di Ermanno Comegna
" Giovani e agricoltura" |
Mi è capitato più volte quando occasionalmente dialogo con persone fuori dal settore agricolo, ascoltare l'osservazione che i giovani si stanno avvicinando all'agricoltura e che tale attività riscuote un certo successo e risulta interessante ed attrattiva, se non proprio alla moda. Ebbene, questa immagine è contraddetta dai dati statistici ufficiali. Sembra che l'opinione pubblica sia fuorviata dalla comunicazione prevalente nel nostro settore che, in primo luogo, mira a conquistare spazi di visibilità a chi li propina, puntando su argomenti di facile presa.
Oggi, si direbbe che le notizie diffuse, purtroppo anche da superficiali attori istituzionali, siano "bufale" o fake news, ove si preferisse ricorrere al diffuso termine inglese. Propagare false informazioni sul fenomeno del ritorno dei giovani come manager di aziende agricole non è corretto, anzi è pericoloso perché tende ad instillare l'errata impressione che gli sforzi in termini di interventi di politica agraria per favorire il ricambio generazionale e svecchiare il settore vadano nella giusta direzione e stiano fornendo i risultati attesi, inibendo così la possibilità di affrontare con la determinazione e l'efficacia necessarie una questione che è importante per il futuro dell'agricoltura e, in generale, per la vitalità economica delle aree rurali, in particolare di quelle interne del Paese, coinvolte in un processo di desolante rarefazione umana e materiale.
Come dimostrano i dati ufficiali che di seguito riporto, la presenza dei giovani imprenditori nel settore primario non migliora, nonostante gli sforzi ed a dispetto di quello che spesso si legge sui giornali o si ascolta nelle radio e nelle televisioni. Non mancano - invero - esempi di interesse da parte delle nuove generazioni e casi anche eclatanti di innamoramenti di persone del tutto estranee al settore e senza un legame con una pregressa tradizione famigliare, le quali compiono la scelta di impegnarsi professionalmente in agricoltura. Tuttavia, non è da singoli casi che si deve prendere spunto per trarre delle conclusioni: una rondine non fa primavera, come emerge dalle statistiche consultate.
L'11 gennaio 2018, la direzione generale dell'agricoltura della Commissione europea ha pubblicato una serie numerosa e approfondita di dati, da utilizzare come indicatori di contesto per la valutazione ed il monitoraggio delle misure della politica di sviluppo rurale (PSR). In relazione alla struttura per classi di età dei titolari di aziende agricole si possono ricavare i seguenti dati:
Gli imprenditori agricoli con età inferiore a 35 anni, determinati dall'ultima analisi sulle strutture agrarie del 2013, sono il 5,9% del totale nell'Ue (28 paesi membri) ed in Italia sono il 4,5%. Rispetto al 2010, l'incidenza dei giovani è diminuita (erano il 7,5% nella Ue ed il 5,1% in Italia). Pertanto, non si vede alcun risveglio di interesse, anzi il fenomeno dell'invecchiamento della classe degli agricoltori avanza, piuttosto che retrocedere, a dispetto dei tanti sforzi fatti dalle politiche europee e nazionali.
L'Italia non è messa bene ed occupa la parte bassa della graduatoria. Ci sono solo 9 paesi membri che registrano una percentuale di giovani agricoltori inferiore al dato italiano e 17 che sono meglio posizionati su tale parametro.
Ancora più drammatica è la situazione quando si prendono in esame i dati assoluti. Tra il 2010 ed il 2013 il numero di imprenditori agricoli di età inferiore a 35 anni è calato da 912.800 a 644.270 a livello Ue (-29%) e da 82.110 a 45.680 in Italia (-44%).
A novembre dello scorso anno, la Corte dei Conti Europea ha pubblicato una relazione dedicata al tema delle misure di politica agraria rivolte al rinnovamento generazionale in agricoltura ed, in tale contesto, ha elaborato dati assai interessanti. Dal 2005 al 2013, il numero di agricoltori nella Ue è diminuito da 14,5 a 10,7 milioni, con un calo del 26%. Nello stesso periodo, il numero di giovani agricoltori di età inferiore a 44 anni è calato ad un ritmo ancora più accentuato: da 3,3 a 2,3 milioni di unità, segnando così una riduzione del 30%.
La superficie agricola gestita dagli agricoltori di giovane età è diminuita da 57,7 a 51,9 milioni di ettari nel periodo di tempo analizzato; mentre l'area coltivata complessiva a livello Ue è aumentata, seppur di poco, passando da 172,1 a 173 milioni di ettari. L'analisi dei giudici contabili europei evidenzia che nel settore primario, la forza lavoro giovanile (età compresa tra 15 e 44 anni) incide in ragione del 20% sul totale ed è tendenzialmente calante, contro un dato appena sopra il 50% per l'intera economia.
Pertanto, non solo si registra un peggioramento della presenza giovanile nel settore primario, ma non si riesce a colmare il divario con l'economia nel complesso che sancisce lo stereotipo di un settore primario poco attraente per i giovani. I dati ricavati nel corso dell'audit della Corte dei Conti hanno dimostrato che il sostegno europeo a favore del ricambio generazionale non è formulato in maniera efficiente e non funziona come sarebbe necessario ed auspicabile. Da qui sono scaturite una serie di raccomandazioni alla Commissione ed ai Paesi membri per trovare i necessari rimedi.
In conclusione, a differenza del messaggio prevalente, almeno nella narrazione dei mezzi di comunicazione italiani, di una riscoperta agricola da parte delle nuove generazioni, la presenza di giovani imprenditori in agricoltura è sempre più rarefatta. Le barriere all'ingresso sono numerose e ardue da superare. L'accesso alla terra rimane il fattore critico principale; insieme alla disponibilità di credito e di strumenti finanziari utili per fare fronte alle ingenti anticipazioni di capitale circolante e di investimento iniziali. Inoltre, pesa l'assenza di incentivi di politica agraria semplici, agili e affidabili, nonostante l'impegno profuso tramite i programmi di sviluppo rurale.
Purtroppo, la realtà pare ben diversa da come è dipinta da alcuni mezzi di comunicazione ed è narrata da qualche attore del settore agricolo più interessato a cercare consenso e riconoscibilità che affrontare un tema serio dal quale dipende la competitività del sistema produttivo nazionale ed europeo.
Come dimostrano i dati ufficiali che di seguito riporto, la presenza dei giovani imprenditori nel settore primario non migliora, nonostante gli sforzi ed a dispetto di quello che spesso si legge sui giornali o si ascolta nelle radio e nelle televisioni. Non mancano - invero - esempi di interesse da parte delle nuove generazioni e casi anche eclatanti di innamoramenti di persone del tutto estranee al settore e senza un legame con una pregressa tradizione famigliare, le quali compiono la scelta di impegnarsi professionalmente in agricoltura. Tuttavia, non è da singoli casi che si deve prendere spunto per trarre delle conclusioni: una rondine non fa primavera, come emerge dalle statistiche consultate.
L'11 gennaio 2018, la direzione generale dell'agricoltura della Commissione europea ha pubblicato una serie numerosa e approfondita di dati, da utilizzare come indicatori di contesto per la valutazione ed il monitoraggio delle misure della politica di sviluppo rurale (PSR). In relazione alla struttura per classi di età dei titolari di aziende agricole si possono ricavare i seguenti dati:
Gli imprenditori agricoli con età inferiore a 35 anni, determinati dall'ultima analisi sulle strutture agrarie del 2013, sono il 5,9% del totale nell'Ue (28 paesi membri) ed in Italia sono il 4,5%. Rispetto al 2010, l'incidenza dei giovani è diminuita (erano il 7,5% nella Ue ed il 5,1% in Italia). Pertanto, non si vede alcun risveglio di interesse, anzi il fenomeno dell'invecchiamento della classe degli agricoltori avanza, piuttosto che retrocedere, a dispetto dei tanti sforzi fatti dalle politiche europee e nazionali.
L'Italia non è messa bene ed occupa la parte bassa della graduatoria. Ci sono solo 9 paesi membri che registrano una percentuale di giovani agricoltori inferiore al dato italiano e 17 che sono meglio posizionati su tale parametro.
Ancora più drammatica è la situazione quando si prendono in esame i dati assoluti. Tra il 2010 ed il 2013 il numero di imprenditori agricoli di età inferiore a 35 anni è calato da 912.800 a 644.270 a livello Ue (-29%) e da 82.110 a 45.680 in Italia (-44%).
A novembre dello scorso anno, la Corte dei Conti Europea ha pubblicato una relazione dedicata al tema delle misure di politica agraria rivolte al rinnovamento generazionale in agricoltura ed, in tale contesto, ha elaborato dati assai interessanti. Dal 2005 al 2013, il numero di agricoltori nella Ue è diminuito da 14,5 a 10,7 milioni, con un calo del 26%. Nello stesso periodo, il numero di giovani agricoltori di età inferiore a 44 anni è calato ad un ritmo ancora più accentuato: da 3,3 a 2,3 milioni di unità, segnando così una riduzione del 30%.
La superficie agricola gestita dagli agricoltori di giovane età è diminuita da 57,7 a 51,9 milioni di ettari nel periodo di tempo analizzato; mentre l'area coltivata complessiva a livello Ue è aumentata, seppur di poco, passando da 172,1 a 173 milioni di ettari. L'analisi dei giudici contabili europei evidenzia che nel settore primario, la forza lavoro giovanile (età compresa tra 15 e 44 anni) incide in ragione del 20% sul totale ed è tendenzialmente calante, contro un dato appena sopra il 50% per l'intera economia.
Pertanto, non solo si registra un peggioramento della presenza giovanile nel settore primario, ma non si riesce a colmare il divario con l'economia nel complesso che sancisce lo stereotipo di un settore primario poco attraente per i giovani. I dati ricavati nel corso dell'audit della Corte dei Conti hanno dimostrato che il sostegno europeo a favore del ricambio generazionale non è formulato in maniera efficiente e non funziona come sarebbe necessario ed auspicabile. Da qui sono scaturite una serie di raccomandazioni alla Commissione ed ai Paesi membri per trovare i necessari rimedi.
In conclusione, a differenza del messaggio prevalente, almeno nella narrazione dei mezzi di comunicazione italiani, di una riscoperta agricola da parte delle nuove generazioni, la presenza di giovani imprenditori in agricoltura è sempre più rarefatta. Le barriere all'ingresso sono numerose e ardue da superare. L'accesso alla terra rimane il fattore critico principale; insieme alla disponibilità di credito e di strumenti finanziari utili per fare fronte alle ingenti anticipazioni di capitale circolante e di investimento iniziali. Inoltre, pesa l'assenza di incentivi di politica agraria semplici, agili e affidabili, nonostante l'impegno profuso tramite i programmi di sviluppo rurale.
Purtroppo, la realtà pare ben diversa da come è dipinta da alcuni mezzi di comunicazione ed è narrata da qualche attore del settore agricolo più interessato a cercare consenso e riconoscibilità che affrontare un tema serio dal quale dipende la competitività del sistema produttivo nazionale ed europeo.
Già docente presso Università
Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza, Università degli Studi di
Campobasso e Università degli Studi di Udine. Attualmente svolge
attività di libero professionista e di consulente nel settore
agricolo ed agro-alimentare. E' iscritto all'albo dei giornalisti
elenco dei pubblicisti.
Grazie, Grazie, Grazie Ermanno.
RispondiEliminaIo sapevo già che l'agricoltura italiana viveva la situazione che le tue cifre ci raccontano. Non lo sapevo perchè avevo visto delle statistiche, ma lo sapevo perchè conservo ancora antenne in varie parti d'Italia a cui posso ricorrere per verificare certi fenomeni (anzi diciamola tutta per verificare le fandonie che racconta la Coldiretti e che i media concorrono a diffondere facendo si che una balla raccontata tante volte diventi realtà) Ricordo che un mio amico interpellato circa la corsa all'agricoltura nell'Appennino e nel biologico mi disse: "se tu consideri un ritorno alla terra per colui che non è riuscito a laurearsi a più di 30 anni ed ha deciso di subentrare nel poderino del nonno e dopo due o tre anni di delusioni cocenti decide di certificare la sua superficie a biologico, non coltivarla e lucrare gli aiuti conseguenti allora può anche darsi che ci sia qualcuno che fa questa scelta" (vorrei vedere se a questi terreni fanno trascorrere sempre i tre anni di conversione a zero contributi).
Un'altro parametro che mi ha fatto capire che erano tutte balle è stata l'uscita del responsabile della Coldiretti giovani quando si parlò di installare aziende agricole sui terreni demaniali e questo quantizzò un certo numero di nuove aziende agricole di giovani che si potevano creare, subito ho fatto la divisione degli ettari disponibili e delle aziende preconizzate e mi risultò una superficie media di 8 ettari. MI sono detto: " beh se questo è il programma della Coldiretti per cominciare povera agricoltura futura". D'altronde dato che si trattava di dover acquistare il terreno era logico che al massimo uno poteva disporre di un centinaio di milioni di vecchie lirette solo per dotarsi dello strumento primario, ma poi c'era tutta l'attrezzatura di cui dotarsi. In altre parole se uno avesse avuto a disposizione anche solo duecentomila euro mica li investiva in terra da coltivare!
Io non capisco proprio il trionfalismo che ha imperversato per anni, chissà se uscirà questa notizia! Oltretutto le notizie sono state finora date in modo aneddotico:ecco la storia di Tal dei Tali ecc ecc. Per quanto conosco personalmente, so di giovani imprenditori che hanno affrontato difficili passaggi generazionali, e di un giovane che ha messo su azienda dal nulla, ma con capitali paterni. Altrimenti, costruire davvero dal nulla secondo me è pressoché impossibile. Sull'accesso alla terra, forse si dovrebbe fare come faceva Federico II che tassava chi possedeva incolti. Andrej
RispondiEliminaAnonimo basterebbe obbligare che è proprietario di terra e vive d'altro ad affittare i terreni, Per farlo basta impedire che abbiano accesso alle sovvenzioni pubbliche comunitarie e non. In Francia un medico, un avvocato, un notaio che sercita la sua professione non farà mai l'agricoltore.
RispondiEliminaLa situazione probabilmente è ancora più grave. Spesso le nuove imprese agricole condotte da giovani altro non sono che "smembramenti formali " di aziende già esistenti. Parte dei terreni vengono affittati ai giovani, figli o parenti prossimi dei veri titolari, che aprono la partita iva e conseguono il titolo Iatp per avvantaggiarsi nelle graduatorie dei PSR o altri bandi pubblici. L'operazione è solo formale,la nuova azienda è poco più che virtuale, il giovane magari lavora in azienda come prima oppure si occupa di altro, magari ancora studia... Lo stesso discorso vale per le Società Agricole Semplici,aventi per Socio un giovane di età inferiore ai 40 anni...
RispondiEliminale statistiche dicono una cosa ma la realtà è ben diversa!
Bravo,analisi perfetta.
EliminaNel PSR abruzzese è espressamente vietato costituire una nuova azienda a partire da una costola dell' azienda di famiglia. Invece un giovane può affittare rerreni di proprietà di persone che non esercitano attività agricola. In alternativa può subentrare all' azienda di famiglia purché il titolare vada in pensione.
RispondiEliminaPaolo esattamente come in Francia da almeno 40 anni.
EliminaBuongiorno, posso senza dubbio confermare le perplessità e le negatività sopra esposte, ma posso anche dire che un ritorno all'agricoltura da parte dei giovani si può avere solo se i giovani stessi cambiano anche mentalità nell'affrontare l'attività agricola, lavoro in pianura padana e la maggior parte dei giovani anche diplomati e laureati vede come "innovazione" per la propria azienda il prendere in affitto più terreni il che, con i prezzi che girano non può certo garantire loro di migliorare la situazione. A mio avviso serve un cambio di marcia e di mentalità anche a livello scolastico e ben vengano docenti che criticano in maniera positiva lo status-quo per stimolare ad una vera ripresa e cambio di marcia. Sono testimone di una microazienda (meno di 2 ha) partita da zero (mutuo senza firme dei genitori) riesce a stare in piedi e migliorare di anno in anno non certo grazie ai 550 euro di PAC annui percepiti...come sopra esposto l'ideale sarebbe consentire un più facile accesso al terreno a chi vive di agricoltura, i cugini francesi avranno tanti difetti ma in certe cose hanno pienamente ragione!
RispondiEliminaAnonimo
EliminaIn Francia sono più accessibili i prezzi delle terre agricole ed anche gli affitti, solo che se non si è altamente professionalizzati si smette molto presto.
Nel PSR in Basilicata so arrivate circa 1500 domande,saranno finanziate circa 360,i restanti giovani sfortunati fra qualche tempo abbandoneranno il sogno o sacrificio dell'agricoltura e i dati continueranno a precipitare.
RispondiEliminaParlo da giovane in agricoltura, al momento emigrato in Australia.
RispondiEliminaPenso che sia propaganda, buona parte dei 'giovani agricoltori' in realta' sono semplicemente intestatari di terreni (appartenuti al nonno o simili) per potersi pagare i contributi e al contempo hanno un altro lavoro da redddito, ma in nero, e li capisco perche' sono stato tentato anche io dalla cosa.
Penso che un problema sia il costo d'accesso della terra, che e' rimasto invariato negli ultimi 10/20 anni (perlomeno in Monferrato) a fronte di una diminuzione della redditivita', a cui si aggiunge la perenne situazione di bolletta in cui navigano le aziende agricole...
Penso che Guidorzi abbia ragione, che l'estensioni medie siano troppo piccole e che le aziende o si uniscono o non hanno scampo.
Per il momento sono lontano ma la situazione a casa la vedo grave, e me ne dispiaccio davvero.
Simone Berra
Simone
RispondiEliminaTu sei del Monferrato ed io sono dell'Oltrepo mantovano con terra benedetta da Dio. Finchè c'era la lira che si svalutava la terra in Italia era un bene rifugio e quindi acquistata non dagli agricoltori (al massimo gli agricoltori dopo anni di sacrificio si compravano il pezzetto incastonato nella loro proprietà) bensì di gente che doveva sbiancare soldi in nero o gente che aveva investito in tutto e quindi anche la terra poteva andare bene come ultimo investimento. Inoltre ai tempi della liretta ogni volta che svalutava si rivalutavano i prezzi agricoli e quindi il reddito era dato più dai prezzi che non dalla produzione. Per giunta a quei tempi anche gli aiuti PAC (anche questi rivalutati ad ogni svalutatzione della lira erano un parte cospicua dei guadagni). In una situazione come questa nessun nuovo agricoltore poteva permettesi di acquistare terra (se aveva il cervello sulle spalle....), di terra in affitto non se ne trovava e la terra divenne appannaggio di non agricoltori e lavorata dal contoterzista (che tra l'altro a quei tempi era anche poco professionale nelle tecniche agronomiche innovative). Insomma c'era tesaurizzazione delle terra per chi la possedeva e accesso solo ai non agricoltori. Nei miei paraggi la terra era arrivata a 60/70 milioni di euro/ha, mentre un ettaro in Francia costava 15/20 milioni di lire/ha. HO visto vendere (una quarantina di anni fa) un terreno a vigneto di zona Bordeaux a 27 milioni di lire quando qui da noi si parlava minimo di 10 volte di più ed anche oltre (pensa che ai tempi di cui parlo un ettaro di meleto in Val di Non arrivava ai 600/700 milioni di lire.
Con l'Euro abbiamo da subito cominciato a vivere su un altro pianeta: più nessuna svalutatzione, graduale adeguamento dei prezzi ai mercati internazionali e diminuzione, seppure graduale, delle sovvenzioni pubbliche. inoltre la terra è sì calata, ma non tanto quanto proporzionalmente la diminuzione dei prezzi agricoli. In questa situazione (avrei un grandissimo piacere che qualcuno mi smentisse, però attenzione non ditemi che "l'ha detto la Coldiretti" altrimenti m'inc..zo) come si può pensare che un giovane acceda alla terra indebitandosi e con poche prospettive?
Quello che si dice in televisione e pura e semplice "disinformatia", e sono sonore balle, al massimo si può pensare di subentrare nell'azienda paterna o del nonno, ma come tu ben dici quanti lo fanno da imprenditori agricoli?