martedì 12 dicembre 2017

Mauro Picone: un pioniere dell'informatica alla Grande Guerra

di Alberto Lopez 

Mauro Picone
A cento anni dallo sfondamento del fronte ad opera delle truppe austro - tedesche con gravi perdite per l'esercito italiano, a cui fece seguito il ripiegamento lungo la linea del Piave ed a quaranta anni dalla morte, vale la pena ricordare la figura di Mauro Picone (Palermo, 2 maggio 1885 – Roma, 11 aprile 1977). Sì, perché lui nel  novembre del 1917 al fronte c'era in qualità di capitano di artiglieria. Richiamato alle armi nella primavera del 1916, fu inviato in Trentino ed è lì che il colonnello Federico Baistrocchi affidò all'allora sottotenente Picone, le cui capacità matematiche erano già riconosciute nel mondo universitario, il compito di preparare nuove tavole di tiro per l’utilizzo in montagna dell'artiglieria pesante della V Armata.
Quelle disponibili, fornendo dati per bersagli posti sullo stesso piano delle batterie, erano del tutto inadeguate alla conformazione geografica del teatro di scontro, dove il dislivello tra gli uni e le altre poteva essere dello stesso ordine di grandezza della loro distanza orizzontale. Gli errori di calcolo che conseguivano dall'adozione di queste tavole avevano esiti tragici per le linee difensive. Questo incarico unitamente all'entusiasmo con cui il grande matematico Vito Volterra, senatore e capitano del Genio - che pochi anni dopo fonderà il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) - accolse i suoi propositi durante un colloquio occasionale avvenuto nell’anticamera del Comando Supremo dell’Esercito al termine di quello stesso anno, portarono a maturare in Picone la convinzione della necessità di fondare un istituto di rilevanza nazionale che in modo sistematico mettesse al servizio della società i modelli forniti dall'analisi matematica per la soluzione di problemi di carattere pratico. Dieci anni più tardi riuscì a costituire a Napoli un laboratorio di analisi numerica presso la cattedra di analisi infinitesimale da lui detenuta, l'embrione di quello che sarà l’Istituto Nazionale per le Applicazioni del Calcolo (INAC) che fondò nel 1932, nell’ambito del CNR, con il trasferimento a Roma da dove l'istituto mai si mosse. Nel 1943 la sua tenace opposizione impedì il trasferimento della sede a Venezia e riuscì a salvaguardarne l'integrità della strumentazione nascondendola nelle abitazioni private di amici e colleghi. Questo e l'aiuto prestato a ebrei o antifascisti come Guido Ascoli e Renato Caccioppoli evitarono, al termine del secondo conflitto mondiale, che venisse rimosso dagli incarichi accademici. Ma fu proprio nel periodo tra le due guerre che il calcolo numerico cominciò ad organizzarsi in disciplina autonoma, liberandosi dal ruolo ancillare in cui era stato relegato rispetto all’analisi classica per merito dei cambiamenti di paradigma promossi da Picone: lo stesso rigore che si prestava alla ricerca dell'esistenza della soluzione di un problema doveva essere impiegato per la determinazione dell’algoritmo numerico che la realizza concretamente.
Nel 1923 scriveva «In una futura guerra vinceranno gli eserciti che saranno tecnicamente più preparati; le future guerre saranno guerra fra scienziati»: alla luce dei fatti che seguirono, ivi compresi quelli dei giorni nostri, mai affermazione fu più profetica. L'INAC sotto la sua guida divenne una scuola di analisti che contribuì allo sviluppo di una mentalità computazionale avanzata in Italia, riconosciuta a livello internazionale. Ma già prima della conclusione della seconda guerra mondiale Picone era andato oltre, cogliendo in anticipo che non bastava aggiornare i contenuti, ma occorreva adeguare anche gli strumenti con cui far procedere la ricerca computazionale. Perché la realizzazione nel 1944 ad opera della IBM del primo calcolatore a relè, nonostante avesse il peso di ben trentacinque tonnellate e fosse costato otto anni di lavoro e 250.000 dollari, per Picone era la testimonianza che si stavano aprendo nuove eccezionali prospettive nella disciplina. In pratica, stava nascendo la tecnologia che avrebbe permesso di rendere il calcolo elettronico, cioè eseguibile in maniera automatica, riducendo i tempi di elaborazione dei dati ed ampliato la quantità di quelli trattabili. Nel secondo dopoguerra, quindi, la sfida divenne quella di procurarsi le macchine calcolatrici elettroniche di cui disponevano gli anglo-americani affinché l'INAC (che nel frattempo era divenuto semplicemente IAC) rimanesse al passo con i tempi. Picone si batté perché l'Italia si impegnasse alla costruzione di un elaboratore in maniera autonoma, al fine di assicurare la formazione di propri tecnici, competenti nell’elettronica da calcolo che, invece, sarebbero venuti meno con il semplice acquisto. Allora come oggi, resistenze interne ed estere e la mancanza di adeguati finanziamenti (Adriano Olivetti sarebbe stato disponibile ad accollarsi la metà dei costi, ma lo Stato non volle impegnarsi e la collaborazione statunitense venne meno in assenza della partecipazione dell'Olivetti), ne impedirono la realizzazione. Con il passare degli anni l’acquisto rappresentò il male minore al quale Picone, con pragmatismo, si adeguò. Alla fine del 1954 l'Italia comprò con fondi provenienti dal CNR e dall'ARAR (Azienda Rilievo Alienazione Residuati) un modello costruito dalla Ferranti Ltd di Manchester. L'elaboratore ribattezzato con l'acronimo FINAC (Ferranti-INACComputer) venne inaugurato il 14 dicembre 1955. Con il suo ingresso all'Istituto cambiarono sia la qualità del lavoro che le problematiche da affrontare legate ad aspetti del tutto nuovi come gestione e sviluppo dell'hardware e del software. Si aprì un nuovo filone di ricerca che negli anni a venire prenderà il nome di informatica, al quale si dedicarono ricercatori di grande valore, da Roberto Vacca a Corrado Boehm e Giuseppe Jacopini; meno noti al grande pubblico gli ultimi due, ma celebri tra gli addetti ai lavori per il teorema del 1966 che prende il loro nome e fornisce uno strumento fondamentale nella semplificazione della scrittura di algoritmi, non meno di quanto abbiano fatto le leggi di Newton nell'interpretazione dei fenomeni di natura meccanica. FINAC cesserà la sua attività dopo ben dodici anni, nei quali contribuì alla risoluzione di calcoli necessari per la costruzione di diverse grandi opere di pubblica utilità. Nel 1961 su iniziativa di Picone e di Aldo Ghizzetti, nacque l’AICA (Associazione Italiana per il Calcolo Automatico) la società professionale degli informatici italiani. Dal 1969 l’IAC è diventato, in onore del suo fondatore, Istituto per le Applicazionidel Calcolo «Mauro Picone».
Allora, vale davvero la pena ricordare Mauro Picone, in occasione del centenario di una ricorrenza che ha avuto un'importanza fondamentale per la tenuta dell'Italia. I fatti qui brevemente richiamati testimoniano come sia possibile farsi forza e darsi coraggio per affrontare con ingegno e determinazione le più svariate difficoltà senza perdere la propria umanità. Gli eventi drammatici e dolorosi che hanno segnato il Novecento non hanno impedito a Picone di volgere uno sguardo verso il futuro, progettando soluzioni utili in tempo di guerra che avrebbero costituito i presupposti per innovazioni durevoli in tempo di pace. Un visionario di altri tempi che con la sua lungimiranza ha ancora molto da dire non solo ai giovani che beneficiano oggi degli sforzi e dei progressi che presero l'avvio in quegli anni, ma soprattutto ad una classe dirigente dallo sguardo corto incapace di una progettualità che non si pretende sia in grado di progettare il futuro come ha fatto Picone attraverso ben due guerre mondiali, ma, almeno, oltre le prossime elezioni.



Alberto Lopez
Laureato in Fisica presso l'Università degli Studi di Firenze, docente di elettrotecnica. E' socio del Circolo Culturale Piero Gobetti di Firenze. 

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