giovedì 24 febbraio 2022

NOTE DI SEMANTICA AGRICOLA: AGRICOLTURE NATURALI E OLISTICHE


di SILVANO FUSO, ALBERTO GUIDORZI, TOMMASO MAGGIORE, 
LUIGI MARIANI, FRANCESCO MARINO E OSVALDO FAILLA


 

La Tribuna di Galileo monumento, unico del suo genere, eretto in onore di Galileo Galilei e dedicato alla storia della scienza sperimentale. Museo della Specola, Firenze.  


 

Le origini delle “agricolture naturali”

Molte “agricolture + aggettivo” di cui abbiamo parlato in un precedente articolo¹ si rifanno a un generico ideale di rispetto e armonia con la natura². A parte il fatto che l’agricoltura (qualunque essa sia), per definizione, tende a modificare la realtà naturale per meglio adattarla alle esigenze umane, può essere interessante ripercorrere le origini di tali tendenze.
Le istanze di un ritorno al naturale si sono sviluppate soprattutto come reazione alla rivoluzione verde fra i cui più illustri propugnatori possiamo annoverare l’agronomo Norman Ernest Borlaug (1914-2009).
Borlaug fu da più parti accusato di aver aperto la strada all'uso incontrollato di fertilizzanti e pesticidi e alcuni padri ideologici dei movimenti ecologisti, quali Lester Brown (n. 1934), Paul Ehrlich (n. 1932) e Aurelio Peccei (1908-1984), incolpavano Borlaug di non aver alcun rispetto per l'ambiente e di aver contribuito all'incremento demografico mondiale che avrebbe causato gravissimi problemi all'umanità (population bomb
³). Borlaug non ha mai dato troppo peso a queste critiche e, proseguendo per la sua strada, rispondeva serenamente:
alcuni degli attivisti ambientali delle nazioni occidentali sono il sale della terra, ma molti di loro sono elitari. Non hanno mai sperimentato la sensazione fisica della fame. Portano avanti le loro battaglie dai loro confortevoli uffici a Washington o Bruxelles. Se avessero vissuto un mese in mezzo alla miseria del mondo in via di sviluppo, come ho fatto io per 50 anni, starebbero piangendo per i trattori, i fertilizzanti e i canali di irrigazione e sarebbero indignati dal fatto che elitari alla moda cercano di negar loro queste cose
.

Altre critiche feroci furono rivolte a Borlaug per essere un sostenitore delle nuove tecnologie genetiche e biotecnologiche applicate all'agricoltura. In un incontro organizzato dalla Fondazione Luigi Einaudi e dal Centro di metodologia delle Scienze Sociali della Luiss, tenutosi a Roma il 13 giugno 2002, Borlaug a tale proposito affermò
:

la pace si raggiunge solo garantendo lo sviluppo e le biotecnologie rappresentano una grande opportunità per vincere la fame nel mondo.


Borlaug era naturalmente consapevole del fatto che le sole biotecnologie non bastano. Attraverso di esse possiamo facilmente aumentare la produzione agricola ma, per risolvere i problemi alimentari, sono anche necessarie infrastrutture per i trasporti, l'immagazzinamento, la conservazione, la distribuzione e la commercializzazione di tali prodotti.
Borlaug affermò inoltre che:

Le biotecnologie sono ben conosciute da madre natura. Il frumento per esempio è frutto di incroci naturali di cromosomi fra tre differenti specie selvatiche
. L'incrocio delle prime due ha dato origine al grano duro, utilizzato dai Sumeri. Poi madre natura ha incrociato un'altra specie selvatica per creare il frumento che veniva utilizzato nell'impero romano. Grazie alle nuove conoscenze scientifiche noi non facciamo nient'altro che continuare in maniera ordinata questo tipo di incrocio. incrocio.

Per quanto riguarda poi i presunti rischi per la salute e i paventati danni alla biodiversità, Borlaug ha precisato che:

i prodotti biotech non presentano alcuna differenza rispetto a quelli su cui abbiamo operato finora con il miglioramento genetico tradizionale. I rischi paventati dagli ambientalisti sono stati esagerati al di là di ogni limite. Non esiste questo pericolo [per la biodiversità] perché aumentando la resa per ettaro, vi saranno ampie zone di territorio dove la biodiversità potrà continuare ad espandersi.

Al di là delle critiche, è interessante esaminare cosa propongono, in alternativa, gli oppositori dell’agricoltura scientifica. Una delle più radicali, che vale la pena confrontare con la rivoluzione verde di Borlaug, è la cosiddetta agricoltura naturale introdotta a partire dagli anni quaranta dal giapponese Masanobu Fukuoka (1913-2008).
Nato il 2 febbraio 1913, secondogenito di un proprietario terriero, Masanobu Fukuoka fece studi regolari specializzandosi in microbiologia e agronomia. Lavorò poi come ricercatore presso la Divisione Ispezione delle Piante dell'Ufficio delle dogane di Yokohama. In seguito a un ricovero ospedaliero causato da una polmonite, visse una crisi spirituale che lo portò a una profonda modifica della sua visione del mondo che gli fece rigettare i principi e le pratiche dell'agricoltura moderna cui si era dedicato fino a quel momento. Dimesso dall'ospedale si licenziò dal suo lavoro di ricercatore e si ritirò nella fattoria di famiglia sull'isola di Shikoku nel Giappone meridionale. Qui si dedicò prevalentemente alla coltivazione degli agrumi e, attraverso osservazioni e sperimentazioni, maturò l'idea di fondare un'agricoltura naturale. Le sue idee vennero diffuse attraverso alcuni libri. Il primo, del 1947, si intitola Mu: La Rivoluzione di Dio
. Il termine Mu è tratto dal Buddismo Zen e significa approssimativamente "assenza", "mancanza". Nucleo centrale della nuova agricoltura di Fukuoka è infatti l'assenza di ogni intervento umano. Le sue idee vennero ulteriormente delineate in un altro libro del 1975 dal titolo The One-straw revolution, tradotto in inglese nel 1978, che ebbe ampia diffusione in tutto il mondo. A partire dal 1979 Fukuoka si dedicò a un'intensa attività divulgativa che lo vide impegnato in numerosissimi viaggi in tutto il mondo: Europa, Stati Uniti, Cina, Thailandia, Africa. Il 16 agosto 2008 morì all'età di 95 anni.
Alla base dell'agricoltura naturale di Masanobu Fukuoka vi è appunto il Mu, ovvero il principio nel non fare. Non bisogna lavorare il terreno: l'aratura infatti rovina il terreno, rendendolo duro e impoverendolo:

Per quanto riguarda l'argomentazione che l'aratura aumenta l'azoto disponibile per mezzo della nitrificazione, è come dire rovinare il proprio corpo per qualche beneficio temporaneo
¹⁰.

Non bisogna fertilizzare: secondo Fukuoka, le piante sono sempre nate spontaneamente, indipendentemente dall'intervento umano. L'uomo deve limitarsi ad assecondare il naturale sviluppo del terreno che genera un complesso ecosistema di vegetali e animali. Non si può imporre a un terreno un certo tipo di coltura, ma occorre accontentarsi di ciò che quel terreno produce naturalmente. Non bisogna sarchiare: non esistono infatti erbe cattive. La distinzione buono/cattivo è artificiale e ogni cosa in natura ha la sua funzione e utilità. Molte "erbacce" inoltre sono, secondo Fukuoka, commestibili e in passato facevano parte della dieta dei contadini. Altre hanno proprietà curative e possono essere utilizzate a tale scopo. Non bisogna utilizzare fitofarmaci: non esistono infatti insetti nocivi, analogamente a quanto detto per le malerbe. L'uso dei fitofarmaci altera i delicati equilibri naturali con conseguenti danni irreparabili. Non bisogna infine potare gli alberi.
L'agricoltura, secondo Fukuoka, è uno stile di vita e necessita quindi di un preciso atteggiamento nei confronti dell'Esistenza. In accordo con il principio del Mu, la vita non è lotta, non è fatica, non è un mezzo, bensì un fine. Afferma Fukuoka:

In definitiva, il fattore più importante non è la tecnica colturale, ma piuttosto lo stato d’animo di chi coltiva
¹¹.

Coltivare la terra, equivale quindi a coltivare la propria vita.
Secondo Fukuoka lo sfruttamento esasperato del terreno, determinato dalla moderna agricoltura, genera inevitabilmente aree desertiche in modo sempre più rapido. Per contrastare questo processo è assolutamente indispensabile invertire questa tendenza, restituendo alla terra la sua spontaneità. È piuttosto curiosa la tecnica con la quale Fukuoka spera di combattere la desertificazione. Per rinverdire i deserti Fukuoka propone di spargere (senza sotterrarle) palline di argilla contenenti semi di piante di molte varietà. L'involucro di argilla proteggerebbe i semi dall'attacco di insetti, roditori e uccelli. Il resto poi va affidato alla natura che saprà saggiamente selezionare le piante che germoglieranno, scegliendo il tipo di vegetazione più adatta per quel tipo di terreno. Fukuoka riuscì a trovare chi gli diede credito ed esperimenti di questo tipo di intervento furono fatti in India, nel nord della Grecia, e persino in Italia, in una zona sperimentale a Cisternino, in provincia di Brindisi.
Di fronte alle bizzarre teorie di Masanobu Fukuoka non si può fare a meno di pensare ai nostri antenati che per millenni hanno cercato faticosamente di selezionare specie vegetali che consentissero loro di sopravvivere o che hanno strenuamente lottato contro le malerbe, come non cessano di ricordarci le parole della Genesi: «Poiché hai ascoltato la voce di tua moglie e hai mangiato dell'albero, di cui ti avevo comandato: Non ne devi mangiare, maledetto sia il suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita. Spine e cardi produrrà per te e mangerai l'erba campestre. Con il sudore del tuo volto mangerai il pane; finché tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere tornerai!» .
Se le teorie di Fukuoka fossero fondate, che bisogno ci sarebbe stato di lottare così strenuamente per difendersi dalla fame? Sarebbe stato sufficiente non fare nulla (secondo il principio Mu) e la natura, generosamente, avrebbe elargito i suoi frutti, analogamente a quanto accadeva nella mitica età dell’oro di cui ci parlano Esiodo e Virgilio nei loro poemi.
Fukuoka non fu d’altronde il solo a essere folgorato dall'idea che la natura sia una madre generosa e che l'uomo debba quindi cercare di minimizzare il suo intervento su di essa per ottenere i frutti necessari alla sua sopravvivenza.
Almeno altri quattro personaggi hanno sostenuto idee simili, contribuendo alla nascita di quella che oggi viene chiamata agricoltura biologica. Essi sono: l'austriaco Rudolf Steiner, lo svizzero Hans Müller, l'inglese Lady Eve Balfour e l'americano Jerome Irving Rodale. Rudolf Steiner è il fondatore dell’agricoltura biodinamica e rimandiamo altrove per una trattazione più approfondita
¹².
Hans Müller (1891-1988) nacque nel Cantone di Berna e crebbe in una fattoria dell'Emmentaler. Dagli inizi degli anni trenta Müller lavorò come maestro. Sensibile alle disagevoli condizioni di vita dei contadini, si impegnò in politica. Müller si convinse che i contadini dovessero affrancarsi da soli dalle loro difficili condizioni, migliorando la loro capacità produttiva. Più che puntare sugli aspetti quantitativi, secondo Müller, i contadini avrebbero dovuto migliorare qualitativamente i loro prodotti e, al tempo stesso, avere riguardo per le condizioni dei loro terreni. Collaborando con la moglie Marie e con il medico batteriologo Hans Peter Rusch, sviluppò, tra il 1940 e il 1950, il metodo della cosiddetta agricoltura organico-biologica.
Lady Evelyn Barbara Balfour (1898-1990) fu una nobildonna inglese. Studiò agraria e dal 1939 guidò il cosiddetto "Esperimento Haughley" che si proponeva di confrontare i risultati ottenuti dall'agricoltura tradizionale con quelli ottenuti con l'agricoltura biologica, che non utilizzava fertilizzanti di sintesi. Nel 1943 venne pubblicato il suo libro The Living Soil che divenne ben presto un classico dell'agricoltura biologica. Nel 1946, la Balfour cofondò la Soil Association, un'organizzazione internazionale per la promozione dell'agricoltura sostenibile, di cui divenne la prima presidente.
Jerome Irving Rodale (1898-1971) fu uno scrittore, drammaturgo e, soprattutto, editore. Convinto sostenitore di uno stile di vita sano e in armonia con la natura, impiegò il suo ruolo di grande editore per diffondere opere dedicate all'agricoltura biologica, ritenendo che essa fosse indispensabile per consentire agli uomini una vita sana. Si impegnò inoltre per diffondere nella popolazione abitudini alimentari e medicine alternative che, secondo le sue convinzioni, avrebbero permesso di migliorare apprezzabilmente la salute.

L’agricoltura olistica

In molte delle “agricolture naturali” di cui abbiamo parlato si fa spesso ricorso all’aggettivo olistico e in vari casi si parla espressamente di “agricoltura olistica”¹³. Vale la pena approfondire anche l’origine di tale aggettivo (che viene usato non solo in campo agricolo, ma anche in altri ambiti quali la medicina, l’alimentazione, la psicologia, ecc.).
Cos'è dunque questo olismo di cui tanto si parla? Il termine deriva dal greco όλος, che significa "tutto" o "totalità". L'idea di fondo delle concezioni olistiche consiste nel ritenere che le proprietà di un sistema non possano essere spiegate solamente tramite lo studio dei suoi componenti. In pratica nell'olismo si ritiene che il tutto non corrisponda semplicemente alla somma delle parti. Tale concezione si contrappone evidentemente al riduzionismo per il quale invece la comprensione della realtà passa inevitabilmente per un'analisi dettagliata dei suoi componenti elementari.
Il termine olismo venne coniato nel 1926 dal filosofo, politico e militare sudafricano Jan Smuts (1870-1950) che lo usò nel suo libro Holism and Evolution (Olismo ed evoluzione). Secondo la definizione da lui stesso fornita:

Olismo è il termine qui coniato (da όλος =tutto) per designare questa tendenza della Natura, questo fondamentale fattore operativo verso la realizzazione o la creazione di interi nell'universo¹⁴.


Prima di Smuts, tuttavia, si possono ritrovare altri autori le cui concezioni della realtà possono essere considerate anticipazioni della visione olistica. Molte filosofie orientali, indiane e cinesi, hanno un carattere olistico. In occidente elementi olistici si possono ritrovare nel neoplatonismo e, in epoca più recente, nelle concezioni panteiste di Giordano Bruno (1548-1600) e Baruch Spinoza (1632-1677).

I sostenitori contemporanei dell'olismo si oppongono al riduzionismo, considerato eccessivo, della scienza. I settori della scienza in cui le rivendicazioni olistiche sono più forti riguardano lo studio della dinamica dei sistemi complessi, la cosiddetta teoria della complessità, le scienze cognitive e le neuroscienze. I sistemi complessi sono quelli la cui evoluzione dipende fortemente dalle condizioni iniziali. Piccole variazioni di queste ultime possono portare a notevoli differenze nell'evoluzione del sistema e quindi a comportamenti spesso caotici. La teoria della complessità affronta lo studio dei sistemi complessi considerati come un tutt'uno in quanto ogni parte sarebbe inevitabilmente interconnessa con le altre. Ciò determinerebbe la nascita di proprietà emergenti che risulterebbero inspiegabili in base alle leggi fondamentali che regolano il comportamento dei singoli componenti. Queste proprietà emergenti, secondo alcuni, consentirebbero anche di spiegare la mente e le nostre capacità cognitive. Queste concezioni sono talvolta utilizzate da alcuni neuroscienziati per cercare di spiegare il funzionamento del cervello.
Caratteristica dell'approccio olistico è inoltre la grande importanza attribuita alla multidisciplinarità. Solamente una visione d’insieme, possibile grazie alla collaborazioni delle più disparate discipline, consentirebbe una comprensione soddisfacente della realtà. A tale proposito, sono nati alcuni centri di ricerca ispirati a questo tipo di approccio. Ad esempio, il Center for the Study of Complex Systems del Michigan, il Global Consciousness Project della Princeton University, il Cognitive Sciences Program della Rice University, il Centre for Postsecular Studies della London Metropolitan University e, più noto fra tutti, il Santa Fe Institute (New Mexico) fondato nel 1984 su iniziativa di vari ricercatori.
Il riduzionismo, avversato dai sostenitori dell'olismo, si propone, al contrario, di spiegare un sistema riducendolo, appunto, all'insieme delle parti costituenti, strutturate secondo un ordine gerarchico. Un sistema vivente, ad esempio, è un insieme di cellule, a loro volta costituite da molecole, le quali sono formate da atomi, a loro volta costituiti da particelle subatomiche e così via. La visione riduzionista si ripercuote inevitabilmente sulle stesse discipline scientifiche per le quali è possibile stabilire un ordine gerarchico. La disciplina fondamentale è la fisica, che descrive le leggi e i principi che regolano il comportamento delle particelle subatomiche e degli atomi. Segue la chimica che descrive le proprietà degli atomi e il modo in cui essi si uniscono per originare le molecole. Sempre la chimica studia le proprietà delle molecole e il modo in cui esse possono interagire tra loro. La biochimica, in particolare, occupandosi delle molecole che determinano il funzionamento degli organismi viventi, rappresenta il trait d'union tra chimica e biologia. La biologia molecolare spiega i fenomeni più fondamentali dei sistemi biologici, mediante i quali è possibile spiegare anche le funzioni biologiche superiori. Le neuroscienze, sfruttando ampiamente i risultati della biologia, cercano di spiegare il funzionamento del cervello e considerano le funzioni mentali semplicemente ciò che il cervello fa. Le scienze psicologiche, a loro volta, possono essere ricondotte alle neuroscienze.
In linea di principio, quindi, l'approccio riduzionistico potrebbe consentire di comprendere perché un certo soggetto sia estroverso o introverso o perché ami il gelato alla cioccolata piuttosto che quello alla fragola, semplicemente studiando, attraverso l'applicazione delle leggi della meccanica quantistica, il comportamento degli atomi di carbonio, idrogeno, ossigeno, azoto e fosforo che costituiscono il suo cervello. Se questo è concettualmente plausibile, è chiaro che in pratica nessuno psicologo, per riduzionista estremo che sia, seguirebbe mai una strada così ardua per studiare un proprio paziente. Ogni disciplina infatti ha sviluppato metodologie e criteri di indagine specifici per studiare i livelli di realtà di cui si occupa. Derivare queste metodologie dalle discipline che la precedono nella scala gerarchica delineata prima risulta estremamente difficile sul piano pratico. Questo accade non solo per discipline "distanti" come la psicologia e la fisica. Anche per discipline "confinanti" questa operazione può essere molto ardua. Ad esempio, la struttura e le proprietà di una molecola sono completamente riconducibili a quelle degli atomi costituenti e la meccanica quantistica ci fornisce con precisione gli strumenti concettuali per effettuare questa riduzione (la chimica teorica è la disciplina che si occupa di questi aspetti). Tuttavia la complessità dei calcoli necessari è talvolta esorbitante e mette a dura prova anche i più potenti calcolatori. Già per molecole relativamente semplici è quindi inevitabile ricorrere a pesanti approssimazioni. Le molecole biologiche, da questo punto di vista, sono vere e proprie cattedrali e più è complessa è una molecola e tanto più pesanti devono essere le approssimazioni nei calcoli che devono essere fatti.
Ciò nonostante, se si guarda all'intera storia del pensiero scientifico, non si può fare a meno di constatare che l'approccio riduzionista è stato vincente. I grandi progressi che la scienza ha fatto non sarebbero mai stati possibili senza questa visione della realtà. Galileo Galilei (1564-1642), in una lettera del 1612, scriveva:

Perché, o noi vogliamo specolando tentar di penetrar l'essenza vera ed intrinseca delle sustanze naturali; o noi vogliamo contentarci di venire in notizia d'alcune loro affezioni. Il tentar l'essenza, l'ho per impresa non meno impossibile e per fatica non meno vana nelle prossime sustanze elementari che nelle remotissime e celesti... Ma se vorremmo fermarci nell'apprensione di alcune affezioni, non mi par che sia da desperar di poter conseguirla anco ne i corpi lontanissimi da noi, non meno che nei prossimi¹⁵.

In questo breve brano è ben sintetizzato il programma riduzionista che caratterizzerà buona parte della scienza moderna. L' «apprensione di alcune affezioni», ovvero lo studio di alcuni dettagli della realtà a noi accessibili, ci ha consentito di costruire una visione coerente del mondo che ha dimostrato ampiamente la sua efficacia. Se avessimo seguito un approccio olistico, ovvero se avessimo tentato «penetrar l'essenza vera ed intrinseca delle sustanze naturali», avremmo probabilmente fatto ben poca strada, come dimostrano i fallimenti di coloro che, prima e dopo Galileo, hanno tentato di farlo. 
Un esempio significativo, a tale proposito, è il confronto tra la teoria dei colori elaborata nel 1810 da Johann Wolfgang von Goethe (1749-1832) e quella elaborata circa un secolo prima da Isaac Newton (1643-1727). Esposta nel libro Das Farbenlehre (La Teoria dei Colori), quella di Goethe può essere considerata una teoria olistica. Egli interpretava infatti i colori come frutto della contrapposizione tra i due poli opposti del chiaro e dello scuro, ovvero tra il bianco e il nero. Con la sua concezione (che ben si collocava all'interno delle idee romantiche di lotta tra gli opposti) il poeta si opponeva duramente alla teoria dei colori di Newton. Come noto, Newton considerava la luce bianca l'effetto della combinazione di tutti i colori ed era quindi una teoria riduzionistica. Goethe la rifiutava in toto, accusando Newton di aver condotto erroneamente i suoi esperimenti con i prismi di vetro. Goethe nel suo libro polemizza duramente, non solo contro Newton, ma anche contro la tirannia della scienza che tutto vuole misurare e calcolare. In realtà invece fu proprio Goethe a sbagliare completamente la replica degli esperimenti di Newton (anziché far attraversare il prisma da un raggio di luce bianca, il poeta guardava attraverso un prisma una superficie bianca, non osservando ovviamente alcuna separazione dei colori). L'avversione di Goethe nei confronti della scienza, si manifesta soprattutto nel suo rifiuto di voler matematizzare la realtà. Nel suo libro Das Farbenlehre, Goethe enuncia esplicitamente il suo intento programmatico di aver «tentato di mantenere la teoria dei colori del tutto distinta dalla matematica»¹⁶.
In questa sua polemica antiscientifica Goethe ricorda la posizione di molti sostenitori contemporanei delle concezioni olistiche. Ad esempio, l'economista e ambientalista americano Jeremy Rifkin (n. 1943) accusa Bacone, Cartesio e Newton di essere i principali responsabili della matematizzazione del mondo. Con riferimento al terzetto oggetto delle sue critiche, Rifkin scrive:

Separando e poi eliminando tutta la vita (che è qualitativa) dal mondo fisico (quantitativo) di cui comunque la vita stessa fa parte, gli architetti del paradigma meccanicistico rimasero con un universo freddo, inerte, interamente fatto di materia non vivente. Da un mondo di pura materia al mondo del puro materialismo il passo è breve¹⁷.

Analogamente, il filosofo e sociologo francese Edgar Morin (n. 1921), sostenitore di una filosofia della complessità, si scaglia contro la razionalità scientifica e la sua pretesa di descrivere matematicamente il mondo. Nella sua opera più celebre, Il metodo, Morin scrive:

Occorre cambiare il mondo. L'universo ereditato da Keplero, Galileo, Copernico, Newton, Laplace era un universo freddo, gelato, di sfere celesti, di movimenti perpetui, d'ordine impeccabile, di misura, d'equilibrio. Dobbiamo barattarlo con un universo caldo, composto da una nube ardente, da sfere di fuoco, da movimenti irreversibili, da ordine mischiato al disordine, da spesa, spreco, squilibrio (...). Il nuovo universo non è razionale, ma il vecchio lo era di meno. (...) Come non aver capito che l'ordine puro è la peggiore follia che esista, quella dell'astrazione, e la peggiore morte che esista, quella che non ha mai conosciuto la vita¹⁸?

Nonostante i proclami e le dichiarazioni di intento, la scienza olistica non sembra aver prodotto finora risultati apprezzabili. Viceversa la vecchia scienza riduzionista, con la sua tendenza a decomporre e a matematizzare il mondo, ha prodotto risultati straordinari che sono sotto gli occhi di tutti. Le rivendicazioni olistiche di considerare ogni sistema come un tutt'uno appaiono in definitiva poco fondate. L'approccio riduzionistico è il primo a riconoscere l'importanza delle interazioni tra le singole parti e non rinuncia certo a prenderle in considerazione. È inoltre fondamentale stabilire quale livello di realtà si vuole considerare. La scienza riduzionista è perfettamente consapevole del fatto che certe grandezze e proprietà compaiono solamente a determinati livelli di realtà e che non ha alcun senso ricercarle a livelli gerarchicamente inferiori. Un esempio significativo è la termodinamica. Grazie ai fondamentali lavori di Ludwig Boltzmann (1844-1906) e di coloro che seguirono la strada da lui aperta, oggi sappiamo benissimo che certe grandezze termodinamiche, quali temperatura, pressione, entropia, ecc. hanno senso solamente a livello macroscopico, ovvero quando si considerano numeri elevatissimi di particelle. Non avrebbe alcun senso riferire tali grandezze a una singola particella. Tuttavia queste grandezze possono essere perfettamente messe in relazione con le grandezze microscopiche che caratterizzano ogni particella (massa molecolare, velocità media, ecc.) e interpretate in termini statistici. Quindi i paladini dell'olismo, quando parlano di proprietà emergenti non identificabili nel singolo costituente di un sistema, dicono un'ovvietà che la scienza riduzionista conosce benissimo da tempo. Per sottolineare ancora meglio l’esistenza di importanti interazioni tra le parti costituenti un sistema (di qualunque genere esso sia) è stata coniata l’espressione “approccio sistemico”. Originariamente sviluppate dal biologo austriaco Ludwig von Bertalanffy (1901-1972), le teorie sistemiche hanno trovato applicazioni in vari settori, compreso quello agricolo¹⁹.

Ogni disciplina scientifica è inoltre perfettamente consapevole del fatto che le teorie che essa elabora hanno un ben preciso dominio di applicabilità. Anzi, l'individuazione del dominio di applicabilità è parte integrante della teoria stessa. Ancora una volta possiamo trarre esempi dalla fisica. Non è vero, come spesso si sente dire, che la meccanica quantistica e la relatività hanno confutato la fisica newtoniana. Al contrario ne hanno semplicemente consentito di descrivere efficacemente altri ambiti di realtà. Per corpi macroscopici e per velocità di molto inferiori a quella della luce, la fisica newtoniana continua a essere valida e a essere utilizzata. Per descrivere invece il comportamento delle particelle microscopiche è necessario ricorrere alla meccanica quantistica e per trattare velocità prossime a quella della luce ci vuole la relatività. L'insieme delle tre teorie ci consente di descrivere un ampio ventaglio di fenomeni. L'approccio olistico sa fare di meglio? Finora non sembra proprio esserci riuscito.

Il riduzionismo in campo agronomico

Molti metodi propri dell’agronomia moderna si fondano sull’approccio riduzionista e sistemico. La coltura è infatti vista come una serie di individui che tramite l’intercettamento della luce da parte della chioma stimato con l’ausilio di leggi della fisica (legge di Lambert e Beer modificata da Monsi e Saeki) sviluppa il processo di fotosintesi simulato a mezzo di opportune equazioni. Grazie alla fotosintesi viene sintetizzata una certa biomassa di glucosio (gross assimilation) che viene poi decurtata da una serie di perdite e nello specifico:
  • perdite per temperature non ottimali stimate con opportune curve di risposta²⁰
  • perdite per contenuto idrico del suolo non ottimale stimate a partire da equazioni di bilancio idrico²¹
  • perdite per contenuto in nutrienti del suolo non ottimale stimate a partire da idonee curve di risposta (legge di Mitscherlich)²² perdite legate alla competizione del malerbe e ai danni da parassiti e patogeni stimati con idonee curva di risposta.
Tale approccio, che in ultima analisi si richiama alla legge di Lavoisier di conservazione della massa, è descritto in vari testi di agronomia generale²³ e costituisce una guida razionale all’assunzione di decisioni in campo agronomico, dalla scelta varietale al soddisfacimento delle esigenze idriche, nutrizionali e di difesa sanitaria.
Occorre inoltre segnalare che negli ultimi 50 anni, grazie all’affermarsi della modellistica dei sistemi colturali, lo schema riduzionista ha costituito la base per i modelli matematici di produzione delle colture messi a punto grazie all’attività di scienziati come C.T. de Wit (1924-1993) che operò a Wageningen in Olanda
²⁴.

Conclusioni

Dalle considerazioni fin qui svolte, possiamo trarre qualche conclusione. L’agricoltura razionale e scientifica considera tutti i fattori che concorrono al buon esito del raccolto e le rispettive interazioni (approccio sistemico). Rispetto a tale approccio quello proposto da agricolture alternative che utilizzano abbondantemente l’aggettivo olistico non sembra tuttavia offrire particolari vantaggi e anzi, molto spesso esse propongono approcci e strategie che suscitano molte perplessità. Inoltre la presunta superiorità delle agricolture alternative rispetto all’agricoltura scientifica (e quindi basata necessariamente su un approccio riduzionista) non è mai stata dimostrata, tant’è vero che da dati sperimentali e dati di pieno campo emerge con chiarezza un gap produttivo rilevantissimo²⁵ che attesta l’inefficienza delle agricolture alternative e porta a preconizzare una catastrofe alimentare globale in caso di loro adozione generalizzata.
Ancora una volta quindi l’uso di un aggettivo appare come una semplice operazione di cosmesi (o marketing) finalizzata a evocare chissà quale misterioso e innovativo approccio. Nell’olismo non c’è nulla di nuovo. I primi approcci che l’umanità ha sviluppato nei suoi tentativi di interpretare il mondo erano infatti olistici. L’approccio magico e mitico-teologico dei primordi dell’umanità erano approcci olistici. Solo nel XVII secolo ci si è accorti che occorreva cambiare radicalmente punto di vista. Galileo per primo suggerì di superare l’approccio olistico scomponendo il mondo nelle sue parti più semplici. Nacque in tal modo il moderno metodo scientifico che da quasi quattro secoli ha sempre dimostrato la sua estrema efficacia nell’interpretare il mondo.
Ogni proposta quindi di un approccio olistico appare non come un’innovazione, ma come un anacronistico e quanto mai inopportuno ritorno al passato.




¹ L. Mariani, A. Guidorzi, S. Fuso, O. Failla, “Alcune riflessioni lessicali sull'agricoltura”, Agrarian Sciences, 10 febbraio 2022: https://www.agrariansciences.it/2022/02/alcune-riflessioni-lessicali-sull.html;

² Si veda: S. Fuso, Naturale=buono?, Carocci, Roma 2016;

³ The Population Bomb è il titolo di un best-seller scritto nel 1968 da Paul R. Ehrlich e sua moglie, Anne Ehrlich. Il libro denunciava, con toni molto allarmistici, i rischi della sovrappopolazione mondiale. Molte delle previsioni catastrofistiche in esso contenute non si sono tuttavia verificate;

J. Tierney, Greens and Hunger, "New York Times", 19 maggio 2008: http://tierneylab.blogs.nytimes.com/2008/05/19/greens-and-hunger/?pagemode=print&_r=0;

Le seguenti citazioni del discorso di Borlaug sono tratte da: L. Fressoia, Borlaug, il John Wayne dei campi, LSblog, 27 ottobre 2009: http://www.lsblog.it/index.php/heri-dicebamus?view=article&id=26451;

si tratta di una graminacea del genere Triticum (T. beoticum) e di due graminacee del genere Aegilops (A. speltoides e A. squarrosa).

Si consideri peraltro che se quanto descritto da Borlaug ciò fosse avvenuto in una regione disabitata quegli incroci sarebbero andati perduti ed il frumento che noi conosciamo oggi non sarebbe mai esistito e così pure moltissimi di noi?

M. Fukuoka, La Rivoluzione di Dio, della Natura e dell'Uomo, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 2010;

M. Fukuoka, La rivoluzione del filo di paglia, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1980;

¹ M. Fukuoka, La fattoria biologica. Agricoltura secondo natura, Edizioni Mediterranee, Roma 1992;

¹¹ M. Fukuoka, La rivoluzione del filo di paglia, op. cit.;

¹² S. Fuso, “Agricoltura biodinamica, se lo Stato finanzia una stregoneria”, MicroMega 28 maggio 2021: https://www.micromega.net/che-cosa-e-l-agricoltura-biodinamica/;

¹³ https://www.terranuova.it/Il-Mensile/L-approccio-olistico-e-la-vera-strada;

¹J. Smuts, Holism and Evolution, McMillan and Co Limited, London 1926 (p. 100). Il testo del libro è disponibile on-line qui: https://ia801404.us.archive.org/25/items/holismandevoluti032439mbp/holismandevoluti032439mbp.pdf;

¹G. Galilei, Terza lettera a Marco Welser sulle macchie solari, in "Opere", Edizione Nazionale Barbera, Firenze 1929-1936, vol. V, p. 187;

¹ J.W. Goethe, La Teoria dei Colori, Il Saggiatore, Milano 2014;

¹J. Rifkin, Entropia, Baldini Castoldi Dalai, Milano 2004;

¹E. Morin, Il metodo. Ordine, disordine, organizzazione, Feltrinelli, Milano 1992;

¹A. Sonnino, L’approccio sistemico è metodo scientifico, non superstizione, “AgriCulture”, 9 agosto 2021: https://www.fidaf.it/index.php/lapproccio-sistemico-e-metodo-scientifico-non-superstizione/;

²Mariani L., Failla O., 2016. Clima e viticoltura, capitolo 2 del testo Progressi in viticoltura, a cura di M. Boselli, EDISES Unversitaria, 19-38.

²¹ Allen, R.G.; Pereira, L.S.; Raes D.; Smith M. Crop Evapotranspiration - Guidelines for computing crop water requirements - FAO Irrigation and Drainage paper 56, FAO - Food and Agriculture Organization of the United Nations, Rome, Italy, 1998.

²² Medici G., 1930. La legge del Mitscherlich e la sua applicazione nell'economia della fertilizzazione del suolo, Giornale degli Economisti e Rivista di Statistica, Serie quarta, Vol. 70 (Anno 45), No. 1, genn. 1930, pp. 58-70.

²³ Mariani, 2014. Agronomia, Cusl, 344 pp.

²De Wit, 1978. Simulation of assimilation, respiration and traspiration of corps, Pudoc, Wageningen, 141 pp.

²Ad esempio secondo dati 2007-2018 Francia, maggior produttore europeo di grano tenero, l’agricoltura biologica presenta rese che sono mediamente un terzo di quelle offerte dall’agricoltura convenzionale (29 q/ha contro 77 q/ha) – fonte dell’Academie Nationale d’Agriculture, https://www.academie-agriculture.fr/publications/encyclopedie/reperes/0106r03-le-rendement-moyen-national-du-ble-tendre-dhiver-france Dati analoghi si riscontrano per gli altri cereali come riso e mais. 
 
 
SILVANO FUSO
Dottore di ricerca in scienze chimiche, è docente di chimica e si occupa di didattica e divulgazione. Collabora con diverse riviste e siti Internet e ha pubblicato numerosi saggi, tra cui: Naturale = buono? (2016), Energie misteriose (2016), Le ragioni della scienza (2017), Strafalcioni da Nobel (2018), L’alfabeto della materia (2019). È Socio effettivo del CICAP (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze), della Società Italiana per il Progresso delle Scienze, della Società Chimica Italiana.



ALBERTO GUIDORZI
Agronomo. Diplomato all'Istituto Tecnico Agrario di Remedello (BS) e laureato in Scienze Agrarie presso l'UCSC Piacenza. Ha lavorato per tre anni per la nota azienda sementiera francese Florimond Desprez come aiuto miglioratore genetico di specie agrarie interessanti l'Italia. Successivamente ne è diventato il rappresentante esclusivo per Italia; incarico che ha svolto per 40 anni accumulando così conoscenze sia dell'agricoltura francese che italiana.


TOMMASO MAGGIORE 
Già Docente di Agronomia Generale presso la Facoltà di Agraria dell’ Università degli studi di Milano, è stato anche Direttore del corso di Agronomia, Presidente del Corso di laurea Magistrale di Scienze della Produzione e protezione delle piante e Direttore del dipartimento di Produzione Vegetale. E’ autore di centinaia di pubblicazioni a carattere scientifico.
 

LUIGI MARIANI
Agronomo libero professionista con lunga esperienza nella modellazione matematica dell’agroecosistema. Direttore del Museo Lombardo di Storia dell’Agricoltura e vicepresidente della Società Agraria di Lombardia, attualmente insegna Agronomia all’Università degli studi di Brescia e Storia dell’Agricoltura all’Università degli Studi di Milano, dopo essere stato a lungo docente di Agrometeorologia.


FRANCESCO MARINO
Dott. Agronomo e Zootecnico (UniFI). Diploma di maturità in: Tecnico dell’ Industria Enologica (Istituto Sperimentale Agrario, F. Todaro – Rende “Cs” ). Presidente dell’Associazione AgronomiperlaTerrA e già Presidente dell’ UGC-CISL Firenze/Prato e di Copagri Toscana, organizzazione Sindacale che tutela gli interessi della aziende agricole aderenti all’UGC Cisl, UIMEC-UIL e UCI. Responsabile del Blog Agrarian Sciences e del sito biblioteca di Agrarian Sciences.
 

OSVALDO FAILLA
Docente di Arboricoltura generale e coltivazioni arboree presso l’Università degli studi di Milano. Attualmente la sua attività di ricerca è rivolta soprattutto alle tematiche della fisiologia della maturazione e qualità enologica dell’uva e alla caratterizzazione e conservazione del germoplasma di vite. 



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