martedì 23 ottobre 2018

VIAGGIO AL CENTRO DI XYLELLA

 

di COSIMO GAUDIANO 

 


Foglia bruscata, si nota il disseccamento avanzante. Foto - Cosimo Gaudiano.

Le tiepide domeniche settembrine sono le giornate ideali per scampagnate e piccoli viaggi. L’autunno tarda a giungere e basta una scusa qualsiasi per godere di una gita col sole ancora estivo.
Si sale in auto e si colma la distanza che separa Matera da Lecce e mantenere la promessa fatta a un amico agricoltore: verificare la peste che sta annientando olivi e paesaggi salentini.
Già nella provincia di Brindisi ci si rende conto dell’avanzare dell’epidemia nelle campagne, gettando lo sguardo sul mare di olivi che costeggiano le strade e notando i numerosi rami morti, tessere color marrone che macchiano la distesa verde. Ma le cose peggiorano proseguendo verso sud e oltrepassando Lecce. Dalla strada ormai non si può far finta di non vedere la devastazione che ormai primeggia.

L’appuntamento è a Borgagne, una frazione di Melendugno subito a ridosso della Grecìa salentina, l’antica isola ellenistica dove si parlava il griko.
Penetriamo nelle campagne circostanti, verso i luoghi che per l’olivicoltore erano sinonimo di duro lavoro e di modesti redditi, ora per necessità convertiti in parcelle sperimentali improvvisate. Visitiamo oliveti ben potati e altri abbandonati, altri ancora con suolo lavorato superficialmente e altri solo sottoposti a trinciatura delle erbe spontanee, senza rimescolare gli strati di suolo. Altri ancora attestano l’uso di rame e altri agrofarmaci, tentati come ultima speranza. La risposta è sempre la stessa: l’avanzamento del flagello è inesorabile, Xylella è penetrata nello xilema degli olivi, di ciascun olivo, in ogni oliveto, e li uccide con lenta crudeltà.
Tutte le varietà tradizionali salentine sono colpite, solo la varietà “Leccino” attesta una tolleranza che gli permette di sopravvivere e fruttificare.
I sintomi della malattia paiono essere ovunque i medesimi, con il seguente decorso: dopo ripetuti disseccamenti di rami, la fitopatia si dilata alterando l'intera chioma, riscoppiano le gemme dormienti che fanno pensare alla titanica e disperata lotta tra la pianta e il suo male, al termine della quale c’è il disseccamento inesorabile della parte aerea seguito dalla morte delle radici, non prima di aver tentato l’ultima residua resistenza con la copiosa emissione di polloni.
Trascorse le ore mattutine a esplorare le zone in cui il batterio è arrivato da poco, circa 3 anni, si è agghiacciati da uno smarrimento contro il quale ci si sente irreparabilmente impotenti. Ma questo è nulla in confronto a Gallipoli…
Decido che l’itinerario per raggiungere lo Ionio dovrà attraversare campagne e aree interne, solcando le Serre salentine per osservare dalle alture panoramiche l’impatto della fitopatia sul paesaggio. 

Martano, Maglie, Cutrofiano, Collepasso, Alezio. L’intera campagna soffre, gli olivi che non portano i segni della malattia sono rari, il resto è un viaggio verso l’epicentro di un terremoto patologico che non lascia spazio all’immaginazione. L’habitat mediterraneo e la sua agricoltura sono sconvolti, non esistono più. 
Dalle veloci strade principali lo sguardo si concentra alla guida e ci si rende conto solo distrattamente che attorno qualcosa non va per il verso giusto. Solo passando dalle carrarecce, percorrendo le piccole strade tutte curve e cunette che rallentano la marcia si può contemplare il disastro. L’olivicoltura non esiste più. Non bastano neanche le foto fatte da cavalcavia e colline per averne un’idea, occorre compiere questo lento viaggio che attanaglia il cuore e percorre zone dalla severità sempre più elevata, come se facessimo avanzare velocemente il film per arrivare, ansiosi di liberarci dell'incubo, al finale e ai titoli di coda.
Le “macchie” color terra tra gli alberi che avevo visto finora erano singoli rami seccati, molto diffusi nelle chiome ma isolati, essenzialmente non preoccupanti negli oliveti da poco attaccati dalla malattia vascolare. Ora le "macchie" sparse si convertono nella devastazione totale, lo stadio più grave della batteriosi. Oliveti interi morti, deperienti, conciati male da potature frettolose operate con comprensibile angoscia, senza più una chioma viva, senza scampo alcuno. 



Durante il viaggio l’unica parola che viene in mente è “pestilenza”.
Già, pestilenza. Una parola da un secolo in disuso. Le uniche immagini che possono paragonarsi a quanto mi circonda sono quelle bibliche che narrano degli egizi che subiscono le piaghe ultraterrene minacciate dal Dio di Mosé.
Non è diversa l’impotenza degli agricoltori di fronte a questo batterio, mentre all’impotenza sono stati ridotti studiosi, tecnici e scienziati che hanno tentato di contrastare il contagio nel territorio e di salvare il salvabile. La ragione di questa impotenza andrà approfondita successivamente.
Gallipoli è splendida e il suo mare invoglia a rilassarsi, ma se si dirige lo sguardo dalla costa alle colline allora la vista diventa una orribile fonte di ansia. Interi segmenti del paesaggio agreste non esistono più. Da lontano gli olivi sembrano carcasse grigie scaricate con ordine, più da vicino appaiono le cuspidi secche senza appello e senza speranza. Questo è il territorio che il batterio ha colpito per primo, si presume per merito di vivaisti disattenti e piante tropicali importate, dalle probabili certificazioni fitosanitarie fasulle, per il piacere della vista e l’intento di arricchire i giardini.
Se le stime dei fitopatologi sono esatte, sono circa 8 anni che il batterio è stato importato e si è diffuso a Gallipoli, l’epicentro della catastrofe, dove la speranza di contenere Xylella è stata abbandonata da tempo. Qui si possono vedere gli effetti terminali che non lasciano presagire nulla di buono per l’agricoltura dell’intero Mediterraneo.
Dopo le riflessioni all’ombra della fortezza sul mare, dirigo l’auto sulla via del ritorno. La strada tra Gallipoli e Lecce è un incubo che stringe il cuore. La velocità di percorrenza non è più una scusa per non guardare perché la devastazione della veduta si tocca con mano, con un connubio materializzato tra la teoria visuale, che fa parte dei moderni studi sul paesaggio, e la pratica della realtà tangibile che viene comunicata dai sensi. Ora le distese di olivi morti o morenti non si possono più quantificare, diventano simili ai cimiteri di guerra con successioni ben allineate di decine di migliaia di cippi bianchi a ricordo dei caduti, aggiungendo ulteriore sconforto a quello accumulato. Mentre la strada scorre, scorrono anche i ragionamenti del tecnico agricolo. Quali altre colture potrebbe colpire? E quale sarà l’impatto con i boschi e l’ecosistema forestale? Domande cui cercheremo risposte nella letteratura scientifica.
E con il ritorno a casa nasce il desiderio prepotente di porre un argine a tutto quello che ha facilitato l’insorgere e la diffusione della pestilenza vegetale, che sta portando in luce, se mille prove già non esistessero, tutti i limiti e assurdità della società civile italiana: la carenza di una corretta informazione scientifica, le problematiche della regionalizzazione agricola e fitosanitaria, il rapporto perverso tra i mass media e gli adepti disumani della “sfiducia militante” mascherati da difensori della società civile.
Siamo di fronte alla più grave minaccia per l’agricoltura mediterranea, che ormai è già catastrofe in Salento ma che probabilmente non ha ancora espresso tutto il suo potenziale patogeno e distruttivo.

Si ringraziano calorosamente Benedetto Accogli, presidente di CIA – Lecce 
e paziente guida durante la visita salentina, 
e Antonio Saltini per la revisione del reportage.




Cosimo Gaudiano
Agronomo forestale e imprenditore agricolo lucano, appassionato di scienza, botanica e sociologia, dopo la crisi economica dei capitali italiani si è rivolto all’agricoltura per non emigrare da Matera. Viaggia per l’Italia alla costante ricerca delle eccellenze scientifiche, umane e sociali che rappresentano la Repubblica. AGIA e CIA rappresentano una occasione di incontro e confronto con gli agricoltori eroici della Basilicata e d’Italia.



 

3 commenti:

  1. quanti anni sono previsti perché la malattia si propaghi al resto d'Italia?

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    1. Troppo presto per queste conclusioni affrettate.
      Cosimo

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  2. Da pugliese dico "ben ci sta, ce lo siamo meritato fino in fondo".
    Che vergogna.

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