di FRANCESCO MARINO
Ho incontrato, nella sua casa di Modena Antonio Saltini, l' autore della monumentale Storia delle Scienze Agrarie in sette volumi, finalmente pronti alla stampa in lingua inglese. Un'intervista/confessione di un'avventura quarantennale, raccontata con intensa passione che spero di trasmettere qui di seguito ai lettori di Agrarian Sciences. In seguito, sperando di farvi cosa gradita, pubblicheremo a cadenza settimanale gli estratti dell' opera.
Saltini ha più di una volta confidato agli amici di dovere all'Onnipotente uno specialissimo ringraziamento per avergli donato una vita non poche volte drammatica, riconoscendo che solo a chi sfida i rischi e controlla la paura è dato scoprire quanto la maggior parte degli uomini non conoscerà mai.
Il primo viaggio di Antonio fu la traversata dell'Adriatico su una paranza, da Pola, occupata dalla Whermacht, a Chioggia, tra le minacce delle artiglierie pesanti tedesche, di quelle leggere dei partigiani croati, delle mitragliere dei ricognitori della Raf. Non aveva ancora un anno, ma la tensione, su quella paranza, di uomini e donne consapevoli dei rischi che correvano, lascia in un bambino sensibile un segno indelebile: sbarcando, tra le braccia della mamma, al pontile di Chioggia, la sua vita aveva già assunto la propria direzione. Viaggiare non sarebbe stata la sua scelta, era l'imperativo cui non avrebbe potuto sottrarsi.
Ma viaggiare aveva il proprio significato, per Antonio, se l'itinerario potesse svilupparsi, contemporaneamente, nello spazio e nel tempo. Mentre i genitori lo conducevano alle latitudini diverse della Penisola, negli anni '50 ancora il Bel Paese che aveva incantato Goethe, che in trent'anni sindaci, geometri e sensali politici assetati di denaro avrebbero convertito nella baraccopoli attuale, Antonio si appassionava, sui banchi del ginnasio, alle memorie greche e latine, che amava leggere nelle lingue in cui le avevano scritte storici e filosofi in toga candida, alla storia delle disumane conquiste della cattolicissima Spagna e dell'avida Inghilterra. Papà e uno zio, prete acceso dalle passioni più nobili e incapace di controllare le esplosive contraddizioni, lo indussero ad iscriversi alla facoltà di legge, di cui percorse tutte le tappe per riconoscere, al termine, che quanto aveva studiato non lo interessava, e iscriversi alla facoltà milanese di Scienze agrarie.
Si laureò, con la lode, presentando una tesi assolutamente, allora, originale, sui rapporti tra la chiusura delle stalle e il tenore umico dei campi. Ebbe appena il tempo, con un amico, di un viaggio attraverso i Balcani per ritrovarsi, al ritorno, titolare di una scrivania al Giornale di agricoltura, il più antico, un tempo prestigioso, periodico agricolo italiano, organo della Federazione italiana dei consorzi agrari, specchio delle negoziazioni più torbide della scena nazionale, il cui staff tecnico era composto, però, dai migliori specialisti nei settori chiave dell'agricoltura nazionale, un'élite tecnocratica molti dei cui membri si appassionarono alla lettura degli articoli scritti da Saltini dopo lunghe, intense conversazioni. L'intesa voleva che il reporter non citasse le fonti, obbligate al riserbo, che amavano fornirgli dati e rilievi di cui nessun concorrente avrebbe mai potuto entrare in possesso, la cui origine restava ignota.
Dirigeva il Giornale un vecchio gentiluomo ignaro di agricoltura, morì, la direzione fu affidata al servitorucolo più fedele del despota Bonomi, Saltini fu invitato a operare alla bolognese Edagricole, la casa editrice di Luigi Perdisa, arbitro incontrastato della cultura agraria nazionale, che, ormai settuagenario, aveva acquistato un settimanale agricolo, Terra e Vita, fondato da Rizzoli, una grande casa editrice priva di legami col mondo agricolo, quindi incapace di alimentare il flusso di notizie e valutazioni necessario alla redazione di un settimanale.
Potendo disporre, con una telefonata, delle conoscenze, nelle materie specifiche, dei numi della zootecnia, della fitopatologia, della selezione di bovini, suini e pollame, di frutticoltura e meccanica agraria, che al termine della telefonata gli assicuravano che avrebbero affidato l'articolo richiesto al più brillante degli allievi, Luigi Perdisa pretendeva che il "suo" settimanale affrontasse altresì un terreno che nessun concorrente era in grado di esplorare: il procedere dello straordinario sviluppo tecnologico che gli anni '70 registravano, nel paesi all'avanguardia, in tutte le sfere della produzione agricola. Gli occorreva un reporter che, in Bretagna o nel Lincolnshire, in Israele o in Nuova Zelanda, sapesse conversare con un agricoltore d'avanguardia e trasfondere nel lettore italiano l'urgenza di aggiornarsi per competere con chi stava progredendo alla velocità della luce. Sperimentò quanto Saltini fosse in grado di corrispondere al proprio sogno inviandolo in Israele, sulla serie di articoli redatti al ritorno richiese le impressioni dei colleghi più illustri. Raccolti quei pareri alla vigilia di ogni fiera agricola di risonanza internazionale, si tenesse a Berlino, a Parigi, in Michigan o in Indiana, una settimana prima dell'apertura dei cancelli la segretaria di redazione consegnava, diligentemente, all'inviato speciale, il biglietto d'aereo e il programma dell'evento.
Incantato dalle macchine più straordinarie e dai bovini più produttivi, mentre i suoi reportages componevano un autentico corpus sul progresso agronomico in atto sul Pianeta, Saltini era assillato da un quesito cui non trovava risposta: disponeva delle prove di un autentico fenomeno planetario: la passione per lo sviluppo, nel tempo, dei fenomeni che danno corpo a una civiltà gli imponeva di penetrare alle radici di quanto stava osservando, di conoscere la storia delle decine di discipline che, componendo gli effetti, stavano fornendo agli agricoltori del Globo macchine, sementi, bovini e suini di produttività senza precedenti nei 12.000 anni dalla semina, da parte di un raccoglitore mesolitico, del primo campo di frumento. Se in quei dodicimila anni, la produttività del frumento non era aumentata che di qualche chilogrammo per ettaro, pretendeva di conoscere la sequenza storica che aveva condotto al trionfo della tecnologia. Cercò in tutte le biblioteche, scoprì che il libro cui agognava non esisteva: una storia, redatta da un autentico specialista delle cognizioni agronomiche, non era mai stata scritta, quanto offrivano le biblioteche erano le elucubrazioni di letterati che non avrebbero mai distinto un campo di orzo da un campo di frumento. Si professavano "storici", ma sul terreno agricolo scrivevano "storie". Si chiese perché nessuno avesse mai affrontato lo studio della successione di scoperte che avevano condotto alla rivoluzione in corso, quella che sarebbe stata ricordata come Rivoluzione Verde.
Il primo viaggio di Antonio fu la traversata dell'Adriatico su una paranza, da Pola, occupata dalla Whermacht, a Chioggia, tra le minacce delle artiglierie pesanti tedesche, di quelle leggere dei partigiani croati, delle mitragliere dei ricognitori della Raf. Non aveva ancora un anno, ma la tensione, su quella paranza, di uomini e donne consapevoli dei rischi che correvano, lascia in un bambino sensibile un segno indelebile: sbarcando, tra le braccia della mamma, al pontile di Chioggia, la sua vita aveva già assunto la propria direzione. Viaggiare non sarebbe stata la sua scelta, era l'imperativo cui non avrebbe potuto sottrarsi.
Ma viaggiare aveva il proprio significato, per Antonio, se l'itinerario potesse svilupparsi, contemporaneamente, nello spazio e nel tempo. Mentre i genitori lo conducevano alle latitudini diverse della Penisola, negli anni '50 ancora il Bel Paese che aveva incantato Goethe, che in trent'anni sindaci, geometri e sensali politici assetati di denaro avrebbero convertito nella baraccopoli attuale, Antonio si appassionava, sui banchi del ginnasio, alle memorie greche e latine, che amava leggere nelle lingue in cui le avevano scritte storici e filosofi in toga candida, alla storia delle disumane conquiste della cattolicissima Spagna e dell'avida Inghilterra. Papà e uno zio, prete acceso dalle passioni più nobili e incapace di controllare le esplosive contraddizioni, lo indussero ad iscriversi alla facoltà di legge, di cui percorse tutte le tappe per riconoscere, al termine, che quanto aveva studiato non lo interessava, e iscriversi alla facoltà milanese di Scienze agrarie.
Si laureò, con la lode, presentando una tesi assolutamente, allora, originale, sui rapporti tra la chiusura delle stalle e il tenore umico dei campi. Ebbe appena il tempo, con un amico, di un viaggio attraverso i Balcani per ritrovarsi, al ritorno, titolare di una scrivania al Giornale di agricoltura, il più antico, un tempo prestigioso, periodico agricolo italiano, organo della Federazione italiana dei consorzi agrari, specchio delle negoziazioni più torbide della scena nazionale, il cui staff tecnico era composto, però, dai migliori specialisti nei settori chiave dell'agricoltura nazionale, un'élite tecnocratica molti dei cui membri si appassionarono alla lettura degli articoli scritti da Saltini dopo lunghe, intense conversazioni. L'intesa voleva che il reporter non citasse le fonti, obbligate al riserbo, che amavano fornirgli dati e rilievi di cui nessun concorrente avrebbe mai potuto entrare in possesso, la cui origine restava ignota.
Dirigeva il Giornale un vecchio gentiluomo ignaro di agricoltura, morì, la direzione fu affidata al servitorucolo più fedele del despota Bonomi, Saltini fu invitato a operare alla bolognese Edagricole, la casa editrice di Luigi Perdisa, arbitro incontrastato della cultura agraria nazionale, che, ormai settuagenario, aveva acquistato un settimanale agricolo, Terra e Vita, fondato da Rizzoli, una grande casa editrice priva di legami col mondo agricolo, quindi incapace di alimentare il flusso di notizie e valutazioni necessario alla redazione di un settimanale.
Potendo disporre, con una telefonata, delle conoscenze, nelle materie specifiche, dei numi della zootecnia, della fitopatologia, della selezione di bovini, suini e pollame, di frutticoltura e meccanica agraria, che al termine della telefonata gli assicuravano che avrebbero affidato l'articolo richiesto al più brillante degli allievi, Luigi Perdisa pretendeva che il "suo" settimanale affrontasse altresì un terreno che nessun concorrente era in grado di esplorare: il procedere dello straordinario sviluppo tecnologico che gli anni '70 registravano, nel paesi all'avanguardia, in tutte le sfere della produzione agricola. Gli occorreva un reporter che, in Bretagna o nel Lincolnshire, in Israele o in Nuova Zelanda, sapesse conversare con un agricoltore d'avanguardia e trasfondere nel lettore italiano l'urgenza di aggiornarsi per competere con chi stava progredendo alla velocità della luce. Sperimentò quanto Saltini fosse in grado di corrispondere al proprio sogno inviandolo in Israele, sulla serie di articoli redatti al ritorno richiese le impressioni dei colleghi più illustri. Raccolti quei pareri alla vigilia di ogni fiera agricola di risonanza internazionale, si tenesse a Berlino, a Parigi, in Michigan o in Indiana, una settimana prima dell'apertura dei cancelli la segretaria di redazione consegnava, diligentemente, all'inviato speciale, il biglietto d'aereo e il programma dell'evento.
Incantato dalle macchine più straordinarie e dai bovini più produttivi, mentre i suoi reportages componevano un autentico corpus sul progresso agronomico in atto sul Pianeta, Saltini era assillato da un quesito cui non trovava risposta: disponeva delle prove di un autentico fenomeno planetario: la passione per lo sviluppo, nel tempo, dei fenomeni che danno corpo a una civiltà gli imponeva di penetrare alle radici di quanto stava osservando, di conoscere la storia delle decine di discipline che, componendo gli effetti, stavano fornendo agli agricoltori del Globo macchine, sementi, bovini e suini di produttività senza precedenti nei 12.000 anni dalla semina, da parte di un raccoglitore mesolitico, del primo campo di frumento. Se in quei dodicimila anni, la produttività del frumento non era aumentata che di qualche chilogrammo per ettaro, pretendeva di conoscere la sequenza storica che aveva condotto al trionfo della tecnologia. Cercò in tutte le biblioteche, scoprì che il libro cui agognava non esisteva: una storia, redatta da un autentico specialista delle cognizioni agronomiche, non era mai stata scritta, quanto offrivano le biblioteche erano le elucubrazioni di letterati che non avrebbero mai distinto un campo di orzo da un campo di frumento. Si professavano "storici", ma sul terreno agricolo scrivevano "storie". Si chiese perché nessuno avesse mai affrontato lo studio della successione di scoperte che avevano condotto alla rivoluzione in corso, quella che sarebbe stata ricordata come Rivoluzione Verde.
Antonio Saltini, intervista l' agronomo e premio Nobel Norman Borlaug padre della Rivoluzione Verde. |
Cercò i primi testi che gli consentissero di iniziare l'esplorazione della vicenda, si entusiasmò delle loro pagine, ma capì che si trattava di una vicenda con centinaia di protagonisti, le cui pagine dovevano essere lette con immenso senso critico, siccome un professore illustre può avere impedito, a metà dell'Ottocento, la pubblicazione della grande scoperta di un giovane ricercatore che smentiva le supposizioni per le quali il vate aveva ricevuto onori e cattedre, che uno scrittore di genio può restare incompreso per interi decenni, fino a quando un "grande" scienziato conteso dai salons parigini reperisce il volumetto, ne comprende lo straordinario valore e, senza essersi sporcato le mani in un laboratorio del tempo (tutto fumi e contenitori assolutamente precari per l'acido solforico e la soda caustica) legge la parafrasi del predecessore, che non cita, alla prossima sessione dell'Académie des sciences, e assurge ad astro della chimica internazionale.
Comprese che per scrivere il libro che non esisteva era necessario leggere centinaia di volumi, alla ricerca dell'autentica priorità di ogni scoperta e, identificato l'autore, dare un nome agli sperimentatori che ne avevano ricavato tutte le conseguenze applicative.
Iniziò le proprie letture nel 1976, nel 1978 proponeva al proprio editore il testo di un volume che enucleava la storia delle Scienze agrarie dall'alba, in Grecia e a Roma, del pensiero scritto, fondamento essenziale della conoscenza scientifica, siccome solo il testo scritto consente ad un lettore distante dall'autore anni interi e lunghi itinerari marini, di capire, riflettere e sviluppare le idee percepite in direzioni originali, e si concludeva con la narrazione della straordinaria stagione delle conoscenze umane sviluppatasi al termine dell'Ottocento.
Condotta dalla magistrale regia del grande maestro il libro suscitò immenso interesse, fu ristampato ed esaurito. Saltini continuava, intanto a leggere, verificando che la prima percezione, la necessità, per identificare l'autentica successione di scoperte e applicazioni che avevano condotto all'agricoltura del crepuscolo del ventesimo secolo, di moltiplicare le letture a decine e decine di testi, volumi, relazioni, articoli di periodici scientifici, e nel 1982 propose al grande editore una seconda edizione in quattro volumi. Luigi Perdisa rispose che l'idea lo appassionava, ma che il costo era tale da imporre una riflessione.
La riflessione non avrebbe richiesto tempi biblici, grazie alle notizie, che Saltini ebbe dagli amici della Federconsorzi, dell'acquisto, da parte del più autorevole statista nazionale, di un'azienda agricola del valore di un miliardo (nel crepuscolo degli anni '70), ricevuto come dono per avere promosso la legge che aveva dimezzato gli oneri fiscali per la fusione di due dei colossi industriali della Patria. Romagnolo purosangue, Perdisa era animato dal disprezzo più violento verso i grandi parassiti della vita nazionale: letto l'articolo informò il proprio globetrotter di avere valutato il progetto e di avere trasmesso all'ufficio produzione, condotto dall'abilissima nuora, Luisa Balboni, di procedere all'edizione in quattro volumi, che avrebbero dovuto essere sontuosamente illustrati.
Il lavoro ebbe inizio nel medesimo 1982: sceso da un aereo, Saltini redigeva gli articoli frutto dell'ultimo viaggio, poi, sabato e domenica, si rifugiava tra le mura della vecchia casa sull'Appennino a studiare agronomi arabi o francesi, inglesi o magiari. Il primo dicembre 1989 le officine grafiche dell'azienda gli avrebbero consegnato la prima copia, appena ritirata dal rilegatore, del quarto volume. Durante gli anni di appassionato lavoro il grande Professore era, intanto, deceduto, una scomposta rissa tra gli eredi si era conclusa con il trionfo, tra i due figli, dell'ex campione di Formula Uno, unico superstite della Squadra Primavera di Enzo Ferrari, come tutti i gladiatori delle piste della morte un uomo che, sceso dal bolide, non conosceva che il wisky, le donne e le Chesterfield. Animato dalla sconfinata ammirazione per il padre, e dall'incresciosa consapevolezza della propria inferiorità intellettuale, la sua prima scelta, a dimostrare che alla guida della casa editrice sedeva, ora, un asso dei bolidi rossi, ordinò che le 5.000 copie ( x 4) ancora odoranti di inchiostro tipografico, appena pervenute ai magazzini dell'editrice, fossero trasferite ad una cartiera per essere distrutte, a prova di quanto il nuovo editore apprezzasse la cultura paterna.
Comprese che per scrivere il libro che non esisteva era necessario leggere centinaia di volumi, alla ricerca dell'autentica priorità di ogni scoperta e, identificato l'autore, dare un nome agli sperimentatori che ne avevano ricavato tutte le conseguenze applicative.
Iniziò le proprie letture nel 1976, nel 1978 proponeva al proprio editore il testo di un volume che enucleava la storia delle Scienze agrarie dall'alba, in Grecia e a Roma, del pensiero scritto, fondamento essenziale della conoscenza scientifica, siccome solo il testo scritto consente ad un lettore distante dall'autore anni interi e lunghi itinerari marini, di capire, riflettere e sviluppare le idee percepite in direzioni originali, e si concludeva con la narrazione della straordinaria stagione delle conoscenze umane sviluppatasi al termine dell'Ottocento.
Condotta dalla magistrale regia del grande maestro il libro suscitò immenso interesse, fu ristampato ed esaurito. Saltini continuava, intanto a leggere, verificando che la prima percezione, la necessità, per identificare l'autentica successione di scoperte e applicazioni che avevano condotto all'agricoltura del crepuscolo del ventesimo secolo, di moltiplicare le letture a decine e decine di testi, volumi, relazioni, articoli di periodici scientifici, e nel 1982 propose al grande editore una seconda edizione in quattro volumi. Luigi Perdisa rispose che l'idea lo appassionava, ma che il costo era tale da imporre una riflessione.
La riflessione non avrebbe richiesto tempi biblici, grazie alle notizie, che Saltini ebbe dagli amici della Federconsorzi, dell'acquisto, da parte del più autorevole statista nazionale, di un'azienda agricola del valore di un miliardo (nel crepuscolo degli anni '70), ricevuto come dono per avere promosso la legge che aveva dimezzato gli oneri fiscali per la fusione di due dei colossi industriali della Patria. Romagnolo purosangue, Perdisa era animato dal disprezzo più violento verso i grandi parassiti della vita nazionale: letto l'articolo informò il proprio globetrotter di avere valutato il progetto e di avere trasmesso all'ufficio produzione, condotto dall'abilissima nuora, Luisa Balboni, di procedere all'edizione in quattro volumi, che avrebbero dovuto essere sontuosamente illustrati.
Il lavoro ebbe inizio nel medesimo 1982: sceso da un aereo, Saltini redigeva gli articoli frutto dell'ultimo viaggio, poi, sabato e domenica, si rifugiava tra le mura della vecchia casa sull'Appennino a studiare agronomi arabi o francesi, inglesi o magiari. Il primo dicembre 1989 le officine grafiche dell'azienda gli avrebbero consegnato la prima copia, appena ritirata dal rilegatore, del quarto volume. Durante gli anni di appassionato lavoro il grande Professore era, intanto, deceduto, una scomposta rissa tra gli eredi si era conclusa con il trionfo, tra i due figli, dell'ex campione di Formula Uno, unico superstite della Squadra Primavera di Enzo Ferrari, come tutti i gladiatori delle piste della morte un uomo che, sceso dal bolide, non conosceva che il wisky, le donne e le Chesterfield. Animato dalla sconfinata ammirazione per il padre, e dall'incresciosa consapevolezza della propria inferiorità intellettuale, la sua prima scelta, a dimostrare che alla guida della casa editrice sedeva, ora, un asso dei bolidi rossi, ordinò che le 5.000 copie ( x 4) ancora odoranti di inchiostro tipografico, appena pervenute ai magazzini dell'editrice, fossero trasferite ad una cartiera per essere distrutte, a prova di quanto il nuovo editore apprezzasse la cultura paterna.
La risposta di Saltini non poteva consistere, decorosamente, che nelle dimissioni, che presentò senza sapere assolutamente cosa avrebbe fatto dal giorno successivo. Avrebbe redatto saggi per committenti diversi, lavoro insicuro e fortunoso, che abbandonati i viaggi transoceanici gli assicurò spazi temporali mai conosciuti da dedicare alle proprie letture, che proseguì con la fiera certezza di raddoppiare ancora, verificata l'entità degli spazi da esplorare, l'entità della propria opera.
Francesco Salamini, nel crepuscolo del ventesimo secolo uno dei genetisti più autorevoli del panorama mondiale, dalla prima edizione estimatore appassionato dell'opera di Saltini, intraprese una tenace campagna per convincere l'autore che il mondo agrario italiano non avrebbe mai compreso lo straordinario rilievo culturale dell'opera, che Saltini doveva assolutamente tradurre in inglese. Senza alcun editore su cui contare, mentre continuava le proprie letture, e la redazione di capitoli nuovi su agronomi mai studiati, sul terreno scientifico, da nessuno, Saltini prese timidamente in considerazione l'ipotesi, che fu costretto ad abbracciare da una circostanza specialissima, l'informazione di un amico padovano, Agostino Cella, che nella prestigiosa università cittadina insegnava inglese un esponente della prima scuola di studi epistemologici dell'intero mondo anglosassone, l'università di Cambridge, dove Jeremy James Scott si era laureato in storia della scienza e in matematica. Essendo noto che le grandi università americane, da Harward al Massachusetts Institute of Technology, si inchinano al primato epistemologico dell'università che protrae lo spirito di Francis Bacon, quantomeno un colloquio era necessario, e dal colloquio nacque l'intesa per la traduzione.
Nella decisione svolse un ruolo capitale l'avvocato Eliseo Alimena, che aveva umiliato l'attuale procuratore della Repubblica di Perugia, Dario Razzi, che aveva mostrato a Saltini i documenti capitali sulla colpevolezza dei protagonisti, tutti "picciuotti" dell'onnipotente Andreotti, nello scandalo Federconsorzi, che si era premurato di non citare in arringa, procurando l'assoluzione di tutto il clan (e, è dato immaginare, la propria titolarità di una delle procure più prestigiose d'Italia), che aveva querelato Saltini per un articolo irridente sulla vicenda.
Fu scelta dell'avvocato Alimena la creazione di una piccola fondazione nel cui alveo condurre i lavori per la sognata edizione inglese in sette volumi. Praticamente disconosciuto, come aveva preconizzato Salamini, dal mondo accademico nazionale, dopo vent'anni di lavoro Saltini, Scott ed il grafico che ha usato magistralmente l'iconografia raccolta, in quarant'anni, dall'autore, Giovanni Chiossi, i sette volumi sono pronti alla stampa.
Nella decisione svolse un ruolo capitale l'avvocato Eliseo Alimena, che aveva umiliato l'attuale procuratore della Repubblica di Perugia, Dario Razzi, che aveva mostrato a Saltini i documenti capitali sulla colpevolezza dei protagonisti, tutti "picciuotti" dell'onnipotente Andreotti, nello scandalo Federconsorzi, che si era premurato di non citare in arringa, procurando l'assoluzione di tutto il clan (e, è dato immaginare, la propria titolarità di una delle procure più prestigiose d'Italia), che aveva querelato Saltini per un articolo irridente sulla vicenda.
Fu scelta dell'avvocato Alimena la creazione di una piccola fondazione nel cui alveo condurre i lavori per la sognata edizione inglese in sette volumi. Praticamente disconosciuto, come aveva preconizzato Salamini, dal mondo accademico nazionale, dopo vent'anni di lavoro Saltini, Scott ed il grafico che ha usato magistralmente l'iconografia raccolta, in quarant'anni, dall'autore, Giovanni Chiossi, i sette volumi sono pronti alla stampa.
Francesco Marino
Dott.Agronomo e Zootecnico, Presidente dell'Associazione AgronomiperlaTerrA e di Copagri Toscana, organizzazione Sindacale che tutela gli interessi della aziende agricole aderanti all' UGC Cisl, UIMEC Uil e UCI. E' responsabile del Blog Agrarian Sciences.
Io ho divorato e ancora divoro i quattro volumi in Italiano.
RispondiElimina"Storia delle Scienze Agrarie"-"Agrarian Sciences in the West". Nel mare tempestoso della disinformazione agraria, questi volumi rappresentano una sicurezza nella libreria dello studioso. Se esistono le Storie di Scienze quali ad es. Fisica, Chimica, Matematica ecc., mancava pero' quella delle Scienze Agrarie. Non ci sono infatti precedenti al mondo, per l'arco temporale considerato. Ci vorrebbe maggiore consapevolezza dell'importanza (e bellezza, perche' vi sono immagini esclusive), della grande Opera. Di grande utilita' anche per gli studenti.
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