di ANTONIO SALTINI
Metamorfosi 2019 - Il 26 marzo si è svolto a Palazzo Rospigliosi il seminario: "Agricoltura biodinamica: patrimonio dell'agricoltura italiana".
La Federazione nazionale dei coltivatori diretti (si convertirà in Confederazione otto mesi dopo, all'unico congresso tenuto sotto la prima egida), nasce il 31 ottobre 1944, a Palazzo Serlupi Crescenti, già sede dell'Istituto fascista di studi cooperativi, con la sottoscrizione dello statuto da parte di sette fondatori, suggellata dal notaio Intersimone.
Sui precedenti dell'atto sussiste una pluralità di versioni. Nel primo capitolo di un libro mai terminato Luigi Anchisi, responsabile della sezione dell'apparato fascista dell'agricoltura che organizzava i piccoli proprietari, sostiene che, allarmato dalla virulenza che hanno assunto le occupazioni dei feudi nel Mezzogiorno, avrebbe perorato, incontrando Pietro Germani, anch'egli esponente di rilievo dell'apparato corporativo dell'agricoltura, dopo la sconfitta vicino al primo cenacolo democristiano, l'urgenza di inquadrare, prima dell'autentica esplosione, l'immensa massa dei contadini che dalla conclusione della guerra attendono la realizzazione del sogno atavico delle proprietà della terra. Germani avrebbe affrontato il problema con Mario Scelba, che ne avrebbe discusso con De Gasperi, il quale, richiesto un progetto, lo avrebbe discusso con gli uomini più vicini, tra cui Piccioni, e lo avrebbe approvato delegandone l'attuazione a Paolo Bonomi, il focoso attivista vercellese che lo accompagnava, armato, nelle passeggiate che il grande Trentino amava effettuare, sul Gianicolo, di primo mattino.
Se il ruolo di De Gasperi appare incontrovertibile, fonti autorevoli sottolineano la sicura intesa del futuro capo del Governo con le autorità vaticane, il pontefice, Pio XII, e Giovanni Battista Montini, giovanissimo monsignore impegnato nell'arduo proposito di una carriera che sarà, secondo gli auspici, folgorante.
Per l'organizzazione dei quadri operativi Bonomi si affiderà incondizionatamente ad Anchisi, che assolderà gli uomini di maggiori capacità dell'apparato agrario littorio, uomini che temono, a ragione del passato, l'emarginazione, che accettano, per stipendi modestissimi, di inquadrarsi in una legione creata per battersi contro le schiere comuniste che, autentici fascisti, hanno sempre odiato.
Rifiutando ogni invito all'unità che le voci più autorevoli del movimento sindacale, da quella del comunista Di Vittorio a quella del cattolico Grandi, rivolgono alla neonata confederazione contadina perché si unisca all'auspicato movimento sindacale unitario, grazie alla passione degli uomini di Anchisi Bonomi ordina, in un pugno di mesi, un'autentica falange contadina, che, dopo la vittoria elettorale del 18 aprile, usando accortamente la legge di riforma dell'apparato corporativo della Federconsorzi, al quale il ministro dell'agricoltura, Antonio Segni, ha conservato, intatti, i poteri stabiliti dai predecessori fascisti, muove la propria falange alla conquista dei consigli di amministrazione dei consorzi agrari provinciali, trionfando in 60, mentre in 15 prevale la Confida, l'associazione dei proprietari maggiori, in uno solo, quello di Livono, la Federterra comunista. Alla prima assemblea della Federazione, il 3 settembre 1949, i neo presidenti dei consorzi attribuiscono all'autentico trionfatore il titolo di presidente dell'ente, che Bonomi cederà ad un lacchè intemerato, l'ingegner Ramadoro, affidando la gestione al più spregiudicato giocoliere finanziario, il ragioniere piacentino Leonida Mizzi, che userà dei poteri del padrone per addebitare al Tesoro, a prezzi che nessuno potrà discutere, i servizi annonari che l'ente assicurerà, generosamente, alla Patria.
Usando disinvoltamente dello statuto fascista, il vassallo insediato al comando del caposaldo dell'economia agraria nazionale avrebbe assicurato al proprio duce, per tre interi decenni, l'assoluto potere sull'agricoltura italiana, un potere riconosciutogli dalla Democrazia Cristiana, che si sarebbe rimessa, sistematicamente al tribuno contadino per la scelta di ministri dell'agricoltura che ne avrebbero onorato, supinamente, ogni volere, una premura ricambiata, come illustrò, con ogni dettaglio, a chi scrive, uno dei collaboratori più fidati di Mizzi, l'avvocato Antonio Pepe, con l'assegno, su conti cifrati, verosimilmente elvetici, necessario alle spese di ogni campagna elettorale democristiana.
All'apice del potere il duce contadino sarebbe stato colpito da una grave malattia, che ne avrebbe alterato le facoltà verbali, seppure senza comprometterne la lucidità di dittatore, con la quale Bonomi avrebbe difeso, con la furia della belva ferita, il potere sulla propria creatura e il seggio parlamentare, indispensabile per conservare l'immunità che chi aveva avallato le prodezze di Mizzi nei confronti del Tesoro reputava condizione irrinunciabile per dormire sonni sereni.
Circondato da una compagine di astrologi in grado di interpretare le balbuzie dell'onnipotente infante (nell'etimologico significato di non-loquente) il vecchio dittatore avrebbe reso la propria successione operazione pressoché impossibile, che, dopo il fallimento uno stuolo di concorrenti, avrebbe affrontato, con la capacità di mercanteggiare universalmente riconosciute ai figli di Bari, capitale bizantina, Arcangelo Lobianco, direttore della Federazione di Napoli.
Rievocare l'impresa del giocoliere di Bitonto equivarrebbe a comporre il più appassionante romanzo sulle avventure di un cortigiano rinascimentale. Ai fini di questa sintesi è sufficiente ricordare che, dopo cento coups de théatre, una riunione del vertice della Coldiretti avrebbe assicurato al mancato avvocato barese, 12 settembre 1979, il titolo di presidente vicario, entro pochi mesi epurato dell'attributo di "vicario".
Esaltato dallo straordinario successo, Lobianco, autentico mercante, per origine, di tappeti volanti, avrebbe imposto ai sudditi che governavano la Federconsorzi la più demagogica politica finanziaria, ordinando l'abolizione del primo criterio con cui aveva governato l'ente Leonida Mizzi: l'inviolabilità del pagamento delle merci che la Federazione forniva ai consorzi. Ma, constatato che pagare le fatture era mera opzione di galateo, l'ordine produceva, in una folata di anni, la dissoluzione dell'immensa liquidità di cui l'ente aveva sempre disposta, fino alla crisi finanziaria che si imponeva nel 1987, che l'apprenti sorcier di Bitonto affrontava confermando tutte le deficienze economicistiche, consentendo a Giulio Andreotti, mai contestato da Bonomi, di ordire, a costo di annientare l’unico
apparato funzionale a servizio dell’agricoltura nazionale, il sopruso
più infamante. Notoriamente uomo dalle vendette impietose, a ricambiare l'inurbanità il Vicerè di Palermo avrebbe sottratto a Lobianco il giocattolo miliardario, ordendo una delle trame più oscure, e infamanti, della storia repubblicana, nel cui corso il successore di Bonomi sarebbe stato costretto a rinunciare alla sfavillante carriera cui si riteneva predestinato da disegni divini.
Singolarmente l'uomo che ne avrebbe assunto tutti i poteri sarebbe stato il direttore della federazione di Caserta, Vincenzo Gesmundo, colui che ad ogni tornata elettorale aveva contrattato, in squisito stile casertano, i voti necessari alla riconferma del seggio senatoriale. Organizzata un'autentica sceneggiata, con lacrime e preci, di addio all'antico presidente della Coldiretti partenopea, l'inafferrabile direttore casertano avrebbe rimesso l'onore della presidenza della confederazione al vicepresidente, Paolo Micolini, un intraprendente, tanto furbesco quanto sprovveduto, contadino friulano, che alla prima occasione avrebbe defenestrato, dalle finestre michelangiolesche del principesco Palazzo Rospigliosi, per sostituirlo con il più maneggevole Paolo Bedoni, cui sarebbe seguita un'intera schiera di presidenti scelti dall'onnipotente segretario generale, che per alcuni anni avrebbe cooptato, come partner di un potere assoluto, Franco Pasquali, un non meno intraprendente dirigente romagnolo, destinato, secondo la filosofia casertana dell'autentico boss, quando non più utile, a prendere il volo dalla medesima finestra.
L'onnipotenza (sarebbe più proprio l'uso del sostantivo "tirannia") del nuovo segretario generale sarebbe stata la matrice di una Coldiretti radicalmente nuova, priva di qualunque legame con l'antica falange contadina, una macchina perfetta per produrre utili a vantaggio esclusivo dei dirigenti, assolutamente indifferente alle esigenze degli associati contadini, cui sarebbe stato essenziale solo fornire servizi contabili al più elevato prezzo possibile. Il progetto, radicalmente innovativo, sarebbe stato congegnato, secondo le nuove regole del marketing, col sussidio di un'agenzia di pubbliche relazioni, che avrebbe ideato una strategia intonata al consumismo, all'ambientalismo, alla venerazione dell'agricoltura delle oleografie ottocentesche, tanto attraente quanto incapace di assicurare il cibo a metà della popolazione attuale del Globo.
Antonio Saltini
Già Docente di Storia dell'agricoltura all'Università di Milano, giornalista, storico delle scienze agrarie. Ha diretto la rivista mensile di agricoltura Genio Rurale ed è stato vicedirettore del settimanale, sempre di argomento agricolo, Terra e Vita. E' autore della Storia delle Scienze Agrarie opera in 7 volumi.
Già Docente di Storia dell'agricoltura all'Università di Milano, giornalista, storico delle scienze agrarie. Ha diretto la rivista mensile di agricoltura Genio Rurale ed è stato vicedirettore del settimanale, sempre di argomento agricolo, Terra e Vita. E' autore della Storia delle Scienze Agrarie opera in 7 volumi.
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