di ERMANNO COMEGNA
Quello che sta succedendo durante l’attuale ciclo di riforma presenta qualche particolarità che però non mi sembra sia considerata con la necessaria attenzione in Italia ed in futuro potremmo avere dei rimorsi per ciò che si sarebbe potuto fare ed invece è stato trascurato.
La riforma della PAC proposta dalla Commissione nel 2018 e, ad oggi, ancora in approvazione da parte delle altre istituzioni comunitarie, comporta alcune importanti discontinuità rispetto al passato che esigono un processo di adattamento a livello di istituzioni nazionali e regionali che si può affermare non sia stato perseguito con l’opportuna determinazione.
Per oltre tre anni, si è lavorato con un impeto inferiore rispetto a quanto sarebbe stato necessario, almeno a livello italiano ed ora ci sono soltanto sei mesi a disposizione per lavorare intensamente, perché occorre prendere tante delicate decisioni, come quelle in materia di interventi da realizzare, di ripartizione delle risorse per misure, territori e settori, oltre a definire le modalità di funzionamento e di attuazione della politica agricola europea, coordinando le scelte della PAC con le misure di politica nazionale e regionale.
Da luglio a dicembre 2021 l’Italia si troverà in una situazione che assomiglia ad una gara di velocità del ciclismo su pista, dove i corridori antagonisti per quasi tutta la gara controllano le rispettive mosse e addirittura si bloccano, per poi scattare in maniera forsennata gli ultimi due-trecento metri, impegnando tutti i muscoli con la massima possibile tensione.
Fuori dalla metafora, entro il prossimo 31 dicembre 2021, l’Italia è tenuta a trasmettere ai servizi comunitari il Piano strategico nazionale (PSN): un documento inedito, unico nel suo genere, complesso da predisporre, tale da esigere il massimo in termini di integrazione, coordinamento e condivisione tra i diversi attori, sia di tipo istituzionale che privato.
Appare evidente, allora, come sei mesi, comprese le ferie estive, siano davvero pochi per affrontare una sfida così importante per l’Italia ed assumere decisioni di tipo strategico, in maniera contestuale, su svariati fronti.
Tanto per avere un’idea, basti riflettere sul fatto che per la ripartizione delle risorse finanziarie dello sviluppo rurale per il biennio 2021-2022, le istituzioni nazionali e regionali e la politica si sono confrontate per circa sette mesi.
La necessità di un adeguamento nella governance e nella gestione
Non sarà facile per l’Italia gestire
gli ampi margini di manovra che sono disponibili per applicare nel
nostro Paese la PAC 2023-2027. Si parla di sussidiarietà rafforzata
che richiede l’assunzione di decisioni su questioni sensibili come:
Il futuro del regime dei pagamenti
diretti, scegliendo, ad esempio, se mantenere od eliminare i titoli
storici;
L’impostazione degli interventi
settoriali per l’ortofrutta, il vino, l’olio d’oliva ed altri
comparti produttivi;
L’impostazione dei futuri
interventi di sviluppo rurale.
Oltre a tutto ciò, ci sarà pure da adattare il sistema amministrativo e gestionale a livello nazionale e regionale alle nuove regole che sono formulate nel pacchetto di riforma.
A tale riguardo, si parla di New Delivery Model e di orientamento al risultato. Ciò esige una diversa messa a punta della operatività della macchina amministrativa ed un atto di discontinuità rispetto a quanto è stato fatto da oltre 20 anni a questa parte.
Di seguito mi soffermo su alcuni esempi concreti sotto tale specifico profilo.
Un primo aspetto da considerare è che dal 2023 il disimpegno automatico delle risorse non spese avverrà a livello nazionale e non più per singolo PSR. Tale novità presenta sia dei lati positivi che negativi.
Certamente sarà più difficile per l’Italia rinunciare a risorse finanziarie già stanziate, in quanto i fondi non utilizzati da una data Regione, poco virtuosa nel far funzionare gli interventi che ricadono sotto la propria regia, possono essere utilizzati da Regioni che dimostrano maggiore capacità di spesa. Nello stesso tempo, con la nuova regola potrebbe aumentare la competizione tra le regioni e il grado di conflittualità, perché quelle più capaci di attuare gli interventi dello sviluppo rurale hanno tutto l’interesse ad acquisire i fondi inutilizzati delle Regioni meno efficaci.
Un secondo aspetto collegato al precedente è la modifica del meccanismo di assegnazione delle risorse finanziarie a favore delle regioni. Con la pianificazione strategica a livello nazionale non ci dovrebbero più essere formali attribuzioni per le singole Regioni, ma avremo verosimilmente delle ripartizioni indicative che ciascuna Amministrazione dovrà tenere presente per organizzare la propria attività di attuazione degli interventi del secondo pilastro della PAC.
Un terzo ed ultimo esempio che fornisce l’idea delle sfide da affrontare riguarda la funzionalità della macchina amministrativa che, secondo la mia opinione, deve subire un importante cambiamento rispetto alla situazione di oggi.
È un argomento sensibile e complesso che prima o poi bisogna affrontare in Italia e che richiede una riflessione ben più importante rispetto a quanto si possa dire in una relazione dedicata al più generale argomento della riforma della PAC.
Giusto per evidenziare la valenza della materia, si ritiene opportuno sottoporre all’attenzione due questioni, di cui una oggettiva e cioè basata su fatti che sono accertati e dei quali non è difficile trovare riscontri; l’altra è una mia personale opinione, che quindi deve essere soggetta a scrutinio.
Il fatto oggettivo è la generalizzata
carenza di organico nella Pubblica Amministrazione in Italia in
rapporto ai carichi di lavoro. Questo problema si presenta in maniera
particolarmente acuta nelle Regioni, dove c’è stata negli ultimi
anni una entrata in quiescenza di una quota importante del personale,
senza che sia intervenuta una adeguata sostituzione nella pianta
organica.
La mia personale opinione è la seguente: serve un salto di qualità nelle prestazioni del personale della Pubblica Amministrazione che dovrebbe essere meno occupato nei formalismi burocratici e più impegnato nel comprendere le dinamiche del sistema agricolo territoriale e fornire risposte alle imprese.
Del resto, il principio di devoluzione delle scelte strategiche da Bruxelles, verso il territorio fornisce intuitivamente una prova a sostegno della necessità di cambiare approccio e metodo di lavoro.
In un certo senso, si dovrebbe promuovere il ritorno verso le ben note funzioni dei vecchi beneamati ispettorati agrari, quando i tecnici svolgevano più un ruolo di consulenza, assistenza, facilitazione verso l’innovazione e trasferimento tecnologico che non il compito di tipo amministrativo.
Sono persuaso che l’argomento sia molto articolato ed esige in primo luogo una politica di semplificazione per liberare le risorse, da utilizzare poi verso ambiti più fruttuosi. Per tale ragione la mancata semplificazione della PAC della quale si parlerà successivamente rappresenta un grave problema.
Se l’Italia non dovesse procedere in tale direzione, perderà il valore aggiunto implicito nella nuova PAC e fornito dal New Delivery Model, dall’orientamento al risultato e, più in generale, dalla sussidiarietà rafforzata.
I contenuti essenziali della riformaA questo punto affronto i contenuti
specifici della riforma della PAC in via di perfezionamento,
avvertendo però che mi soffermo sugli aspetti generali e non sulle
questioni di carattere specifico. Per questo secondo compito è
opportuno attendere la chiusura del negoziato politico e lavorare
sulla base delle scelte definitive che saranno state assunte a
Bruxelles e poi pubblicati nei testi legislativi ufficiali. Procederò
per singoli argomenti.
Risorse finanziarie
Lo stanziamento agricolo all’interno del bilancio dell’Unione europea è stato tutto sommato salvaguardato, soprattutto in termini nominali e, considerando l’intervento straordinario del Recovery Fund, si può affermare che, nel complesso, ci sia un incremento delle disponibilità finanziarie globali da spendere nel settore agricolo.
Tutto ciò però, non implica necessariamente che tutto rimarrà come prima, perché il funzionamento della PAC cambierà e quindi ci sarà una diversa distribuzione dei fondi tra territori, settori, tipologie di impresa e beneficiari degli interventi.
Nessuna semplificazione
Ormai si può affermare in modo solido che non ci sarà la necessaria e auspicata semplificazione della PAC e questo, a mio modo di vedere, è un brutto guaio, per tante ragioni, alcune delle quali sono state affrontate in precedenza. Il riferimento è in particolare all’eccessivo carico amministrativo gravante sulle istituzioni e sulle imprese ed agli esasperati tecnicismi che sono insiti nella PAC di oggi e potrebbero ulteriormente crescere in quella post 2022.
Maggiore ambizione ambientaleSuccessivamente, a fine 2019, è
intervenuto il Green Deal europeo e, a maggio 2020, sono state
pubblicate le due comunicazioni sul Farm to Fork e sulla Strategia
Biodiversità che hanno accentuato e rafforzato tale tendenza.
Oggi si parla di architettura verde della PAC che comprende tre elementi fondamentali: la condizionalità rafforzata, il regime ecologico nel primo pilastro, le misure agro-climatico-ambientali dello sviluppo rurale.
Su questo tema bisogna prepararsi in modo serio ad ogni livello, avendo cura di anticipare gli eventi e mettendo in campo uno sforzo di tipo propositivo, sia da parte della Pubblica Amministrazione che delle organizzazioni private. Ci sono delle minacce e delle opportunità legate alla nuova architettura verde della PAC. Bisogna scansare le prime e cercare le seconde.
Ad esempio, per un operatore agro-meccanico, il possibile inserimento dell’agricoltura di precisione nell’ambito del regime ecologico potrebbe essere un’opportunità ed una occasione di qualificare e valorizzare la propria attività ed i servizi offerti alla clientela. Di contro, ci sono diversi elementi della nuova architettura verde che in questa occasione ometto di menzionare e che comportano un potenziale impatto negativo sulle imprese agricole e sui fornitori di servizi agro-meccanici.
Verso un equo regime dei pagamenti diretti
C’è un comune denominatore nel dibattito sulla riforma della PAC ed è la tendenza verso una più equilibrata distribuzione delle risorse nel regime dei pagamenti diretti. Si discute se mantenere o sopprimere i titoli storici individuali e con quale intensità applicare il pagamento redistributivo, la riduzione ed il capping.
Inoltre, qualora gli Stati membri dovessero ancora tenere in vita i diritti individuali, si dovrà comunque stabilire un tetto massimo del loro valore unitario ed attuare la procedura della convergenza interna.
Sono tutte materie divisive, per le quali si accenderà una discussione vivace tra i diversi portatori di interesse e all’interno delle stesse Istituzioni. Purtroppo sei mesi di tempo per decidere su tali delicati meccanismi sono pochi e non tali da consentire scelte informate, consapevoli e ponderate.
Il valore aggiunto potenziale del
pacchetto di riforma
Le nuove disposizioni contenute nella PAC post 2022 forniscono una propizia occasione per le Istituzioni nazionali e regionali di cambiare in meglio il funzionamento della PAC, a patto però che si voglia davvero procedere in tale direzione e siano presenti le condizioni politiche e tecniche per farlo.
In precedenza, si è accennato alla circostanza che la riforma in via di approvazione contenga un potenziale valore aggiunto che si percepisce in modo chiaro, ma potrebbe rimanere come un miraggio e divenire così un’occasione persa.
Nello specifico, le Regioni e le Province autonome hanno finalmente l’occasione di interpretare in maniera originale, innovativa e selettiva il processo di programmazione strategica e le nuove modalità per l’attuazione dello sviluppo rurale.
Queste Istituzioni sono svincolate dalla rigida camicia di forza che le ha finora imprigionate e possono disegnare interventi con caratteristiche virtuose, come ad esempio:
calibrarli rispetto ai fabbisogni
specifici del territorio;
renderli selettivi verso i
beneficiari, i settori e le aree geografiche che ne hanno
maggiormente bisogno e che possono restituire risultati
complessivamente migliori;
limitarli nel numero, ma
programmarli in maniera tale da generare un elevato potenziale di
impatto.
Se le Regioni e le Province autonome italiane dovessero rinunciare ad un approccio come quello descritto ed indulgere nell’utilizzo dei vecchi modelli ormai obsoleti, sarà per carenza di lungimiranza, di coraggio e di visione.
Agro-meccanici e accesso al PSR
Intendo chiudere il mio intervento, entrando nello specifico che è a cuore degli operatori agro-meccanici italiani e cioè la possibilità di poter beneficiare dei sussidi per gli investimenti strutturali delle loro imprese.
Come ho avuto già occasione di
affermare durante l’assemblea del 2019 ed ho di recente riaffermato
in un documento di lavoro destinato alla dirigenza CAI-AGROMEC, è
stata superata la norma europea che fino ad oggi ha pregiudicato
l’accesso della categoria ai fondi della misura degli investimenti
del secondo pilastro della PAC.
Dal 2023, un’impresa agro-meccanica può risultare beneficiaria dei sussidi per l’acquisto di macchine e attrezzature, per la realizzazione di impianti e per la costruzione ex novo e ristrutturazione di fabbricati produttivi.
La decisione politica spetta alle
Regioni ed al Mipaaf, le quali non avranno più la possibilità, come hanno fatto fino ad oggi, di invocare la regola europea che impediva loro di procedere in tal senso.
ERMANNO COMEGNA
Già docente presso Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza, Università degli Studi di Campobasso e Università degli Studi di Udine. Attualmente svolge attività di libero professionista e di consulente nel settore agricolo ed agro-alimentare. E' iscritto all'albo dei giornalisti elenco dei pubblicisti. E' Direttore della rivista I TEMPI DELLA TERRA.
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