Trattasi di come è stato condotto il processo agli insetticidi neonicotinoidi (neonics) ed alla conseguente decisione di messa al bando, soprattutto in assenza di opzioni sostitutive e migliorative e con la conseguenza di doverne usare altre peggiorative circa l’impatto ambientale.
di ALBERTO GUIDORZI
Questa classe di prodotti insetticidi sono entrati nell’uso agricolo nei primi anni ’90 del secolo scorso, essi sono stati introdotti per sostituire la classe degli esteri fosforici tossicologicamente e ambientalmente molto più impattanti. Una delle applicazioni dei neonics, che tra l’altro si è andata poi più diffondendo, è stato l’uso di questi nella concia delle sementi, vista appunto la loro citotropicità. La pratica ha offerto due opportunità: la prima relativa alle dosi che si sono drasticamente ridotte (70 g di p.a. per ettaro) e la seconda in merito all’attività prolungata nel proteggere le piante coltivate nei loro giovani stadi di vita, specialmente nelle semine in posto. Essi hanno anche un uso veterinario per la disinfestazione degli animali da compagnia che non è stato proibito, ma che comunque residui nell’ambiente vicino all’uomo ne rilasciano.
Concomitante all’introduzione dei neonics vi è stata in Francia una diminuzione della produzione di miele e quindi gli ambientalisti ne hanno approfittato per denunciare la correlazione, incolpando quasi esclusivamente i neonics di far morire le api. Si creò un acceso dibattito che ormai dura da 25 anni perché in realtà la produzione di miele è collegata ad una numerosa serie di fattori: moria delle api per malattie, per fame, per inverni molto freddi o per primavere ed estati tardive e piovose (il 2021 in Francia è stato disastroso da questo punto di vista) e infine da non trascurare il cambiamento del paesaggio agricolo imposto, comunque dal fatto che gli stessi che ora accusano l’agricoltura sono gli stessi che si sono visti riempire di cibo a sazietà( e perfino oltre) il piatto. A dimostrazione riportiamo il risultato di un sondaggio presso gli apicoltori stessi circa le cause che secondo loro determinano la moria delle loro api.
Concomitante all’introduzione dei neonics vi è stata in Francia una diminuzione della produzione di miele e quindi gli ambientalisti ne hanno approfittato per denunciare la correlazione, incolpando quasi esclusivamente i neonics di far morire le api. Si creò un acceso dibattito che ormai dura da 25 anni perché in realtà la produzione di miele è collegata ad una numerosa serie di fattori: moria delle api per malattie, per fame, per inverni molto freddi o per primavere ed estati tardive e piovose (il 2021 in Francia è stato disastroso da questo punto di vista) e infine da non trascurare il cambiamento del paesaggio agricolo imposto, comunque dal fatto che gli stessi che ora accusano l’agricoltura sono gli stessi che si sono visti riempire di cibo a sazietà( e perfino oltre) il piatto. A dimostrazione riportiamo il risultato di un sondaggio presso gli apicoltori stessi circa le cause che secondo loro determinano la moria delle loro api.
Comunque sia, la situazione mondiale attuale delle api è questa (fonte FAO):
- a partire dal 1960 nel mondo le api sono aumentate del 45%;
- i maggiori aumenti sono avvenuti in Asia e Africa;
- sono stabili in America del Nord e in leggero aumento in America del Sud;
- sono precipitate invece in Europa come continente per poi stabilizzarsi, però ciò è avvenuto a cavallo dei decenni 80/90 del secolo scorso e per una ragione ben precisa e di natura socio-politica; nel senso che l’attività apicola nei paesi sotto l’influenza dell’URSS era un’attività economica libera e molti vi si dedicavano per arrotondare le entrate famigliari, ma con la caduta del Muro di Berlino molti hanno preferito dismettere l’attività.
Nel 2010 uno studio simile si fece in Germania. Si analizzarono 120 alveari per 4 anni consecutivi e si riscontrò che la Varroa (una fisiopatia delle api dovuta ad un acaro) era causa di notevole mortalità delle api, mentre nessuna chiara relazione fu messa in luce tra uso corretto dei pesticidi neonics e questa mortalità. Notare che a quei tempi in Germania il colza (pianta mellifera) era tutto irrorato (in periodi di non volo delle api) con trattamenti di pieno campo con neonics.
Successivamente vi fu il rapporto INRA 2014 che affermò che la mortalità delle api era dovuta principalmente a patogeni e predatori in particolare, poi certe categorie di pesticidi (agricoli e veterinari), ma senz’altra ulteriore precisazione, ed infine i fattori ambientali potevano privare le api di un’alimentazione costante e di qualità.
Infine, sempre nel 2014, sono intervenuti gli americani perché il presidente Obama impose tassativamente che la ricerca gli dicesse una volta per tutte se il declino delle api era dovuto agli insetticidi neonics o ad altre cause. Il responso fu che la Varroa era di gran lunga il più importante distruttore di api e che i neonicotinoidi, se utilizzati conformemente alle istruzioni, presentavano pochi rischi per le api. Inoltre si precisò che tutti gli studi analizzati che affermavano che i neonics nuocevano alle api erano mal condotti e spesso, per stabilirlo nelle prove di laboratorio, implicavano dei sovradosaggi. Il problema dunque in USA è stato risolto definitivamente ed infatti i neonics qui hanno continuato e continuano ad essere usati.
Altro aspetto non meno importante è che per la legislazione europea qualsiasi insetticida nuovo di cui si proponga l’immissione in commercio è considerato a priori nocivo per le api quindi non se ne concede mai l’uso in fioritura delle piante e nel periodo di produzione degli essudati provocati dagli afidi che, non potendo digerire gli zuccheri assorbiti con la linfa, li rigettano e ciò costituisce la “melata” che le api raccolgono per formare appunto il “miele di melata”. Inoltre preliminarmente se ne deve sempre verificare sperimentalmente l’impatto sulle api per tutta la durata dei voli di queste. Esso viene verificato in tre ambienti: in laboratorio, in ambiente confinato sotto tunnel e in pieno campo. Se in laboratorio viene notata una qualche tossicità (parametri misurati: impatto su larve e api adulte, sulla loro sopravvivenza e sullo sviluppo della colonia) di quel principio attivo insetticida , subito si decide di non concedere l’immissione in commercio. Successivamente si passa alle prove in ambiente confinato (serra e tunnel) e come ultimo in pieno campo. Nei due ambienti sono misurati i seguenti parametri:
- mortalità delle api adulte,
- attività delle bottinatrici,
- sviluppo della covata in un ciclo completo,
- comportamento ed effetti di sub-letalità,
- forza della colonia, ossia il numero degli individui,
- salute della colonia e presenza di malattie,
- infine importanza dello stoccaggio di nettare e polline.
Vi è da dire che vi è un’abissale differenza in fatto di costi tra tutte queste verifiche; un conto è fare le prove in laboratorio o in ambiente confinato, un altro eseguirle in pieno campo, ossia in condizioni reali. In quest’ultimo caso i costi sono insopportabili per uno studio sperimentale. È per questo che in letteratura appaiono moltissimi prove di laboratorio e pochissime in pieno campo e tutte mai hanno dimostrato che i neonics avvelenano le api. Purtroppo però gli studi presi in considerazione sono stati solo quelli di laboratorio e di conseguenza ne è scaturita la proibizione all’uso dei tre neonics più usati in agricoltura. Lo studio che più ha influito è stato eseguito in Francia dall’INRAE mediante il ricorso di microchip applicati sul dorso delle api. In laboratorio si praticava un’alimentazione forzata una sola volta del giorno con una soluzione zuccherina contenente 1,34 nanogrammi/ape di Timethoxan. Successivamente le api così trattate sono state rilasciate all’esterno a distanze diverse (fino ad 1 km) dall’alveare e se ne è valutato il ritorno a quest’ultimo tramite appunto il segnale del microchip. Il risultato fu che ritornò all’alveare una minore percentuale di api che andava tra un -10% per quelle rilasciate a 500 m dall’alveare e un -30% per quelle rilasciate a 1000 metri. Furono subito sollevate delle eccezioni circa i risultati in quanto si era in presenza di un sovradosaggio e per di più continuativo ( infatti nella realtà non è detto che un’ape bottinatrice raccolga sempre polline e nettare su piante tratte con neonics). Ecco che allora fu ripetuta la prova da parte dell’ANSES (agenzia della sicurezza sanitaria) con un dosaggio ritenuto prossimo alle condizioni reali, vale a dire 0,59 nanogrammi/ape bottinatrice e con valutazioni dopo 11 ore di bottinatura. Gli alveari sono stati posti sia nelle vicinanze di un campo di colza trattato con neonics alle dosi di omologazione, che vicino a campi non trattati. Per inciso vi è da segnalare che l’INRAE aveva provato anche la dose di 0,5 nanogrammi e in questo caso non aveva notato alcun effetto sulle bottinatrici, ma i risultati non fecero notizia. L’esito della prova ANSES fu il seguente:
- vi erano più api operaie negli alveari situati vicino ai campi trattati che non in quelli prossimi ai campi non trattati, si ipotizzò una reazione dovuta al fatto che diminuendo le api bottinatrici vi fosse compensazione;
- comunque alla fine non si notò nessuna diminuzione di produzione di miele tra le due tesi, cioè tra zone protette e zone non protette.
In conclusione possiamo dire che i neonics hanno effetti tossici nelle condizioni di laboratorio, ma in condizioni di sovradosaggio, mentre non si notavano effetti tossici inaccettabili e differenze di comportamento quando si agiva in condizioni reali di campo. Visto dunque il “pareggio del confronto” cioè non fu trovata la “pistola fumante” si scelse di applicare il “principio di precauzione” e di proibire l’uso dei neonicotinoidi. L’applicazione del principio è ben evidente in quanto affermato dal responsabile europeo della valutazione: “ non possiamo escludere la possibilità di un rischio, ma non possiamo altresì affermare che vi sia un grande rischio” e quindi decidiamo di proibire i tre neonicotinoidi più utilizzati nell’EU. Così facendo però non hanno pensato che mettevano nelle peste gli agricoltori i quali comunque dovevano proteggere le loro coltivazioni. La scelta fu una sola, cioè il riuso di insetticidi dismessi perchè meno efficaci, ossia una soluzione che penalizzava sia agricoltori che api in quanto: i primi al posto di fare un solo trattamento insetticida ne facevano il doppio o il triplo, mentre le api erano messe più in pericolo a causa delle maggiori irrorazioni. Il caso più emblematico si ebbe in Francia nel 2020 con la barbabietola da zucchero il cui seme prima era trattato per il 90% con i neonics per difenderlo anche dagli afidi che trasmettevano un virus nefasto per la funzionalità del fogliame della pianta; qui un attacco precoce di afidi e senza una difesa adeguata comportò diminuzioni di produzione varianti tra un 30 ed un 70%, tanto che il governo dovette accettare che nel 2021 si ritornasse ad proteggere i seminativi con i neonics nella concia delle sementi e subito lo stesso 90% degli agricoltori seminò usando sementi conciate con neonics. Guarda caso il 2021 saccarifero è infatti ritornato annoverabile tra le annate con produzioni nella media dei quinquenni passati. Certo se si riuscisse a trovare varietà resistenti tanto meglio, solo che gli stessi che non vogliono i neonics sono anche quelli che non vogliono le applicazioni biotecnologiche sul genoma e quindi è un po’ un gatto che si morde la coda.
ALBERTO GUIDORZI
Agronomo. Diplomato all'Istituto Tecnico Agrario di
Remedello (BS) e laureato in Scienze Agrarie presso l'UCSC Piacenza. Ha
lavorato per tre anni per la nota azienda sementiera francese Florimond Desprez
come aiuto miglioratore genetico di specie agrarie interessanti l'Italia.
Successivamente ne è diventato il rappresentante esclusivo per Italia; incarico
che ha svolto per 40 anni accumulando così conoscenze sia dell'agricoltura
francese che italiana.
Come spesso accade, quando l'ambientalismo è di tipo ideologico e non razionale ottiene risultati opposti a quelli che si propone.
RispondiEliminaCredo che imidacloprid sia uno degli antiparassitari più utilizzati per cani e gatti e quindi parliamo anche di ambiente domestico. tra l'altro in vendita libera e senza prescrizione. Il che è tutto dire.
RispondiEliminaImidaclorid in concia è usato alla dose di 70/90 g ha. Dunque quasta quantità si disperde su uno volume di terreno pari ad un parallelepipedu di 1500 (0,15 x 100 x 100) ed in una vegetazione (caso della bietola) di 1200 q di massa vegetale. L'idacloprid che si da ai cani e gatti è invece a diretto contatto con la persona in quanto il cane ed il gatto viene baciato e accarexìzzato, inoltre essemdo animali che vivono in volumi limitati evidentemente i residui sono presenti in concentrazioni maggiori e più persistenti. Gli agricoltori sono degli avvelenatori, mentre gli amici degli animali sono dei "santi".
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