Pubblichiamo la lettera, che Michele Lodigiani ha mandato al Manifesto in risposta all’articolo di Luca Colombo.
Egregio Direttore,
leggo sul Manifesto di ieri (17 gennaio), a firma Luca Colombo (Segretario Generale della FIRAB - Fondazione Italiana per la Ricerca in Agricoltura Biologica e Biodinamica), un articolo che commenta e stigmatizza il documento che un cospicuo numero di accademici, tecnici ed agricoltori (fra cui io stesso) ha sottoscritto ed inviato ai membri del Senato in previsione della prossima discussione della legge che regolerà il settore della produzione agro-alimentare con metodo biologico.
Essendo di formazione liberale raramente condivido le opinioni del suo giornale, che orgogliosamente si definisce ancora “quotidiano comunista”, tuttavia in diverse occasioni ne apprezzo la lucidità di analisi. Per questo mi è dispiaciuto rilevare come l’articolo in questione, nel replicare ad un documento assai articolato, non trovi di meglio che riservare espressioni irridenti quando non insultanti a quanti l’hanno stilato e sottoscritto (definiti “conventicola”, “compagnia di giro”) e ai loro argomenti (liquidati come “invettive da osteria”, “cagnara”).
Il problema è complesso, rappresenta uno snodo fondamentale delle strategie alimentari dell’Umanità di questo secolo e meriterebbe una discussione che gli spazi di questa lettera certo non consentono. Mi limito pertanto a qualche osservazione, nella speranza che Il Manifesto voglia dare spazio in futuro a questo dibattito.
leggo sul Manifesto di ieri (17 gennaio), a firma Luca Colombo (Segretario Generale della FIRAB - Fondazione Italiana per la Ricerca in Agricoltura Biologica e Biodinamica), un articolo che commenta e stigmatizza il documento che un cospicuo numero di accademici, tecnici ed agricoltori (fra cui io stesso) ha sottoscritto ed inviato ai membri del Senato in previsione della prossima discussione della legge che regolerà il settore della produzione agro-alimentare con metodo biologico.
Essendo di formazione liberale raramente condivido le opinioni del suo giornale, che orgogliosamente si definisce ancora “quotidiano comunista”, tuttavia in diverse occasioni ne apprezzo la lucidità di analisi. Per questo mi è dispiaciuto rilevare come l’articolo in questione, nel replicare ad un documento assai articolato, non trovi di meglio che riservare espressioni irridenti quando non insultanti a quanti l’hanno stilato e sottoscritto (definiti “conventicola”, “compagnia di giro”) e ai loro argomenti (liquidati come “invettive da osteria”, “cagnara”).
Il problema è complesso, rappresenta uno snodo fondamentale delle strategie alimentari dell’Umanità di questo secolo e meriterebbe una discussione che gli spazi di questa lettera certo non consentono. Mi limito pertanto a qualche osservazione, nella speranza che Il Manifesto voglia dare spazio in futuro a questo dibattito.
Quanto all’agricoltura biodinamica, essa si basa su principi più prossimi alla magia che alla scienza. Preferisco non parlarne affatto e rimandare i lettori interessati ai siti delle stesse associazioni biodinamiche per farsene un’idea in proprio: in bocca mia sembrerebbero fake news!
L’agricoltura biologica si autoimpone un vincolo che definirei “ideologico” più che tecnico, il rifiuto della chimica di sintesi, ma nel rispetto di questo vincolo non ha nessun rifiuto della scienza e della tecnologia moderne. Per questo trovo sorprendente che gli agricoltori biologici si facciano rappresentare dalle stesse associazioni di quelli biodinamici: se fossi uno di loro rifiuterei l’apparentamento. Anch’essa, comunque, non è esente da criticità: il rifiuto della chimica di sintesi rende necessario un largo impiego di quella tradizionale, che non è certo meno impattatante.
L’agricoltura biologica si autoimpone un vincolo che definirei “ideologico” più che tecnico, il rifiuto della chimica di sintesi, ma nel rispetto di questo vincolo non ha nessun rifiuto della scienza e della tecnologia moderne. Per questo trovo sorprendente che gli agricoltori biologici si facciano rappresentare dalle stesse associazioni di quelli biodinamici: se fossi uno di loro rifiuterei l’apparentamento. Anch’essa, comunque, non è esente da criticità: il rifiuto della chimica di sintesi rende necessario un largo impiego di quella tradizionale, che non è certo meno impattatante.
Per approfondire l’argomento rimando quindi alla lettura del documento che ha suscitato questo vespaio, reperibile sul blog Agrarian Sciences , e al sito della rivista FreshPlaza che ha pubblicato il dibattito che ne è scaturito. Fra le proposte del documento desidero tuttavia riportarne almeno una, che mi pare la più importante e che dovrebbe essere apprezzata e condivisa da tutti coloro che affrontano il problema con onestà intellettuale: si chiede che la nuova legge preveda l’istituzione di un progetto di ricerca pluriennale e a largo spettro, che metta a confronto (con criteri strettamente scientifici) la sostenibilità dell’agricoltura biologica e di quella cosiddetta convenzionale (più propriamente “integrata”). Ci piacerebbe che l’evoluzione normativa, almeno in futuro, si basasse su questo tipo di valutazioni (l’einaudiano “conoscere per deliberare”) e non sulla facile ricerca del consenso.
Un’ultima osservazione è invece per Il Manifesto. Io credo che la discussione sull’agrochimica sia fortemente viziata dal pregiudizio (a volte, intendiamoci, pienamente giustificato) sulle multinazionali della chimica, su tutte la famigerata Monsanto, il diavolo in persona! Senza nulla togliere a Monsanto, che sicuramente ha zanne e artigli assai affilati e non ha certo bisogno della mia difesa, rilevo però che essa, in tutto il mondo, fattura circa quanto Coop (la maggiore GDO nazionale) in Italia, circa un sesto di Carrefour (la maggiore GDO europea), e addirittura un quarantesimo di Walmart (la maggiore GDO statunitense). Non vi è mai venuto in mente che forse il boom dei prodotti bio o, più in generale, di quelli percepiti come “eticamente virtuosi” abbia qualche correlazione con la volontà di questi gruppi di segmentare il mercato alimentare, ottenendo così marginalità assai più interessanti? Non avete il dubbio che essi, che al contrario di Monsanto spendono miliardi di dollari in pubblicità volte ad esaltare le proprie virtù (autocertificate) e a gratificare l’inconscio del consumatore, siano i veri “poteri forti” a cui guardare con un certo sospetto? Sarò all’antica, ma tutto sommato ai manifesti di Petrini e Vandana Shiva preferisco ancora quello di Marx e Engels: anche i comunisti non sono più quelli di una volta!
Un’ultima osservazione è invece per Il Manifesto. Io credo che la discussione sull’agrochimica sia fortemente viziata dal pregiudizio (a volte, intendiamoci, pienamente giustificato) sulle multinazionali della chimica, su tutte la famigerata Monsanto, il diavolo in persona! Senza nulla togliere a Monsanto, che sicuramente ha zanne e artigli assai affilati e non ha certo bisogno della mia difesa, rilevo però che essa, in tutto il mondo, fattura circa quanto Coop (la maggiore GDO nazionale) in Italia, circa un sesto di Carrefour (la maggiore GDO europea), e addirittura un quarantesimo di Walmart (la maggiore GDO statunitense). Non vi è mai venuto in mente che forse il boom dei prodotti bio o, più in generale, di quelli percepiti come “eticamente virtuosi” abbia qualche correlazione con la volontà di questi gruppi di segmentare il mercato alimentare, ottenendo così marginalità assai più interessanti? Non avete il dubbio che essi, che al contrario di Monsanto spendono miliardi di dollari in pubblicità volte ad esaltare le proprie virtù (autocertificate) e a gratificare l’inconscio del consumatore, siano i veri “poteri forti” a cui guardare con un certo sospetto? Sarò all’antica, ma tutto sommato ai manifesti di Petrini e Vandana Shiva preferisco ancora quello di Marx e Engels: anche i comunisti non sono più quelli di una volta!
Cordialmente! Michele Lodigiani
Agricoltore e Agronomo
Credo che l'ultimo comunista serio rimasto in circolazione nel panorama politico italiano sia Rizzo. Tutti gli altri, chi più chi meno, si sono piegati ai dogmi del neoliberismo -Manifesto compreso - il quale, nella declinazione di "sinistra", concentra quasi esclusivamente le sue battaglie sul piano dei diritti civili e dei costumi. E la falce e martello non resta che un vuoto feticcio pseudo-identitario, uno dei tanti brand da agitare a piacimento nell'arena politica del nostro tempo.
RispondiEliminaSandro Righini