di GIANLUIGI MAZZOLARI
Grande è la confusione in tema di “biotici” ma la situazione non è affatto eccellente: dalla bocciatura, oramai decennale, da parte di EFSA, di tutti i claim salutistici sottoposti ad autorizzazione, le armi della comunicazione (quella desiderata) sono alquanto spuntate.
EFSA ha semplicemente ribadito che un alimento non è un farmaco e che, se ad un alimento si intendono attribuire effetti salutistici, gli stessi devono essere robustamente dimostrati.
Eppure ancora oggi si continua a recriminare su quel passaggio mancato e, anziché destinare energie (ricerca e sperimentazione) per colmare le manchevolezze evidenziate, ci si concentra su strategie comunicative più di comodo che efficaci, se non ambigue.
In ambito europeo l’Italia si è distinta per rapidità: è stata la più solerte, agli inizi del 2000, a dotarsi di “Linee guida sui probiotici” che fissano le condizioni per l’utilizzo di questo termine entro i confini nazionali e non solo, stante la libera circolazione delle merci.
Perché al lettore di Agrarian Sciences dovrebbero interessare le problematiche del corretto utilizzo del termine “Probiotico”? Se non altro per il coinvolgimento del settore dell’alimentazione animale ove, al termine “probiotico”, si fa frequentemente ricorso, pur in assenza di uno specifico riferimento normativo, per identificare l’utilizzo di microrganismi, sollevando interrogativi in tema di corretta comunicazione.
Dal punto di vista normativo i probiotici rappresentano una zona grigia
Non esistendo un quadro giuridico europeo che definisca la categoria dei probiotici o fornisca un contesto armonizzato per la loro vendita in Europa, prevale l’interpretazione che il termine “probiotico” è esso stesso un’indicazione sulla salute e come tale necessita, per essere utilizzato, di una specifica indicazione sulla salute autorizzata: ne consegue come, in assenza, sia problematico l’uso stesso in etichetta del termine “probiotico”.
Da tale stallo se ne è usciti fino ad ora grazie alle prese di posizione di Paesi come l’Italia ove per il MINSAL l’indicazione “per il riequilibrio della flora intestinale”, non risulta essere un claim sulla salute, dando quindi via libera all’ utilizzo del termine “Probiotico” sul territorio nazionale¹.
Il principio del riconoscimento reciproco e della libera circolazione delle merci in UE completano il quadro.
Una soluzione alternativa, da alcune parti evocata, sarebbe il riconoscimento di “Probiotico” quale “descrittore generico”, del tipo digestivo, tonico o caramella per la tosse. Va da sé come tale identificazione, qualora approvata, non apporterebbe adeguato contributo alla valorizzazione che il concetto di “Probiotico” merita.
E in alimentazione animale? La materia è saldamente regolamentata²¯³ collocando l’uso dei microrganismi vivi nella categoria degli “additivi zootecnici” quali promotori della digestione o stabilizzatori della flora intestinale.
Giova ricordare l’assenza di riferimenti normativi espliciti al termine “Probiotico”, assumendo conseguentemente, quando utilizzato in frasi del tipo “probiotici in alimentazione animale”, un valore puramente allusivo e non immune da criticità.
Da chiedersi se le prove sperimentali finalizzate al rilascio dell’autorizzazione quale additivo zootecnico soddisfano esaustivamente i criteri che conferiscono ai microrganismi lo status di “Probiotico”.
La cautela non parrebbe quindi sprecata nelle comunicazioni di marketing che attribuiscono la caratteristica di “Probiotico” ai microrganismi utilizzati in alimentazione animale, se non previa valutazione di congruità alla luce delle evidenze scientifiche e delle norme che dettano le prescrizioni applicative.
Considerato oltretutto come, in tema di comunicazione, la diligenza prescritta sia la medesima per i settori alimentare sia umano sia animale, intendendo per comunicazione non solo l’etichettatura ma qualunque informazione con qualunque mezzo divulgata.
In tema di percezione, “Probiotico” gode di elevato apprezzamento, insito peraltro nella sua etimologia, oltre che genericamente associato ai “cibi fermentati”
Infatti sempre più spesso la definizione di “alimento probiotico” viene erroneamente associata a quella di “cibo fermentato”, concetto che, pur trovando origine nella lunga tradizione di consumo di cibi fermentati con riscontri nutrizionali positivi (cfr. fermenti lattici), non trova conferma nel consenso scientifico.
La definizione di “cibi fermentati”⁴, distinguendo innanzitutto la fermentazione dal suo inverso microbiologico cioè il deterioramento degli alimenti, vale a non attribuire a questa tipologia di alimento proprietà che non possiede, unitamente alla definizione di cibi fermentati contenenti probiotici⁴ che presuppone certezza di composizione microbiologica e prove certe dei benefici apportati.
Consenso scientifico che applica ugual rigore nella valutazione nutrizionale e/o salutistica di uno yogurt anziché, ad esempio, di un trinciato, per il quale sembra non essere attuale la valutazione dei (potenziali) effetti benefici dei microrganismi vitali presenti e/o eventualmente inoculati.
Andando oltre, l’occasione è propizia per rendere merito alla ricerca scientifica per l’accelerazione impressa negli ultimi anni: su PubMed, la parola “Probiotics“ ritorna 3.471 risultati a partire dall’anno 2000 e 3.521 a partire dal 1960
Non può essere inoltre taciuta l’attualità e la percezione estremamente positiva che i “biotici” evocano e come la terminologia specifica si stia continuamente arricchendo di nuove definizioni.
A termini come microbiota e microbioma, eubiosi e disbiosi, probiotici, prebiotici, simbiotici si sono aggiunti postbiotici e paraprobiotici.
In ogni caso l’uso corretto dei termini, in qualunque contesto, è richiesto essere collegato a un beneficio dimostrato per la salute. Per l’alimentazione animale, ove non esiste un riferimento esplicito, il ricorso al “combinato disposto Food-Feed” appare appropriato.
Cosa comporta l’adozione dei nuovi termini postbiotici e paraprobiotici per l’alimentazione animale? Una opportunità di chiarezza.
Accettato come i termini siano sovrapponibili se non nelle accezioni dei rispettivi proponenti, accettato che per postbiotico pare intendersi “qualsiasi molecola o attività metabolica prodotta dal metabolismo dei probiotici capace di conferire effetti benefici all’ospite” ⁵, entrambi racchiudono il concetto che alcune delle proprietà attribuite ai microrganismi in forma vivente, in primis la risposta immune, sono prerogativa anche dai microrganismi nella forma non vivente.
Con innegabili vantaggi nei riguardi dell’emivita del ceppo, dell’infezione del consumatore per traslocazione batterica ⁶ e della movimentazione.
Gli stessi microrganismi ben identificati oppure in forma generica? Al quesito fanno capo le differenti definizioni. Fatto salvo l’obbligo di prudenza su l’adozione di terminologie emergenti e, come tali, in divenire, il termine paraprobiotico lascerebbe intendere trattarsi di un probiotico ucciso, quindi inattivato, postbiotico non necessariamente dovrebbe essere un ex probiotico⁷.
Andando ancora oltre e focalizzando l’attenzione sull’alimentazione animale, emerge quale attrazione potrebbero esercitare le nuove definizioni postbiotico e paraprobiotico
Per un settore ove l’utilizzo di biomasse esauste di fermentazioni agroalimentari è ben radicato (birra, etanolo, residui ligninsolfonati della cellulosa, ecc.), l’ipotesi di una loro riclassificazione merceologica potrebbe rappresentare un’opportunità oltre che una tentazione.
Classificare ad esempio un lievito da birreria quale postbiotico non sarebbe da escludere a priori, a condizione che, quel ceppo di lievito, in quelle condizioni di crescita, con quei parametri fisico-chimici-microbiologici, sottoposto a prove sperimentali di potenza statistica adeguata e di sufficiente sensibilità, dimostri di esercitare effetti benefici sulla specie bersaglio. Se no rimane un lievito da birreria.
Più realistica sembrerebbe la possibilità, per un ex probiotico, di diventare tout court paraprobiotico, almeno in base ai riscontri di vari lavori scientifici⁸¯⁹¯¹⁰¯¹¹.
Sempre in tema di lieviti, ad esempio, ai ceppi di Saccharomyces boulardii o di Kluyveromyces marxianus già riconosciuti probiotici dal MINSAL, qualora inattivati a causa o mediante processi di essiccazione ad alta temperatura ma non solo, sarebbero riconosciute ampie argomentazioni per sostenere la loro riclassificazione in postbiotici o paraprobiotici.
Che dire dell’interesse e delle aspettative inerenti un argomento che da millenario si trova proiettato al futuro? Con un nuovo bagaglio di conoscenze e, perché no, di tentazioni, ove la deontologia e la trasparenza non possono essere seconde ai Regolamenti?
Troppo importante è la nuova frontiera della “biotica” per non riversarvici tutte le attenzioni necessarie.
Soprattutto da parte del settore zootecnico, quello rispettoso delle green policies da un lato e della produttività dallo stesso lato.
È in tale scenario che non si sente il bisogno di travisare il senso della comunicazione, ancorché assecondata da fallanze normative, per inseguire vanti nel linguaggio del marketing a discapito della verità scientifica.
I nostri amici microrganismi ci chiedono più scienza e meno news, tanto più se fake!
***
Bibliografia e Note
https://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_1016_allegato.pdf
https://www.fao.org/documents/card/en/c/e6232d34-e38e-4b4c-9a45-70fa75f7da23/
https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32003R1831&from=EN
https://www.nature.com/articles/s41575-020-00390-5
https://www.recentiprogressi.it/archivio/2296/articoli/24682/
https://microbioma.it/gastroenterologia/traslocazione-batterica-intestinale-studio-rivela-ruolo-dei-recettori-per-la-lectina/
https://microbioma.it/mercato/che-cosa-sono-i-postbiotici-isapp-cerca-di-fare-un-po-di-chiarezza/
https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S1043452620300310?dgcid=rss_sd_all
https://isappscience.org/tag/postbiotic/
https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/20403231/
https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/21499799/
Definizione originaria di probiotico https://www.fao.org/3/a0512e/a0512e.pdf
Probiotics secondo International Scientific Association for Probiotics and Prebiotics https://isappscience.org/for-scientists/resources/probiotics/
Criteri per attribuire ai microrganismi lo status di probiotico:
. Deposito del ceppo in una collezione internazionale
. Caratterizzazione e Sicurezza del ceppo
. Adeguate quantità per favorire la colonizzazione dell’intestino
. Capacità di attraversare vivo il tratto gastrointestinale
. Capacità di colonizzare l’intestino
. Modulazione positiva della composizione del microbiota intestinale
. Capacità di apportare un beneficio alla salute dell’ospite
Gli alimenti fermentati sono definiti come alimenti prodotti attraverso la crescita microbica desiderata e le conversioni enzimatiche dei componenti alimentari.
I prodotti alimentari fermentati dovrebbero essere etichettati come "contenenti probiotici" solo quando vi sono prove che i loro componenti microbici vivi forniscono benefici per la salute e il contenuto microbiologico preciso è definito.
Microbiota e microbioma sono due termini spesso usati come sinonimi. Ma non lo sono. Nella maggior parte dei casi questo utilizzo “intercambiabile” non compromette la comprensione del testo, tuttavia è importante riflettere sulla profonda differenza di significato tra le due parole.
Microbiota si riferisce a una popolazione di microrganismi che colonizza un determinato luogo.
Microbioma invece indica la totalità del patrimonio genetico posseduto dal microbiota, cioè i geni
che quest’ultimo è in grado di esprimere.
Eubiosi e disbiosi: per “eubiosi” si intende l'equilibrio microbiotico nel nostro corpo, in armonia tra flora batterica intestinale ed organismo. Nel momento in cui questo corretto bilanciamento viene interrotto, ci troviamo in una condizione conosciuta come “disbiosi”.
Probiotici: microrganismi vivi che, quando somministrati in quantità adeguate, esercitano un effetto benefico sulla salute dell’ospite.
Per alimenti/integratori con probiotici si intendono quegli alimenti che contengono, in numero sufficientemente elevato, microrganismi probiotici vivi e attivi, in grado di raggiungere l'intestino, moltiplicarsi ed esercitare un'azione di equilibrio sulla microflora intestinale mediante colonizzazione diretta. Si tratta quindi di alimenti in grado di promuovere e migliorare le funzioni di equilibrio fisiologico dell'organismo attraverso un insieme di effetti aggiuntivi rispetto alle normali attività nutrizionali
Un prebiotico è un costituente degli alimenti non vitale che conferisce un beneficio alla salute mediante una modulazione del microbiota.
Simbiotico si intende la combinazione di Probiotici con Prebiotici.
Postbiotici sono “una preparazione di microrganismi inanimati e/o di loro componenti che conferiscono benefici per la salute all’ospite”; ovvero “qualsiasi molecola o attività metabolica prodotta dal metabolismo dei probiotici capace di conferire effetti benefici all’ospite”.
Parabrobiotici sono cellule o frazioni di cellule microbiche inattivate, capaci di generare una risposta biologica benefica.
Traslocazione batterica: meccanismo di interazione tra l’ospite e i suoi commensali che può sfociare in invasione di germi vitali e non, e di loro bioprodotti, attraverso la mucosa dell’intestino a linfonodi mesenterici, alla milza, al fegato, al peritoneo.
Della categoria «additivi zootecnici» fanno parte i seguenti gruppi funzionali:
a) promotori della digestione: sostanze che, se somministrate agli animali, aumentano la digeribilità della loro dieta agendo su determinate materie prime per mangimi;
b) stabilizzatori della flora intestinale: micro-organismi o altre sostanze chimicamente definite che, se somministrati agli animali, esercitano un effetto positivo sulla flora intestinale;
c) sostanze che influiscono favorevolmente sull'ambiente;
d) altri additivi
zootecnici.
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