azoto e viceversa, se aumento di un punto il tasso di sostanza organica, dovrò somministrare ogni anno 175 kg per ettaro di azoto organico. La nostra riflessione è stata condotta tendendo conto del comportamento del serbatoio di azoto organico del terreno, l’unico su cui potevano contare i nostri padri e nonni, i quali per avere abbastanza azoto per nutrire la poca produzione che si potevano permettere (da un terzo a un quinto di quella odierna) letamavano abbondantemente, e per avere abbastanza letame dovevano avere il bestiame, che alimentavano destinando i 3/5 del terreno a erba medica. Ed è qui che casca l'asino del coltivare biologico: nell’agricoltura convenzionale e integrata si concima con sostanza organica e con supplementi esterni (concimi di sintesi, come urea e nitrato d’ammonio) mentre in biologico i concimi di sintesi non sono ammessi e inoltre pochissime aziende hanno la stalla (che in pochissimi vogliono perché le vacche mangiano più volte al giorno e devono essere accudite per 365 giorni l’anno), per cui la sostanza organica che serve agli agricoltori biologici per alimentare il serbatoio del terreno viene acquistata in aziende non biologiche, dove gli animali sono allevati con mangimi provenienti da coltivazioni convenzionali, magari OGM, concimate con concimi di sintesi e trattate con fitofarmaci proibiti in bio. Ma qual è il livello di dipendenza? Secondo l’analisi condotta Nowak et al. (2013) le aziende biologiche dipendono da quelle convenzionali e integrate per il 73% del fosforo, il 53% del potassio e il 23% dell’azoto.
In soldoni dunque l’agricoltura biologica produce dal 20 al 70% in meno di quella convenzionale a seconda delle colture (il che la rende palesemente insostenibile perché se si sostituisse a quella convenzionale/integrata richiederebbe il doppio della terra, di cui non disponiamo) ed è così poco produttiva perché non difende adeguatamente le colture dai loro nemici e non le nutre adeguatamente con azoto e altro. Inoltre questo nutrimento inadeguato è ottenuto appoggiandosi all’agricoltura convenzionale, per cui se tutto diventasse biologico il fiume della fertilità andrebbe in secca come sta accadendo in Paesi ove il biologico è stato adottato in modo generalizzato.
Per l’amor di Dio, ognuno nella propria azienda è libero di produrre come vuole (ovviamente nel pieno rispetto delle leggi) ma almeno superiamo le contraddizioni e le foglie di fico nella gestione della sostanza organica e della fertilità e diciamo chiaro e tondo che il bio per essere serio (il che dovrebbe essere nell’interesse degli stessi agricoltori biologici) non può che essere un’agricoltura di nicchia, fatta da aziende che hanno la stalla e che gestiscono in azienda l’intero ciclo della sostanza organica. E finiamola per favore di raccontare la fola che con il bio puoi nutrire il mondo, roba questa da predicatori televisivi dalla parlantina avvincente ma che non regge in alcun modo il confronto con la realtà dei fatti: se la resa per ettaro è la metà³ avrai bisogno del doppio della terra per ottenere la stessa quantità di prodotto, e se la terra non ce l’hai dovrai tagliare il bosco o dissodare praterie naturali, un aspetto questo su cui a nostro avviso anche movimenti ambientalistici non di sola facciata dovrebbero iniziare ad interrogarsi in modo serio.
¹ cosa che fa il 98% degli operatori agricoli professionali, come ci dimostra il report pubblicato annualmente dall’EFSA e che riassume i risultati delle analisi di laboratorio effettuate in tutta Europa.
² Considerando il solo strato superficiale (primi 0,5 m), il volume è pari a 0.5 m x 10000 m2= 5000 m3 che moltiplicati per un peso specifico apparente di 1,2 danno 6000 t/ha di suolo. L'1% di sostanza organica equivale a 60 t/ha da cui ricavo che il carbonio è pari a 60 x 0,58 = 34,8 t/ha. Se poi considero che la sostanza organica ha un rapporto Carbonio/Azoto di 10, l'azoto presente sarà pari a 34,8/10=3,48 t/ha.
³ …in Francia per il frumento tenero di cui è il principale produttore europeo è meno della metà (29 quintali per ettaro in biologo contro i 71 quintali per ettaro in agricoltura convenzionale). Questo è il risultato eclatante del mancato controllo di parassiti, patogeni e malerbe e della insufficiente nutrizione (in primis azotata).
Bibliografia
Ames B.N., Gold L.S., 2000. Paracelsus to parascience: the environmental cancer distraction, Mutation Research 447 2000 3–13
New Jersey Department of Health, 2016. Hazardous substances fact sheet, https://nj.gov/health/eoh/rtkweb/documents/fs/0549.pdf
Nowak B., Nesme T., David C., Pellerin S., 2013. To what extent does organic farming rely on nutrient inflows from conventional farming? Environmental Research Letters, Volume 8, N.4.
Rivière Wekstein G., 2022. Organic food health time bomb? Potentially carcinogenic and confirmed irritant organic pesticide copper sulfate used to grow wine grapes, potatoes and tomatoes found in almost entire French population and in particular children. https://geneticliteracyproject.org/2021/10/05/organic-food-health-time-bomb-carcinogenic-organic-pesticide-copper-sulfate-used-in-growing-wine-grapes-potatoes-and-tomatoes-found-in-almost-entire-french-population-and-in-particular-chil/7
LUIGI MARIANI
Agronomo libero professionista con lunga esperienza nella modellazione matematica dell’agroecosistema. Direttore del Museo Lombardo di Storia dell’Agricoltura e vicepresidente della Società Agraria di Lombardia, attualmente insegna Agronomia all’Università degli studi di Brescia e Storia dell’Agricoltura all’Università degli Studi di Milano, dopo essere stato a lungo docente di Agrometeorologia.
Agronomo libero professionista con lunga esperienza nella modellazione matematica dell’agroecosistema. Direttore del Museo Lombardo di Storia dell’Agricoltura e vicepresidente della Società Agraria di Lombardia, attualmente insegna Agronomia all’Università degli studi di Brescia e Storia dell’Agricoltura all’Università degli Studi di Milano, dopo essere stato a lungo docente di Agrometeorologia.
Agronomo. Diplomato all'Istituto Tecnico Agrario di Remedello (BS) e laureato in Scienze Agrarie presso l'UCSC Piacenza. Ha lavorato per tre anni per la nota azienda sementiera francese Florimond Desprez come aiuto miglioratore genetico di specie agrarie interessanti l'Italia. Successivamente ne è diventato il rappresentante esclusivo per Italia; incarico che ha svolto per 40 anni accumulando così conoscenze sia dell'agricoltura francese che italiana.
Complimenti, perfette e documentate le osservazioni; ma il pubblico vuole solo slogan e non ragionare. Purtroppo questo avviene anche nelle cosidette alte sfere influenzate da ideologie bislacche che portano ad effetti catastrofici. Si è perso il significato delle parole.
RispondiEliminaIl futuro è oscuro ma la realtà imporrà la sua incoercibile verità. Io osservo dalla riva dei miei 90...
Se poi al consumo di suolo sottraiamo anche la produzione di "bio"carburante, be' direi che siamo decisamente a cavallo
RispondiEliminaVi seguo e apprezzo da molto. Ciononostante
RispondiElimina-sparare sul rame spacciandolo per "bio" è un po' fuorviante perchè ne fanno uso anche i non bio, in viticoltura ad esempio
-Nei vostri pezzi degli ultimi tempi manca un po' la riflessione sul fatto che l'agricoltura si avvale di risorse quali energia fossile per fissare l'azoto, fosfati che devono essere estratti (e importati, coi tempi che corrono...). Il signore del produrre meno che giustamente criticate, qualche risposta sconclusionata potrebbe rivolgerla al pubblico meno informato, mi interessa sapere cosa proponete invece voi.
Grazie per il modo in cui elevate il dibattito.
Andrej Drosghig