sabato 1 giugno 2019

EASY = TRUE - facile = vero


di DEBORAH PIOVAN 





In un’epoca in cui i processi decisionali sono guidati dalle cosiddette post-verità un approccio responsabile alla comunicazione è indispensabile da parte di tutti gli attori coinvolti. 
Questo comporta anche di sapere che il registro linguistico che si sceglie, i toni adottati, lo strumento utilizzato possono portare a risultati opposti a quelli sperati.
Noi agricoltori lo sappiamo bene: raccontare all’opinione pubblica perché la chimica è utile per il nostro lavoro e il cibo che produciamo, o perché dalla ricerca biotecnologica possono venire interessanti soluzioni per rendere sempre più sostenibile il processo produttivo, è un lavoro ingrato. 
Mi sono recentemente capitati sotto mano articoli di alcuni anni fa dal New York Times e dal Boston Globe che spiegavano come la comunicazione, per essere efficace, debba tener conto della “fluidità cognitiva”, quella misura che indica quanto è facile ragionare di un dato argomento e che indirizza ogni nostra scelta, dagli investimenti alla salute, dagli acquisti al voto. Il Globe, in particolare, dimostrava di aver fatto proprio il concetto mettendolo giù semplice semplice: EASY=TRUE, facile=vero. Un esempio? Si pensi al messaggio imperante nel marketing alimentare: naturale = buono. E’ facile, è immediato, è sexy quindi è vero anche se non lo è, splendido esempio di post-verità. 
Naturalmente non ho resistito alla tentazione di verificare come venga applicata questa lezione al tentativo di comunicare l’esigenza di innovazione in agricoltura alla società. L’approccio alla produzione, in agricoltura come in ogni altro settore, è complesso: ridurlo a slogan rischia di banalizzare; peggio, rischia di portare a soluzioni profondamente errate. Ho già scritto in passato mettendo in guardia dai rischi della semplificazione. 
I produttori sanno che competenze e formazione continua sono imprescindibili anche per i tecnici agrari. Le motivazioni che guidano ogni decisione aziendale in campo agronomico devono essere supportate da dati scientifici. Senza prove concrete nessuna scelta è giustificabile e solo l’evidenza scientifica può guidarci. Questo richiede competenze per un approccio informato alla complessità. 
Ma. C’è un grosso “ma”: la storia recente della genetica agraria e della chimica in agricoltura, con i continui attacchi che queste discipline e i loro risultati subiscono, dimostrano che le prove da sole non sono sufficienti. Non basta aver ragione, bisogna anche che te la diano. 
Noi ci difendiamo dal cambiare opinione perché ne abbiamo paura. Temiamo di scombinare tutto il panorama che abbiamo costruito nella nostra mente. Faremo qualunque cosa pur di giustificare la nostra opinione, tutto pur di non ammettere di esserci sbagliati. E’ un comportamento naturale e ha molto a che fare con il tribalismo. Davanti a informazioni che contraddicono le nostre convinzioni troveremo nuove motivazioni per non cambiare idea, è dimostrato: dobbiamo difendere la nostra tribù ad ogni costo, o le nostre certezze crolleranno e noi entreremo in dissonanza. La dissonanza fa male. L’unica via d’uscita da questo circolo vizioso? La curiosità. Soddisfare la curiosità con l’acquisizione di nuove informazioni spegne il rischio di dissonanza e genera piacere. 
Tornando alla comunicazione dell’agricoltura, quindi, portare prove non è sufficiente. Anzi, può non essere affatto la cosa utile da fare. Le prove ci devono essere, non mi si fraintenda: ogni affermazione non può che muovere da dati scientificamente dimostrati. Ma se questo pragmatismo deve guidarci, è bene sapere che anche per gli approcci comunicativi esiste grande abbondanza di studi e prove su cosa aiuta a veicolare informazioni corrette e cosa invece polarizza il dibattito senza portare a soluzioni, anzi peggiorando la situazione. 
Se è vero che facile = vero, e questa affermazione è vera perché è facile, allora impariamo la difficile arte di parlare facile. Solo se facciamo nostra la complessità, anche quella comunicativa, possiamo sperare di distillarla in un messaggio semplice. 
Può essere utile partire da un obiettivo comune. Noi agricoltori siamo spesso etichettati come inquinatori dell’ambiente. Viene fornito di noi un ritratto negativo funzionale a un certo marketing della paura, molto diffuso in diversi campi: dal giornalismo alla politica, dal commercio alla grande distribuzione. In realtà la protezione dell’ambiente sta a cuore agli agricoltori. Penso dovremmo partire da questo fatto per dialogare con la società: abbiamo in comune il desiderio di produrre in modo sostenibile per l’ambiente, per il consumatore, per le tasche degli agricoltori. Non siamo controparte. Il vero ambientalista non potrà che sedersi a un tavolo con l’imprenditore agricolo per analizzare le soluzioni che la ricerca offre per lavorare in modo sostenibile. Questo semplice approccio spunta le armi dell’ideologia da entrambe le parti. 
Se è vero che facile = vero, allora bisogna smettere di giocare in difesa e passare all’attacco. Chiedere accesso alle biotecnologie agrarie o rassicurare chi è terrorizzato dalla chimica portando dati e smentendo fake news non funziona; non perché sia sbagliato, intendiamoci, ma perché non è sufficiente. Bisogna scombinare la carte, cambiare tattica e avvicinarsi da un altro lato; che poi è la cosa più rispettosa da fare: una volta preso atto che il vecchio sistema di comunicazione difensiva non funziona, è irresponsabile continuare a usarlo. 
Se riusciamo a rompere gli schemi di pensiero consolidato, se rompiamo le bolle in cui le persone si rinchiudono e all’interno delle quali trovano solo conferme alle loro convinzioni, allora – e solo allora - anche i dati potranno entrare. Ma attenzione: per farlo dobbiamo rompere anche la nostra bolla e rivoluzionare il nostro pensiero e il nostro linguaggio. 
Il consiglio che mi permetto di dare ai colleghi agricoltori e a me stessa è di prepararsi a fare un grande salto in avanti nell’impostazione del nostro lavoro: dobbiamo chiedere e pretendere ogni strumento utile a integrare al massimo il processo produttivo, dal digitale al biotech. Ma dobbiamo fare il primo passo, andare all’attacco con proposte innovative o saremo sempre affannati a rincorrere politiche che altri ci impongono. 
Siamo pronti a mettere alla prova dei fatti le nostre convinzioni? O abbiamo paura di scoprire che abbiamo torto e che dobbiamo aggiustare la mira? 
Noi agricoltori ci troviamo davvero a che fare con le due pance delle persone: quella fisica e quella emotiva. Nutriamo già la prima con grande responsabilità. Prendiamo atto che abbiamo bisogno di occuparci anche della seconda. Forse non è il nostro mestiere, ma se non lo facciamo noi se ne occuperà qualcun altro.



Deborah Piovan   
Laurea in Scienze Agrarie Università di Pisa, Diploma della Scuola Superiore di Studi Universitari e di Perfezionamento Sant’Anna di Pisa. Presidente federazione nazionale proteoleaginose Confagricoltura. Imprenditrice agricola. 





1 commento:

  1. Grazie.Credo che il suo articolo sia spunto per riflessioni molto profonde e riporti l 'attenzione sia sull'importanza Sociale dell Agricoltore che sulla professionalità dei tecnici che assistono le aziende.
    Ha ragione dobbiamo essere noi a comunicare la nostra passione e non delegare ad altri.
    Complimenti

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