di VALERIA PRAT
Nasco povero, come piatto di recupero.
Ho poi, però, il mio riscatto sociale.
Potevate dubitarne?
Ma andiamo per ordine.
Mi inventano i marinai genovesi che mi consumano direttamente sulle barche durante “i lunghi giorni in mezzo al mare”.
Un “bullezumme” (mescolanza) di tonno, acciughe salate, con qualche fettina di “mosciame”, ossia carne essiccata di delfino.
Condito con olio e origano.
Sono presente anche in altri contesti umili.
Nelle case dei pescatori, ad esempio, dove mi preparano con il pescato non venduto.
E nelle cucine dei nobili.
Qui, la servitù mi utilizza mettendo insieme gli avanzi dei banchetti.
Nella Genova del ‘500, i cuochi, al servizio della nobiltà rinascimentale, alternano gallette inumidite con pesce e verdure e mi presentano ai loro padroni come “biscotto farcito”.
Nel ‘600, nel periodo barocco, inizio ad essere decorato con gamberi, uova e prelibate salse.
E divento così un piatto ricercato, coreografico e appariscente.
Son detto cappone perché derivo dallo scorfano rosso, conosciuto anche con il nome di “pesce cappone” oppure, (e questa etimologia mi piace decisamente di più) ho origine dal termine francese “chapon”, ovvero crostino di pane per accompagnare la zuppa.
E sono “magro” perché, in origine, ero riservato ai giorni di penitenza. Diventiamo così una pietanza saporita senza cottura.
Nei libri dei conti di alcune nobili famiglie genovesi si trovano riferimenti a me sia come sobrio piatto della Quaresima, sia come portata fastosa da ostentare durante i ricevimenti. È così!
Da brutto anatroccolo a cigno. In letteratura compaio per la prima volta in la “Cuciniera genovese” di G.B. Ratto del 1863, che recita così: “Siccome i ravioli sono la regina di tutte le minestre, il cappon magro (il sottoscritto appunto!) domina su tutte le insalate che si conoscono”.
Pellegrino Artusi (1820-1911), quel mentecatto, non mi degna di una riga.
Cita solamente la salsa di accompagnamento.
Mi sale un po’ di rabbia.
Ma già ... lui è un gastronomo dilettante.
La galletta è la mia partner adorata.
I tempi di navigazione erano infiniti e il pane non si poteva certo conservare.
E quindi i lupi di mare aggirano il problema con il cosiddetto pane del marinaio.
Il “panis nauticus” di Plinio. Una sorta di galletta a forma di anello.
Ma quante ne so?!?
Cristoforo Colombo ne parla come “bizcocho” in una lettera a Isabella di Castiglia.
Per la traversata verso le Americhe si approvvigiona infatti di questi biscotti.
E prima di stivare il carico nelle cambuse dà ordine di controllare le gallette.
Devono essere vetrose, cioè perfettamente asciutte e dure come il marmo.
Messe poi in cassoni foderati di zinco per preservarle dall’unidità, dagli scarafaggi e dai topi.
Tu, cara amica, devi essere poi ammollata in acqua e aceto.
E sopra mi ci sdraio io.
Aldo Acquarone, però, (1898-1964) mi rende giustizia e mi dedica un sonetto.
“... un capolavoro che, chi lo gusta, se lo deve ricordare finché vive”.
Il mio nome campeggia, poi, sulla copertina di un libro del 2009 di Cristina Rava “CAPPON MAGRO PER IL COMMISSARIO”
Scusatemi se è poco!
Lo storico dell’alimentazione Umberto Curti, in Ligucibario, mi definisce monumento di mare e orto. Perfetto mosaico a strati di pesci, crostacei, verdure e uova, legati dalla salsa verde.
Effettivamente io solletico la papilla e l’occhio.
Adulo i sensi in un trionfo pantagruelico di colori e profumi.
Irresistibile tentazione per il palato.
🎵 Tu chiamale, se vuoi, emozioni 🎵
Tratto da " I TEMPI DELLA TERRA" |n° 10|
VALERIA PRAT
E’ genovese. Ha insegnato con passione per 37 anni materie umanistiche. Ama la natura, il volo in ultraleggero e l 'Emilia -Romagna. Ultimamente, a 66 anni, ha esordito come scrittrice con "A volte basta una piuma" e la storia vera di Felice Pedroni, “Un cercatore d'oro modenese di fine '800 che fa fortuna in Alaska”. Si sente poco scrittrice però, un po' di più "giocoliera delle parole". Diversamente giovane, diversamente abile e diversamente scrittrice.
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