mercoledì 13 maggio 2020

CAPRA A CHI?

di VALERIA PRAT

 

Tratto da "I tempi della Terra" |n°4|

La capra nel XVIII secolo: esclusa, bandita, condannata, sottoposta a "strumenti di contenimenti".
Il legaccio una proposta di “educatore” per capre del 1788.



In epoca romana e greca la capra è diffusa e costituisceuna risorsa importante per la produzione di carne, latte, formaggi e frattaglie.
Già nella cultura ebraica, però, diventa, per lo più, vittima sacrificale vilipesa. Un caprone, simbolicamente caricato dei peccati della comunità nel giorno del Kippur, è allontanato nel deserto o spinto giù da una rupe.
Nel Medioevo, prosegue lenta e inesorabile la decadenza del povero animale.
Associato, sempre più spesso, al diavolo e alle streghe.
L’iconografia del tempo, infatti, ritrae di frequente il diavolo con corna e piede caprino.
E, durante i “sabba” secondo l’ignorante superstizione popolare, le streghe si trasformano in gatti neri, ma anche in capre.
La demonizzazione della capra continua nelle età successive.
Si scatena un’incredibile “guerra alle capre”. Colpevoli di distruggere boschi, provocare frane e trasmettere malattie all’uomo.
Negli anni ’20 vengono, addirittura, tassati i possessori di capre. Occorre privilegiare, infatti, il più redditizio allevamento bovino e ovino.
Solo a partire dal 1970 ca. la capra vive un vero e proprio “rinascimento”.
Viene infatti del tutto riabilitata.
Anche perché ha il grande vantaggio di pascolare in terreni inadatti a qualsiasi altro tipo di sfruttamento.
E, dopo secoli di oblìo, anche il latte e il formaggio sono, giustamente, riconsiderati.
Il latte è meno grasso e più digeribile rispetto a quello ovino e vaccino.
Dopo quello di asina, poi, è il prodotto più simile al latte materno.
Inoltre possiede spiccate proprietà cosmetiche. 

IL MIO NOME È CAPRINO 

 
"Formaggi di capra" 

Ad oggi i formaggi caprini hanno sempre più estimatori. Sono ben tollerati e apprezzati per gusto e leggerezza.
È ottimale il contenuto di calcio e fosforo edelevata la presenza di “taurina” vero energizzante.
Come nonricordare la FETA greca e poi il VALANÇAY, il BANON e la BROUSSE francesi (solo per citarne alcuni).
E ancora la FORMAGGELLA DEL LUINESE (DOP) lombarda, il CALLU DE CABREDDU sardo, il PADDUNI siciliano, già menzionato da Omero, LA CAPRA SICILIANA AL PEPE NERO.
In Valcamonica si trovano i ricercati formaggi di capra bionda dell’Adamello. Come il CADOLET.
Anche la Liguria ha il suo caprino. Quello della Valbrevenna e il caprino di malga delle Alpi Marittime. 

CURIOSITÀ 

La BROUSSE DI CAPRA DEL ROVE.
È preparato con latte di capra rove, una razza estremamente rustica, simbolo delle colline secche della Provenza.
La capra bruca ginestra scorpione e quercia spinosa.
Questa particolare alimentazione conferisce alla brousse il tipico sapore arborinato.
Il formaggio fresco viene raccolto con un mestolo e servito in simpatici cornetti da passeggio.
È una produzione di piccola scala che fieramente resiste alle multinazionali del latte.

IL VALANÇAY

È un caprino proveniente dalla Loira.
Ai primi ‘800, un castellano della cittadina di Valançay, introduce il prelibato formaggio omonimo alla mensa di Napoleone Bonaparte. Che è però infastidito dalla forma piramidale del formaggio. Troppo gli ricorda l’Egitto, le piramidi e la cocente sconfitta subita.
Con la spada, in un gesto impulsivo, taglia così la parte superiore.
E lo riduce a un tronco di piramide.
L’attuale forma del Valançay.

IL CALLU DE CABRETTU

Viene ricavato dallo stomaco di un capretto lattante. Una volta estratto, è chiuso alle estremità con una corda. Viene fatto essiccare per tre mesi con tutto il suo contenuto, ossia l’ultima poppata materna.
Una volta il formaggio era anche consumato fritto nello strutto.
È una preparazione di usanza locale.
Oggi, è sempre più raro poterlo assaggiare. 

Ma ora ...
Mi sorridono i monti e le caprette mi fanno ciao
Sì, è già ora di cena.
E c’è una commovente antologia di formaggi caprini con  
qualche petalo di violino.
Rigorosamente di capra, naturalmente.


Valeria Prat
E’ genovese. Ha insegnato con passione per 37 anni materie umanistiche. Ama la natura, il volo in ultraleggero e l 'Emilia Romagna. Ultimamente, a 66 anni, ha esordito come scrittrice con "A volte basta una piuma" e la storia vera di Felice Pedroni, “Un cercatore d ' oro modenese di fine ' 800 che fa fortuna in Alaska”. Si sente poco scrittrice però, un po' di più " giocoliera delle parole". Diversamente giovane, diversamente abile e diversamente scrittrice.


2 commenti:

  1. Bovino e pecora erano complementari nel pascolamento, nel senso che il pascolo cosnsiderato esaurito per i bovini non lo era per le pecore in quanto in quel pascolo vi trovavano ancora cibo in abbondansa. In Francia l'allevatore di bovini aveva sempre anche un gregge di pecore. La capra invece non si comporta così quando è allo stato brado, essa preferisce gli incolti. Dato che un tempo di incolto vi era molto poco ed anche ciò che era tale per l'uomo rappresentava la possibilità di raccogliere legna di ramaglie dai cespugli, La presenza di capre invece avrebbe fatto piazza pulita del sottobosco o dei luoghi cepugliosi. Ecco il perchè della cattiva nomea delle capre e del detto contadino "è solo terreno da capre". Oggi, come ad esempio in Italia dove abbiamo abbamdonato quasi 4.5 milioni di ettari in circa 70 anni, al limite la capra rappresenta un animale ecologico nel senso che se limita la vegetazione del sottobosco o riduce la vegetazione destinata a seccarsi in estate ed a far iniziare incendi compie un'azione ambientalmente positiva. Non dimentichiamoci anche che le capre puzzano molto più delle pecore ed è un odore che permea gli abiti in modo molto persistente.

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  2. Grazie Alberto
    Informazioni interessantissime che ignoravo
    Valeria😊

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