eliminiamo le Fake News
Traduzione di ALBERTO GUIDORZI
Nel video sottostante si può seguire una conferenza sulla “mortalità delle api”, la tiene il Prof André Fougeroux: entomologo, membro corrispondente dell’Académie d’Agriculture de France, insegnante associato all’Università Paris Sud Saclay e apicoltore dilettante. Qui di seguito se ne dà una sintesi più o meno ampia a seconda degli argomenti trattati.
Riporto qui all’inizio la frase di Réaumur con cui Il Professor Fougeroux termina l’esposizione, trovo sia meglio collocarla in premessa piuttosto che in finale. Réaumur ebbe a dire: "Il falso meraviglioso che è stato attribuito alle api sarà rimpiazzato dalla meravigliosa realtà che è stata ignorata”.
Notizie generali
- Nella presentazione dell’oratore si riporta la frase attribuita ad Einstein secondo la quale “se le api sparissero l’umanità avrebbe solo 4 anni di vita”. Si tratta di un’attribuzione falsa e priva di contenuto: falsa, perché Einstein non si mai occupato di api e mai l’ha pronunciata, la frase è detta per la prima volta nel 1994 in un’assemblea di apicoltori che tra l’altro protestavano, cioè 40 anni dopo la morte dello scienziato: senza contenuto, perché le api non sono i soli insetti pronubi, anzi, solo circa il 10% del valore della produzione agricola dipende dagli impollinatori, mentre l’alimentazione mondiale è tributaria dell’impollinazione entomofila per il 35%, il resto usa altri meccanismi per produrre parti eduli.
- Il conferenziere prima di passare in rassegna le cause di mortalità si sofferma a spiegare cosa sono le api e l’apicoltura. Innanzitutto l’ape mellifera ha la sua origine in Europa e si è diffusa in tutto il mondo grazie ai missionari che la portavano con sé per avere la cera necessaria alle cerimonie religiose. È la sola che ci dal miele, ma non la sola che esiste, anzi di selvatiche ne esistono 20.000 specie (circa un migliaio vivono da noi; o vivono solitarie o non stoccano risorse più del loro fabbisogno).
- Successivamente fornisce i consumi di miele in Francia (intorno alle 40.000 t) mentre la produzione è più ballerina, si va dalle 10 mila t alle 35 mila t. Il prezzo del miele all’ingrosso in Francia è di circa 5 €/kg (mentre il miele cinese costa solo 1,5 €/kg). La produzione mondiale è variata dalle 750.000 t del 1961 al 1,5 milioni di t di oggi (NDT: pertanto le api nel mondo non possono che essere aumentate). La Cina da sola ne produce 400 mila di t. Il trasporto di polline è fatto per il 90% dagli insetti, il 9% da vento e acqua e 1% da altri animali. La provenienza del miele è verificabile dalle specie di polline contenuto (NDT: ma dato che la microfiltrazione è proibita da noi ma non altrove, il miele che si importa è difficilmente tracciabile.)
- Le piante coltivate che hanno bisogno delle api per fruttificare sono le seguenti: colza per il 25%, girasole 20%, frutta 65-95%, soia 25%, produzione di sementi 95%, fagioli 5%. (NDT: Le 12 colture che forniscono circa il 90% del cibo mondiale: riso, grano, mais, sorgo, miglio, segale, orzo, patate, patate dolci, manioca, banane e noci di cocco - sono impollinate dal vento o autoimpollinate, oppure si propagano agamicamente o si sviluppano senza necessità di fecondazione sfruttando la partenocarpia). In Francia solo il 15% (2,4 milioni di ha) della superficie agricola ha bisogno delle api.
- L’autore sfata la notizia che ha fatto il giro del mondo secondo cui in Cina per mancanza di api si deve fare l’impollinazione manuale di mele e pere. La realtà invece è che in queste zone, per una questione di incompatibilità pollinica, in mezzo a piante che fungono da femmine si dovrebbero piantare individui che fungono da maschi, solo che occuperebbero troppa superficie e non darebbero frutti commerciabili, ecco che allora si preferisce optare per la fecondazione manuale; visto, tra l’altro, che il costo della manodopera è irrisorio ed il prodotto si vende caro. D'altronde che sia una fake news ce lo dice il fatto citato sopra, cioè che la Cina è il maggior produttore di miele.
- Altra notizia che ha fatto il giro dei social è quella secondo cui le api si troverebbero meglio a vivere nei centri abitati che non in campagna dove sono avvelenate dai pesticidi. Mr. Fougeroux mostra la mortalità annuale delle api in vari ambienti (compresi i centri abitati) da dove si evince che essa varia tra il 20 ed il 30% in funzione degli anni. (NDT: in Italia a causa di un clima meno freddo la mortalità varia da un 5 ad un 10% a seconda degli anni). Vi è tuttavia un’altra cosa che caratterizza la città ed è la temperatura dell’aria, più elevata rispetto alla campagna e che permette un mese di bottinatura in più. (NDT: Altro aspetto evidenziato ultimamente è che, essendo le api domestiche più specializzate rispetto agli altri insetti pronubi, certi pollini presenti in città non sono appetiti dalle prime e quindi in città non si possono aumentare troppo le api mellifere perché oltre un certo numero non troverebbero cibo sufficiente). Dal minuto 44:30 inizia l’elencazione delle cause di mortalità che sono: pressione sanitaria, la genetica delle colonie, pratiche agricole, i fitofarmaci, l’ambiente ed infine il clima.
- L’opinione pubblica è ormai convinta che le api stiano sparendo. Essa crede alla propaganda ecologista, ma questa racconta il falso. Nel Mondo a partire dal 1960 le popolazioni di api domestiche sono aumentate del 45% (sono dati FAO e precisamente di Halzen e Harder 2009). Un altro dato che arriva fino al 2014 parla di aumento del 65% (Asia e Africa con aumenti notevoli, America latina con aumenti meno marcati e America del Nord con andamento stabile. In Europa come continente si è avuta stabilità fino agli anni 90, poi vi è stata una caduta verticale e poi una prosecuzione stabile (tra il 2005 e il 2010 su 41 paesi le colonie di api sono passate da 22,5 a 24,1 milioni). Cosa ha provocato la caduta? Sembrerà strano, ma è a causa della caduta del muro di Berlino. Prima l’attività apicola era l’unica attività liberalizzata sotto i regimi sovietici e quindi molti, viste le difficoltà economiche, cercavano qualche guadagno con l’allevamento delle api. Con la fine delle dittature si cercò di sbarcare il lunario in altri modi ed in molti smisero di allevare api.
- Mortalità invernali, si tratta di un fenomeno naturale sempre esistito e dovuto ai freddi, al venir meno del cibo e alla presenza di malattie. In Europa abbiamo tre fasce di latitudine: una fascia Nord (inverni molto lunghi) dove la mortalità media oltrepassa il 20%, una fascia intermedia dove la mortalità varia tra il 10 ed il 20% ed una fascia Sud (che comprende l’Italia) dove la mortalità è inferiore al 10%. Tuttavia una mortalità media del 10% è considerata “naturale” o “accettabile”.
- Successivamente ci si dilunga sul modo d’azione, effetti e lotta dei parassiti più dannosi; ciò fino al minuto 1:11:40
- Da qui in poi si analizzano gli effetti dei pesticidi. Il Professore premette che i pesticidi hanno fatto oggetto di molte discussioni, anche a causa di fenomeni di mortalità acuta delle api, intendendo con ciò l’osservazione di numerose api morte all’entrata dell’alveare. È evidente che in situazioni del genere il pensiero va subito a fenomeni di avvelenamento da pesticidi e parimenti a quei “criminali di agricoltori “che distribuiscono veleni. Per sfatare la credenza vengono subito riportati i risultati di una indagine del 2013 dove sono stati denunciati 98 fenomeni di mortalità acuta, la denuncia è subito ripresa da organismi ufficiali che hanno l’obbligo di indagarne le cause, ebbene il risultato è stato che, tenuto conto che i casi erano quasi un centinaio, il 65% circa era dovuto a cause sanitarie o di pratiche apicole non conformi e nelle restanti 23 ne sono state indagate delle cause fitosanitarie. L’indagine in questi 23 casi ha stabilito che su 18 non si è stabilita una causa preponderante di causa-effetto ( i residui di pesticidi erano bassi per determinare la sicura causa ed erano accompagnati dal riscontro di presenza anche di malattie) e solo 5 mostravano che la causa era ascrivibile ai pesticidi, solo che l’analisi di quali pesticidi ha mostrato che i p.a. colpevoli erano il “fipronil” (2 casi), preparato proibito in agricoltura, e i restanti tre casi erano da assegnarsi a Tau-fluvalinate, Cypermethrine e cyflutrine, sostanze sì usate in agricoltura, ma anche in apicoltura (il primo contro la varroa) e in veterinaria e quindi al limite anche in apicoltura. In definitiva se proprio vogliamo essere cattivi l’agricoltura ha inciso per il 5%. Nel 2014 una uguale indagine ha dato risultati simili.
- Dopo di ciò si punta lo sguardo sui neonicotinoidi (neonics) ed il professore compara il diagramma della produzione di miele in Francia con la data di introduzione dei neonics e l’apparizione di questi insetticidi corrisponde al massimo di produzione di miele e il loro sviluppo accompagna il successivo calo di produzione. Gli apicoltori, visto ciò, hanno subito colpevolizzato dei loro problemi i neonics ed hanno messo sotto pressione la politica. Questa pressata anche dall’opinione pubblica non trovò di meglio che provvedere all’interdizione prima di una molecola poi di una seconda e infine di una terza e questo su colture diverse. Siccome nessuna inversione di tendenza si osservava, nel 2018 l’UE ha interdetto l’uso di tutti i neonics in commercio. L’interdizione però non si basava su indagini scientifiche conclusive perché fin dal 2008 in Francia la mortalità cronica indagata mostrava una multifattorialità di cause con preponderanza di quelle sanitarie. La stessa cosa aveva mostrato un’indagine in Germania nel 2010, dove tra l’altro il 100% del colza (pianta molto nettarifera) aveva semi conciati con i neonics. Un rapporto dell’INRA del 2014 confermava la multifattorialità e individuava tre cause: sanità degli alveari (patogeni e predatori), certi pesticidi agricoli e veterinari (ma i neonics non risultavano in evidenza) e cause ambientali (fame, dieta non conforme, oppure clima).
- Anche negli USA nel 2014 si volle vedere più chiaro in proposito e fu proprio Obama che ordinò che il problema neonics fosse chiarito. Una Commissione esaminò tutta la letteratura in proposito e trasse queste tre conclusioni: a) la varroa è di gran lunga la minaccia più grave per le api; b) i neonics usati nelle condizioni dettate dalle schede di sicurezza presentano pochi rischi per le api; c) tutti gli studi che accusano i neonics sono mal condotti e peccano di sovradosaggi (NDT si fa notare che sono prove eseguite esclusivamente in laboratorio perché poco costose e di conseguenza si obbligano le api a nutrirsi continuativamente di cibo contaminato artificialmente con i neonics, cosa che non capita nelle condizioni reali). In conseguenza dei risultati di questa indagine i neonics non sono stati proibiti sia in USA che in Canada.
- Successivamente dal minuto 1:17:48 si spiega cosa prevede la legislazione nei confronti delle api quando in Europa si chiede l’autorizzazione di messa in commercio di un principio insetticida e poi si sofferma a spiegare la differenza tra rischio e pericolo nel caso degli insetticidi e le api. Ciò continua fino al minuto 1:24:00
- Infine analizza lo studio francese (INRA e ACTA) che è servito da pretesto per interdire tutti i neonics in Europa. Lo studio è consistito nel dotare le api bottinatrici di un congegno elettronico di reperimento. A queste api si faceva assorbire tramite il cibo una dose di neonics pari a 1,34 ng/ape e poi erano rilasciate a varie distanze dall’alveare (fino ad un km) e in seguito si contavano quante ritornavano all’alveare. Il risultato fu che non ritornavano all’alveare da un 10 (quelle rilasciate a 500 m) ad un 30% (quelle rilasciate ad un km) di api. Quando i risultati sono stati pubblicati, però, è sorto il problema del dosaggio nettamente superiore e soprattutto continuo rispetto alle condizioni osservate in pieno campo. Le autorità allora hanno ordinato di rifare lo studio rispettando le normali condizioni agricole. Dello studio è stata incaricata l’ANSES che ha rilasciato le api in prossimità di un campo di colza seminato con seme trattato con neonics alle dosi di omologazione, Il risultato della prova non solo disse che i dat trovati prima non si riscontravano più, ma addirittura vi erano più api operaie quando le api bottinatrici erano rilasciate vicino ad un campo di colza trattato che non quando erano rilasciate vicino ad un campo non trattato. L’ipotesi di spiegazione fu che era una reazione della colonia che compensava con le api operaie le api bottinatrici che non rientravano (NDT: per me è un’ipotesi alquanto tirata per le corna!). Comunque sia non fu notata nessuna differenza di mortalità e di produzione di miele tra alveare con api che bottinavano su colza trattato che in quello dove le api bottinavano su colza non trattato.
- Di fronte a queste prove contrastanti ed all’arzigogolo dell’ANSES secondo la quale: dato che non si può escludere un rischio, ma neppure dire che vi è un rischio, la decisione la detta il principio di precauzione”. Quali però le conseguenze in campagna? Dato che un agricoltore non ci sta a farsi distruggere parte del suo raccolto ha allora optato sull’uso degli insetticidi vecchi, che essendo meno efficaci sulle colture ma comunque nocivi per i pronubi, se ne sono dovuti mescolare ben tre per fare il trattamento.
ALBERTO GUIDORZI
Agronomo. Diplomato all'Istituto Tecnico Agrario di Remedello (BS) e laureato in Scienze Agrarie presso l'UCSC Piacenza. Ha lavorato per tre anni per la nota azienda sementiera francese Florimond Desprez come aiuto miglioratore genetico di specie agrarie interessanti l'Italia. Successivamente ne è diventato il rappresentante esclusivo per Italia; incarico che ha svolto per 40 anni accumulando così conoscenze sia dell'agricoltura francese che italiana.
Agronomo. Diplomato all'Istituto Tecnico Agrario di Remedello (BS) e laureato in Scienze Agrarie presso l'UCSC Piacenza. Ha lavorato per tre anni per la nota azienda sementiera francese Florimond Desprez come aiuto miglioratore genetico di specie agrarie interessanti l'Italia. Successivamente ne è diventato il rappresentante esclusivo per Italia; incarico che ha svolto per 40 anni accumulando così conoscenze sia dell'agricoltura francese che italiana.
Errata Corrige
RispondiEliminaAd un certo punto dell'articolo vi è scritto:
A queste api si faceva assorbire tramite il cibo una dose di neonics pari a 1,34 mg/ape e poi erano rilasciate a varie distanze dall’alveare (fino ad un km) e in seguito si contavano quante ritornavano all’alveare
La dose indicata è errata: non si tratta di 1,34 mg/ape bensì 1,34 ng/ape