di FLAVIO BAROZZI
Oggi tutti si riempiono la bocca di “sostenibilità”, e lo fanno spesso a sproposito. Altrettanto a sproposito molti puntano il dito contro l’agricoltura produttiva, ovvero l’attività umana su cui da sempre (e sempre più intensamente al crescere della numerosità e delle necessità degli individui) pesa l’onere di sostenere i fabbisogni della popolazione riproducendo beni e realizzando produzioni (energetiche prima ancora che semplicemente alimentari) con la massima efficienza di utilizzo di risorse non rinnovabili e riproducibili quali suolo, acqua ed aria.
Mentre tanti criminalizzano l’agricoltore che produce additandolo al pubblico ludibrio come fonte di tutti i mali del mondo, oltre che come archetipo di bieca ignoranza e di pervicace arretratezza culturale, quasi nessuno si occupa dei danni che l’agricoltura subisce ad opera di qualche “civilissimo” ed “evolutissimo” cittadino.
Quasi nessuno si occupa ad esempio del fenomeno dell’abbandono in campagna di rifiuti urbani, talvolta tossici e pericolosi. Quello del “lancio del rifiuto in campagna” è sempre stato uno “sport” molto praticato (emblematico il caso di un anziano signore che, sorpreso dall’agricoltore mentre cercava di gettare in un canale di irrigazione un voluminoso e pesante sacco di immondizia faticosamente trascinato in campagna, si giustificò dicendo che “si è sempre fatto così…il “rudo” si è sempre buttato nel Cavone”), ma pare essere cresciuto esponenzialmente dopo l’imposizione della “raccolta differenziata” in molti centri urbani.
Talvolta il fenomeno ha prodotto effetti tragici: è noto il caso di un importante allevamento di bovine da latte letteralmente sterminate per avvelenamento da piombo, dovuto a batterie gettate in campo da una piazzola dell’adiacente autostrada ed accidentalmente trinciate ed insilate assieme al foraggio che nel campo era coltivato. Altri casi sono più “comici”: a chi scrive capitò, ad esempio, di dover rimuovere a colpi di mazza ed ascia, sotto la pioggia battente e nel bel mezzo di una piena, un grosso divano della “marca” resa nota dallo slogan pubblicitario “Provare per credere” che qualche buontempone aveva pensato di gettare come rifiuto in prossimità della chiusa di un canale irriguo (lascio immaginare al lettore di quali affettuosi auguri sia stato oggetto l’ignoto autore del gesto). Altri ancora superano i limiti dell’assurdo, come nel caso del risicoltore lomellino cui i solerti agenti del Corpo Forestale dello Stato elevarono una salatissima contravvenzione (poi giustamente annullata in sede di ricorso, ma con necessità di sostenere un giudizio, effettuare delle perizie, ecc.) per abbandono di rifiuti, consistenti in alcuni vasetti vuoti di yoghurt e bottiglie di birra palesemente gettati in campo dalla strada adiacente.
L’ultimo caso è certamente modesto e meno eclatante in termini “quantitativi”, ma altamente significativo di uno strisciante degrado culturale che attraversa la nostra società. La mattina del 1° aprile rinvenivo in un mio terreno adiacente la SP Robbio-Novara un voluminoso sacco di plastica contenente una confezione di rucola di “IV gamma” -quindi pronta per l’uso- e due confezioni da 230 gr ciascuna di “carciofi grigliati conditi”, altra preparazione alimentare di tipo industriale pronta per l’impiego. Le confezioni riportavano date di scadenza comprese tra 2 e 19 aprile, anche se ad onor del vero ad un attento esame presentavano piccole lesioni (che peraltro potrebbero essere dovute all’impatto col terreno conseguente al “lancio del rifiuto”).
Molti di questi poi dicono che gli agricoltori li avvelenano!
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