di Mirko Bueti
In questo capitolo cercheremo di delineare le vicende del movimento ambientalista, focalizzando la seconda parte sulle specificità di quello italiano. Si tratta di collocare sotto la lente della storia un peculiare fenomeno sociale emerso in un breve arco di tempo tra le fine degli anni Sessanta e l'inizio degli anni Settanta, durante il quale in gran parte del mondo occidentale si moltiplicarono le azioni di protesta dirette a denunciare le situazioni di grave inquinamento dell'ambiente che rischiavano di compromettere l'equilibrio ecologico del Pianeta, e conseguentemente di danneggiare la salute delle persone. Allargando la prospettiva sul lungo periodo, il movimento ambientalista si colloca all'apogeo del più ampio processo storico che potremmo definire di “valorizzazione etica dell'ambiente”. Si tratta di un percorso lungo il quale la civiltà occidentale ha lentamente ma progressivamente sviluppato un ampio set di strumenti teorico-scientifici e di codici valoriali e sociali che hanno consentito di “mitigare” la dominante concezione antropocentrica e dominatrice del rapporto tra uomo e natura promuovendo atteggiamenti di tutela e di pacifica convivenza con gli altri esseri viventi. Tale processo può essere convenzionalmente suddiviso in tre fasi. La prima interessa il momento in cui la natura diventa un problema sociale e intellettuale, portando la società occidentale a elaborare strumenti culturali e scientifici capaci di regolare il rapporto con l'ambiente. La seconda riguarda l'origine di una più consapevole politica di gestione delle risorse naturali, rappresentata dal conservazionismo. La terza infine affronta l'emergere del movimento ambientalista a livello internazionale, per focalizzarsi poi sulle specificità di quello italiano
In questo capitolo cercheremo di delineare le vicende del movimento ambientalista, focalizzando la seconda parte sulle specificità di quello italiano. Si tratta di collocare sotto la lente della storia un peculiare fenomeno sociale emerso in un breve arco di tempo tra le fine degli anni Sessanta e l'inizio degli anni Settanta, durante il quale in gran parte del mondo occidentale si moltiplicarono le azioni di protesta dirette a denunciare le situazioni di grave inquinamento dell'ambiente che rischiavano di compromettere l'equilibrio ecologico del Pianeta, e conseguentemente di danneggiare la salute delle persone. Allargando la prospettiva sul lungo periodo, il movimento ambientalista si colloca all'apogeo del più ampio processo storico che potremmo definire di “valorizzazione etica dell'ambiente”. Si tratta di un percorso lungo il quale la civiltà occidentale ha lentamente ma progressivamente sviluppato un ampio set di strumenti teorico-scientifici e di codici valoriali e sociali che hanno consentito di “mitigare” la dominante concezione antropocentrica e dominatrice del rapporto tra uomo e natura promuovendo atteggiamenti di tutela e di pacifica convivenza con gli altri esseri viventi. Tale processo può essere convenzionalmente suddiviso in tre fasi. La prima interessa il momento in cui la natura diventa un problema sociale e intellettuale, portando la società occidentale a elaborare strumenti culturali e scientifici capaci di regolare il rapporto con l'ambiente. La seconda riguarda l'origine di una più consapevole politica di gestione delle risorse naturali, rappresentata dal conservazionismo. La terza infine affronta l'emergere del movimento ambientalista a livello internazionale, per focalizzarsi poi sulle specificità di quello italiano
La natura svelata: dai misteri della magia alla corrente arcadica
Le origini degli atteggiamenti di tutela della natura
sono strettamente collegate al processo di formazione di una cultura
ecologica, che tuttavia non si esaurisce nella ricostruzione storica
della sola dinamica interna della disciplina scientifica. Come
osserva Deleage, a causa della sua posizione originale, alla
confluenza delle scienze della natura e delle società, per capire a
fondo la complessità della cultura ecologica è necessario tenere
conto dei suoi risvolti culturali, sociali e infine poltici1.
Le origini dello studio scientifico della vita e
dell'ambiente fisico sono collocate nell'ambito della grande
espansione oltremare intrapresa dai maggiori paesi europei dalla fine
del XV secolo2.
La conquista di sempre più estesi territori coloniali favorì
l'instaurarsi di una forte correlazione tra la necessità da parte
dei sovrani europei di inventariare e catalogare le risorse naturali
a loro disposizione e il progresso delle conoscenze botaniche e
zoologiche indispensabili a sfruttare appieno la ricchezza della
colonie. A partire dalla metà del Settecento, gli esiti delle
esplorazioni organizzate dalle accademie europee contribuirono
potentemente a superare un'interpretazione religiosa e speculativa
del mondo fisico3,
che caratterizzava il sistema culturale europeo fino a quel momento.
In questo contesta assai dinamico, il percorso di
formazione di una scienza della natura fondata su osservazioni e dati
sperimentali prende avvio dall'opera di Linneo, “The Economy of
Nature” del 1749, con la quale si gettano le basi per
l'elaborazione di un metodo d'indagine standardizzato e scientifico4.
Nella concezione materialista della natura quale
macchina universale, ben oliata, ed eteronoma, strutturata in un
sistema gerarchico, all'apice del quale si trova l'uomo che soggiace
all'analisi, Worster ha individuato i podromi di quello che ha
definito “atteggiamento imperialista” nei confronti della natura,
cioè la configurazione di un rapporto di dominio dell'uomo sul
creato, attraverso l'esercizio della ragione e del duro lavoro5.
Nonostante la limitata concezione meccanicista e
teologica della natura, la strada aperta da Linneo condusse a una
rivoluzione nei principi che organizzano e orientano la conoscenza
del mondo fisico, scandita successivamente dalle innovazioni di
Alexander Von Humboltd e dalle scoperte di Charles Darwin6.
Il primo introdusse una visione unitaria del mondo
naturale, sviluppando un sistema di indagine scientifica delle specie
vegetali, la “geografia botanica”, incentrato sull'osservazione
globale di tutti gli elementi che compongono un dato ambiente e dei
loro legami di interdipendenza7.
Von Humboltd inoltre riteneva che l'unità della natura derivasse dall'azione di un'universale forza organizzatrice immanente a tutte le forme di vita, collocando l'analisi scientifica in una più ampia concezione di “panteismo naturalista”8. Le scoperte di Darwin, e in parte di Wallace, confluite nella teoria dell'evoluzione, affrancarono le scienza naturali da un modello interpretativo finalistico e atemporale, attribuendo al tempo un fondamentale ruolo “creatore”, nella manifestazione di forme di vita successive condizionate dall'influenza dell'ambiente esterno9. Affermando come l'uomo stesso fosse generato delle interazione con l'habitat circostante, le teorie evoluzioniste costruirono un solido ponte tra la sfera antropica e quella naturale, ricomponendo una frattura sulla quale si erano accovacciati quasi tre secoli di pensiero scientifico10. Parallelamente agli sviluppi innescati dal colonialismo, l'affermazione del sistema capitalistico-industriale nei primi anni del XIX secolo pose le basi per un duraturo regime di relazione con l'ambiente, fondato su un atteggiamento di spoliazione indiscriminata volta a soddisfare le necessità delle attività umane: la natura era concepita quale materia morta e inerte, vitalizzata solo attraverso forze esterne messe in campo dalla ragione umana11. Il passaggio alle attività produttive moderne fondate sul modello “fabbrica” e su un regime energetico inorganico12 comportò una forma di contaminazione della natura inedita per qualità e intensità, che modificò radicalmente i paesaggi e determinò un deciso peggioramento degli ambienti di vita, alimentando una visione dicotomica della natura nella quale al compiacimento per il dominio sulle forze naturali si contrapponeva l'esecrazione e la nostalgia per una natura che, quanto più si faceva lontana tanto più si ricordava incontaminata13. Muovendo da questo senso di nostalgia per un ambiente incontaminato, prese vita in seno al romanticismo e all'idealismo un rilevante interesse sociale e culturale per la natura, il cui contenuto estetico e trascendente divenne istanza di rifiuto rispetto al materialismo della civiltà industriale. Il forte dinamismo intellettuale cui dettero vita i due movimenti permise di rendere molto meno rigido il contesto intellettuale avuto in eredità dal Secolo dei Lumi, appiattito sulla centralità esclusiva della facoltà razionale dell'uomo, sul valore cartesiano dell'ordine e della divisione tra materia e spirito, tra natura e uomo. Livorsi ha sostenuto che il tema della ricerca dell'infinito nel finito, di Dio nella natura, trasversale al romanticismo e all'idealismo, è possibile rintracciare i podromi del pensiero ecologista14. In particolare, fu l'opera scientifica e proto-romantica di Goethe a promuovere una visione empatica, di intima fusione tra tutte le forze della natura e l'uomo, rifiutando il primato conoscitivo della matematica e il corollario che la realtà possa essere sussunta a rapporti quantitativi costanti. Il panteismo naturalista del letterato tedesco ebbe un forte riscontro nella riflessione filosofica Schelling, con il quale la corrente dell'idealismo venne a focalizzarsi sulla questione della natura, proponendone una visione unitaria e vitalistica15. Infine, dall'alveo dei letterati, spicca la figura di Wordsworth, che è stato definito una sorta di “Santo patrono virtuale” dell'ecologismo per il forte impegno a convincere il pubblico delle sue opere a guardare con diffidenza il celebrato progresso materiale ed economico e dall'altra parte a sviluppare stili di vita in sintonia con la natura16 . Inoltre, gli stili di vita generati dall'urbanizzazione alimentarono un diffuso comportamento collettivo di ritorno a pratiche quotidiane considerate come più vicine alla natura e socialmente in opposizione al sistema delle convinzioni vigenti, incentrate sugli orari regolari scanditi dai ritmi artificiali della produzione, sulla separazione tra vita privata e professionale e sull'organizzazione del tempo ordinato al servizio dell'efficienza e della produttività17. Se in questi movimenti è possibile scorgere il seme di un ecologismo ancora in divenire, ma privo di riferimenti scientifici18, con gli anni Trenta dell'Ottocento prende vita una fondamentale corrente di pensiero che riuscì a portare a sintesi le aspirazioni sociali con i contemporanei sviluppi della scienza naturale: l'ecologia arcadica19. Si trattava di una saggistica di storia naturale ispirata all'opera scientifica di Gilbert White, The natural history pubblicata nel 1789 e rimasta fino a quel momento pressochè sconosciuta. Sulla base delle intuizioni di White, la saggistica del movimento arcadico si sviluppò attorno al tema di un esistenza pacifica tra l'uomo e gli altri esseri viventi, individuando nella scienza e nella tecnologia moderna la fonte dell'alienazione dalla natura e da Dio e la causa dal potente processo di sdradicamento del tessuto sociale20. Il movimento di ritorno alla natura generato dalle contraddizioni della civiltà moderna e le progressive acquisizioni delle scienze naturali rispetto ai rapporti di interdipendenza tra i vari elementi della natura assunsero una forte caratterizzazione spirituale, sovrapponendo alle spiegazioni fisico-chimiche concezioni vitalistiche, già prefigurate in precedenza da Gothe e Von Humboltd21. Questa prospettiva volontaristica attingeva da un complesso ed eterogeno insieme di dottrine e tradizioni risalente a Ippocrate e Aristotele, il cui punto di convergenza era il convincimento che la vita possedesse un dinamismo innato, unificatore e immanente in grado di rendere tutti gli esseri viventi parte interdipendente dell'organismo onnicomprensivo della natura22. Ad alimentare questa duplice connotazione scientifica e spirituale della natura contribuì fortemente il lavoro di Ernst Haeckel, al quale è stato riconosciuto il merito di aver coniato il neologismo “ecologia”. Quale fervente darwinista, sposò l'idea della uguaglianza di tutte le specie, rifiutando l'umanesimo dominante e il principio della superiorità dell'uomo, ma si distanziò dall'interpretazione materialistica dell'evoluzionismo contrapponendo una visione vitalistica, in cui il processo evolutivo diventa manifestazione dell'energia creativa e immanente della natura. In questo quadro il biologo tedesco propose una teoria dell'unità intrinseca della natura definita monismo, che, strutturata sull'azione dei flussi di energia, dei cicli biochimici, del clima e degli habitat fisici, trovava piena comprensione in una concezione olistica dell'ambiente, nella quale il mondo viene rappresentato come un grande tutto, un organismo unificato ed equilibrato, dove tutti gli esseri viventi godono della stessa condizione morale e naturale degli uomini23. Tra la fine del XVIII e il XIX secolo, gli effetti innescati dal colonialismo e dall'industrializzazione portarono la società europea a confrontarsi con una nuova sfida, strettamente legata all'avvento della civiltà moderna: la scoperta, la conoscenza e la regolazione del rapporto con l'ambiente naturale. Nonostante l'indubbio prevalere dell'atteggiamento imperialista, alla fine dell'Ottocento iniziarono a manifestarsi forme organizzate di tutela ambientale che gettarono le basi per la formazione del movimento conservazionista.
Von Humboltd inoltre riteneva che l'unità della natura derivasse dall'azione di un'universale forza organizzatrice immanente a tutte le forme di vita, collocando l'analisi scientifica in una più ampia concezione di “panteismo naturalista”8. Le scoperte di Darwin, e in parte di Wallace, confluite nella teoria dell'evoluzione, affrancarono le scienza naturali da un modello interpretativo finalistico e atemporale, attribuendo al tempo un fondamentale ruolo “creatore”, nella manifestazione di forme di vita successive condizionate dall'influenza dell'ambiente esterno9. Affermando come l'uomo stesso fosse generato delle interazione con l'habitat circostante, le teorie evoluzioniste costruirono un solido ponte tra la sfera antropica e quella naturale, ricomponendo una frattura sulla quale si erano accovacciati quasi tre secoli di pensiero scientifico10. Parallelamente agli sviluppi innescati dal colonialismo, l'affermazione del sistema capitalistico-industriale nei primi anni del XIX secolo pose le basi per un duraturo regime di relazione con l'ambiente, fondato su un atteggiamento di spoliazione indiscriminata volta a soddisfare le necessità delle attività umane: la natura era concepita quale materia morta e inerte, vitalizzata solo attraverso forze esterne messe in campo dalla ragione umana11. Il passaggio alle attività produttive moderne fondate sul modello “fabbrica” e su un regime energetico inorganico12 comportò una forma di contaminazione della natura inedita per qualità e intensità, che modificò radicalmente i paesaggi e determinò un deciso peggioramento degli ambienti di vita, alimentando una visione dicotomica della natura nella quale al compiacimento per il dominio sulle forze naturali si contrapponeva l'esecrazione e la nostalgia per una natura che, quanto più si faceva lontana tanto più si ricordava incontaminata13. Muovendo da questo senso di nostalgia per un ambiente incontaminato, prese vita in seno al romanticismo e all'idealismo un rilevante interesse sociale e culturale per la natura, il cui contenuto estetico e trascendente divenne istanza di rifiuto rispetto al materialismo della civiltà industriale. Il forte dinamismo intellettuale cui dettero vita i due movimenti permise di rendere molto meno rigido il contesto intellettuale avuto in eredità dal Secolo dei Lumi, appiattito sulla centralità esclusiva della facoltà razionale dell'uomo, sul valore cartesiano dell'ordine e della divisione tra materia e spirito, tra natura e uomo. Livorsi ha sostenuto che il tema della ricerca dell'infinito nel finito, di Dio nella natura, trasversale al romanticismo e all'idealismo, è possibile rintracciare i podromi del pensiero ecologista14. In particolare, fu l'opera scientifica e proto-romantica di Goethe a promuovere una visione empatica, di intima fusione tra tutte le forze della natura e l'uomo, rifiutando il primato conoscitivo della matematica e il corollario che la realtà possa essere sussunta a rapporti quantitativi costanti. Il panteismo naturalista del letterato tedesco ebbe un forte riscontro nella riflessione filosofica Schelling, con il quale la corrente dell'idealismo venne a focalizzarsi sulla questione della natura, proponendone una visione unitaria e vitalistica15. Infine, dall'alveo dei letterati, spicca la figura di Wordsworth, che è stato definito una sorta di “Santo patrono virtuale” dell'ecologismo per il forte impegno a convincere il pubblico delle sue opere a guardare con diffidenza il celebrato progresso materiale ed economico e dall'altra parte a sviluppare stili di vita in sintonia con la natura16 . Inoltre, gli stili di vita generati dall'urbanizzazione alimentarono un diffuso comportamento collettivo di ritorno a pratiche quotidiane considerate come più vicine alla natura e socialmente in opposizione al sistema delle convinzioni vigenti, incentrate sugli orari regolari scanditi dai ritmi artificiali della produzione, sulla separazione tra vita privata e professionale e sull'organizzazione del tempo ordinato al servizio dell'efficienza e della produttività17. Se in questi movimenti è possibile scorgere il seme di un ecologismo ancora in divenire, ma privo di riferimenti scientifici18, con gli anni Trenta dell'Ottocento prende vita una fondamentale corrente di pensiero che riuscì a portare a sintesi le aspirazioni sociali con i contemporanei sviluppi della scienza naturale: l'ecologia arcadica19. Si trattava di una saggistica di storia naturale ispirata all'opera scientifica di Gilbert White, The natural history pubblicata nel 1789 e rimasta fino a quel momento pressochè sconosciuta. Sulla base delle intuizioni di White, la saggistica del movimento arcadico si sviluppò attorno al tema di un esistenza pacifica tra l'uomo e gli altri esseri viventi, individuando nella scienza e nella tecnologia moderna la fonte dell'alienazione dalla natura e da Dio e la causa dal potente processo di sdradicamento del tessuto sociale20. Il movimento di ritorno alla natura generato dalle contraddizioni della civiltà moderna e le progressive acquisizioni delle scienze naturali rispetto ai rapporti di interdipendenza tra i vari elementi della natura assunsero una forte caratterizzazione spirituale, sovrapponendo alle spiegazioni fisico-chimiche concezioni vitalistiche, già prefigurate in precedenza da Gothe e Von Humboltd21. Questa prospettiva volontaristica attingeva da un complesso ed eterogeno insieme di dottrine e tradizioni risalente a Ippocrate e Aristotele, il cui punto di convergenza era il convincimento che la vita possedesse un dinamismo innato, unificatore e immanente in grado di rendere tutti gli esseri viventi parte interdipendente dell'organismo onnicomprensivo della natura22. Ad alimentare questa duplice connotazione scientifica e spirituale della natura contribuì fortemente il lavoro di Ernst Haeckel, al quale è stato riconosciuto il merito di aver coniato il neologismo “ecologia”. Quale fervente darwinista, sposò l'idea della uguaglianza di tutte le specie, rifiutando l'umanesimo dominante e il principio della superiorità dell'uomo, ma si distanziò dall'interpretazione materialistica dell'evoluzionismo contrapponendo una visione vitalistica, in cui il processo evolutivo diventa manifestazione dell'energia creativa e immanente della natura. In questo quadro il biologo tedesco propose una teoria dell'unità intrinseca della natura definita monismo, che, strutturata sull'azione dei flussi di energia, dei cicli biochimici, del clima e degli habitat fisici, trovava piena comprensione in una concezione olistica dell'ambiente, nella quale il mondo viene rappresentato come un grande tutto, un organismo unificato ed equilibrato, dove tutti gli esseri viventi godono della stessa condizione morale e naturale degli uomini23. Tra la fine del XVIII e il XIX secolo, gli effetti innescati dal colonialismo e dall'industrializzazione portarono la società europea a confrontarsi con una nuova sfida, strettamente legata all'avvento della civiltà moderna: la scoperta, la conoscenza e la regolazione del rapporto con l'ambiente naturale. Nonostante l'indubbio prevalere dell'atteggiamento imperialista, alla fine dell'Ottocento iniziarono a manifestarsi forme organizzate di tutela ambientale che gettarono le basi per la formazione del movimento conservazionista.
1 P. Deleage, Storia dell'ecologia. Una scienza dell'uomo e della natura, CUEN, Napoli, 1994, p. 4
2 P. Deleage, Storia dell'ecologia, cit., pp. 23.25; P. Acot, Storia dell'ecologia, Lucarini, Roma, 1989, pp. 34-36
3 Si trattava di una concezione religiosa e speculativa del mondo fisico derivata della scienza latina che affondava le proprie ragioni non soltanto nell'egemonia culturale esercitata dalla chiesa cattolica di Roma, ma anche nella filosofia naturale del medioevo fortemente influenza dall'antirazionlismo ellenista, che concepiva la natura quale arcano colmo di miracoli e significati simbolici,Cfr. W. Eamon, La scienza e i segreti della natura. I “libri di segreti” nella cultura medievale e moderna, ECIG, Genova, 1999
4 P. Acot, Storia dell'ecologia, cit., pp. 111-115
5 D. Worster, Stoia delle idee ecologiche, Il Mulino, Bologna, 1993, pp.59-6
6 P. Deleage, Storia dell'ecologia, cit., p.
7 Ivi cit., pp. 37-39
8 F. Livorsi, Il mito della nuova terra: cultura, idee e problemi dell'ambientalismo, Giuffrè, Milano, 2000, 183-189
9 P. Deleage, Storia dell'ecologia, cit., pp. 55-58
10 D. Worster, Storia delle idee ecologiche, cit., pp. 110-131
11 Cfr. C. Merchant, La morte della natura. Donne, ecologia e rivoluzione scientifica, Garzanti, Milano, 1988.
12 Per una più approfondita analisi sul rapporto tra fonti energetiche e Rivoluzione industriale vedi, E. A. Wrigley, La rivoluzione industriale in Inghilterra, Il Mulino, Bologna, 1992
13 S. Neri Serneri, Il “mondo nuovo”. Industria e ambiente nell'Europa dell'Ottocento, in, id, Incorporare la natura, cit., pp. 57-66
14 F. Livorsi, Il mito della nuova terra, cit., p. 165
15 Ivi cit., pp. 163-16
16 D. Pepper, Modern Environmentalism, cit., pp. 191-194
17 R. Delort-F. Walter, Storia dell'ambiente europeo, Dedalo, Bari, 2002, p. 110
18 D. Pepper, Modern environmentalism, cit., p. 93
19 D. Worster, Storie delle idee ecologiche, cit., p. 39
20 Seppure animato da una forte aspirazione religiosa e filosofica, lo studio del parroco inglese sull'ambiente della sua parrocchia di Selborne raffigurò mediante puntuali osservazioni scientifiche, un vero e proprio quadro ecologico in cui esaltava la capacità del creatore di aver conferito alla natura un funzionamento tale che tutti gli esseri viventi potessero trarre vantaggio gli uni dagli altri.Ivi cit. 37-49
21 F. Livorsi, Il mito della nuova terra, cit., pp. 189-191
22 R. Delort-F. Walter, Storia dell'ambiente europeo, Dedalo, Bari, 2002, pp. 113-114
23 Ivi cit., p. 117
Mirko Bueti
Dottore in Documentazione e Ricerca storica, laureato all’Università degli Studi di Siena . E' studioso della storia del movimento ambientale.
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