di LUIGI MARIANI
Il problema del settore lattiero caseario ovino in Sardegna è annoso e complesso, per cui per giungere a qualche conclusione occorre da un lato evitare i luoghi comuni e dall’altro considerare alcuni dati di fatto sul piano della produzione e del marketing senza i quali non è a mio avviso possibile capire il problema.
Sul piano anzitutto della produzione di latte non si può in alcun modo prescindere dall'aspetto climatico. La zootecnia ovina sarda si muove infatti in un contesto a clima mediterraneo (Csa di Koeppen) nel quale i pascoli sono verdi e produttivi nel semestre invernale (ottobre-marzo) nel quale cade oltre il 70% della pioggia. Nel semestre estivo piove invece pochissimo per cui la produttività del pascolo è scarsa o nulla e dunque l'alimentazione si basa necessariamente su altre fonti (scorte di foraggio, la cui qualità potrebbe essere sensibilmente migliorata adottando pratiche di insilamento).
Questo esclude le fughe in avanti di chi sostiene che la zootecnia ovina sarda dovrebbe considerare come obiettivo il modello estensivo (solo pascolo) senza puntare a quello semi-intensivo, a più alta produttività. A ciò aggiungiamo che se produci meno (ed esempio eliminando i mangimi concentrati) il prodotto costerà di più e pertanto ti troverai necessariamente fuori mercato. Contro l'ipotesi "estensiva" rema anche il problema igienico. Oggi l'unico modo per garantire l’igiene (e dunque la possibilità di smercio sui mercati più attenti a tali aspetti) è puntare su mungitura meccanica e catena del freddo per incrementare in modo sostanziale la qualità del latte evitando da un lato gli inquinamenti da insetti (mosche), urine e feci dall’altro l’alterazione del prodotto per cause termiche. La mungitura meccanica la si può ottenere in un sistema semiestensivo con mungitrici mobili da pascolo nel periodo invernale di pascolamento e impianti fissi per il periodo di stabulazione estiva. Su questo esistono grandi spazi per una seria attività di ricerca e sviluppo da condurre in stretto raccordo fra università locali (Sassari, Cagliari), CNR e CREA.
A ciò aggiungiamo che la zootecnia ovina fonda il proprio reddito su due pilastri e cioè il latte e gli agnelli. Gli agnelli concentrano il loro mercato nel periodo pasquale che poi è anche il periodo delle nascite (1 – 2 agnelli per pecora gravida). E qui occorre senz’altro promuovere il consumo di carne d’agnello, a cui non giovano certo le campagne animalistiche sul tipo di quella inscenate ad ogni Pasqua da Brambilla, Berlusconi e c., i quali non si rendono conto che se salviamo gli agnelli “uccidiamo” la pastorizia. Circa invece la lana, la qualità prodotta dalla razza sarda (che è la razza nettamente dominante in Sardegna) è oltremodo scadente per cui gli spazi di mercato sono minimi.
Sul versante del marketing dei prodotti caseari occorre anzitutto considerare che se il pecorino romano può costituire uno zoccolo produttivo significativo, non è possibile pensare a un futuro basato unicamente su questo prodotto che spunta prezzi relativamente bassi (8 Euro/kg al dettaglio).
Prendendo esempio da quanto accade già oggi per i formaggi di grana (Parmigiano reggiano e Grana padano) l'idea di fondo potrebbe essere quella di diversificare i prodotti puntando anche a formaggi freschi e non stagionati che spuntano prezzi molto più interessanti, anche perché sono più ricchi in acqua, non hanno oneri di stagionatura e sono assai meno ricchi in sale, per cui dal punto di vista dietetico sono e saranno molto graditi. In tal senso l'esempio dei grana da un lato e di crescenze e stracchini dall’altro è esemplare, in quanto crescenze e stracchini spuntano prezzi di gran lunga più elevati rispetto ai grana per litro di latte impiegato per produrli. Altro esempio interessantissimo è dato dal formaggio Roquefort che viene stagionato nelle omonime grotte e che è composto per il 35% da latte di pecora prodotto in tutta la Francia (Corsica inclusa). E qui si ricorda che il prezzo a litro del latte di pecora in Francia è compreso fra gli 1,28 Euro di quello per il Roquefort e gli 1,76 Euro per i formaggi dei Pirenei¹. Tutto questo delinea la presenza di spazi rilevantissimi per un’attività di ricerca e sviluppo seria e che miri anche a creare prodotti e marchi più legati all’isola di quanto possa esserlo un “pecorino romano”.
Sempre sul piano del marketing sussiste ovviamente la necessità di una difesa sul piano legale dei nostri marchi all'estero rispetto alle contraffazioni, il che vale in particolare per il marchio "pecorino romano".
In questi giorni si è poi fatto un gran parlare di "prezzo giusto" ma il prezzo giusto è un concetto totalmente avulso dal contesto reale, in quanto il prezzo nasce dall’incontro fra domanda e offerta. Se tuttavia dovessimo stabilire un prezzo orientativo per il latte ovino potremmo pensare oggi a un prezzo grosso modo doppio rispetto a quelle bovino, per cui se quest'ultimo oggi viaggia sugli 0,4 Euro al litro per il latte ovino dovremmo pensare a 0,8 Euro.
Aggiungiamo poi che se i produttori sardi lamentano di essere legati mani e piedi ai commercianti, l'unico modo per uscire da tale situazione è quello di estendere la propria attività a una frazione sempre più ampia delle filiera, anche stabilendo rapporti con la grande distribuzione o studiando prodotti di nicchia di qualità molto elevata, interessanti per cerchie ristrette di buongustai.
Da rilevare infine che l'attenzione delle istituzioni al settore ovino sardo dovrebbe andare oltre il periodo pre-elettorale e divenire sistematica. E qui alla logica populista che vede i vicepresidenti del consiglio intervenire in prima persona dovrebbe sostituirsi la rete delle istituzioni locali, più vicine ai bisogni delle diverse categorie coinvolte (produttori, commercianti e consumatori).
Dice un vecchio proverbio che "La colpa è una bella figliola ma nessuno la vuole" e in tal senso il caso del latte di pecora sardo è esemplare. Infatti le cause delle crisi attuale sono molteplici e la crisi stessa è strutturale per cui non potrà essere certo risolta utilizzando l’arma del pietismo che porta a mettere mano al portafoglio pubblico e a sfuggire ad un rapporto adulto con il mercato, come in tutt’altro settore ben ci insegna la vicenda Alitalia.
¹Pulina et al., 2018. Current production trends, farm
structures, and economics of the dairy sheep and goat sectors, Journal of Dairy Science, 101:6715–6729.
Docente di Storia dell'Agricoltura presso l'Università degli Studi di Milano-Disaa, condirettore del Museo Lombardo di Storia dell'Agricoltura di Sant'Angelo Lodigiano. E' stato Docente di Agrometeorologia e Agronomia nello stesso Ateneo e Presidente dell’Associazione Italiana di Agrometeorologia.
Luigi Mariani
Docente di Storia dell'Agricoltura presso l'Università degli Studi di Milano-Disaa, condirettore del Museo Lombardo di Storia dell'Agricoltura di Sant'Angelo Lodigiano. E' stato Docente di Agrometeorologia e Agronomia nello stesso Ateneo e Presidente dell’Associazione Italiana di Agrometeorologia.
Professor Mariani, articolo preciso ed incisivo il suo, che condivido a pieno.
RispondiEliminaVorrei però, aproposito di "una bella figliola che nessuno vuole" diffendere una categoria di pastori i quali sono dei semplici produttori di latte che Non fanno parte di cooperative di trasformazione e conferiscono il loro latte ai trasformatori privati.
Costoro non hanno né possibilità né titolo di interferire sulle scelte produttive e commerciali degli industriali caseri,il loro compito è semplicemente produrre e vendere latte.
Le trattative fra le parti duravano da qualche mese senza arrivare ad un accordo,intanto il latte veniva pagato come sappiamo.
La protesta di questi pastori è rivolta alla loro controparte,cioè gli industriali e al settore della trasformzione,ritenuti responsabili di questa crisi.
Non credo che abbiano intenzionalmente ricorso all' arma del pietismo che porta a mettere mano al portafoglio pubblico né sfuggire ad alcun ché.
Hanno chiesto di non essere loro a pagare il grosso di questa crisi.
Cordiali saluti.