di Antonio Saltini
A Giovanna Franchi, Luigi Mariani, Cosimo Gaudiano, Alberto Guidorzi.
7 maggio 1980. Ospite dell'US Department of Agriculture lasciavo New Orleans e salivo su un aereo diretto a Chicago, dove avrei cambiato velivolo per raggiungere Des Moines, capitale dell'Iowa, il maggior produttore di mais del Pianeta. Non ricordo cosa avessi portato da leggere, il velivolo era pressoché deserto, sul posto a fianco del mio un viaggiatore aveva abbandonato uno dei grandi settimanali americani: Life? Non ricordo: le mie scorte non mi attraevano: presi e sfogliai.
La cover story: il periodico aveva intervistato un numero ingente di protagonisti della cultura nazionale proponendo una domanda non nuova: "Se la informassero che tutte le biblioteche del mondo saranno bruciate (da qualche nuovo Giulio Cesare, eroe nella materia) e le fosse affidato il compito di scegliere le uniche dieci opere che potranno essere sottratte alla distruzione, quali sceglierebbe?" La domanda non è nuova, ma credo che non fosse mai sia stata rivolta ad un numero tanto significativo di personalità della cultura internazionale, in maggioranza, palesemente, anglosassoni. Scorro le risposte: tra chi tutti si premurerebbero di porre al riparo del fuoco trionfano Shakespeare, Milton, Adam Smith, poi le opinioni si frammentano: Dikens, Steinbeck, Dostoevkij. Qualcuno cita Dante, qualcuno un romanziere francese. Ma ciò che realmente mi sorprende è che tutti si preoccupino di Edward Gibbon, un nome che non conoscevo, autore, apprendo, di The History of the Decline and Fall of Roman Empire, che l'unanimità dei primi attori della cultura anglosassone dimostra di reputare l'opera storica più significativa tra quante ne siano state scritte in tutte le lingue del Pianeta.
Riconoscere di ignorare il maggiore autore, quantomeno secondo una schiera di dotti anglosassoni, della storiografia occidentale, mi inquieta, vorrei poterne leggere immediatamente le pagine, ma il periodico americano non reputa di dovere, sul maggiore storico mai vissuto, fornire informazioni. Terminato il viaggio racconterò della scoperta, e riconoscerò la curiosità, la mamma approfitterà della prima ricorrenza per donarmi un abridgment dei dodici volumi complessivi, di sole 924 pagine, elegantemente stampato da Chatto & Windus.
Leggo con avidità: la lettura mi attrae e mi respinge. L'inglese settecentesco di Gibbon è di ineguagliabile eleganza e di straordinaria semplicità. Fantastico narratore, non è storico obiettivo, si accende di passione per i personaggi che tocchino la sua sensibilità teatrale, condanna impietosamente quanti non corrispondano al suo modello dell'eroe storico. Dove rivela la grandezza di storico è nella vastità degli argomenti con cui ricerca la risposta al quesito capitale del monumento cui è impegnato: quali forze poterono annientare l'impero più immenso e più solido dell'intera parabola della storia umana, un impero che, a differenza di quello britannico, unico competitore, nella storia, di quello di Roma, assoggettò i popoli più civili del mondo, non società di cui era palese l'inferiorità culturale, economica, civile.
La domanda è appassionante: nonostante (o, magari, proprio per il proprio carattere inquietante) le contraddizioni di Gibbon accendono la mia curiosità per un tema più generale: quali forze elevarono, quali forze dissolsero la solidità delle grandi civiltà della storia, che di tracolli ci propone una gamma pressoché sconfinata. Da quello della società greca a quello della civiltà araba, dall'inglorioso tramonto della società del Rinascimento italiano alla miserabile caduta della Spagna imperiale, fino all'inarrestabile declino della società britannica, astrattamente insuperata nelle proprie realizzazioni scientifiche e tecnologiche, civili e militari?
Costretto, dalla lettura di Gibbon, a misurarmi con il tema, più generale, del tracollo delle società che avevano creato meccanismi di autoconservazione (politici e militari) apparentemente perfetti, sistemi agrari che garantivano (nei limiti agronomici del tempo) la sicurezza degli approvvigionamenti, contesti manifatturieri all'avanguardia in relazione ai tempi, istituzioni per promuovere le scienze e le arti, a quel tema avrei dedicato letture molteplici (e avrei scritto tre romanzi). Sedotto dal grande quesito mi interrogavo, dall'alba del millennio, sui segni, sempre più inequivocabili, di progressiva corrosione dei caposaldi della moderna civiltà occidentale, quando, non paia paradossale, le risposte degli adepti delle dottrine agrarie eteronome (che si definiscano "biologiche" è prova di mera ignoranza lessicale) all'articolo di Luigi Mariani mi ha indotto a concentrare la riflessione sugli elementi culturali della decadenza di cui la coscienza collettiva è, ormai, pienamente consapevole, accettandola, tuttavia, come fatale.
Il vaniloquio dei seguaci "bio" è perfettamente coerente, si deve riconoscere, alla cultura che, da alcuni decenni, è venuta diffondendosi e radicandosi in sfere sempre più vaste delle società occidentali, con una comunanza di pulsioni che costituisce, ormai, dato storico. L'Italia rappresenta, su questo terreno, osservatorio previlegiato: seppure costituiscano fenomeni comuni all'intero Occidente, pochi paesi sono giunti tanto rapidamente ad essere governati da una classe politica altrettano omogenea, nella propria ignoranza e nel proprio cinismo, altrettanto indifferente per ogni valore etico, composta di "paglietti" (non credo esista termine altrettanto eloquente, per qualificare il politico italiano, dell'antico vocabolo napoletano), pronti ad arruolarsi sulla galera nemica se il cambio di gabbana offra il minimo vantaggio. Pochi sistemi scientifici si sono dissolti altrettanto rapidamente, con la correità di presidi e docenti, di quello italico, pochi apparati educativi, costretti, dall'irresponsabilità politica, ad assorbire folle di alunni di nazioni ed etnie diverse, sono implosi altrettanto violentemente, per l'incapacità dei dirigenti di realizzare autentici progetti di integrazione, per l'assenza di qualunque impegno, etico e conoscitivo, degli insegnanti ad affrontare classi in cui il figlio del camorrista casertano, o del migrante arabo animato da odio antioccidentale, pretendono di imporre la propria "autorevolezza" su quella dell'insegnante.
Ma perché, sono tenuto a precisare, le confabulazioni delle sette "bio", propagate e diffuse da un giornalismo che ha profuso, nell'impresa, non esente da vantaggi economici, le prove più eloquenti della propria nullità, ha proposto una risposta capitale alla mia ricerca delle ragioni della decadenza della civiltà occidentale? Perché mi ha dimostrato che la coscienza collettiva, plagiata da reti televisive ispirate dal convincimento dei relativi padroni, che le folle si governano, come insegnava Caligola, ammannendo "panem et circenses" che, elargiti con oculatezza, assopiscono la percezione di qualunque bisogno diverso. La filosofia politica di Caligola, del cui ritratto suggerisco la lettura nelle pagine di Gibbon, ritratto affascinante, soprattutto per chi ricerchi la chiave del Decline and Fall of Human Societies.
Ed il primo bisogno che assopiscono è quello della conoscenza. Conversare con adepti "bio", e leggere le proteste dei medesimi alle argomentazioni, tutte fondate scientificamente, di Luigi Mariani (validamente supportato da Alberto Guidorzi) impone, dapprima, un singolare senso di smarrimento, siccome costoro argomentano secondo parametri che, personalmente, mi sono assolutamente estranei, di cui ho capito il meccanismo quando, ragionando su quanto avevo udito, ho compreso la chiave dell'incomunicabilità: i miei interlocutori (e i lettori di Mariani) non attribuiscono più alcun valore alla conoscenza.
La civiltà occidentale si è distinta da quelle diverse, che pure annoverano poeti e storici ammirevoli, per il particolare culto che ha, dalle origini, rivolto alla conoscenza. La coscienza greca era divisa, forse è fondato asserire tragicamente divisa, tra il mito e l'autentica conoscenza, una conoscenza che mirava a penetrare la realtà della natura: i primi filosofi greci ricercavano le regole che governano la macchina dell'Universo, i naturalisti di Alessandria si proponevano di conoscere, obiettivamente, i processi della vita animale e vegetale (purtroppo bruciata, dal più ammirato degli eroi romani, la biblioteca del Serapeo, l'unica espressione pervenutaci di un prodigioso lavoro autenticamente sperimentale è il poema di Lucrezio). Fu questa fondamentale ispirazione culturale che generò, al proprio "rinascimento" le opere di Galileo, Bacone e Newton, il fondamento della storica svolta scientifica e tecnologica che consentì all'Occidente di sopravvanzare di millenni tutte le civiltà del Pianeta, conquistando una supremazia che (comunque la si giudichi eticamente) sarebbe cessata solo quando i principi della scienza occidentale si sarebbero convertiti in patrimonio comune di civiltà diverse, la realizzazione che fu operata, mutando il destino dell'intera umanità, con assoluta precedenza dal Giappone, quindi dalla Cina, dall'India e, in misura proporzionale alle tradizioni ed ai mezzi disponibili, da cento paesi minori.
Se questa è stata l'ispirazione essenziale della civiltà occidentale, debbo esprimere la mia gratitudine ai devoti dell'inafferrabile "non pensiero" biologico per avermi guidato alla riflessione sull'immane trasformazione in corso nella medesima civiltà, in cui il culto della conoscenza è condiviso, ormai, da uno sparuto numero di nostalgici. I devoti del "non pensiero" sono, ormai, sul Pianeta, centinaia di milioni: non sono la totalità degli abitanti del Globo, ma di quella totalità costituicono una schiera assolutamente ingente. Unita, appunto, nel disinteresse per la conoscenza.
Se l'essenza del culto occidentale per la conoscenza corrispondeva, infatti, alla volontà di conoscere la "realtà" reputata unica e non fungibile, della natura, l'impulso a possedere quella conoscenza è assolutamente estraneo alla coscienza collettiva della maggioranza, ritengo, ormai, assoluta, degli abitanti del Pianeta. Paradossalmente la società in cui viviamo è pervasa dall'autentica, forsennata, attrazione per la comunicazione: milioni di persone trascorrono parte cospicua della giornata (e della nottata) davanti allo schermo di un computer, o di uno dei cento surrogati diffusi dall'industria elettronica: dei cento mezzi disponibili si serve per acquisire, e per trasmettere notizie. Ma è utile ricordare, a proposito, l'aforisma che accompagnò la diffusione dei primi computer, cui "comunicatori" dall'audience strabiliante attribuivano il potere di accrescere prodigiosamente, in pochi anni, entità e qualità della conoscenza collettiva. "The computer is a machine - proclamavano i pochi grilli parlanti-: if you put in garbage, it will give you back garbage." E contro le illusioni dei progressi previsti da chi, pronosticando fantastiche crescite culturali, faceva, disinvoltamente, il proprio interesse, milioni di persone trascorrono parte cospicua della giornata scambiando, appassionatamente, garbage. E il garbage dei devoti "bio" è la più inequivocabile delle spazzature in circolazione, sull'intero Pianeta, su centinaia di milioni di computer.
Fonte e strumento della diffusione di conoscenza è stato, per millenni, il libro, dai primi rotoli di pergamena agli ultimi, che è possibile consultare su uno schermo, piccolo o grande. Ma il libro è stato espulso dai mezzi usati per comunicare cognizioni. Lo si potrebbe leggere sul computer, ma sarebbe impegno lungo e gravoso: è più semplice aggiornarsi sul sito Internet che enuclea il pensiero del comunicatore più ascoltato (e meglio pagato): sui temi naturalistici trionfano gli architetti, la cui compagine comprende schiere di"tuttologi"di successo, o i giornalisti, magari laureati in "scienza della comunicazione", per chi presume di spiegare, ignorando la biochimica, perchè gli o.g.m. dovrebbero essere categoricamente respinti, autentica "scienza dell'imbonimento".
Se, peraltro, il discredito della conoscenza può essere assunto quale indizio inquietante dello sgretolamento della civiltà occidentale, un solido supporto del dubbio può essere identificato in una circostanza che la riflessione sul tramonto delle civiltà propone con inequivocabile cogenza, il trionfo, in tutte le società in declino, delle concezioni sofistiche sulle forme opposte di pensiero: la constatazione è sorprendente, ma inoppugnabile: la grande cultura greca si concluse nel trionfo dei sofisti, un stuolo di maestri di retorica dei quali conosciamo centinaia di nomi, a nessuno dei quali possiamo collegare il titolo di un'opera degna di essere ricordata. A Roma la cultura di conquistatori-saccheggiatori dei patrizi dell'età repubblicana si oppose fieramente all'apertura, nell'Urbe, delle "botteghe" dei maestri del sapere greco, a quel tempo tutti sofisti, che poco a poco si moltiplicarono imponendosi quali dispensatori di una sottocultura che riuscì ad attenuare la vera vocazione del patrizio e del cavaliere romano: la conquista del potere, insieme politico ed economico.
Un esempio assolutamente parallelo offre la civiltà araba, cinque secoli dopo l'Egira la più straordinaria cultura scientifica dell'intero Pianeta, tramontata con la medesima rapidità con cui si era imposta al trionfo della cultura della "doppia verità", copia perfetta della sofistica, sulle cui ondeggianti fondamenta qualunque conoscenza decade a fatuo gioco di specchi. E il Rinascimento italiano avrebbe potuto elevare, in vetta all'albero del vascello che affondava, l'opera di Baldesar Castiglione, il prontuario per il "cortezano", un uomo che doveva essere pronto a qualunque menzogna e a qualunque delitto dettasse l'interesse del proprio padrone, duca o marchese il cui modello era costituito dal più famoso assassino del tempo, il duca Valentino, figlio di papa fautore di ogni immoralità, fratello di maestra impareggiabile di licenza coniugale.
Singolarmente, le evoluzioni della sofistica sono strumenti preziosi, nella condotta politica, per tutti gli allievi di Machiavelli, ma paiono non essere in grado di appagare bisogni che l'intera storia dimostra costanti non sradicabili dall'interiorità umana, costanti che possiamo identificare nel bisogno di contatto diretto con potenze superiori: le grandi età di decadenza sono state, sistematicamente, età di trionfo di ogni forma di culto magico, della stregoneria, del più orrido satanismo. Nei secoli del declino di Roma è palese il ricorso di parte di una popolazione che presentiva, con inquietante lucidità, il tracollo prossimo, al Credo cristiano, di una parte non meno cospicua ai riti esoterici orientali, più di uno aduso alla pratica del sacrificio umano, di cui i governi imperiali tentarono di arrestare la diffusione comminando ai devoti la pena del rogo. Impegnato a realizzare un romanzo sugli anni in cui Giuliano esperì l'ultimo tentativo di ricollocare sulla vetta dell'Olimpo gli dei umiliati dalla diffusione del Cristianesimo, chi scrive ha letto quanto sussiste, non molto ma sommamente eloquente, sulla diffusione, all'epoca, di culti magici, stregoneria, negromanzia. Il quadro è impressionante. Una prova di decadimento culturale? Personalmente, la mia risposta è positiva. Ma se essa è corretta, è doveroso ricordare che osservatori autorevoli stimano che cartomanzia, chiromanzia e stregoneria costituiscano, con lotto e totocalcio, la prima voce di spesa delle famiglie italiane. Il processo che sta conducendo un caro amico, penalista magistrale, ne propone, analizzando il meccanismo della progressiva soggezione alla maga, una prova significativa.
"Vulgus amat decipi", la plebe ama essere ingannata, sentenziava un altro aforisma latino. Personalmente, ero in clinica dopo l'applicazioni di ua protesi dell'anca, e, casualmente, assistetti al lacrimoso ringraziamento di una signora dalle apparenze di benestante alla fattucchiera che era venuta a visitarla quotidianamente. Certamente ben pagata: chi aveva operato entrambi era una celebrità: reputo che quel denaro sarebbe stato molto più saggiamente speso in una cassa di Moët et Chandon per il celebre primario.
E mi sento in obbligo di concludere queste riflessioni con un caloroso suggerimento agli eventuali lettori "bio": siccome non esiste esame biochimico che possa comprovare, sui prodotti che acquistano, il rispetto delle regole che i produttori di cipolle e carote che prelevano dai banchi Coop sarebbero obbligati a rispettare, e gli "esperti" (?) abilitati a rilasciare gli attesati di rispetto delle medesime regole sono pagati dai medesimi produttori, un uso comprensibile solo in paesi in cui i politicanti corteggino spasmodicamente i voti del volgo "qui amat decipi", facciano esaminare cipolle e zucchine alla chiromante. Non esiste specialista più qualificato a rispondere alla loro ansia di sicurezza: consultando la strega, acquisirebbero la confortante sicurezza di avere lasciato alle spalle la società scientifica che i rappresentanti della nuova cultura collettiva, Vandana Shiva e Carlo Petrini (cui potremmo aggiungere sua beatitudine papa Francesco) hanno insegnato loro a detestare (senza rinunciare al cellulare multifunzione, prodotto tipico delle multinazionali che della scienza si servono per sfruttare la credulità universale).
Antonio Saltini
Già Docente di Storia dell'agricoltura all'Università di Milano, giornalista, storico delle scienze agrarie. Ha diretto la rivista mensile di agricoltura Genio Rurale ed è stato vicedirettore del settimanale, sempre di argomento agricolo, Terra e Vita. E' autore della Storia delle Scienze Agrarie opera in 7 volumi.
La cover story: il periodico aveva intervistato un numero ingente di protagonisti della cultura nazionale proponendo una domanda non nuova: "Se la informassero che tutte le biblioteche del mondo saranno bruciate (da qualche nuovo Giulio Cesare, eroe nella materia) e le fosse affidato il compito di scegliere le uniche dieci opere che potranno essere sottratte alla distruzione, quali sceglierebbe?" La domanda non è nuova, ma credo che non fosse mai sia stata rivolta ad un numero tanto significativo di personalità della cultura internazionale, in maggioranza, palesemente, anglosassoni. Scorro le risposte: tra chi tutti si premurerebbero di porre al riparo del fuoco trionfano Shakespeare, Milton, Adam Smith, poi le opinioni si frammentano: Dikens, Steinbeck, Dostoevkij. Qualcuno cita Dante, qualcuno un romanziere francese. Ma ciò che realmente mi sorprende è che tutti si preoccupino di Edward Gibbon, un nome che non conoscevo, autore, apprendo, di The History of the Decline and Fall of Roman Empire, che l'unanimità dei primi attori della cultura anglosassone dimostra di reputare l'opera storica più significativa tra quante ne siano state scritte in tutte le lingue del Pianeta.
Riconoscere di ignorare il maggiore autore, quantomeno secondo una schiera di dotti anglosassoni, della storiografia occidentale, mi inquieta, vorrei poterne leggere immediatamente le pagine, ma il periodico americano non reputa di dovere, sul maggiore storico mai vissuto, fornire informazioni. Terminato il viaggio racconterò della scoperta, e riconoscerò la curiosità, la mamma approfitterà della prima ricorrenza per donarmi un abridgment dei dodici volumi complessivi, di sole 924 pagine, elegantemente stampato da Chatto & Windus.
Leggo con avidità: la lettura mi attrae e mi respinge. L'inglese settecentesco di Gibbon è di ineguagliabile eleganza e di straordinaria semplicità. Fantastico narratore, non è storico obiettivo, si accende di passione per i personaggi che tocchino la sua sensibilità teatrale, condanna impietosamente quanti non corrispondano al suo modello dell'eroe storico. Dove rivela la grandezza di storico è nella vastità degli argomenti con cui ricerca la risposta al quesito capitale del monumento cui è impegnato: quali forze poterono annientare l'impero più immenso e più solido dell'intera parabola della storia umana, un impero che, a differenza di quello britannico, unico competitore, nella storia, di quello di Roma, assoggettò i popoli più civili del mondo, non società di cui era palese l'inferiorità culturale, economica, civile.
La domanda è appassionante: nonostante (o, magari, proprio per il proprio carattere inquietante) le contraddizioni di Gibbon accendono la mia curiosità per un tema più generale: quali forze elevarono, quali forze dissolsero la solidità delle grandi civiltà della storia, che di tracolli ci propone una gamma pressoché sconfinata. Da quello della società greca a quello della civiltà araba, dall'inglorioso tramonto della società del Rinascimento italiano alla miserabile caduta della Spagna imperiale, fino all'inarrestabile declino della società britannica, astrattamente insuperata nelle proprie realizzazioni scientifiche e tecnologiche, civili e militari?
Costretto, dalla lettura di Gibbon, a misurarmi con il tema, più generale, del tracollo delle società che avevano creato meccanismi di autoconservazione (politici e militari) apparentemente perfetti, sistemi agrari che garantivano (nei limiti agronomici del tempo) la sicurezza degli approvvigionamenti, contesti manifatturieri all'avanguardia in relazione ai tempi, istituzioni per promuovere le scienze e le arti, a quel tema avrei dedicato letture molteplici (e avrei scritto tre romanzi). Sedotto dal grande quesito mi interrogavo, dall'alba del millennio, sui segni, sempre più inequivocabili, di progressiva corrosione dei caposaldi della moderna civiltà occidentale, quando, non paia paradossale, le risposte degli adepti delle dottrine agrarie eteronome (che si definiscano "biologiche" è prova di mera ignoranza lessicale) all'articolo di Luigi Mariani mi ha indotto a concentrare la riflessione sugli elementi culturali della decadenza di cui la coscienza collettiva è, ormai, pienamente consapevole, accettandola, tuttavia, come fatale.
Il vaniloquio dei seguaci "bio" è perfettamente coerente, si deve riconoscere, alla cultura che, da alcuni decenni, è venuta diffondendosi e radicandosi in sfere sempre più vaste delle società occidentali, con una comunanza di pulsioni che costituisce, ormai, dato storico. L'Italia rappresenta, su questo terreno, osservatorio previlegiato: seppure costituiscano fenomeni comuni all'intero Occidente, pochi paesi sono giunti tanto rapidamente ad essere governati da una classe politica altrettano omogenea, nella propria ignoranza e nel proprio cinismo, altrettanto indifferente per ogni valore etico, composta di "paglietti" (non credo esista termine altrettanto eloquente, per qualificare il politico italiano, dell'antico vocabolo napoletano), pronti ad arruolarsi sulla galera nemica se il cambio di gabbana offra il minimo vantaggio. Pochi sistemi scientifici si sono dissolti altrettanto rapidamente, con la correità di presidi e docenti, di quello italico, pochi apparati educativi, costretti, dall'irresponsabilità politica, ad assorbire folle di alunni di nazioni ed etnie diverse, sono implosi altrettanto violentemente, per l'incapacità dei dirigenti di realizzare autentici progetti di integrazione, per l'assenza di qualunque impegno, etico e conoscitivo, degli insegnanti ad affrontare classi in cui il figlio del camorrista casertano, o del migrante arabo animato da odio antioccidentale, pretendono di imporre la propria "autorevolezza" su quella dell'insegnante.
Ma perché, sono tenuto a precisare, le confabulazioni delle sette "bio", propagate e diffuse da un giornalismo che ha profuso, nell'impresa, non esente da vantaggi economici, le prove più eloquenti della propria nullità, ha proposto una risposta capitale alla mia ricerca delle ragioni della decadenza della civiltà occidentale? Perché mi ha dimostrato che la coscienza collettiva, plagiata da reti televisive ispirate dal convincimento dei relativi padroni, che le folle si governano, come insegnava Caligola, ammannendo "panem et circenses" che, elargiti con oculatezza, assopiscono la percezione di qualunque bisogno diverso. La filosofia politica di Caligola, del cui ritratto suggerisco la lettura nelle pagine di Gibbon, ritratto affascinante, soprattutto per chi ricerchi la chiave del Decline and Fall of Human Societies.
L' orto dell' Eden |
La civiltà occidentale si è distinta da quelle diverse, che pure annoverano poeti e storici ammirevoli, per il particolare culto che ha, dalle origini, rivolto alla conoscenza. La coscienza greca era divisa, forse è fondato asserire tragicamente divisa, tra il mito e l'autentica conoscenza, una conoscenza che mirava a penetrare la realtà della natura: i primi filosofi greci ricercavano le regole che governano la macchina dell'Universo, i naturalisti di Alessandria si proponevano di conoscere, obiettivamente, i processi della vita animale e vegetale (purtroppo bruciata, dal più ammirato degli eroi romani, la biblioteca del Serapeo, l'unica espressione pervenutaci di un prodigioso lavoro autenticamente sperimentale è il poema di Lucrezio). Fu questa fondamentale ispirazione culturale che generò, al proprio "rinascimento" le opere di Galileo, Bacone e Newton, il fondamento della storica svolta scientifica e tecnologica che consentì all'Occidente di sopravvanzare di millenni tutte le civiltà del Pianeta, conquistando una supremazia che (comunque la si giudichi eticamente) sarebbe cessata solo quando i principi della scienza occidentale si sarebbero convertiti in patrimonio comune di civiltà diverse, la realizzazione che fu operata, mutando il destino dell'intera umanità, con assoluta precedenza dal Giappone, quindi dalla Cina, dall'India e, in misura proporzionale alle tradizioni ed ai mezzi disponibili, da cento paesi minori.
Se questa è stata l'ispirazione essenziale della civiltà occidentale, debbo esprimere la mia gratitudine ai devoti dell'inafferrabile "non pensiero" biologico per avermi guidato alla riflessione sull'immane trasformazione in corso nella medesima civiltà, in cui il culto della conoscenza è condiviso, ormai, da uno sparuto numero di nostalgici. I devoti del "non pensiero" sono, ormai, sul Pianeta, centinaia di milioni: non sono la totalità degli abitanti del Globo, ma di quella totalità costituicono una schiera assolutamente ingente. Unita, appunto, nel disinteresse per la conoscenza.
Se l'essenza del culto occidentale per la conoscenza corrispondeva, infatti, alla volontà di conoscere la "realtà" reputata unica e non fungibile, della natura, l'impulso a possedere quella conoscenza è assolutamente estraneo alla coscienza collettiva della maggioranza, ritengo, ormai, assoluta, degli abitanti del Pianeta. Paradossalmente la società in cui viviamo è pervasa dall'autentica, forsennata, attrazione per la comunicazione: milioni di persone trascorrono parte cospicua della giornata (e della nottata) davanti allo schermo di un computer, o di uno dei cento surrogati diffusi dall'industria elettronica: dei cento mezzi disponibili si serve per acquisire, e per trasmettere notizie. Ma è utile ricordare, a proposito, l'aforisma che accompagnò la diffusione dei primi computer, cui "comunicatori" dall'audience strabiliante attribuivano il potere di accrescere prodigiosamente, in pochi anni, entità e qualità della conoscenza collettiva. "The computer is a machine - proclamavano i pochi grilli parlanti-: if you put in garbage, it will give you back garbage." E contro le illusioni dei progressi previsti da chi, pronosticando fantastiche crescite culturali, faceva, disinvoltamente, il proprio interesse, milioni di persone trascorrono parte cospicua della giornata scambiando, appassionatamente, garbage. E il garbage dei devoti "bio" è la più inequivocabile delle spazzature in circolazione, sull'intero Pianeta, su centinaia di milioni di computer.
Fonte e strumento della diffusione di conoscenza è stato, per millenni, il libro, dai primi rotoli di pergamena agli ultimi, che è possibile consultare su uno schermo, piccolo o grande. Ma il libro è stato espulso dai mezzi usati per comunicare cognizioni. Lo si potrebbe leggere sul computer, ma sarebbe impegno lungo e gravoso: è più semplice aggiornarsi sul sito Internet che enuclea il pensiero del comunicatore più ascoltato (e meglio pagato): sui temi naturalistici trionfano gli architetti, la cui compagine comprende schiere di"tuttologi"di successo, o i giornalisti, magari laureati in "scienza della comunicazione", per chi presume di spiegare, ignorando la biochimica, perchè gli o.g.m. dovrebbero essere categoricamente respinti, autentica "scienza dell'imbonimento".
Se, peraltro, il discredito della conoscenza può essere assunto quale indizio inquietante dello sgretolamento della civiltà occidentale, un solido supporto del dubbio può essere identificato in una circostanza che la riflessione sul tramonto delle civiltà propone con inequivocabile cogenza, il trionfo, in tutte le società in declino, delle concezioni sofistiche sulle forme opposte di pensiero: la constatazione è sorprendente, ma inoppugnabile: la grande cultura greca si concluse nel trionfo dei sofisti, un stuolo di maestri di retorica dei quali conosciamo centinaia di nomi, a nessuno dei quali possiamo collegare il titolo di un'opera degna di essere ricordata. A Roma la cultura di conquistatori-saccheggiatori dei patrizi dell'età repubblicana si oppose fieramente all'apertura, nell'Urbe, delle "botteghe" dei maestri del sapere greco, a quel tempo tutti sofisti, che poco a poco si moltiplicarono imponendosi quali dispensatori di una sottocultura che riuscì ad attenuare la vera vocazione del patrizio e del cavaliere romano: la conquista del potere, insieme politico ed economico.
Un esempio assolutamente parallelo offre la civiltà araba, cinque secoli dopo l'Egira la più straordinaria cultura scientifica dell'intero Pianeta, tramontata con la medesima rapidità con cui si era imposta al trionfo della cultura della "doppia verità", copia perfetta della sofistica, sulle cui ondeggianti fondamenta qualunque conoscenza decade a fatuo gioco di specchi. E il Rinascimento italiano avrebbe potuto elevare, in vetta all'albero del vascello che affondava, l'opera di Baldesar Castiglione, il prontuario per il "cortezano", un uomo che doveva essere pronto a qualunque menzogna e a qualunque delitto dettasse l'interesse del proprio padrone, duca o marchese il cui modello era costituito dal più famoso assassino del tempo, il duca Valentino, figlio di papa fautore di ogni immoralità, fratello di maestra impareggiabile di licenza coniugale.
Singolarmente, le evoluzioni della sofistica sono strumenti preziosi, nella condotta politica, per tutti gli allievi di Machiavelli, ma paiono non essere in grado di appagare bisogni che l'intera storia dimostra costanti non sradicabili dall'interiorità umana, costanti che possiamo identificare nel bisogno di contatto diretto con potenze superiori: le grandi età di decadenza sono state, sistematicamente, età di trionfo di ogni forma di culto magico, della stregoneria, del più orrido satanismo. Nei secoli del declino di Roma è palese il ricorso di parte di una popolazione che presentiva, con inquietante lucidità, il tracollo prossimo, al Credo cristiano, di una parte non meno cospicua ai riti esoterici orientali, più di uno aduso alla pratica del sacrificio umano, di cui i governi imperiali tentarono di arrestare la diffusione comminando ai devoti la pena del rogo. Impegnato a realizzare un romanzo sugli anni in cui Giuliano esperì l'ultimo tentativo di ricollocare sulla vetta dell'Olimpo gli dei umiliati dalla diffusione del Cristianesimo, chi scrive ha letto quanto sussiste, non molto ma sommamente eloquente, sulla diffusione, all'epoca, di culti magici, stregoneria, negromanzia. Il quadro è impressionante. Una prova di decadimento culturale? Personalmente, la mia risposta è positiva. Ma se essa è corretta, è doveroso ricordare che osservatori autorevoli stimano che cartomanzia, chiromanzia e stregoneria costituiscano, con lotto e totocalcio, la prima voce di spesa delle famiglie italiane. Il processo che sta conducendo un caro amico, penalista magistrale, ne propone, analizzando il meccanismo della progressiva soggezione alla maga, una prova significativa.
"Vulgus amat decipi", la plebe ama essere ingannata, sentenziava un altro aforisma latino. Personalmente, ero in clinica dopo l'applicazioni di ua protesi dell'anca, e, casualmente, assistetti al lacrimoso ringraziamento di una signora dalle apparenze di benestante alla fattucchiera che era venuta a visitarla quotidianamente. Certamente ben pagata: chi aveva operato entrambi era una celebrità: reputo che quel denaro sarebbe stato molto più saggiamente speso in una cassa di Moët et Chandon per il celebre primario.
E mi sento in obbligo di concludere queste riflessioni con un caloroso suggerimento agli eventuali lettori "bio": siccome non esiste esame biochimico che possa comprovare, sui prodotti che acquistano, il rispetto delle regole che i produttori di cipolle e carote che prelevano dai banchi Coop sarebbero obbligati a rispettare, e gli "esperti" (?) abilitati a rilasciare gli attesati di rispetto delle medesime regole sono pagati dai medesimi produttori, un uso comprensibile solo in paesi in cui i politicanti corteggino spasmodicamente i voti del volgo "qui amat decipi", facciano esaminare cipolle e zucchine alla chiromante. Non esiste specialista più qualificato a rispondere alla loro ansia di sicurezza: consultando la strega, acquisirebbero la confortante sicurezza di avere lasciato alle spalle la società scientifica che i rappresentanti della nuova cultura collettiva, Vandana Shiva e Carlo Petrini (cui potremmo aggiungere sua beatitudine papa Francesco) hanno insegnato loro a detestare (senza rinunciare al cellulare multifunzione, prodotto tipico delle multinazionali che della scienza si servono per sfruttare la credulità universale).
Antonio Saltini
Già Docente di Storia dell'agricoltura all'Università di Milano, giornalista, storico delle scienze agrarie. Ha diretto la rivista mensile di agricoltura Genio Rurale ed è stato vicedirettore del settimanale, sempre di argomento agricolo, Terra e Vita. E' autore della Storia delle Scienze Agrarie opera in 7 volumi.
Trovo l' articolo del prof. Saltini, anche se non di facile lettura, molto articolato e interessante, Di sicuro alle prossime elezioni i programmi sull' agricoltura, le due righe, si assomiglieranno. Tutti a sostenere i vari Petrini e Farinetti e le loro malsane idee per arrichire loro stessi,. Concordo con il sopranaturale che emerge dall' articolo. Ricordo che l' idea di far nascere l' università di scienze gastronomiche a Pollenzo venne in mente a Petrini quando era ricoverato in ospedale per un tumore e che il “ suggerimento” gli apparve in un sogno. Tutto raccontato dal mistico in un' intervista.
RispondiEliminaMa il dubbio non vi prende mai? Siete mai stati in un'azienda-modello biodinamica? Consiglio, se avete voglia ancora, di SAPERE, di visitare, solo come esempio, Agrilatina. Ricercatori e studiosi cercasi. L'N, il P ed Il K non sono gli unici...
RispondiEliminaIo ho la mia cartomante di riferimento, sto a posto. Grazie.
EliminaStano però! Uno che usa:palco e vescica di cervo maschio, corna di vacca “che abbia partorito almeno una volta”, mesenterio, intestino e cranio di bovino...e non avere nessun dubbio.
EliminaSi vi è anche l'eterea influenza cosmica che non ha mai dato da mangiare a nessuno. Meglio da da mangiare alla Crespi che campa con l'eredità del padre.
EliminaDa seguace Giulianeo nonché cultore di Gibbon e non solo, mi permetto di evidenziare che la meravigliosa raccolta della Conoscenza antica di Alessandria fu DELIBERATAMENTE distrutta per furore fanatico religioso in almeno due episodi riemersi prepotentemente dalla Storia malgrado la tenace censura dei due diversi vincitori (che notoriamente poi la scrivono)
RispondiElimina- alla fine del IV secolo dai seguaci del Vescovo (tuttora Santo, 27 giugno) Cirillo che assassinarono scorticandola viva la sua luminosa custode e reggente Ipazia (non ne trovo invece tracce sul Calendario).
- Quel che ne restava nel 642 dal generale ʿAmr b. al-ʿĀṣ, su comandante delle truppe arabo-musulmane che avevano appena conquistato l'Egitto, ordine del califfo ʿOmar
I parziali incendi della biblioteca di cui sono accusati Giulio Cesare e Aureliano sono da riferirsi a episodi di guerra che coinvolsero il quartiere che ospitava la struttura, deprecabili quanto si vuole, ma senza nessuna intenzionalità di oscuramento e obnubilamento cognitivo-culturale, anzi...
Scusate. Non volevo provocarvi così ... Il discorso sarebbe troppo lungo... tanto da sconfinare ben aldilà dell'Universo conosciuto, alle relazioni spazio-tempo, ecc., sino a rasentare l'esoterico! E per questo non sono ferrato!
RispondiEliminaPerò volevo solo dire che ho avuto la fortuna di visitare aziende "felici" (anche "che fanno i soldi", se è questo l'obbiettivo del ns imprenditore agricolo, puro o astratto che sia). Ma "felici" anche per il grado di biodiversità, fertilità, produttività della terra ed altre amenità, del tipo che usano sovesci multigenici, che compostano, che coltivano il terreno con attrezzi ed attenzione esasperante, che ... LAVORANO.
Spesso con un impegno fisico maggiore che nel convenzionale. Lavoro che, se permettete, è sempre più apprezzato (e pagato) da quelli che voi, forse, ritenete essere consumatori che spendono stupidamente i loro soldi e quindi, a dir poco, spreconi!
Certo l'Italia deve ancora molto in termini di ricerca, formazione, ecc. magari direttamente nelle mani degli agricoltori, ovvero non in mano a chi ci deve speculare sopra, come oramai accade da troppo tempo!
Buon lavoro!
Scusami Anonimo,
RispondiEliminaUn imprenditore produce, cioè offre, laddove vi è domanda, quindi nessuna remora da parte mia verso chi coltiva biodinamico se trova gonzi (per me, ma pagando di tasca propria hanno tutto il diritto di farlo) che gli compra il prodotto.
Detto questo però tu non puoi additarmi come pratiche innovative quanto qui riporti " di biodiversità, fertilità, produttività della terra ed altre amenità, del tipo che usano sovesci multigenici, che compostano, che coltivano il terreno con attrezzi" in quanto queste sono pratiche della buona e professionale agricoltura da sempre. Se io interro i residui e le paglie non produco compost? Se io semino una cover-crops nematocida e poi ne interro la parte aerea non faccio un sovescio e nello stesso tempo tengo la carica dei nematodi del terreno sotto la soglia di nocivita? Se io faccio agricoltura di conservazione mantenendo coperto di vegetazione i miei campi e distruggendola al momento della coltivazione da reddito non faccio compost, solo che se mi eliminate il gliphosate per distruggerla la dovrò infossare arando e quindi così facendo perdo umidità, sostanza organica e strutura per seminare su sodo. Credi proprio che gli agricoltori abbiano mandato a ferro vecchio le sarchiatrici? Gli attrezzi si usano anche nella buona agricoltura convenzionale e sono lo strumento per concorrere a limitare la pressione selettiva che si eserciterebbe in grande se usassimo un solo strumento di disinfestazione dalle male erbe. Scusami e termino chiedendoti ma perchè mi devo tenere la biodiversità all'interno del campo coltivato con una sola specie? Non è meglio che la tenga fuori tramite striscie di piante mellifere ad esempio o inerbite comunque.? Non è meglio che segua alla lettera le regole, tutte volte alla ecocompatibilità, imposte dall'UE per avere accesso agli aiuti PAC? Credimi l'agricoltura biodinamica non può rientrare nel novero delle pratiche che servono a sfamare la gente, rientrano solo nella categoria delle "pseudoreligioni" le cui regole non possono essere imposte agli altri e soprattutto avere la pretesa di essere indennizzate con i soldi di tutti per la mancata produttività.
hai ragione, sono davvero amenità, compresa quella di "pagare" il lavoro.
RispondiEliminaCome consumatore voglio pagare il prodotto, non ho nessuna intenzione di pagare una Zaz come un Same sulla base del tempo impiegato per costruirli.
Anche i servizi si pagano!
RispondiEliminaE vai con il glifosate (l'ANPA esiste, o è un'invenzione dell'ISPRA?) indispensabile per salvare i bambini dalla fame e malnutrizione...
Consiglio visione: https://youtu.be/YuvSbmumgcI
infatti, sei liberissimo di pagare chi ti racconta le favole prima della pennichella, o anche dopo...
Eliminap.s.: a M p a . Cerchiamo di essere precisi, mica stiamo dinamizzando l'acqua.
Anonimo
RispondiEliminaVedi che ne sai poco e quando se ne sa poco sarebbe meglio tacere, inoltre la tossicologia non si studia su youtube, ma su dei testi scientifici e adeguarsi alle decisioni delle autorità competenti che dicono questo:
"La RCRP del 1997 ha portato a concludere che l'AMPA sia poco tossico, e che il suo profilo tossicologico sia analogo a quello del glifosato. Per il totale glifosato-AMPA è stata stabilita una dose giornaliera accettabile (DGA) di 0-0,3 mg/kg." Inoltre è stato classificato dall’EPA statunitense nell’ultima classe di tossicità (IV), ciò indica che la sua tossicità è molto bassa.
Al fine di toglierti dalla tua ignoranza valuta questo: l'AMPA ha una DL50 ratto di 8300 mg/kg di peso corporeo, contro i 5600 mg/kg p.c. del gliphosate e contro i 3000 del sale da cucina, cioè significa che l'AMPA e quasi tre volte meno tossico del sale da cucina. Altra valutazione sulla genotossicità è questa: "Non è mutageno, genotossico e teratogeno (207)".
Per tua norma e regola l'AMPA (fosfonato) esiste nell'ambiente ben prima del gliphosate e deriva dai detersivi fosforati che sono scaricati in acque reflue e quindi perchè l'ISPRA si è ben guardata dal dirlo ed al limite di interdire i detersivi?
Anonimo fai tesoro della massima di mio padre la massima che diceva che: "L'ASINO PRIMA DI PARLARE DEVE DIVENTARE CAVALLO", mi dispiace, ma tu non sei ancora cavallo.
Altra cosa che si deve imparare è che quando si contesta qualcosa non lo si fa dall'anonimato, ma mettendoci la faccia come faccio io,altrimenti ci si dimostra vigliacchi.
Il video è uno strumento di divulgazione scientifica prodotto da una fonte che la invito a criticare.
RispondiEliminaSpero che chi legge, non lei che si sente un cavallo essendo mulo, abbia la curiosità di vedere il video e capire il riferimento all'alternativa che lei non cerca. Non ho tempo né voglia di linkare le migliaia di pubblicazioni sugli effetti del glifosate e suoi metaboliti. Saranno istituti e ricercatori al soldo delle potenti lobby ambientaliste?
Ma cosa voleva dire sull'ISPRA?
Non ha comunicato bene le analisi delle acque sotterranee?
Ritengo essere il dubbio il miglior stimolo per approfondire, studiare, ricercare. Sono indignato della certezza della completa innocuita' (trasformazione in acqua ed anidride carbonica) del glifosate trasmessa, a suo tempo, nella mia facoltà di scienze agrarie!
LA SCIENZA NON È NEUTRA!
Frase che condivido perfettamente. È certamente difficile oggi discernere tra le diverse fonti ed ovviamente siamo attratti e siamo più inclini a credere a quelle a noi più affini!
E Credere non è SCIENZA, lo so bene anch'io, che sono un misero asino vigliacco.
Ma visti i toni cortesi e cavallereschi usati, al quale mi sono subito adeguato e per questo mi scuso (con gli altri lettori) lo preferisco!
Spero non mancheranno occasioni di erudirci, senza costrizioni o roghi di libri e persone, per quanto mi riguarda, sulle alternative all'uso (sempre abuso) di sostanze chimiche di sintesi e per ridurre al minimo gli input extra aziendali.
Ti sei formato una tua pseudoreligione e ne sei diventato un gurù ...solo che tra pseudoreligione e ciarlataneria la differenza è minima. E si continua ad usare l'anonimato.... forma molto pusillanime di commentare contro.
Eliminaah, non hai tempo?
Eliminafigurati noi...
ma perchè non ti preoccupi dell'abuso di sostanze chimiche di origine naturale? (oltre che dell'abuso della credulità popolare)
Ok! Mi arrendo!
RispondiEliminaL'unica vostra curiosità è scoprire chi si permette di intervenire, per giunta anonimamente, in un dibattito tra illuminati. Nessun dubbio, nessuna curiosità di capire, ad esempio, chi sono i ciarlatani autori del video, o chiarire sull'ISPRA, ecc.
Beati voi!
Nelle campagne disastrose dell'esercito italiano durante la seconda guerra mondiale, i soldati si passavano la massima che: "LA MIGLIOR DIFESA ERA LA RITIRATA". A questo proposito forse pochi sanno che i nostri soldati contadini, per evitare la censura quando si ritiravano, scrivevano "qui si vanga" e ne capite il senso se sapete come si vanga. Infatti le poche volte che facevano un'avanzata dicevano che si "zappava".
RispondiEliminaMassima questa che vedo subito applicata dal nostro pusillanime anonimo (ma dicci chi sei una buona volta visto che ci contesti così tanto, avremmo o no il diritto di sapere chi abbiamo di fronte e quali credenziali ha per interloquire?). Solo che se ti riveli ci devi portare studi scientifici che dicono che il gliphosate è il fitofarmaco più tossico sulla piazza e che ambientalmente è quello che fa più danni.
A me pare che si deve procedere all'eliminazione di un fitofarmaco si debba cominciare dal fitofarmaco più impattante e non dal meno impattante.
Tu ci porti lo studio dell'ISPRA che guarda caso non dice che il gliphosate è il più impattante, anzi. (Youtube te lo tieni per te per favore).
Anonimo
RispondiEliminaEcco una fonte molto vicina al tuo pensare cosa ha verificato tramite una indagine. file:///C:/Documents%20and%20Settings/Utente/Desktop/Residui%20del%20gliphosate.jpg-small