di FERNANDO MAINES, ANTONIO IIRITANO E PAOLO CRESCENTE
La fotogrammetria è una tecnica di rilievo che si basa sui principi della geometria proiettiva. Infatti si studia la relazione fra una prospettiva del terreno e la sua rappresentazione con proiezioni quotate su un piano. In tal modo si costruisce un modello tridimensionale del terreno in scala ridotta e si eseguono misure sul modello anziché sul terreno. Per territori di media o vasta estensione la fotogrammetria risulta molto più economica e conveniente rispetto al rilievo topografico tradizionale: infatti in pochi minuti vengono ripresi migliaia di punti del terreno.
Il rilievo fotogrammetrico si svolge in due fasi: la presa dei fotogrammi con macchine fotografiche¹ e la loro successiva analisi attraverso strumenti chiamati restitutori, che permettono di disegnare la carta del terreno nella scala desiderata.
Una macchina fotografica può essere schematizzata in maniera molto semplice con un piano, che è quello della lastra fotografica, e un punto, ovvero il centro ottico del gruppo di lenti obiettivo². I raggi di luce che partono dal terreno attraversano il centro ottico e formano un’immagine sulla lastra fotografica.
Ciascun raggio di luce parte da un punto ben preciso del terreno e attraversando il centro ottico imprime un’immagine su un punto ben preciso della lastra. Però, mentre è nota la distanza fra centro ottico e punto immagine³, non si può invece stabilire la distanza tra centro ottico e punto del terreno. Per determinare quest’ultima distanza incognita è necessario fare due riprese fotografiche dello stesso terreno da due punti di vista diversi. È un problema simile a quello del rilievo tradizionale con intersezione in avanti: si tratta, infatti, di “intersecare” il percorso inverso di due raggi luminosi provenienti da due foto diverse e relativi allo stesso punto del terreno, determinando così l’esatta posizione spaziale del punto stesso.
La precisione di un rilievo fotogrammetrico dipende in larga misura dalle caratteristiche costruttive della camera da presa e in modo particolare dai seguenti elementi: la qualità dell’obiettivo, una buona conoscenza della distanza focale e l’accuratezza nella realizzazione del sistema di riferimento interno⁴.
Per realizzare un accurato sistema di riferimento interno della camera da presa è necessario rendere piano il supporto della lastra fotografica e orientare la lastra perpendicolarmente all’asse del gruppo di lenti obiettivo. In questo modo la terna di riferimento x,y,z sarà una terna ortogonale.
La posizione dell’immagine di un punto sulla lastra si determina mediante le sue coordinate di lastra x e y dalle quali, conoscendo la distanza fra centro ottico e lastra fotografica, si possono ricavare due angoli e . Quindi misurare sulla lastra x e y equivale a misurare con un teodolite due angoli, rispettivamente un angolo orizzontale ed un angolo verticale di inclinazione , analogamente a quanto avviene in un rilievo tradizionale. Nello schema seguente sono rappresentati il punto P del terreno, la sua immagine P’ sul fotogramma con le sue coordinate di lastra, il centro ottico dell’obiettivo O e gli angoli e .
Per creare un modello in scala del terreno, come si è detto, si utilizzano i restitutori, nei quali vengono poste le due lastre fotografiche e tramite un binocolo si osserva una foto con l’occhio destro e l’altra foto con l’occhio sinistro. Si sfrutta, quindi, la visione binoculare che ci permette di percepire la tridimensionalità del terreno. I restitutori possono essere di tipo analogico, analitico o digitale.
Con i restitutori analogici, ormai quasi in disuso, si esaminano visivamente i fotogrammi e si disegna direttamente la cartografia del terreno su foglio, mentre con quelli analitici si misurano le coordinate di lastra e tramite personal computer, con procedure di calcolo piuttosto complesse, si ricavano le coordinate spaziali dei punti rilevati. Infine con i restitutori digitali si elaborano immagini digitali e si realizza una cartografia numerica del terreno.
Quando si analizza una coppia di fotogrammi, per ottenere una restituzione grafica corretta del terreno o degli oggetti fotografati, è necessario conoscere alcuni parametri. In particolare bisogna conoscere l’orientamento interno di ciascun fotogramma, l’orientamento relativo tra i due fotogrammi e l’orientamento assoluto della coppia di fotogrammi.
Conoscere l’orientamento interno di ciascun fotogramma significa conoscere la “distanza principale” della camera fotogrammetrica, ovvero la distanza fra il centro ottico e la lastra fotografica⁵, nonché le “coordinate lastra del punto principale”⁶, cioè la posizione della proiezione del centro ottico sulla lastra fotografica.
Conoscere l’orientamento relativo, invece, significa conoscere la posizione reciproca fra le camere fotogrammetriche al momento dello scatto dei due fotogrammi, in maniera da posizionare correttamente le due lastre fotografiche all’interno del restitutore.
Infine è necessario conoscere l’orientamento assoluto, cioè la posizione della coppia di fotogrammi rispetto ad un sistema di riferimento cartografico (x,y,z) fissato a terra, in maniera da attribuire al modello del terreno, che si costruisce nel restitutore, le sue reali dimensioni.
L’orientamento interno di ciascun fotogramma dipende dalle caratteristiche costruttive della camera fotogrammetrica. Per la maggior parte delle camere fotogrammetriche la distanza principale è pressoché uguale alla distanza focale dell’obiettivo e le coordinate di lastra del punto principale sono entrambe nulle.
L’orientamento relativo viene fatto con procedure ottico-meccaniche o analitiche in fase di restituzione, misurando su ciascun fotogramma le coordinate di lastra delle due immagini “omologhe”⁷ di cinque punti del terreno, individuati mediante specifici segnali. In realtà si sfruttano sei punti del terreno, per compensare gli errori di distorsione dell’obiettivo commessi in fase di presa e per tener conto di errori residui di orientamento interno.
Per l’orientamento assoluto, infine, bisogna conoscere le coordinate spaziali⁸ di due punti del terreno e la sola quota di un terzo punto. Per questo orientamento si preferisce sfruttare la conoscenza delle coordinate spaziali di cinque punti, per compensare gli errori commessi in fase di orientamento relativo.
Per fare l’orientamento assoluto, come si è detto, bisogna conoscere le coordinate di alcuni punti del terreno. Questi punti devono essere rilevati con strumenti tradizionali, perciò la fotogrammetria è una tecnica che ha comunque bisogno del supporto del classico rilievo topografico.
La fotogrammetria viene impiegata per il rilievo architettonico degli edifici, per interi fabbricati o per alcune facciate di essi, ma soprattutto per il rilievo plano-altimetrico di un terreno. Nel primo caso si tratta di fotogrammetria terrestre, che può essere fatta con apposite “bicamere”, ovvero con un sistema di due macchine fotografiche collegata da un’asta che le sorregge e le mantiene bloccate l’una rispetto all’altre, fissandole su un treppiede⁹. Nel secondo caso si tratta, invece, di fotogrammetria aerea poiché le riprese fotografiche vengono fatte a bordo di un aereo¹º che si muove ricoprendo l’intero territorio da rilevare e scatta delle foto con una certa frequenza temporale¹¹. Le immagini seguenti mostrano i parametri fondamentali di un rilievo aerofotogrammetrico.
L’utilizzo dei droni in agricoltura
L’utilizzo dei droni in aerofotogrammetria, congiuntamente alle tecniche di restituzione non convenzionali hanno determinato una consistente riduzione dei costi che caratterizzano la fotogrammetria aerea classica. Le attrezzature sono decisamente più semplici e tutto il processo può essere portato avanti da una singola persona con le adeguate competenza. È così possibile, ora, utilizzare le tecniche di rilievo mediante fotogrammetria aerea anche in contesti (aziende agricole o aziende forestali, piccoli consorzi, cooperative di trasformazione, …) che fino a pochi anni fa non avrebbero avuto la possibilità di accedere a tali tecnologie.
Con il termine di drone si intende un velivolo caratterizzato dall'assenza del pilota umano a bordo. Il suo volo è controllato dall’elettronica di bordo, sotto il controllo remoto di un navigatore o pilota, posto a terra (o su un altro veicolo).
In Italiano i droni sono noti con l’acronimo APR (Aeromobile a Pilotaggio Remoto), ma sono utilizzati molti altri acronimi: UAV (Unmanned Aerial Vehicle), RPA (Remotely Piloted Vehicle), … .
L’uso del termine aeromobile sottolinea che, indipendentemente dalla posizione del pilota e/o dell'equipaggio di volo, le operazioni devono rispettare le regole e le procedure degli aerei con pilota ed equipaggiamento di volo a bordo. In particolare per l’uso e il pilotaggio di un APR serve uno specifico brevetto e il veicolo deve sottostare alla specifica normativa ENAC (Ente Nazionale per l’Aviazione Civile), per quanto riguarda le caratteristiche costruttive, la registrazione e l’utilizzo.
In commercio sono disponibili moltissimi mezzi a pilotaggio remoto, che possiamo dividere in droni ad ala fissa e ad ala rotante.
I primi presentano una struttura ed un funzionamento molto simile ai classici areoplani.
Le ottime prestazioni in termini autonomia di volo, controllo dei parametri di volo e di sicurezza (in caso di guasto possono planare) non compensano le criticità connesse al decollo e all’atterraggio e all’impossibilità di mantenere una posizione di hoovering (volo stazionario).
I droni ad ala rotante, detti anche multirotori in quanto dotati da un minimo di tre fino a sei o otto eliche12, a differenza dei precedenti si adattano particolarmente per le applicazioni di fotogrammetria aerea grazie alla struttura più compatta, la maggior semplicità di utilizzo, alla capacità di decollo e atterraggio verticale, al volo stazionario, ai ridotti spazi di manovra, e alla possibilità di volare cambiando quota, assetto e direzione in qualsiasi momento (volo in tre dimensioni), capacità che consente di eseguire anche rilievi su superfici verticali.
I droni vengono pilotati attraverso un radiocomando che invia i dati di controllo ad una centralina posta sul veicolo chiamata Flight Control (FC) il cui funzionamento è gestito da un software che può essere “open source” (disponibile gratuitamente e modificabile) oppure “proprietario” pertanto specifico per determinati modelli e con limitate possibilità di personalizzazione.
Alla centralina sono collegati i diversi sensori di controllo e navigazione:
- tre giroscopi disposti su tre assi ortogonali che permettono al drone di mantenere l’assetto nonostante la presenza di eventi esterni che tendessero a modificarlo (tipicamente raffiche di vento);
- tre accelerometri che servono a far percepire al drone quale è la posizione dell’orizzonte rispetto al suolo al fine di riportarlo in assetto orizzontale;
- un barometro che rilevando le variazioni di pressione atmosferica consente di mantenere costante la quota (per il controllo dell’altezza di volo);
- un magnetometro (bussola elettronica) che assicura il corretto allineamento sulla rotta voluta;
- un rilevatore GPS per determinare la posizione del drone nello spazio e poter mantenere il drone in volo a punto fisso (hovering).
Ogni elica è mossa da motore elettrico brushless (senza spazzole), collegato da un ESC (Elettronic Speed Controller) che svolge il compito di regolare il numero di giri e di assicurarne il corretto funzionamento. I motori sono alimentati con batterie LiPo (Litio-Polimero) che si caratterizzano per l’assenza dell’effetto memoria e per una durata variabile da 300 a 500 cicli di carica/scarica. L’autonomia di volo, difficilmente superiore ai 30 minuti, rappresenta ancora una delle principali criticità del sistema.
La fotocamera viene collegata al drone mediante un particolare supporto (gimbal) per assicurare una costante stabilizzazione, contrastando le turbolenze e gli effetti del moto dell’APR. Il gimbal consente anche di orientare la fotocamera indipendentemente all’assetto del drone.
L’ultimo dato riguarda il peso complessivo (batterie e fotocamera incluse) compreso generalmente fra 1,5 e 5 kg.
Per eseguire un rilievo topografico per fotogrammetria aerea mediante drone dobbiamo disporre di un APR di categoria prosumer o professional (pertanto di buona qualità) dotato di camera stabilizzata ad alta risoluzione (a partire da 10 Mpx)¹³.
Per la programmazione della missione di volo si possono utilizzare specifiche App che permettono di creare un piano di volo definendo il punto di partenza del drone, la traiettoria delle strisciate, la velocità e l’altezza di volo, i tempi di scatto. È inoltre possibile impostare l’inclinazione della camera. Il software calcolerà i tempi di volo e le eventuali interruzioni per la sostituzione delle batterie. I dati del piano di volo vengono processati per la gestione automatica del decollo e del volo attraverso il collegamento fra tablet e Flight Control.
Sul terreno si dovranno disporre dei segnali (bersagli) di dimensione, colorazioni e con sigle di identificazione tali da assicurare una loro facile individuazione sulle immagini. La posizione (assoluta e/o relativa) di tali segnali viene ottenuta in campo con rilevatore GPS o stazione totale.
Le immagini ottenute con il volo devono essere elaborate con specifici software CAD per convertirle in ortomosaici dai quali ottenere nuvole di punti di dettaglio. Ulteriori passaggi permettono di determinare modelli 3D, curve di livello, ortofoto, …. Per eseguire tale passaggio in tempi sufficientemente brevi, è necessario disporre di personal computer di buone prestazioni in termini di processore, RAM e scheda grafica.
L’efficienza del processo di restituzione dipende dalla qualità delle immagini. Si deve valutare, non solo la strumentazione di ripresa utilizzata, ma anche la luminosità della giornata e dall’ora in cui viene effettuato il volo (nelle ore mattutine i colori sono più freddi mentre in quelle pomeridiane avviene l’esatto contrario) e le caratteristiche cromatiche delle superfici fotografate. Generalmente sono da preferire le ore centrali della giornata; sono inoltre disponibili software che consentono di correggere le immagini acquisite.
Il rilievo fotogrammetrico aereo non è l’unico campo di applicazione dei droni in agricoltura grazie alla loro spiccata flessibilità di utilizzo, la velocità dell’intervento uniti al basso costo di utilizzo¹⁴.
Un importante esempio è dato del monitoraggio delle coltivazioni. Gli APR, infatti, svolgono un’importante funzione nell’applicazione dei principi dell’agricoltura di precisione, poiché sono in grado di compiere delle missioni automatiche impartite tramite software per agevolare le operazioni di mappatura e acquisizione dei dati grazie all’utilizzo di fotocamere e/o videocamere multispettrali. Si possono pertanto raccogliere informazioni georeferenziate che saranno utilizzate per l’elaborazione delle mappe di prescrizione.
I più comuni sensori trasportati dagli APR sono di tipo ottico atti a rilevare la luce riflessa dalla vegetazione nel visibile e nell’infrarosso (in particolare si utilizza l’infrarosso vicino - NIR), che varia, in lunghezza d’onda, in funzione dell’attività fotosintetica.
Attraverso specifici indici¹⁵ è possibile discriminare piante sofferenti (per stress idrico, attacco di parassita, …) da una vegetazione in buona salute.
Notevoli sono i vantaggi che ne derivano sia da un punto di vista economico che ambientale (esecuzione mirata dei trattamenti chimici, riduzione del consumo di acqua per l’irrigazione e di fertilizzanti), con conseguenti vantaggi per la salute del consumatore. Le informazioni ottenute consentono inoltre all’operatore di intervenire con maggiore tempestività in tutte le fasi del processo di crescita con conseguente aumento della qualità del prodotto finale.
Anche nel monitoraggio ambientale l’uso del drone trova un valido campo di applicazione. Le immagini ad alta risoluzione consentono di riconoscere le differenti tipologie di superfici e quantificarne parametri chimici e fisici importanti per valutare lo stato di salute di foreste, corsi d’acqua, laghi, ghiacciai e altri ambienti.
1-Sono
chiamate camere fotogrammetriche o camere metriche, che invece delle
pellicole usano delle lastre fotografiche di forma rettangolare o
quadrata. Attualmente si usano soprattutto fotocamere digitali.
2-L’obiettivo
è costituito da una serie di lenti, che si possono schematizzare
come un’unica lente di adeguata distanza focale.
3-Infatti
sono note le caratteristiche geometriche della camera
fotogrammetrica.
4-È un
sistema di riferimento con assi x e y sul piano della lastra
fotografica, chiamate coordinate di lastra, e asse z orientato verso
il gruppo di lenti obiettivo.
5-Questa
distanza nelle camere metriche deve essere nota con precisione
dell’ordine del centesimo di millimetro, e ciò determina errori di
5”-10” negli angoli
e di cui si è detto in
precedenza, mentre nelle macchine fotografiche amatoriali è
conosciuta con un errore dell’ordine del millimetro.
6-Le
“coordinate lastra” di un punto sul fotogramma sono le sue
coordinate cartesiane rispetto al sistema di riferimento fissato
sulla lastra, mediante quattro marche che normalmente si trovano sui
punti medi dei lati del fotogramma.
7-Per
ogni punto del terreno si formano due immagini omologhe, una su
ciascun fotogramma.
8-Si
tratta delle coordinate Gauss-Boaga oppure UTM e della quota.
9-In casi
particolari può essere sufficiente un solo fotogramma, ad esempio
quando si esegue il rilievo di una facciata piana di un fabbricato,
purché si conosca la distanza tra due punti della facciata,
altrimenti è sempre necessaria una coppia di fotogrammi.
10-Sul
pavimento della fusoliera dell’aereo viene montata una camera
fotogrammetrica, con l’obiettivo rivolto verso il basso per
inquadrare il terreno sottostante.
11-Si
chiama “strisciata” una sequenza di fotogrammi scattati durante
un movimento rettilineo dell’aereo.
12-la
configurazione più utilizzata è quella a quattro rotori.
13-Consentono
di ottenere immagini con risoluzioni superiori
rispetto a quelle riprese da satelliti civili.
14-Si
potrà assistere ad una ancora più incisiva diffusione non appena si
troveranno soluzioni alle due principali criticità che ancora si
riscontrano nell’uso dei APR: la ridotta
autonomia di volo (massimo 30 minuti) e i limiti di peso del carico
trasportabile.
15-Molto
utilizzato è il NDVI (Normalised Difference Vegetation Index); tale
indice varia tra -1 e +1 dove valori prossimi a 1 indicano un’intensa
attività fotosintetica caratteristica di una vegetazione in buona
salute, mentre valori leggermente positivi sono indicatori di suolo
nudo, rocce o piante morte; valori inferiori allo 0 sono riferiti
all’acqua.
“Genio
Rurale” – Hoepli Editore, Milano, ©
2019
FERNANDO MAINES
Laureato in Ingegneria mineraria presso la Facoltà di Ingegneria dell’Università di Bologna, docente di Genio Rurale e di Meccanica enologica e Costruzioni enologiche presso l’Istituto agrario della Fondazione E. Mach di San Michele all’Adige (TN). E' coautore del libro: Genio Rurale “ HOEPLI”.
ANTONIO IIRITANO
Laureato in Ingegneria Civile sezione Trasporti presso l’Università degli studi di Firenze. Docente di Genio Rurale presso l’Istituto Tecnico Agrario di Firenze. E' coautore del libro: GENIO RURALE “ HOEPLI”.
PAOLO CRESCENTE
E' docente Tecnico Pratico presso l’Istituto Tecnico Agrario di Firenze, coautore del libro: GENIO RURALE “ HOEPLI”.
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