di ALBERTO GUIDORZI
"Primavere silenziose" |
Premessa
Se c'è un argomento su cui la stragrande maggioranza dell’opinione pubblica conviene quando si parla di agricoltura e ambiente, è che il nemico da distruggere è l'agricoltura intensiva (AI o “Land Sparing ”), responsabile di tutti i mali. Le forme di agricoltura estensiva (AE o “Land Sharing” (agricoltura biologica, contadina, agroecologia, ecc.) sono invece adornate di tutte le virtù, anche per la conservazione della biodiversità. È il concetto che diffonde il WWF con il suo “Living Planet".Tuttavia nel fare questo ragionamento si dimentica un dato di fatto ineludibile in questo dibattito, cioè l’AI produce più cibo per ettaro rispetto all’AE e quindi su scala globale, l’AE necessita di più terreno agricolo per produrre un ugual volume di cibo e sfamare l'umanità..., ma ciò va a scapito delle aree naturali ad alta biodiversità, perché è solo in questi territori che si possono reperire nuovi terreni da coltivare. Una politica di estensivizzazione agricola (come quella che si vorrebbe praticare in Europa ad esempio) ha benefici per la biodiversità, solo se i paesi che la praticano aumentano le loro superfici agricole, o, in alternativa, riducono la loro domanda di prodotti alimentari. È imperativo, in società sviluppate come quelle occidentali, trovare un adeguato compromesso. Rispetto ad un’area naturale è fuor di dubbio che un terreno per il solo fatto di essere coltivato riduce la biodoversità e questo capita sia in AI che in AE anche se in grado diverso.
Qui si tratta di vedere se:
Per sapere quale di queste due strategie è la migliore per la biodiversità globale, è facile capire che è assolutamente necessario stabilire come varia la biodiversità degli appezzamenti con la più o meno intensificazione delle coltivazioni. È, però, bene far notare subito che all’interno dell’AI vi è stata un’evoluzione volta ad ovviare alla deriva presa dalle intensificazioni poco riflettute imposte dal bisogno di cibo del primo dopoguerra, ma che i media non fanno notare. Infatti ora si parla sia di adottare agricolture più favorevoli alla biodiversità, che danno più priorità alla sostenibilità dell’agricoltura (dove gli input sono ragionati nel modo più accurato possibile alla trama per ottenere la resa ottimale), sia di estendere l'agricoltura di precisione (dove le tecniche dell'agricoltura sono spazializzate continuamente, per tenere conto delle eterogeneità intraparcellari). Per contro l’AE, ed in assenza di una modifica profonda dei regimi alimentari dei paesi che la praticano, migliorerà naturalmente la biodiversità dei propri paesaggi agricoli, ma squilibrerà la bilancia alimentare del paese... al punto ad esempio di traferire in paesi terzi la distruzione della biodiversità provocata dal loro e nostro fabbisogno alimentare se questo non si modificherà.
La questione è stata modellizzata da Green et al. nel 2005 tramite il quadrante positivo di un diagramma cartesiano che qui riproduciamo:
- in AI, dove la biodiversità cala molto di più, aumentando le produzioni unitarie si può liberare sufficiente superficie da ridestinare ad ambienti naturali (dove si creerà notevole biodiversità) in modo tale da compensare, anzi aumentare, quella persa nei campi coltivati,
- in AE, dove rimane più biodiversità, la maggiore superficie che si deve coltivare, se si vuole mantenere intatti i volumi di cibo prodotti rispetto ad AI (riducendo quindi la superfici da destinare ad ambienti naturali), possa, sommando le due biodiversità, comunque aumentare.
Per sapere quale di queste due strategie è la migliore per la biodiversità globale, è facile capire che è assolutamente necessario stabilire come varia la biodiversità degli appezzamenti con la più o meno intensificazione delle coltivazioni. È, però, bene far notare subito che all’interno dell’AI vi è stata un’evoluzione volta ad ovviare alla deriva presa dalle intensificazioni poco riflettute imposte dal bisogno di cibo del primo dopoguerra, ma che i media non fanno notare. Infatti ora si parla sia di adottare agricolture più favorevoli alla biodiversità, che danno più priorità alla sostenibilità dell’agricoltura (dove gli input sono ragionati nel modo più accurato possibile alla trama per ottenere la resa ottimale), sia di estendere l'agricoltura di precisione (dove le tecniche dell'agricoltura sono spazializzate continuamente, per tenere conto delle eterogeneità intraparcellari). Per contro l’AE, ed in assenza di una modifica profonda dei regimi alimentari dei paesi che la praticano, migliorerà naturalmente la biodiversità dei propri paesaggi agricoli, ma squilibrerà la bilancia alimentare del paese... al punto ad esempio di traferire in paesi terzi la distruzione della biodiversità provocata dal loro e nostro fabbisogno alimentare se questo non si modificherà.
La questione è stata modellizzata da Green et al. nel 2005 tramite il quadrante positivo di un diagramma cartesiano che qui riproduciamo:
Figura 1 |
Tralasciamo di discutere che trattandosi di un modello esso si basa su ipotesi semplificate che quasi mai rispondono alla realtà e quindi è solo utilizzabile per confrontare sistemi il cui impatto sulla biodiversità sono ben documentati, come ad esempio il confronto tra agricoltura convenzionale e agricoltura biologica nell’UE.
In Fig. 1 Green et al. mostrano che il tipo di agricoltura che massimizza la biodiversità complessiva di un territorio dipende dalla forma della curva rossa, che collega la biodiversità degli appezzamenti agricoli alla loro resa. Il punto più alto di questa curva rossa rappresenta la popolazione media o biodiversità degli spazi naturali della regione considerata; il punto più basso rappresenta quello dell'agricoltura più intensiva possibile, e il quadrato verde la situazione dell'agricoltura più estensiva che resta compatibile con la domanda alimentare. Se la curva rossa ha la forma A (definita concava dagli autori), la biodiversità sarà massima con una strategia di condivisione della terra o “Land sharing”, vale a dire un'agricoltura estensiva mantenendo una biodiversità soddisfacente all'interno degli appezzamenti agricoli. Diversamente (B) il “Land sparing” o risparmio di terra sarà la soluzione ottimale per la biodiversità, ovvero un modello agricolo in cui gli appezzamenti sono guidati al massimo della loro resa, in modo da riservare più spazi possibili agli ambienti naturali (Fonte: Green et al).
Questo ragionamento è l'unico che regge su scala globale, fintanto che abbiamo un solo pianeta per nutrirci. A livello di un paese, si può naturalmente decidere che non è necessario mantenere l'attuale livello di produzione. Tuttavia, se non vogliamo l'esternalizzazione delle perdite di biodiversità in paesi agricoli terzi, sarà necessario fissare obiettivi chiari per bilanciare l'offerta e la domanda alimentare nazionale. Occorrerà, cioè o aumentare la superficie agricola del paese o fissare obiettivi per ridurre la domanda alimentare dei cittadini del paese interessato.
In Fig. 1 Green et al. mostrano che il tipo di agricoltura che massimizza la biodiversità complessiva di un territorio dipende dalla forma della curva rossa, che collega la biodiversità degli appezzamenti agricoli alla loro resa. Il punto più alto di questa curva rossa rappresenta la popolazione media o biodiversità degli spazi naturali della regione considerata; il punto più basso rappresenta quello dell'agricoltura più intensiva possibile, e il quadrato verde la situazione dell'agricoltura più estensiva che resta compatibile con la domanda alimentare. Se la curva rossa ha la forma A (definita concava dagli autori), la biodiversità sarà massima con una strategia di condivisione della terra o “Land sharing”, vale a dire un'agricoltura estensiva mantenendo una biodiversità soddisfacente all'interno degli appezzamenti agricoli. Diversamente (B) il “Land sparing” o risparmio di terra sarà la soluzione ottimale per la biodiversità, ovvero un modello agricolo in cui gli appezzamenti sono guidati al massimo della loro resa, in modo da riservare più spazi possibili agli ambienti naturali (Fonte: Green et al).
Questo ragionamento è l'unico che regge su scala globale, fintanto che abbiamo un solo pianeta per nutrirci. A livello di un paese, si può naturalmente decidere che non è necessario mantenere l'attuale livello di produzione. Tuttavia, se non vogliamo l'esternalizzazione delle perdite di biodiversità in paesi agricoli terzi, sarà necessario fissare obiettivi chiari per bilanciare l'offerta e la domanda alimentare nazionale. Occorrerà, cioè o aumentare la superficie agricola del paese o fissare obiettivi per ridurre la domanda alimentare dei cittadini del paese interessato.
Incidenza sulla biodiversità dei suoli
Il modello di Green è stato usato dall’INRAE francese per confrontare tre tipi di agricoltura: convenzionale, biologica e conservativa ed il risultato è che nei casi studiati ed a livello di biodiversità del suolo la prima si collocherebbe sotto la linea diagonale, mentre A. Biologica e A. Conservativa si collocano sopra, cioè migliorano la biodiversità del suolo, inoltre tra queste due meglio fa l’A. Conservativa (come mostra la Fig. 2 sotto) in fatto di biodiversità e di rese, ma queste restano comunque inferiori alle rese dell’A. Convenzionale specie per il frumento.Di fronte a questi dati si è anche calcolato l’impatto di un 100% di “Land Sharing” lasciando immutato la disponibilità di cibo prodotta attualmente in Francia (Henneron ad al.). Ebbene bisognerebbe aumentare del 35% i terreni agricoli se si adottasse il 100% di A. Conservativa e del 48% se si generalizzasse l’ A. Biologica. Si è anche prefigurato come dovrebbe cambiare il panorama agricolo d’oltralpe. Attualmente il panorama è questo: i terreni agricoli coltivati coprono il 36% del territorio, le aree ancora in erba il 15%, le aree naturali e i prati permanenti il 36% e le aree artificiali il 13%, ma se si adotta il 100% di biologico i terreni coltivati devono passare dal 26 al 53%, cioè un +17% del territorio. Ora anche ammesso di mettere in coltura quel 15% di aree ancora in erba, ci manca sempre ancora un 2% che si dovrà prendere dai prati permanenti. Certo, numericamente sembra che il tutto torni, ma in pratica non è così in quanto le superfici lasciate in erba sono tali perché sono le meno fertili e quindi si dovrebbe pagare un dazio ben superiore a quel 17%. Andrebbe solo un po’ meglio se adottiamo l’A. Conservativa. Ecco visualizzato in Fig. 3 il prima ed il dopo.
Figura 3 |
Non possiamo, però, fermarci solo qui nell’analizzare le conseguenze di tali scelte, in quanto vi è l’aspetto paesaggistico che muterebbe completamente e poi resta da vedere come mettere in pratica il preventivato cambiamento delle abitudini alimentari e quale accettazione sociale avrebbe. Concludendo: È quindi chiaro che, per essere realistici, una politica di estensivizzazione dell'agricoltura per salvaguardare la biodiversità dei suoli richiede l'accettazione di una significativa riduzione della produzione agricola. Se non vogliamo che questo calo della produzione si traduca in un maggiore utilizzo delle importazioni agricole, e quindi in un trasferimento della nostra impronta ecologica alimentare ad altri paesi, è necessario ridurre la domanda alimentare nazionale e quindi rinunciare al “mangiare locale”.
Sopra è stato dimostrato che estensivizzare in Francia (ma sarebbe la stessa cosa da altre parti) occorre far sparire i pascoli permanenti e anche un certo quid di foreste installatesi dal dopoguerra in poi per effetto del “Land Sparing” praticato; comportamento, se si vuole, anche abusato perché l’abbondanza alimentare aveva una valenza maggiore rispetto alle questioni ambientali. Solo che prati pascoli e aree forestate sono proprio i luoghi che ospitano la maggiore biodiversità epigea e quindi praticare il “Land Sharing” ne comporta un certo grado di distruzione. Questa constatazione era già insita nel modello teorico di Green ed al. ed in seguito è stata confermata da tutte le metanalisi che si sono succedute.
Incidenza sulla biodiversità epigea
Precisiamo subito che questa è la biodiversità più percepita (se non la sola!) dall’opinione pubblica, appunto perché è quella visibile.
Sopra è stato dimostrato che estensivizzare in Francia (ma sarebbe la stessa cosa da altre parti) occorre far sparire i pascoli permanenti e anche un certo quid di foreste installatesi dal dopoguerra in poi per effetto del “Land Sparing” praticato; comportamento, se si vuole, anche abusato perché l’abbondanza alimentare aveva una valenza maggiore rispetto alle questioni ambientali. Solo che prati pascoli e aree forestate sono proprio i luoghi che ospitano la maggiore biodiversità epigea e quindi praticare il “Land Sharing” ne comporta un certo grado di distruzione. Questa constatazione era già insita nel modello teorico di Green ed al. ed in seguito è stata confermata da tutte le metanalisi che si sono succedute.
Caso dell’ A. Biologica
Certo il coltivare biologico riduce queste perdite di biodiversità, tuttavia non le annulla in quanto comunque si coltiva. È stato calcolato che un campo coltivato biologicamente avrebbe una biodiversita epigea specifica superiore di un 30% rispetto ad una coltivazione convenzionale intensiva. La biodiversità presente aumenterebbe addirittura del 50%. La discussione tra fautori o detrattori, però, non verte tanto sui dati dell’aumento della biodiversità, quanto sui dati della minor produzione di derrate in quanto essendo questa rapportata nel modello di Green ed al, con la biodiversità, una limitata o una elevata incidenza produttiva, pur collocando sempre il biologico in Land sparing, la può più o meno allontanare dalla retta di partizione diagonale.
Si tratta quindi di vedere quanto le stime fatte dagli studi accordano al calo delle rese. Le pubblicazioni favorevoli al bio collocano il gap produttivo in un range che va da un 5 ad un 30% a seconda del tipo di coltivazione (minori cali nelle colture perenni e maggiori nelle coltivazioni annuali). Spesso, però, si tratta di stime basate su pareri di esperti, o di meta-analisi effettuate su scala globale, dove l'agricoltura convenzionale presa come riferimento è quella dei paesi extraeuropei, dove si pratica un’agricoltura a carattere più estensivo di quella dei paesi dell’UE e quindi le statistiche che esprimono il gap sarebbero molto meno ottimistiche. Se, infatti, andiamo a vedere i gap produttivi che paga il biologico in Francia, secondo i dati INRAE del 2013, si nota che le differenze produttive sono ben maggiori di un 30%:
Con un tale rapporto tra guadagno di biodiversità e perdita di resa, è chiaro che, escludendo la fauna del suolo, l'agricoltura biologica è collocata ben all’interno dell’area riservata al “Land sparing” come mostra il grafico in basso.
Ciò riflette semplicemente il fatto che il guadagno in biodiversità consentito dal biologico non è sufficiente a compensare l'aumento della superficie agricola, che sarebbe necessario per mantenere l'attuale livello di produzione. A parità di produzione, la strategia che in Francia ottimizzerebbe la biodiversità sarebbe quindi una strategia di risparmio del territorio, vale a dire di mantenere alti rendimenti per salvare gli spazi naturali.
A questo punto vi è da chiedersi: l'agroecologia, cioè la mobilitazione dei servizi ecosistemici, consentirebbe di cambiare la situazione? Questo è teoricamente possibile dal momento che questi servizi ecosistemici possono migliorare la resa sostituendo gli input (freccia arancione della figura). Ma, se seguiamo il modello di Green et al, l'agroecologia diventa benefica per la biodiversità (rispetto all'agricoltura intensiva) solo se la colloca nello spazio riservato al “Land sharing” e quindi se può produrre aumenti significativi della biodiversità e della resa rispetto all'agricoltura biologica; prestazioni che, però, l’agroecologia non ha ancora dimostrato.
A questo punto vi è da chiedersi: l'agroecologia, cioè la mobilitazione dei servizi ecosistemici, consentirebbe di cambiare la situazione? Questo è teoricamente possibile dal momento che questi servizi ecosistemici possono migliorare la resa sostituendo gli input (freccia arancione della figura). Ma, se seguiamo il modello di Green et al, l'agroecologia diventa benefica per la biodiversità (rispetto all'agricoltura intensiva) solo se la colloca nello spazio riservato al “Land sharing” e quindi se può produrre aumenti significativi della biodiversità e della resa rispetto all'agricoltura biologica; prestazioni che, però, l’agroecologia non ha ancora dimostrato.
Caso dell’agricoltura ragionata (AR) e di precisione (AP)
Sono due evoluzioni che normalmente si applicano in agricoltura convenzionale intensiva. Queste due forme di agricoltura mirano ad applicare solo gli input necessari per ottenere la resa potenziale, valutando accuratamente le esigenze delle colture (a livello di appezzamento in agricoltura sostenibile, o punto per punto nel caso dell'agricoltura di precisione - AP nella figura sotto). Mirano quindi alla stessa resa dell'agricoltura intensiva. È stato calcolato che generalizzando l’agricoltura sostenibile si otterrebbe un risparmio nell’uso dei pesticidi di un 20/25% e quindi comunque il guadagno in biodiversità sarebbe modesto e molto inferiore all’A, Biologica. Tuttavia sono due modi di coltivare che non costituiscono “Land sharing”, poiché non richiedono un aumento della superficie agricola, essi permettono solo di migliorare leggermente la biodiversità degli appezzamenti, facendo un “Land sparing” (ricerca della massima resa). Al limite, come mostra il grafico seguente, eleva la diagonale blu del grafico, allargando così l'area in cui il Land sparing è preferibile alla condivisione del terreno.
Tuttavia AR e AP rispetto all’AI convenzionale hanno un grande vantaggio in quanto pur mantenendo invariato il potenziale di resa permettono di risparmiare in input, il che si traduce in un miglioramento del reddito dell’agricoltore, reddito che invece in AE sappiamo essere molto più labile nella sua realizzazione presente (occorre riuscire sempre a compensare le rese più basse mediante un maggiore appeal dei prodotti venduti) e futura (occorre che persista la volontà di pagare i costi del cambiamento del modello agricolo, solo che ciò riduce il potere di acquisto del cittadino che ben sappiamo essere per lui prioritario.
Caso del preventivato Green deal europeo ed in particolare del “Farm to fork”
Come ben sappiamo il programma prevede di usare meno antiparassitari e meno concimi e tutti gli studi di valutazione di questo programma ci dicono che occorre aspettarci un calo delle rese intorno al 20%, ma senza contribuire all’aumento della biodiversità. Come si vedrà nel grafico, questo ci allontana ancora di più dalla diagonale e quindi dal settore del “Land sharing”; se poi vi aggiungiamo la volontà di togliere dalla coltivazione il 10% delle terre il risultato non migliorerà di sicuro:Che conclusione possiamo trarre?
Insomma si tratta di un'aberrazione totale nei confronti dell'alternativa di condivisione/risparmio della terra, che segna il trionfo della linea egoisticamente localista dell'ambientalismo europeo; vale a dire ridurre indefinitamente l'impronta ecologica dell'agricoltura europea e trasferirne le conseguenze ai paesi agricoli che ci forniranno il cibo (aumentando la loro impronta ecologica) che abbiamo rinunciato a produrre in patria.
Come si potrà notare si è un po’ compartimentato il ragionamento mettendo in contrapposizione dei modi di coltivare come se fossero antitetici, quando invece nella realtà della vera agricoltura professionale non è così. Da che mondo è mondo l’agricoltore ha sempre avuto a cuore la preservazione del suo ambiente di produzione. Perché un agricoltore che comunque è un imprenditore che deve ricavare un reddito dal suo intraprendere, non deve adottare la copertura dei suoli in intercoltura e praticare sovesci ,anche se il messaggio è riproposto dal bio? Perché non deve ragionare scientificamente gli interventi sui suoli e sulle coltivazioni in atto, anche se il messaggio ci viene dall’agricoltura ragionata o conservativa? Perché non mettere in pratica l’agricoltura di precisione? Perché deve far pagare più caro il cibo al consumatore per aver rinunciato al potenziale di produzione economicamente e ambientalmente compatibile dei suoi campi? Perché deve negativizzare la bilancia alimentare della nazione? Perché si devono ascoltare prioritariamente i messaggi di certe ONG ambientaliste che denunciano "importazioni di deforestazione", mentre chiedono l'estensivizzazione dell'agricoltura europea senza compensazioni quantificate da un aumento delle aree agricole o da un ristabilimento della domanda alimentare?
Come si potrà notare si è un po’ compartimentato il ragionamento mettendo in contrapposizione dei modi di coltivare come se fossero antitetici, quando invece nella realtà della vera agricoltura professionale non è così. Da che mondo è mondo l’agricoltore ha sempre avuto a cuore la preservazione del suo ambiente di produzione. Perché un agricoltore che comunque è un imprenditore che deve ricavare un reddito dal suo intraprendere, non deve adottare la copertura dei suoli in intercoltura e praticare sovesci ,anche se il messaggio è riproposto dal bio? Perché non deve ragionare scientificamente gli interventi sui suoli e sulle coltivazioni in atto, anche se il messaggio ci viene dall’agricoltura ragionata o conservativa? Perché non mettere in pratica l’agricoltura di precisione? Perché deve far pagare più caro il cibo al consumatore per aver rinunciato al potenziale di produzione economicamente e ambientalmente compatibile dei suoi campi? Perché deve negativizzare la bilancia alimentare della nazione? Perché si devono ascoltare prioritariamente i messaggi di certe ONG ambientaliste che denunciano "importazioni di deforestazione", mentre chiedono l'estensivizzazione dell'agricoltura europea senza compensazioni quantificate da un aumento delle aree agricole o da un ristabilimento della domanda alimentare?
Bibliografia
https://www.wwf.fr/sites/default/files/doc-2018-10/20181030_Living_Planet_Report-2018.pdf
Green R.E et al., 2005, « Farming and the Fate of Wild Nature », Science307, 550-555
Schneider, M.K. et al, 2014. « Gains to species diversity in organically farmed fields are not propagated at the farm level », Nature Communications, 2014(5), 4151
https://www.afis.org/Production-agricole-et-preservation-de-l-environnement-est-ce-possible
Henneron et al. , 2014 : https://hal.archives-ouvertes.fr/hal-01173289
Enquête TERUTI 2015 (7)Bengtsson, J., Ahnström J. and Weibull A.C., 2005, “The effects of organic agriculture on biodiversity and abundance”, Annals of Applied Ecology 42 : 261–269
Elizabeth A. Law & Kerrie A. Wilson, 2015. “Providing Context for the Land-Sharing and Land-Sparing Debate”, The University of Queensland, School of Biological Sciences, Brisbane, QLD 4072, Australia. doi : 10.1111/conl.12168.
https://www.natura-sciences.com/agriculture/biologique-conventionnel-comparaison922.html
https://www.strategie.gouv.fr/sites/strategie.gouv.fr/files/atoms/files/rapport-inra-pour-cgsp-volume-1-web071020131_0.pdf , pages 24 à 26)
https://www.itk.fr/actualites/edito-green-deal-agricole-une-vision-myope-et-passeiste-de-lecologie/
http://www.fondation-nature-homme.org/magazine/green-deal-agriculture-de-precision
https://hal.archives-ouvertes.fr/hal-00945304/
https://www.inrae.fr/actualites/meilleure-comparaison-entre-agriculture-biologique-conventionnelle
https://www.generations-futures.fr/publications/agriculture-raisonnee-nest-alternative-aux-pesticides/
https://www.afis.org/Production-agricole-et-preservation-de-l-environnement-est-ce-possible
Henneron et al. , 2014 : https://hal.archives-ouvertes.fr/hal-01173289
Enquête TERUTI 2015 (7)Bengtsson, J., Ahnström J. and Weibull A.C., 2005, “The effects of organic agriculture on biodiversity and abundance”, Annals of Applied Ecology 42 : 261–269
Elizabeth A. Law & Kerrie A. Wilson, 2015. “Providing Context for the Land-Sharing and Land-Sparing Debate”, The University of Queensland, School of Biological Sciences, Brisbane, QLD 4072, Australia. doi : 10.1111/conl.12168.
https://www.natura-sciences.com/agriculture/biologique-conventionnel-comparaison922.html
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https://www.itk.fr/actualites/edito-green-deal-agricole-une-vision-myope-et-passeiste-de-lecologie/
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https://www.inrae.fr/actualites/meilleure-comparaison-entre-agriculture-biologique-conventionnelle
https://www.generations-futures.fr/publications/agriculture-raisonnee-nest-alternative-aux-pesticides/
ALBERTO GUIDORZI
Agronomo. Diplomato all'Istituto Tecnico Agrario di Remedello (BS) e laureato in Scienze Agrarie presso l'UCSC Piacenza. Ha lavorato per tre anni per la nota azienda sementiera francese Florimond Desprez come aiuto miglioratore genetico di specie agrarie interessanti l'Italia. Successivamente ne è diventato il rappresentante esclusivo per Italia; incarico che ha svolto per 40 anni accumulando così conoscenze sia dell'agricoltura francese che italiana.
Articolo molto interessante, molto chiaro e convincente. Sarebbe utile ai decisori politici se non fossero influenzati da gruppi o movimenti con visioni
RispondiEliminache si allontanano dalla realtà o con un interesse di parte.
E sempre piacevole e interessante leggere i tuoi articoli.
RispondiEliminaE sappi che se deciderò di riprendere gli studi universitari interrotti, questa volta punterò su agronomia grazie soprattutto a te.
Pappagallorosa