giovedì 18 novembre 2021

LO SPETTACOLO SINGOLARE DELLA VITICOLTURA IN VALTELLINA


 di ATTILIO SCIENZA





Se ci inerpichiamo sul ripido sentiero che porta alla sommità di un vigneto nella Sassella, poco prima della periferia occidentale di Sondrio e ci soffermiamo su un muretto da cui si apre l’orizzonte vasto e verdeggiante del paesaggio della valle dell’Adda verso le Alpi orobiche, ci colpisce il colore cupo delle conifere che contrasta con le vette delle montagne, grige e minacciose, che lo sovrastano. A mezzogiorno, in pieno luglio, il caldo divampa come una fornace, il sole scotta e le rocce arroventate rimandano il calore. Pare impossibile che questi luoghi circa 15.000 anni fa fossero ricoperti da una spessa coltre di ghiaccio. Eppure le testimonianze di un passato algido sono visibili ovunque. Il paesaggio allora era molto diverso e l’azione del ghiacciaio, in perenne movimento, ha lasciato le tracce della sua azione ancora oggi perfettamente riconoscibili, nei terrazzi di deposito dei materiali deposti a diverse quote lungo la pendice, enormi gradini che l’uomo ha sfruttato per insediare i primi vigneti, nel 400, come scrisse Leonardo da Vinci nel Codice Atlantico nel descrivere questa valle (“circundata d’alti terribili monti che fa vini potentissimi e assai”). Altri cenni storici riguardano la Valtellina e risalgono a prima dell’anno Mille, dove l’introduzione della vite sviluppò non solo una specifica tecnica di allevamento, chiamato archetto valtellinese, ma anche quell’ingegneristico progetto di terrazzamenti che ornano, ancora oggi, la sponda Retica e che sembra vennero iniziati per primi dai Liguri. È del IX secolo, e precisamente del 18 dicembre 837, la prima fonte documentata della coltivazione della vite in Valtellina, contenuta nel Codex Diplomaticus Longobardiae. Viticoltura che qualche secolo dopo cominciò ad essere interessata da un’importante esportazione sia verso la Svizzera, con l‘accordo preso fra i produttori locali con i Grigioni, sia verso la Germania, con l’apertura di alcuni valichi, visibili solo ad un occhio attento sono le incisioni da sfregamento sulle rocce scistose e sui massi di frana e l’eterogeneità delle forme e dei colori delle pietre provenienti da matrici geologiche lontane anche centinaia di chilometri. Un paesaggio identitario che ha conservato grazie alla scarsa accessibilità ed inospitalità, un carattere prevalentemente naturale ed il livello di antropizzazione appare minimo e limitato alle quote medie, dove la manomissione dell’uomo è perfettamente integrata con le forme della montagna, una crescita, non una sovrapposizione. Poco distanti i resti di una torre, ruderi di un castello che gli eventi storici che hanno attraversato questa valle non hanno risparmiato. Il paesaggio non è quindi solo natura, esso si presenta all’osservazione come un intreccio di elementi naturali e storici e quindi al paesaggio come natura si affianca il paesaggio come identità, che riflette le radici delle persone e dei popoli e che viene consegnato alle generazioni successive perché a sua volta, non solo lo conservino come lo ha trovato, ma lo vivano modellandolo in forme nuove, in una stratificazione simbolica che lo fa divenire un’opera d’arte collettiva.

Il monastero di S-Ambrogio a Dubino testimonia nell’inventario delle sue proprietà la più antica presenza di un vigneto in Valtellina fin dal X secolo e l’attività di sei torchi dislocati in diverse case del borgo. L’uso del termine vinea per indicare il vigneto evidenzia una coltivazione specializzata. In quell’epoca il vino valtellinese era diretto soprattutto verso i mercati di Coira e della Val Venosta, nel Tirolo, mentre era irrilevante l’interesse da parte di Milano. Non solo la Valtellina è la più estesa vallata trasversale del versante meridionale della catena alpina, ma rappresenta anche un polo di cultura e tradizioni a sé stante. Sondrio ne è al centro e, con le ridotte dimensioni dell’abitato, comunica un fascino discreto con i palazzi, i giardini e le chiese che ne delimitano le vie. Nel centro si trova la collegiata arcipretale plebana dei santi Gervasio e Protasio, sicuramente una delle più antiche di tutta la Valtellina, fu a capo di una vasta pieve e già nel XII secolo era collegiata. Accanto a questa sorge il campanile chiamato Torre Ligariana risalente al solito periodo storico della Collegiata. Altro monumento interessante è Palazzo Pretorio, oggi sede del comune di Sondrio, già proprietà della famiglia Peregrini, venne acquistato nel 1552 dal Consiglio di Valle, dove avevano propri rappresentanti i tre Terzieri in cui all’epoca era divisa la Valtellina, per farne la sede del governo dei Grigioni. Fa gli altri monumenti meritano una visita Castel Masegra e Villa Quadrio attualmente sede della Biblioteca Municipale dedicata a Pio Rajna.

La viticoltura della Valtellina si sviluppa in corrispondenza di un ampio tratto della bassa valle del fiume Adda, a cavallo tra le Alpi Retiche, che ne costituiscono il versante settentrionale e le Orobie sul versante meridionale. Il substrato geologico del versante retico, quello maggiormente vitato, è costituito principalmente da gneiss granitici in associazione con micascisti ed il suolo agrario che lo ricopre è rappresentato da una coltre di materiale morenico di taglia grossolana. Gli effetti del modellamento glaciale costituiscono un elemento fortemente caratterizzante tutta l’area della Valtellina, dove lungo i versanti sono diffusamente presenti molte forme dovute all’azione erosiva dei ghiacciai, come i circhi o i terrazzi glaciali, gobbe rocciose dal caratteristico aspetto “montonato” e massi erratici talvolta giganteschi.

La valle costituisce il risultato di lunghi processi di erosione fluviale in un profondo canyon, successivamente rimodellato dall’azione di un imponente ghiacciaio. Il fondovalle attualmente è occupato da grandi quantità di materiale alluvionale, con ampi terrazzi e piane alluvionali ben sviluppate. Quello della Valtellina è un paesaggio mozzafiato, composto di tante piccole parcelle perché minima è l’estensione della proprietà. I ritagli di terra si ottengono sfruttando ogni metro, creando il campo dove prima non esisteva che roccia, portando la terra un tempo a spalla, oggi con i mezzi meccanici e persino con gli elicotteri dalla valle dell’Adda.

Il paesaggio è stato tutelato dalla popolazione locale, che in questi ultimi anni sta ritrovando l’interesse per l’attività viticola. Ciò che contraddistingue il paesaggio valtellinese è la vegetazione che, nonostante l’altitudine, non è composta di conifere (come nelle vicine valli svizzere), ma dal castagno, dal faggio, dall’olmo grazie al clima temperato e mite. Il vigneto alloggia sul versante rivolto a mezzogiorno, descrivendo piccole trame composte di corti filari su pendenze vertiginose. È un paesaggio costruito nei secoli, che ricorda le immani fatiche cui l’uomo si è sottoposto per strappare una coltura di pregio a un ambiente alpino, ostile. Questo patrimonio inimitabile (si pensi ai 2500 km di muri a secco che sostengono gli stretti terrazzi) si distingue per maestosità, per ardire e per la stupefacente bellezza. Il suolo coltivato è nato in parte dalla degradazione della roccia madre e in parte dal riporto da parte dell’agricoltore con materiali fluvio-glaciali. Per questo motivo i suoli non manifestano differenze marcate lungo la valle e l’impronta data ai vini è prevalentemente climatica (temperatura e radiazione solare). La maturità tecnologica del mosto (ovvero il contenuto zuccheri e acidi) è risultata infatti correlata con la sola altitudine (variabile dai 300 ai 700 mslm), mentre la maturità fenolica (l’accumulo di sostanze coloranti) ha mostrato un comportamento ecofisiologico più complesso, risultando influenzata dalla produzione per pianta e dall’effetto della radiazione alle diverse altitudini. Qui le vigne sembrano legate alle nuvole e danno l’impressione d’essere provvisoriamente appiccicate alla montagna. Sono invece Vigne con la V maiuscola che meritano ammirazione per il lavoro svolto nei secoli dai nuovi e vecchi vignaioli valtellinesi, che hanno modellato e custodito un paesaggio che è oggi patrimonio dell’umanità.

Guardando lo spettacolo ci si rende conto quanto siano sottili gli equilibri che regolano l’eco-sistema di questa vallata che per decenni si è retta su questa viticoltura di montagna, definita giustamente eroica, contraddistinta da tanti piccoli vigneti circoscritti da un’infinità di muri a secco. A quelle viti che richiedono centinaia di ore di lavoro per ettaro sono appesi i frutti raggiungibili solo attraverso un’infinità di scalini . Vigne magiche, sospese fra cielo e terra dove il Nebbiolo, chiamato qui Chiavennasca, caratterizza tutta la produzione enologica del territorio, dando vita a vini particolarmente rinomati, e celebrati da sempre da poeti e letterati, come Giosuè Carducci, il primo italiano a vincere il Premio Nobel per la letteratura nel 1906. Sono vini da bersi dopo anni insieme magari a un pezzo di Bitto, una bresaola di manzo o di cervo, o dei “pizzoccheri”. È un Nebbiolo importante quello della Valtellina, dalla quale è partito per iniziare la sua migrazione verso il Piemonte, che dà vini austeri frutto di viti che trovano su terreni prevalentemente sabbioso - limosi, a pH acido, in assenza di calcare. Caratteristiche geologiche particolari che associate all’esposizione a sud dei vigneti ed alle scarse precipitazioni, creano un ambiente pedoclimatico originale. Nell’areale gravitano le denominazioni Valtellina Rosso DOC, Sforzato (o Sfursat) di Valtellina DOCG e il Valtellina Superiore DOCG, con le sottozone Grumello, Inferno, Sassella, Valgella e Maroggia.

La DOC Valtellina Rosso è realizzata con l’utilizzo di uve Nebbiolo (localmente detto Chiavennasca) almeno per il 90%, con le quali possono concorrere quelle di altri vitigni a bacca rossa autorizzati per un massimo del 10%. Il vino che si ottiene è un rosso asciutto, con almeno 6 mesi di affinamento, elegante, equilibrato e ideale per pasteggiare.

Il Valtellina Superiore DOCG ha un disciplinare rigoroso, ed è realizzato anch’esso con l’utilizzo di Nebbiolo almeno per il 90% e un saldo con altri vitigni a bacca rossa non aromatici ammessi nella provincia di Sondrio per un massimo del 10%. Può inoltre essere prodotto nella versione Riserva e può indicare anche in etichetta una delle sottozone produttive, quali Maroggia, Sassella, Grumello, Inferno e Valgella, veri e propri cru capaci di dare al Nebbiolo caratteristiche riconoscibili e di grande qualità.

I vini possono essere immessi al consumo dopo un periodo minimo di affinamento di 24 mesi, dei quali almeno 12 in botti di legno, a decorrere dal primo dicembre successivo alla vendemmia. Se la maturazione supera i tre anni il vino può riportare in etichetta la menzione Riserva. In generale i Valtellina Superiore hanno un bel colore rosso rubino intenso e all’esame olfattivo propongono sentori di frutti rossi del sottobosco, come lamponi maturi, e note floreali di viola appassita oltre a percezioni varietali. In bocca sono eleganti, hanno una fibra tannica evoluta e una sapidità che li rende lunghi e persistenti. Nella sottozona Inferno, che conta solo 55 ettari e prende il nome dai piccoli terrazzamenti situati in anfratti rocciosi dove le temperature estive sono molto elevate, i Nebbioli hanno un carattere deciso, un colore rosso intenso e i sentori sono più speziati, mentre le note fruttate percepite al naso sono quelle di frutti rossi maturi a cui si aggiungono anche quelle di rosa appassita. In bocca sono compatti, austeri, ruvidi in giovinezza; una ruvidità che diventa eleganza negli anni. Vini da aspettare pazientemente per poi gustare felicemente.

Nella sottozona Sassella, 114 ettari di terreni impervi e soleggiati, il cui nome probabilmente deriva da quello del santuario mariano omonimo che sorge sulla scenografica rupe della Sassella, i Nebbioli sono più lineari e hanno sentori di lamponi, di rovere, di rosa canina e viola, a cui si sommano note più vegetali, mentre in bocca risultano asciutti, vellutati, robusti, con un retrogusto di nocciola, liquirizia e prugne secche.

Nella sottozona Vagella che conta 137 ettari ed è la più estesa, i Nebbioli si differenziano per la morbidezza, per le note speziate e terziarie più accentuate che si mischiano a un pot - pourri fruttato di ciliegie sotto spirito, confettura di lamponi, cuoio e agrumi, caratteristiche organolettiche diverse da quelle che propongono i vini nella sottozona Maroggia che con i suoi 25 ettari è la più piccola, mentre nel Grumello i Nebbioli sono asciutti, eleganti, austeri, setosi con note particolari di mandorle tostate.

In generale i vini della Denominazione si abbinano ottimamente a carni rosse, alla selvaggina, ai formaggi stagionati, in particolare quelli locali come il Bitto, a primi piatti conditi con sughi di carne di selvaggina da pelo, anche se idealmente il piatto con cui si accompagnano meglio sono i Pizzoccheri, ossia le rustiche tagliatelle di farina di frumento e grano saraceno originarie della stessa zona. La produzione enologica della zona si conclude con lo Sforzato di Valtellina DOCG, che pur avendo la stessa base ampelografica dell’altra DOCG viene sottoposto ad un diverso processo di vinificazione. Prevede infatti l’utilizzo almeno del 90% di uve Nebbiolo e un massimo del 10% di uve autorizzate e scelte, non solo singolarmente, fra Pignola, Tossola, Prugnola, Pinot Nero e Merlot. Quello che cambia, come detto, è la fase produttiva, poiché per la sua realizzazione una parte delle uve è posta ad appassire naturalmente su graticci, di solito fino alla metà di dicembre. Al termine di questa fase segue la pigiatura e la macerazione del mosto sulle bucce. I vini di questa Denominazione si presentano quasi sempre di un bel rosso rubino intenso tendente al granato, con sentori varietali a cui si aggiungono note di confettura e altre balsamiche, oltre a percezioni speziate, a ricordi mentolati, fino a un pot-pourri di fiori appassiti. In bocca sono avvolgenti, caldi, eleganti, sorretti da una bella vena sapida che li rende piacevoli; la loro trama tannica è fitta e armoniosa e risultano lunghi e persistenti. Accompagna portate a base di carni rosse o di selvaggina da pelo lungamente cotta in intingolo. Può anche essere abbinato a formaggi saporiti, intensi e lungamente stagionati.
 
 
 Tratto da " I TEMPI DELLA TERRA" |n°7|
 
 

ATTILIO SCIENZA

Professore ordinario di Viticoltura presso l'Università degli Studi di Milano. Già Direttore generale dell'Istituto Agrario di S. Michele all'Adige. E' Accademico ordinario dell'Accademia Italiana della Vite e del Vino e Socio Corrispondente dell'Accademia dei Georgofili .

 

 

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