giovedì 10 febbraio 2022

ALCUNE RIFLESSIONI LESSICALI SULL' AGRICOLTURA

Agricoltura contadina, sostenibile,  familiare, industriale, piccola agricoltura… Non staremo per caso parlando di concetti non ben definiti sul piano quantitativo e che hanno scarso valore in termini interpretativi? Il sospetto è che questo fiorire di concetti alimenti uno tsunami di retorica che fa male al settore agricolo dilapidando risorse e impedendone il reale progresso.

 

di LUIGI MARIANI, ALBERTO GUIDORZI, 

SILVANO FUSO e OSVALDO FAILLA

 

 



Dedichiamo questo scritto al professor Gaetano Forni, 
illustre storico dell'agricoltura e fondatore del 
Museo di Storia dell'agricoltura di Sant'Angelo Lodigiano, 
che tanti contributi scientifici ha prodotto e sta tuttora 
producendo sul tema della semantica agricola e agronomica.  
Molti di questi contributi sono oggi disponibili in rete, 
il che invita tutti noi a fruirne.

                                                                                          Gli autori

 

L'asino in molte realtà contadine è stato sinonimo di lavoro e di mezzo di trasporto, al giorno d'oggi il suo impiego nell'agricoltura contadina si potrebbe definire "sostenibile". Costituzione permettendo... Foto: Lombardia beni culturali.


Della lettera inviata da due lettori e riferita all’articolo che uno di noi ha di recente pubblicato sulla rivista Micromega (qui e qui) ci ha colpito particolarmente la frase seguente: “le agricolture biologiche e contadine … attualmente nutrono il 70% della popolazione mondiale”.

Tale affermazione¹, che ci è parsa arbitraria, ci ha spinto ad analizzare il concetto di “agricoltura contadina” e, nei riferimenti bibliografici che abbiamo trovato, ci siamo accorti che tale espressione è solo uno dei tanti neologismi che oggi affliggono l’agricoltura rendendo sempre più difficile interpretare un fenomeno già di per sé molto complesso, coinvolgendo 3 miliardi di persone e 570 milioni di aziende (Lowder et al., 2014).

Abbiamo così deciso di provare a fare un po’ di chiarezza sull’argomento tentando una definizione più stringente di alcuni concetti, a partire da quello di agricoltura. Lungi dall’essere esaustiva, questa analisi si propone di offrire un piccolo contributo in termini interpretativi.

1. AGRICOLTURA

L’agricoltura è l’arte e la pratica di coltivare la terra per ottenerne prodotti per l’alimentazione delle persone e degli animali e anche materie prime per numerose industrie (cotone, lino, semi oleosi e così via); in senso più ampio, la parola agricoltura include anche l’allevamento del bestiame e la coltivazione dei boschi (fonte: https://www.treccani.it/vocabolario/agricoltura/).

In senso biologico l’agricoltura è da intendere come una forma di gestione del ciclo del carbonio da parte dell’uomo nelle sue fasi di fotosintesi e respirazione e più in generale come attività che chiude i cicli degli altri elementi nutritivi (azoto, fosforo, potassio, ecc.). Dal punto di vista della produttività per unità di territorio l’agricoltura è di gran lunga più efficiente rispetto alle economie paleolitiche di caccia-raccolta e tale efficienza si è ulteriormente accresciuta negli ultimi decenni, tant’è vero che alla fine della seconda guerra mondiale un agricoltore nutriva 10 persone mentre oggi ne nutre 140 (Federal Ministry of food and agriculture of Germany, 2020). 
In senso ecologico l’agricoltura può essere intesa come una simbiosi mutualistica fra l’uomo da una parte e animali domestici e piante coltivate dall’altra. Come in tutte le simbiosi mutualistiche, i simbionti subiscono profonde modifiche morfologie e fisiologiche. Per comprendere tale aspetto si consideri ad esempio che:
  • gli esseri umani presentano una tolleranza al lattosio (mutazione sopravvenuta dopo che l’allevamento rese disponibile il latte) e una tolleranza a diete ricche di amidi (mutazione sopravvenuta quando l’agricoltura intensificò la presenza nelle diete di alimenti molto ricchi di amidi come i cereali).
  • piante e animali domestici presentano enormi differenze morfologiche rispetto ai progenitori selvatici. A titolo di esempio si ricordi la differenza fra mais coltivato (spighe con varie centinaia di cariossidi facilmente accessibili) e il progenitore selvatico teosinte (spighe con poche cariossidi racchiuse in un guscio lignino-cellolosico). Tale differenza si traduce peraltro le varietà di mais coltivato non sono più in grado di riprodursi senza l’intervento dell’uomo. 

2. AGRICOLTURA CONTADINA

 2.1 Un concetto desueto e ambiguo

Il termine “contadino” risale probabilmente al basso Medioevo allorché il contado (dal latino comitatus) indicava l’area rurale su cui si esercitava la podestà comunale. Se dunque nelle altre aree si praticavano le attività secondarie e terziarie, nel contado si svolgeva l'attività primaria volta a produrre beni per l'autoconsumo del contadino e per rifornire di alimenti e beni di consumo l'agglomerato urbano (si pensi ad esempio al fieno per gli equini, a quei tempi protagonisti  incontrastati del sistema dei trasporti).

Particolare del contado ne "L’Allegoria ed Effetti del Buono e del Cattivo Governo" di Ambrogio Lorenzetti (Siena 1290 – Siena 1348).

Si noti anche che il termine contadino, come quello di operaio, artigiano, professionista, industriale, insegnante, e molti altri ancora, indica l’appartenenza ad un ceto sociale ovvero ad una “categoria di cittadini caratterizzata da una particolare condizione sociale e civile, talvolta da peculiari credenze e comportamenti, dal tipo di disponibilità economica, più spesso dall’attività che svolge” (https://www.treccani.it/vocabolario/ceto1/). Lo status di contadino, rispetto agli altri citati come esempio, è però a nostro avviso da ritenersi superato dall'evoluzione sociale ed economica dei paesi europei. Il ceto contadino si forma infatti nell'Europa basso medievale per perdurare per circa un millennio e perdere di identità nel XIX secolo, proprio in seguito alle politiche praticate dalle nazioni europee per emancipare il ceto contadino in quello degli “agricoltori”, figura imprenditoriale e professionale assimilabile a quello dei “farmers” americani (Rösener, 2008). 
La genesi del ceto contadino è dunque legata a una società profondamente diversa dall’attuale e che si caratterizzava per:
  1. forma di governo della Signoria fondiaria (laica o religiosa)
  2. regime fondiario dominicale con forti vincoli del dominus sulle scelte colturali
  3. ordinamento comunitario dei villaggi
  4. produzione del manso contadino per autoconsumo e vendita dei surplus (quando disponibili)
  5. integrazione delle risorse attraverso gli usi civici di godimento collettivo della terra (legnatico, pascolo, raccolta di fieno, erbe, castagne, ghiande, pesca fluviale, sfruttamento di cave di sabbia, ghiaia, pietre, salgemma).

Dall’analisi del temine “contadino” proposta al sito Lo Stato dei Luoghi si nota un utilizzo del termine come sinonimo di agricoltore e dunque decontestualizzato rispetto alla collocazione al passato che ne abbiamo fin qui fatto, il che ci da modo di cogliere tutta l'ambiguità del termine. D'altronde come fa notare Werner Heisenberg in Fisica e filosofia “Il linguaggio si è formato in epoche preistoriche come mezzo di comunicazione fra gli esseri umani e come base per pensare. Sappiamo poco dei vari passaggi della sua formazione ma il linguaggio contiene ora un gran numero di concetti che sono uno strumento adatto per una comunicazione più o meno ambigua. […] Questa intrinseca incertezza del significato delle parole comporta la necessità di definizioni che stabiliscano i confini all’utilizzo di un certo termine.”. Le parole di Heisenberg chiariscono il senso dell’operazione da noi fatta in questo paragrafo e che ha posto in luce quanto di anacronistico e di ambiguo vi sia nel termine “contadino”. La nostra definizione trova peraltro conforto nella definizione di “peasant” (traduzione fedele del termine “contadino” in inglese) riportata nel dizionario Cambridge:

Peasant: a person who owns or rents a small piece of land and grows crops, keeps animals, etc. on it, especially one who has a low income, very little education, and a low social position. This is usually used of someone who lived in the past or of someone in a poor country.

2.2 Il Parlamento italiano e l’agricoltura contadina

Quanto di anacronistico e ambiguo vi è nel termine “contadino” non ha impedito alla Camera dei Deputati di approvare il 20 maggio scorso un disegno di legge a sostegno dell’agricoltura contadina (qui) e di cui riportiamo un breve brano.

1. Ai sensi della presente legge sono definite « aziende agricole contadine » le aziende agricole che posseggono tutti i seguenti requisiti:

a) sono condotte direttamente dal titolare, dai familiari, anche nella forma di società semplice agricola o società di persone, o dai soci di una cooperativa costituita esclusivamente da soci lavoratori, attraverso il loro apporto di lavoro prevalente sia con riguardo al tempo dedicato alla produzione contadina sia con riguardo all’eventuale collaborazione di lavoratori stagionali o di dipendenti fissi;

b) praticano modelli di produzione agroecologici favorendo la biodiversità animale e vegetale, la diversificazione e gli avvicendamenti colturali, le tecniche di allevamento attraverso l’utilizzo prevalente o parziale della pratica del pascolo o, in caso di impossibilità del pascolo, mantenendo elevati livelli di benessere degli animali, in conformità alle Linee guida volontarie sulla gestione responsabile della terra, dei territori di pesca e delle foreste e ai Dieci elementi dell’agroecologia, e curano il mantenimento delle varietà vegetali e animali locali nonché delle relative tecniche di coltivazione e di allevamento;

c) favoriscono la tutela e la conservazione del territorio nei suoi aspetti ambientali e paesaggistici fondamentali, sostenendo la manutenzione idrogeologica e il ripristino dell’ambiente e dei paesaggi originari;

d) trasformano le materie prime prodotte nell’azienda, anche con strumenti, prodotti e metodologie tradizionali di uso locale, senza effettuare lavorazioni in serie prevalentemente automatizzate, privilegiando forme di economia solidale e partecipata;

e) producono limitate quantità di beni agricoli e alimentari, ivi compresi i prodotti del bosco, destinati al consumo immediato e alla vendita diretta ai consumatori finali ai sensi dell’articolo 4 del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228;

f) rientrano nella disciplina del coltivatore diretto, come definito dall’articolo 2083 del codice civile, o delle forme associative o cooperative.

Il disegno di legge recita inoltre che:

2. Sono definiti « agricoltori contadini » i proprietari o i conduttori di terreni agricoli che esercitano su di essi attività agricola non in via principale, secondo le modalità e i princìpi previsti dalle lettere b) e d) del comma 1 del presente articolo.

Quel che colpisce del suddetto articolato è l’assenza di elementi quantitativi atti ad individuare con chiarezza le aziende che rispondono ai requisiti di legge, il che ne renderà a nostro avviso ardua un’applicazione non arbitraria.

Colpisce inoltre il fatto che l’articolato proponga l’agricoltura contadina come protagonista di un progetto volto alla tutela della biodiversità agraria, dei paesaggi agrari della tradizione, e delle tecniche di trasformazione dei prodotti. Circa tali scopi  occorre rimarcare che i “contadini” del passato erano esecutori passivi di progetti di pianificazione territoriale e colturale voluti dalle signorie e dalle parti padronali, progetti che i “contadini” subivano percependoli come inevitabili e ingiuste imposizioni dalle quali affrancarsi con la fantasia (il Paese della Cuccagna) e con la ribellione individuale (leggenda di Robin Hood) o collettiva (le sanguinosissime rivolte contadine dal XVI al XVIII secolo). 
Si noti altresì che il disegno di legge prevede che le aziende contadine debbano favorire “la tutela e la conservazione del territorio nei suoi aspetti ambientali e paesaggistici fondamentali, sostenendo la manutenzione idrogeologica e il ripristino dell'ambiente e dei paesaggi originari”. Si tratta di una prescrizione rispetto alla quale un’azienda “contadina”, che per definizione non può che essere di piccola dimensione, è totalmente impotente. Infatti le sistemazioni idraulico agrarie tradizionali sono frutto di imprese di bonifica, disboscamento, modellamento del suolo, sviluppo di reti di canalizzazioni irrigue e di drenaggio di vaste aree territoriali, che sono state realizzate a scala comprensoriale, per volontà di autorità politiche e fondiarie che hanno preceduto l’appoderamento delle aziende contadine. Le singole aziende possono fare poco o nulla per la gestione territoriale, di norma  affidata a consorzi, spesso obbligatori, di bonifica e di irrigazione (Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2019), per cui appare del tutto velleitario immaginare che la singola azienda contadina (magari circondata da  aziende “convenzionali” o posta ai margini di aree urbane che sconvolgono gli assetti territoriali rurali mandando in crisi viabilità interpoderale, sistemazioni idraulico agrarie e reti irrigue) possa assumersi la responsabilità, tecnica ed economica, della gestione territoriale, e quindi anche ambientale, che non può che essere a scala di interi comprensori agrari. 
Spostandosi poi dall’ambito territoriale a quello aziendale non possiamo fare a meno di considerare che fino a 70 anni orsono lo sgrondo delle acque era garantito da sistemazioni idraulico-agrarie aziendali tradizionali: piantata, cavalletto, cavino ecc. nelle aziende di pianura e ritocchino, girapoggio, cavalcapoggio, spina, terrazze e gradoni in quelle di collina. Tali sistemazioni richiedevano una manutenzione annuale che implicava enormi impieghi di manodopera neppure immaginabili al giorno d’oggi, a meno di non voler costruire, a vantaggio del godimento estetico del cittadino, delle “riserve indiane” degne del “Mondo nuovo” di Aldous Huxley e nelle quali obbligare al lavoro manuale forzato popolazioni che da decenni hanno affidato alle macchine (e dunque alle “ lavorazioni in serie prevalentemente automatizzate” che la legge pretende di di vietare) il proprio riscatto da condizioni di vita che solo chi non le ha vissute può vagheggiare e rimpiangere. 
Stupisce che una legge con tanti elementi critici sia stata approvata dalla Camera in pratica all’unanimità (360 voti favorevoli, 18 astenuti e nessun contrario su 378 votanti). Un simile livello di consenso conferma la siderale lontananza del mondo politico dalle reali esigenze del settore agricolo nazionale, che rispetto ai concorrenti europei e mondiali soffre da decenni di deficit di innovazione tecnologica cui si aggiunge la diffusa carenza nei servizi tipica delle aree rurali. A fronte di ciò si approva una legge che incentiva ed erge a paradigma l'agricoltura di sussistenza, la stessa dalla quale fra gli anni '50 e gli anni '70 del XX secolo sono fuggiti a gambe levate verso le città milioni di nostri concittadini, stanchi di fame, freddo e fatica. Stupisce anche che il concetto di "agricoltura contadina" sia stata di recente oggetto di interesse da parte della FAO e delle stesse Nazioni Unite, che hanno approvato una dichiarazione specifica a livello di Assemblea Generale.  Da parte nostra ribadiamo che l’unico modo per far si che gli agricoltori rimangano sulla terra e vi prosperino apportando benefici all'intera comunità è quello di valorizzarne la vocazione imprenditoriale, un tema su cui scrisse parole memorabili Luigi Einaudi nel suo saggio del 1948 “Esiste una frontiera?”² che oggi la Fondazione Einaudi rende disponibile al sito https://www.luigieinaudi.it/doc/esiste-una-frontiera/. Chissà se i nostri Parlamentari hanno mai letto queste pagine einaudiane? A giudicare da come votano c’è da pensare di no. 

2.3 Un’ulteriore definizione di agricoltura contadina

Segnaliamo inoltre la voce “peasant farming” ossia “agricoltura contadina” (Esteve et al., 2019). Tale voce ci presenta l’agricoltura contadina come un modo di produzione agricolo definito da dieci regole fra cui la ricerca dell'autosufficienza in tutte le operazioni aziendali, il rispetto dell'ambiente circostante (comprese le comunità locali) e il risparmio di risorse scarse come gas e acqua. Contrariamente al modello agricolo industriale, l'agricoltura contadina è condotta come un progetto politico, in cui ci si propone di creare un sistema agricolo alternativo ad alta intensità di manodopera, scarsa meccanizzazione, ridotte dimensioni aziendali, merci vendute in sistemi alimentari locali che mirano all'autosufficienza all'interno del territorio, ricorso a specie animali e vegetali locali e a sementi autoprodotte, uso di pratiche e competenze tradizionali. Conservazione dell’ambiente, sostenibilità, richiamo ai concetti dell’agroecologia, sviluppo della solidarietà degli attori rurali e aspirazione alla redditività economica delle produzioni.

Anche in questo caso si nota una definizione priva di riferimenti quantitativi, il che ne limita in modo sensibile l’applicabilità a casi reali. Colpisce inoltre il fatto che l’agricoltura venga intesa come “progetto politico” il che dal nostro punto di vista appare quantomeno velleitario, nel senso che nessun settore economico (energia, industria manifatturiera, sanità, trasporti, ecc. ecc.) oserebbe oggi porsi in una tale prospettiva. Assai più concretamente pensiamo che l’agricoltura abbia un ruolo essenziale per garantire negli approvvigionamenti di cibo e beni di consumo e che è importante che tale ruolo le sia riconosciuto.

3. PICCOLA AGRICOLTURA

 
In questo caso abbiamo un concetto ben definito sul piano quantitativo. Infatti secondo la FAO (Lowder et al., 2014) dei 570 milioni di aziende presenti al mondo, 475 milioni hanno superficie inferiore ai 2 ettari. Con riferimento a tali aziende occorre segnalare il recente lavoro scientifico di Ricciardi et al (2018) il quale evidenzia che esse occupano il 24% della superficie agraria lorda mondiale e producono il 28-31% della produzione agricola mondiale, destituendo pertanto di fondamento l’idea che esse producano il 70-80%, un valore abnorme che Ricciardi et al. (2018)  attribuiscono a FAO (2014), ETC group (2009) e Maass Wolferson (2013).

4. AGRICOLTURA SOSTENIBILE

Quello di sostenibilità è un concetto complesso che coinvolge aspetti sociali, economici e ambientali. A fronte di ciò colpisce l’idea oggi molto diffusa secondo cui l’agricoltura biologica (in inglese “organic farming”) sarebbe sostenibile per definizione. Tale preconcetto traspare dalla stessa definizione di agricoltura biologica che offre l’Unione Europea secondo la quale “l'agricoltura biologica è un metodo agricolo che mira a produrre cibo utilizzando sostanze e processi naturali. Ciò significa che l'agricoltura biologica tende ad avere un impatto ambientale limitato in quanto incoraggia l’uso responsabile dell'energia e delle risorse naturali, il mantenimento della biodiversità, la conservazione degli equilibri ecologici regionali, il miglioramento della fertilità del suolo e il mantenimento della qualità dell'acqua. Inoltre le regole dell'agricoltura biologica incoraggiano un elevato standard di benessere degli animali e richiedono agli allevatori di soddisfare le esigenze comportamentali specifiche degli animali.”

 
Occorre domandarsi se tali elementi reggono ad una analisi critica e se il biologico sul piano della sostenibilità (economica, sociale e ambientale) sia oggi un’alternativa credibile rispetto all’agricoltura convenzionale, che oggi produce oltre il 99% del cibo globalmente consumato.
E’ anzitutto chiaro che la sostenibilità di un processo produttivo debba essere valutata alla luce dell’impatto ambientale per unità di prodotto e su questo una vasta bibliografia evidenzia la minor sostenibilità dell’agricoltura biologico rispetto a quella convenzionale. Limitandoci ai gas ad effetto serra, le emissioni espresse in kg di CO₂ equivalenti per kg di sostanza secca prodotta sono di 0.20 per il frumento tenero convenzionale contro 0.35 per il biologico (+75%), di 0.32 per il pisello convenzionale contro 0.50 per il biologico (+56%) (Searchinger et al., 2018) e di 0.75 per il riso convenzionale contro i 3.27 per il riso biologico (+335%) (Bacenetti et al., 2016).
Crediamo però che l’elemento chiave per dirimere la questione della sostenibilità del biologico con argomentazioni di immediata comprensibilità risieda nella sostanziale inefficienza dell’agricoltura biologica, la quale presenta cali di resa rispetto all’agricoltura convenzionale che vanno dal 20 al 70% a secondo della coltura. All’origine di tali cali di resa sono in primis l’insufficiente nutrizione delle piante coltivate e nella poco efficace difesa da parassiti, patogeni e malerbe, il che discende dal rifiuto preconcetto della chimica di sintesi nel settore dei concimi e dei fitofarmaci (ammesso e non concesso che possano definirsi non di sintesi alcuni fitofarmaci ammessi in biologico come il solfato di rame di origine industriale o lo zolfo, frutto della desolforazione dei derivati del petrolio).
Un esempio emblematico dei cali di resa propri del biologico è dato dalla coltura del frumento tenero in Francia, primo produttore europeo con 30 milioni di tonnellate contro i 7 dell’Italia e che nel periodo 2008-2018 (Academie d’Agriculture, 2021) ha presentato per la produzione bio una media produttiva di 29 q/ha e cioè il 40% rispetto all’agricoltura convenzionale che ha prodotto 71 q/ha. E qui si badi che se si produce il 40%: (a) i prezzi al consumatore saranno forzatamente assai più elevati (basta guardare i prezzi sui banchi di vendita per cogliere l’insostenibilità sociale di agricolture bio, che nonostante i sempre più rilevanti contributi pubblici scaricano sul consumatore gran parte della propria inefficienza) (b) si dovrà usare una superficie terriera 2,5 volte più ampia per ottenere la stessa quantità di prodotto, il che rende il bio insostenibile su piano ecologico in quanto la sua espansione (peraltro prevista dalla nuova politica europea Farm to fork) porterà inevitabilmente alla distruzione di praterie naturali e foreste, magari non in Europa ma nel resto del mondo e cioè nei Paesi che saranno chiamati a nutrire noi europei, rifornendoci di quanto non saremo più in grado di produrre.
Venendo poi al contributo dell’agricoltura biologica alla sicurezza alimentare globale, si deve osservare che le aziende biologiche occupano l'1,5 % della superficie agricola il che porta a dedurre che le aziende bio producano meno dell'1% del cibo globalmente prodotto, visto che producono poco e male.  
E’ chiaro a tutti noi che in paese libero l’imprenditore agricolo possa esercitare l’agricoltura nel modo in cui crede, a condizione di rispettare le leggi e di offrire al consumatori prodotti conformi a quanto previsti dai disciplinari di produzione. E’ altresì chiaro che stante la richiesta del mercato l’agricoltura biologica possa trovare spazio soprattutto in aree marginali, nelle quali la produttività è comunque bassa e i sussidi pubblici possono rendere economicamente sostenibile l’attività agricola. Ciò nondimeno le pubbliche autorità dovrebbero porsi i problemi di sicurezza alimentare e di sostenibilità che l’espansione dell’agricoltura bio farà inevitabilmente esplodere e che i governanti europei ed italiani mostrano di ignorare nel modo più assoluto.
 
 
Il mais dal campo alla tavola a Kaengesa in Tanzania. Foto: don Vutakamba Michael, 2021.

 

Come conclusione di questo paragrafo ci preme segnalare che nel 2050 la popolazione mondiale supererà i 10 miliardi i abitanti e, a fonte di una tale realtà, l’agricoltura sarà chiamata a garantire sicurezza alimentare incrementando in modo sostanziale le rese per unità di superficie sugli 1,4 miliardi di ettari di arativi oggi disponibili e che non si prevede di incrementare significativamente in futuro. Tale incremento di resa potrà risultare sostenibile solo a condizione di porre in atto un efficace processo di innovazione basato sull’adozione delle migliori tecnologie nei campi della genetica e delle tecniche colturali. I Governi dovrebbero a nostro avviso fare di tutto per assecondare tale processo, smettendola di propugnare irrealistici ritorni al passato che in nessun altro settore economico (edilizia, trasporti, energia, ecc.) si avrebbe il coraggio di proporre.

5. AGRICOLTURA FAMILIARE

Scrive la FAO che quelle a conduzione familiare rappresentano oltre il 90 percento di tutte le aziende agricole mondiali e producono circa l'80 percento - in termini di valore - del cibo consumato al mondo. Più nello specifico Lowder et al. (2014) affermano che dei 570 milioni di aziende presenti al mondo circa 500 milioni sono classificate come familiari.

Si noti inoltre che “azienda familiare” non coincide spesso con “piccola azienda”, in quanto le superfici vanno da decine a centinaia e a volte a migliaia di ettari.
Ad esempio nel caso della Francia in mezzo secolo (dal 1951 al 2000) la popolazione è aumentata del 42% e sono raddoppiati i consumi. Tuttavia il dato più interessante è che nel 1960 la Francia importava il doppio di ciò che esportava, mentre a fine secolo le esportazioni superavano del 40% le importazioni. In assoluto l’eccedente esportato era di 50 miliardi di franchi ogni anno. Tutto ciò è avvenuto senza che l’attività agricola perdesse la sua caratteristica familiare, con il capo dell’impresa che fornisce almeno il 50% del lavoro, cifra che sale all’80% grazie al contributo degli altri famigliari. In termini di UTA ciò corrisponde a 965.000 unità di lavoro annuale, cioè 1/3 meno di ciò che si aveva alla fine degli anni ’50. In concomitanza con tale exploit vi è stato un aumento della superficie aziendale media (giunta oggi a 100 ettari in Francia, contro ad esempio i 200 ettari degli USA e i 10 dell’Italia) e lo sviluppo della meccanizzazione.

6. AGRICOLTURA INDUSTRIALE

Nel capitolo precedente abbiamo evidenziato l’insostenibilità ambientale dell’agricoltura biologica. E’ curioso che l’accusa di insostenibilità venga invece rivolta da molti movimenti ecologistici all’agricoltura industriale, da intendere come agricoltura  intensiva e che utilizza in modo razionale i  mezzi tecnici al fine di ottenere rese elevate e costanti in quantità e qualità (meccanizzazione e motorizzazione, concimi di sintesi, fitofarmaci, ecc.). Al riguardo si rifletta sul fatto che è proprio grazie all’avvento dell’agricoltura industriale che la superficie agricola italiana si è concentrata nelle aree piè vocate consentendo al bosco di espandersi in modo rilevantissimo, passando da 4,5 milioni di ettari del 1910 agli oltre 11 milioni di ettari odierni, con enormi vantaggi in termini di biodiversità negli areali collinari e montani.

E’ l’agricoltura industriale che oggi nutre il mondo e che sta evolvendo verso una sempre maggiore sostenibilità grazie anche al massiccio impiego dell’innovazione genetica basata sull’innovazione genetica (OGM e genome editing), la difesa integrata, l’agricoltura di precisione modelli che consentono di ottimizzare l’impiego dei mezzi tecnici (acqua, concimi, fitofarmaci, ecc.). In tal senso una quota elevata dell’agricoltura familiare è industriale.

7. RIFLESSIONI CONCLUSIVE

Il proliferare di aggettivi accostati alla parola agricoltura crea inevitabilmente parecchia confusione. Qualcosa di simile è accaduto negli ultimi anni alla medicina che ha visto contrapporre alla medicina impropriamente qualificata come “ufficiale” una pletora di medicine “complementari o alternative” dai nomi suadenti. Tali contrapposizioni hanno però, a nostro parere poco senso. L’unica distinzione sensata è infatti quella tra pratiche mediche che hanno dimostrato la propria efficacia e quelle che invece non l’hanno mai dimostrata. Lo stesso riteniamo che valga per l’agricoltura. Esiste un’agricoltura razionale, fondata su solide basi scientifiche, la cui efficacia (in qualità dei prodotti, resa e sostenibilità) è dimostrata e altre agricolture la cui definizione, al pari della loro efficacia, è vaga e incerta. Le espressioni formate dal termine agricoltura + qualche altro aggettivo, appaiono sicuramente accattivanti ma  sembrano nascondere in realtà una scarsità di idee. E, ci venga concesso, ricordano espressioni vuote come la famosa virtus dormitiva, attribuita all’oppio, di molièriana memoria. In ambito scientifico, come noto, occorre introdurre definizioni operative. In altre parole ogni nuovo concetto o grandezza che vengono introdotti devono contenere in sé le indicazioni pratiche per misurarli. Le molte “agricolture+aggettivo” non sembrano soddisfare questo requisito fondamentale  e appaiono un flatus vocis di cui francamente non si sente affatto la necessità.

In questa terminologia confusa e non normata possono, tra l’altro, fare cherry picking coloro che, con un rozzo gioco di prestigio, danno ad intendere a noi e all'ignaro lettore che il bio produca il 70% del cibo a livello globale. Pertanto è oggi più che mai necessario sollecitare i nostri legislatori a utilizzare un approccio quantitativo ai problemi, l’unico che possa davvero incidere in modo positivo sulla realtà.
 
 
 

¹Ci segnala Francesco Marino che La frase le agricolture biologiche e contadine … attualmente nutrono il 70% della popolazione mondiale” è anche riportata nel libro di Vandana Shiva e Lionel Astruc " La terra ha i suoi diritti. La mia lotta di donna per un mondo più giusto”. Edizione Corriere della Sera, 2020.

²Il saggio di Einaudi fu scritto come prefazione al libro dell’imprenditore agricolo inglese George Henderson “L’ascesa al possesso della terra”, Edizioni agricole, Bologna, 1955 (traduzione di Giuseppe Medici).

 

 

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2019. Bonifiche e irrigazione, Catalogo della mostra, Biblioteca centrale di Agraria “Gabriele Goidanich”, a cura di Federica Rossi e Francesco Casadei, http://amsacta.unibo.it/6238/1/Catalogo_mostra_bonifiche_irrigazione.pdf

Academie d’Agriculture, 2021. Le rendement moyen national du blé tendre d’hiver France 1998-2018, https://www.academie-agriculture.fr/sites/default/files/publications/encyclopedie/01.06.r03_ble_tendre_hiver_rendt_ab_et_moyenne.pdf

Bacenetti J., Fusi A., Negri M., Bocchi S., Fiala M., 2016. Organic production systems: Sustainability assessment of rice in Italy, Agriculture, Ecosystems and Environment, 225 (2016), 33–44.

Einaudi L., 1948. Esiste una frontiera? In Lo scrittoio del Presidente (1948-1955), Einaudi, Torino, 1956, pp. 520-550 8 (https://www.luigieinaudi.it/doc/esiste-una-frontiera/).

Esteve G., Herve M., Giuliano S., 2019. Peasant farming : Definition. Dictionnaire d'Agroecologiehttps://dicoagroecologie.fr/en/encyclopedia/peasant-farming/

ETC -group, 2009. Who Will Feed Us? Questions for the Food and Climate Crises.

FAO, 2014. The State of Food and Agriculture 2014: Innovation in Family Farming Food and Agriculture Organization of the United Nations.

Federal Ministry of food and agriculture of Germany, 2020. Understanding Farming Facts and figures about German farming, Facts and figures about German farming (https://www.bmel.de/SharedDocs/Downloads/EN/Publications/UnderstandingFarming.pdf?__blob=publicationFile)

Lowder, S.K., Skoet, J. and Singh, S. 2014. What do we really know about the number and distribution of farms and family farms worldwide? Background paper for The State of Food and Agriculture 2014. ESA Working Paper No. 14-02. Rome, FAO (http://www.fao.org/docrep/019/i3729e/i3729e.pdf).

Maas Wolfenson, K.D., 2013. Coping with the food and agriculture challenge: small-holders' agenda. In: Proceedings of the 2012 United Nations Conference on Sustainable Development. 47.

Ricciardi V. et al., 2018. How much of the world's food do smallholders produce?, Global Food Security 17 (2018) 64–72

Rösener W. 2008 I contadini nella storia d'Europa. Laterza, p. 346

Searchinger R.D., Wirsenius S., Beringer T., Dumas P., 2018. Assessing the efficiency of changes in land use for mitigating climate change, Nature, Vol. 564, pp. 249–253.

Shiva V., Astruc L., " La terra ha i suoi diritti. La mia lotta di donna per un mondo più giusto”, EMI, 207 pp.

 

 

 

LUIGI MARIANI
Agronomo libero professionista con lunga esperienza nella modellazione matematica dell’agroecosistema. Direttore del Museo Lombardo di Storia dell’Agricoltura e vicepresidente della Società Agraria di Lombardia, attualmente insegna Agronomia all’Università degli studi di Brescia e Storia dell’Agricoltura all’Università degli Studi di Milano, dopo essere stato a lungo docente di Agrometeorologia.


 

ALBERTO GUIDORZI
Agronomo. Diplomato all'Istituto Tecnico Agrario di Remedello (BS) e laureato in Scienze Agrarie presso l'UCSC Piacenza. Ha lavorato per tre anni per la nota azienda sementiera francese Florimond Desprez come aiuto miglioratore genetico di specie agrarie interessanti l'Italia. Successivamente ne è diventato il rappresentante esclusivo per Italia; incarico che ha svolto per 40 anni accumulando così conoscenze sia dell'agricoltura francese che italiana.

  



SILVANO FUSO

Dottore di ricerca in scienze chimiche, è docente di chimica e si occupa di didattica e divulgazione. Collabora con diverse riviste e siti Internet e ha pubblicato numerosi saggi, tra cui: Naturale = buono? (2016), Energie misteriose (2016), Le ragioni della scienza(2017), Strafalcioni da Nobel (2018), L’alfa-beto della materia (2019). È Socio effettivo del CICAP (Comitato Italiano per il Controllo delle Afferma-zioni sulle Pseudoscienze), della Società Italiana per il Progresso delle Scienze, della Società Chimica Italiana.
 
 
 
 
OSVALDO FAILLA
Docente di Arboricoltura generale e coltivazioni arboree presso l’Università degli   studi   di   Milano.   E'   Presidente   del   Corso   di   Laurea   in   Viticoltura   ed   Enologia. Attualmente la sua attività di ricerca è rivolta soprattutto alle tematiche della fisiologia della maturazione  e  qualità  enologica  dell'uva  e  alla  caratterizzazione  e  conservazione  del germoplasma di vite


 


 

2 commenti:

  1. Della correttezza terminologica e della tentazione del suo (ab)uso c’è grande necessità di conoscenza.
    Non solo “agricoltura + aggettivo” ma “alimento + aggettivo” pare essere una tentazione irresistibile del marketing: free from, rich in, naturale, hanno colonizzato lo spazio disponibile sia della confezione sia dello scaffale.
    Un plauso agli estensori dell’articolo.
    gl mazzolari

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  2. "Rozzi giochi di prestigio" di termini defraudati alla SCIENZA: "L' ecologia come molti altri rami fondamentali della biologia, si occupa dei principi, cioè dei fondamenti comuni a tutte le forme di vita. La fisiologia, la genetica, l'embriologia (biologia dello sviluppo) e l'evoluzione sono esempi di altri rami fondamentali...Dunque l'ecologia è un ramo fondamentale della biologia". Ecologia di Eugene P. Odum.

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