di ERMANNO COMEGNA
Editoriale de " I TEMPI DELLA TERRA" | n° 7|
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Una tra le più incredibili vicende che hanno scosso l’agricoltura italiana negli ultimi anni è l’ampia e incontrastata diffusione della malattia del disseccamento rapido dell’olivo, causata da un ceppo importato da oltre oceano di Xylella fastidiosa: il temibile batterio noto per avere causato danni enormi nel nord e sud America a tante fondamentali colture come la vite, gli agrumi ed altri fruttiferi.
Plausibilmente tra il 2005 ed il 2010, il parassita arriva nell’area salentina della Puglia ed inizia l’opera di infestazione che in pochi anni è riuscita a distruggere oltre 20 milioni di piante di olivo; a compromettere il funzionamento dell’intera filiera olivicola locale; a mettere a nudo le debolezze del sistema regionale e nazionale che avrebbe dovuto arginare l’impatto della malattia e salvaguardare un settore produttivo essenziale per l’economia locale ed emblema per il territorio e, infine, a decretare le contraddizioni e l’incapacità di chi avrebbe dovuto agire con gli strumenti della politica per contrastare energeticamente il nefasto fenomeno.
L’obiettivo di questo fascicolo è di affrontare l’argomento dal punto di vista di chi ha fiducia nella scienza e nella capacità della comunità di ricercatori, delle Istituzioni e dell’imprenditoria agricola di trovare in maniera razionale e condivisa le risposte, anche alle più imprevedibili e ignote emergenze. Partiamo però dal presupposto che il danno sia stato irrimediabilmente arrecato e la rivitalizzazione di una delle più importanti aree olivicole a livello globale non possa ancora essere data per scontata.
I saggi e gli articoli pubblicati che affrontano l’argomento da diverse angolazioni e l’attività preparatoria della redazione, consentono di giungere ad alcune univoche ed amare conclusioni e, ove lo si preferisca, impartisce insegnamenti da considerare a futura memoria.
La prima è il fallimento della strategia per prevenire e contrastare la diffusione della infestazione. In troppi hanno ritenuto di avere voce in capitolo, compresi i ciarlatani, i negazionisti, i complottisti di professione, i politici in cerca di visibilità, fino ad arrivare ad un poco comprensibile intervento della magistratura.
Si sono così accumulati ritardi che hanno permesso all’insetto vettore e al batterio di portare avanti inesorabilmente il loro lavoro e provocare il disseccamento di un territorio olivicolo assai esteso. Ancora oggi ci sono dei tentennamenti, tanto che gli olivicoltori delle aree prossime a quelle considerate infette vivono in una situazione di angoscia, temendo che il fronte possa avanzare e compromettere territori oggi indenni.
Come si legge nel saggio del professor Alexander Purcell, l’intervento di prevenzione dell’introduzione dei parassiti ed i piani di azione di emergenza per sradicare il patogeno sono elementi essenziali per il successo, alla condizione che siano realizzati in maniera tempestiva e tecnicamente rigorosa. Ciò non è avvenuto in Puglia ed ora non resta che affidarsi al contenimento, ma neanche questa risposta pare essere all’altezza delle esigenze e della gravità del problema, a giudicare dal diffuso timore che serpeggia tra gli operatori olivicoli del resto della Puglia e delle regioni limitrofe.
Una seconda conclusione è il ruolo giocato dalla comunicazione che non ha aiutato, anzi ha contribuito ad alimentare la confusione, a diffondere la diffidenza, ad oscurare il ruolo e incrinare la fiducia nei confronti di chi ha conoscenza e competenze ed è in grado meglio di altri di fornire indicazioni su come affrontare l’emergenza.
L’intervento di Luigi Caricato mette a confronto la buona e la cattiva informazione, evidenziando come quest’ultima abbia purtroppo avuto la meglio, perdendo così l’occasione di contribuire alla ricerca di una soluzione efficace in tempi rapidi.
E’ emerso un terzo elemento che è ormai ricorrente nelle società che hanno raggiunto un benessere materiale diffuso, dove si è creato un solco profondo di tipo fisico e culturale che separa agricoltori e cittadini. Pur conservando un ruolo economico forte, il settore primario dialoga poco e male con l’opinione pubblica e tende ad essere giudicato con sospetto, essendo accusato di attuare pratiche dannose per l’ambiente, il territorio e talvolta anche per la qualità e la salubrità dei prodotti, pur operando nel contesto di una rigorosa legislazione stratificata a più livelli (europeo, nazionale, locale) e con frequenti e severi controlli. Purtroppo, ci sono forze interne allo stesso mondo agricolo, le quali spesso per pura convenienza di parte, accreditano tale visione.
Tra agricoltori professionali ed altre componenti della società, come le organizzazioni ambientaliste e consumeriste, il dialogo in Puglia è stato difficoltoso, a tal punto da compromettere l’efficacia della lotta del patogeno. In tale contesto, la politica non è riuscita a mediare il conflitto ed ha tentennato tra le diverse posizioni in campo, perdendo così l’occasione di agire in modo univoco e tempestivo, come la natura dell’emergenza da affrontare avrebbe richiesto.
Il caso Xylella, insieme a tanti altri ricorrenti ma meno eclatanti esempi che si sono verificati in Italia di recente, suggerisce sia opportuno chiedersi in che modo favorire l’avvicinamento tra il mondo dell’agricoltura professionale orientata al mercato e le varie espressioni della società civile.
Un quarto precetto che si ricava dalla problematica gestione della Xylella in Puglia, sarebbe da annoverarsi piuttosto come la conferma della saggia regola ben conosciuta del “prevenire è meglio che curare”.
Fino ad oggi, la gestione dell’emergenza è costata diverse centinaia di milioni di euro e manca ancora molto per consolidare gli auspicati risultati. Si pensi che la sola legge del 2019 prevede uno stanziamento per il piano straordinario di rigenerazione olivicola di 300 milioni di euro, considerato da molti come un sottomultiplo rispetto alle reali esigenze. Ai fondi dello Stato, si aggiungono quelli dell’Unione europea e della Regione Puglia, mobilitati tramite la politica di sviluppo rurale e tante altre risorse, in parte già impiegate per finanziare gli interventi di contenimento e in parte da mobilitare per consentire una solida ripresa del settore.
Una accurata azione di prevenzione e di lotta alla diffusione del parassita, impostata ed attuata tempestivamente, avrebbe richiesto uno sforzo finanziario pubblico di gran lunga meno oneroso. Il credito accordato agli incompetenti e l’ambiguità della politica hanno generato onere supplementare gravoso per il già precario bilancio dello Stato.
Oltre che gravoso, la ripartenza dopo l’incontrollato disastro è pure lenta e non solo per l’atteggiamento incerto guardingo degli operatori economici (quinta considerazione). L’olivo è una coltura che il cui impianto richiede uno sforzo economico notevole ed entra in piena produzione lentamente. Quanto devono essere grandi la fiducia, la pazienza e la solidità economica degli olivicoltori per il ritorno alla normalità? Entro quanti anni il Salento riuscirà a ripristinare la piena potenzialità produttiva del proprio sistema olivicolo? Nonostante qualche recente spiraglio derivante dai primi raccolti delle piantagioni di varietà tolleranti, il percorso è lungo ed incerto e le imprese della filiera sono sottoposte ad una pressione che non tutti hanno la forza di reggere.
Da ultimo, il sesto insegnamento è l’indifferenza nei confronti delle ragioni delle imprese olivicole professionali e degli altri operatori economici coinvolti nel settore che sono i veri protagonisti alla base della vitalità e della funzionalità delle aree rurali. C’è stato chi si è abbarbicato ad una sofferente pianta di olivo, in procinto di essere abbattuta, a seguito dell’applicazione di una pubblica ordinanza, piuttosto che sforzarsi di comprendere il grido di allarme e le ragioni di chi aveva l’unico interesse di salvare la propria attività economica e con essa salvaguardare anche l’integrità di impresa e sociale del territorio.
Plausibilmente tra il 2005 ed il 2010, il parassita arriva nell’area salentina della Puglia ed inizia l’opera di infestazione che in pochi anni è riuscita a distruggere oltre 20 milioni di piante di olivo; a compromettere il funzionamento dell’intera filiera olivicola locale; a mettere a nudo le debolezze del sistema regionale e nazionale che avrebbe dovuto arginare l’impatto della malattia e salvaguardare un settore produttivo essenziale per l’economia locale ed emblema per il territorio e, infine, a decretare le contraddizioni e l’incapacità di chi avrebbe dovuto agire con gli strumenti della politica per contrastare energeticamente il nefasto fenomeno.
L’obiettivo di questo fascicolo è di affrontare l’argomento dal punto di vista di chi ha fiducia nella scienza e nella capacità della comunità di ricercatori, delle Istituzioni e dell’imprenditoria agricola di trovare in maniera razionale e condivisa le risposte, anche alle più imprevedibili e ignote emergenze. Partiamo però dal presupposto che il danno sia stato irrimediabilmente arrecato e la rivitalizzazione di una delle più importanti aree olivicole a livello globale non possa ancora essere data per scontata.
I saggi e gli articoli pubblicati che affrontano l’argomento da diverse angolazioni e l’attività preparatoria della redazione, consentono di giungere ad alcune univoche ed amare conclusioni e, ove lo si preferisca, impartisce insegnamenti da considerare a futura memoria.
La prima è il fallimento della strategia per prevenire e contrastare la diffusione della infestazione. In troppi hanno ritenuto di avere voce in capitolo, compresi i ciarlatani, i negazionisti, i complottisti di professione, i politici in cerca di visibilità, fino ad arrivare ad un poco comprensibile intervento della magistratura.
Si sono così accumulati ritardi che hanno permesso all’insetto vettore e al batterio di portare avanti inesorabilmente il loro lavoro e provocare il disseccamento di un territorio olivicolo assai esteso. Ancora oggi ci sono dei tentennamenti, tanto che gli olivicoltori delle aree prossime a quelle considerate infette vivono in una situazione di angoscia, temendo che il fronte possa avanzare e compromettere territori oggi indenni.
Come si legge nel saggio del professor Alexander Purcell, l’intervento di prevenzione dell’introduzione dei parassiti ed i piani di azione di emergenza per sradicare il patogeno sono elementi essenziali per il successo, alla condizione che siano realizzati in maniera tempestiva e tecnicamente rigorosa. Ciò non è avvenuto in Puglia ed ora non resta che affidarsi al contenimento, ma neanche questa risposta pare essere all’altezza delle esigenze e della gravità del problema, a giudicare dal diffuso timore che serpeggia tra gli operatori olivicoli del resto della Puglia e delle regioni limitrofe.
Una seconda conclusione è il ruolo giocato dalla comunicazione che non ha aiutato, anzi ha contribuito ad alimentare la confusione, a diffondere la diffidenza, ad oscurare il ruolo e incrinare la fiducia nei confronti di chi ha conoscenza e competenze ed è in grado meglio di altri di fornire indicazioni su come affrontare l’emergenza.
L’intervento di Luigi Caricato mette a confronto la buona e la cattiva informazione, evidenziando come quest’ultima abbia purtroppo avuto la meglio, perdendo così l’occasione di contribuire alla ricerca di una soluzione efficace in tempi rapidi.
E’ emerso un terzo elemento che è ormai ricorrente nelle società che hanno raggiunto un benessere materiale diffuso, dove si è creato un solco profondo di tipo fisico e culturale che separa agricoltori e cittadini. Pur conservando un ruolo economico forte, il settore primario dialoga poco e male con l’opinione pubblica e tende ad essere giudicato con sospetto, essendo accusato di attuare pratiche dannose per l’ambiente, il territorio e talvolta anche per la qualità e la salubrità dei prodotti, pur operando nel contesto di una rigorosa legislazione stratificata a più livelli (europeo, nazionale, locale) e con frequenti e severi controlli. Purtroppo, ci sono forze interne allo stesso mondo agricolo, le quali spesso per pura convenienza di parte, accreditano tale visione.
Tra agricoltori professionali ed altre componenti della società, come le organizzazioni ambientaliste e consumeriste, il dialogo in Puglia è stato difficoltoso, a tal punto da compromettere l’efficacia della lotta del patogeno. In tale contesto, la politica non è riuscita a mediare il conflitto ed ha tentennato tra le diverse posizioni in campo, perdendo così l’occasione di agire in modo univoco e tempestivo, come la natura dell’emergenza da affrontare avrebbe richiesto.
Il caso Xylella, insieme a tanti altri ricorrenti ma meno eclatanti esempi che si sono verificati in Italia di recente, suggerisce sia opportuno chiedersi in che modo favorire l’avvicinamento tra il mondo dell’agricoltura professionale orientata al mercato e le varie espressioni della società civile.
Un quarto precetto che si ricava dalla problematica gestione della Xylella in Puglia, sarebbe da annoverarsi piuttosto come la conferma della saggia regola ben conosciuta del “prevenire è meglio che curare”.
Fino ad oggi, la gestione dell’emergenza è costata diverse centinaia di milioni di euro e manca ancora molto per consolidare gli auspicati risultati. Si pensi che la sola legge del 2019 prevede uno stanziamento per il piano straordinario di rigenerazione olivicola di 300 milioni di euro, considerato da molti come un sottomultiplo rispetto alle reali esigenze. Ai fondi dello Stato, si aggiungono quelli dell’Unione europea e della Regione Puglia, mobilitati tramite la politica di sviluppo rurale e tante altre risorse, in parte già impiegate per finanziare gli interventi di contenimento e in parte da mobilitare per consentire una solida ripresa del settore.
Una accurata azione di prevenzione e di lotta alla diffusione del parassita, impostata ed attuata tempestivamente, avrebbe richiesto uno sforzo finanziario pubblico di gran lunga meno oneroso. Il credito accordato agli incompetenti e l’ambiguità della politica hanno generato onere supplementare gravoso per il già precario bilancio dello Stato.
Oltre che gravoso, la ripartenza dopo l’incontrollato disastro è pure lenta e non solo per l’atteggiamento incerto guardingo degli operatori economici (quinta considerazione). L’olivo è una coltura che il cui impianto richiede uno sforzo economico notevole ed entra in piena produzione lentamente. Quanto devono essere grandi la fiducia, la pazienza e la solidità economica degli olivicoltori per il ritorno alla normalità? Entro quanti anni il Salento riuscirà a ripristinare la piena potenzialità produttiva del proprio sistema olivicolo? Nonostante qualche recente spiraglio derivante dai primi raccolti delle piantagioni di varietà tolleranti, il percorso è lungo ed incerto e le imprese della filiera sono sottoposte ad una pressione che non tutti hanno la forza di reggere.
Da ultimo, il sesto insegnamento è l’indifferenza nei confronti delle ragioni delle imprese olivicole professionali e degli altri operatori economici coinvolti nel settore che sono i veri protagonisti alla base della vitalità e della funzionalità delle aree rurali. C’è stato chi si è abbarbicato ad una sofferente pianta di olivo, in procinto di essere abbattuta, a seguito dell’applicazione di una pubblica ordinanza, piuttosto che sforzarsi di comprendere il grido di allarme e le ragioni di chi aveva l’unico interesse di salvare la propria attività economica e con essa salvaguardare anche l’integrità di impresa e sociale del territorio.
E’ consulente e libero professionista, attivo nel campo agro-alimentare ed è giornalista pubblicista. E’ stato assistente universitario e professore a contratto presso l’Università Cattolica di Piacenza e Cremona, l’Università del Molise, l’Università di Udine. Ha lavorato per l’Associazione Italiana Allevatori (AIA), la Confederazione Generale dell’Agricoltura Italiana (Confagricoltura), la Provincia di Mantova e la Libera Associazione Agricoltori Cremonesi.
E Ciampolillo, quello del sapone contro la Xylella, ha detto che gli piacerebbe fare il ministro dell'agricoltura...😱😱😱😱
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