di Francesco Ferrini
Tuttavia, anche se sta aumentando la consapevolezza di questo, solo negli ultimi dieci anni sono stati fatti alcuni sforzi per selezionare nuove accessioni e nell’adozione di pratiche gestionali al fine di massimizzare i benefici netti del verde urbano. Nelle attuali strategie di impianto potrebbero essere adottate, comunque, le specie che non sono solo molto efficienti nel sequestro di CO2, ma che, per esempio, hanno dimostrato di avere un maggiore efficienza dell’uso dell’acqua (WUE Water Use efficiency — rapporto tra fotosintesi netta e il tasso di traspirazione), cioè quanta acqua è necessaria per fissare una mole di CO2 e, di conseguenza, per produrre biomassa ed emettere ossigeno. Il pool genetico che caratterizza l’offerta vivaistica italiana risente purtroppo di una carenza a livello di selezione di cultivar di alberi ornamentali e l’offerta attuale si basa, per larga parte, su accessioni quasi sempre introdotte da Paesi stranieri la cui adattabilità a condizioni ambientali diverse non è stata adeguatamente testata. Indipendentemente dalla tecnica di miglioramento usata, solo il confronto agronomico consente una classificazione dei cloni o delle novità selezionate in base alla loro costanza di risposta e quindi caratterizzati da maggior stabilità (specie e/o cultivar rustiche) o variabilità (specie e/o cultivar esigenti), da destinare a usi diversi: le prime, ad esempio, per valorizzare ambienti più difficili (es. alberature stradali, parcheggi), le seconde per ambienti meno limitanti (es. parchi e giardini). Oltretutto, l’esigenza di incrementare la qualità dell’ambiente attraverso un corretto impiego delle piante ornamentali, pur mantenendo una sostenibilità economica della filiera legata alla produzione e alla commercializzazione di tali piante, impone la definizione di nuovi standard di qualità riferiti alle piante ornamentali in grado di fornire agli operatori del settore indicazioni attendibili per un impiego che non sia limitato al soddisfacimento dei soli requisiti ornamentali delle piante prodotte dal settore vivaistico ornamentale. Tra i principali requisiti da considerare nella scelta di una specie e/o di una cultivar:
In tale contesto, si è inserito il progetto Qualiviva, finanziato dal MIPAAF che ha visto lavorare insieme ricercatori, professionisti e operatori del settore. In particolare l’azione 2 del progetto ha raccolto, in oltre 100 schede, informazioni relative a specie arboree ornamentali pensate allo scopo di aiutare e indirizzare pianificatori e municipalità verso una progettazione funzionale del verde urbano, ovvero una progettazione in grado di massimizzare i benefici forniti dalle aree verdi e ridurre al massimo i costi derivanti da problematiche gestionali, manutentive e fitosanitarie. Le specie descritte sono state selezionate in base al loro largo uso nel verde urbano o in base alla loro potenziale utilizzabilità. Tuttavia, tale elenco non vuole in alcun modo essere esaustivo, o far sì che nella futura progettazione del verde vengano impiegate solo queste specie, piuttosto vuole essere un punto di partenza e di ispirazione per capire che il beneficio del verde dipende in larga parte dalle specie messe a dimora e che è necessario quindi passare da una scelta delle specie puramente basata sull’estetica, a una basata sul rapporto tra benefici offerti e costi di gestione, che consideri criteri ecologici, economici, sociali, fitosanitari e ambientali. Perseguendo tale finalità, ben poco spazio è stato dedicato, nelle schede, alle caratteristiche estetiche, prediligendo invece gli aspetti dimensionali, di tolleranza alle condizioni del suolo, ai patogeni e agli stress abiotici, e le problematiche che l’uso del le singole specie può causare. La novità delle schede,rispetto ad altri database è la stima, per ciascuna specie, della CO2 potenzialmente stoccata, degli inquinanti rimossi, e della produzione di composti organici volatili. Per il calcolo dello stoccaggio di CO2 e per l’abbattimento degli inquinanti si è utilizzato il software I-Tree (USDA, www.itreetools.org) adattandolo alle nostre situazioni ambientali, diverse da quelle americane su cui sono basati gli algoritmi del modello. Per ciascuna specie, è stata individuata una classe climatica statunitense simile a quella in cui la specie vegeta nel nostro paese, similmente a quanto fatto da Soares et al. (2011). Per nuovo impianto, è considerato, per tutte le specie, un diametro di 5,4 cm (classe di circonferenza 16-18). Per gli esemplari maturi è stato stimato il diametro medio, per ogni specie, in ambiente urbano al raggiungimento della maturità. Tali valori sono stati ottenuti sulla base di dati bibliografici, delle esperienze personali e dei risultati di sperimentazioni condotte in ambiente urbano da parte dei ricercatori coinvolti nel progetto. I valori di CO2 stoccata e assimilata, così come quelli di inquinanti rimossi, si riferiscono ad alberi in buono stato di salute e correttamente potati (non capitozzati).
Tuttavia, vista la variabilità della crescita edella fotosintesi in funzione delle condizioni microclimati he del sito d’impianto, tali valori non devonoessere assunti ‘a dogma’, ma devono essere ritenuti puramente indicativi. Infine, alcune specie vegetali emettono composti organici volatili che possono divenire precursori dell’ozono troposferico in ambienti inquinati (es. da ossidi di azoto). Tali composti, detti VOC, principalmente isoprene e monoterpeni, sono prodotti in modo estremamente variabile (sia dal punto di vista quantitativo, sia qualitativo) dalle diverse specie, che possono venire così classificate in:
Francesco Ferrini
Fig. 1- La mancanza dell’irrigazione vanifica i costi sostenuti per l’impianto. |
È stato più volte scritto che le aree urbane costituiscono solo il 3% della superficie terrestre della Terra, ma assorbono non meno del 60-80% dell’energia e producono il 75% delle emissioni di carbonio. L’urbanizzazione è particolarmente drammatica nei paesi in via di sviluppo, dove si stima che avverrà il 95% della futura espansione urbana (United Nations, 2015) e dove la continua espansione urbana determina enormi pressioni non solo sugli input energetici e alimentari, sulla salute pubblica e suli aspetti sociali, ma anche sulla componente naturale e sulla biodiversità. L’importanza delle aree urbane come ambienti di vita per la maggior parte gli esseri umani si riflette negli obiettivi dello United Nations Sustainable Development Goals (United Nations, 2015).
L’obiettivo n. 11 mette in evidenza le aree urbane, sotto il titolo ‘Rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili’. Diversi sotto-obiettivi sono stati formulati all’interno dell’obiettivo 11, come la riduzione dell’impatto ambientale negativo delle città; il rafforzamento della protezione e la salvaguardia del patrimonio culturale e naturale del mondo e dei positivi collegamenti economici, sociali e ambientali tra le zone urbane, peri-urbane e rurali, consolidando la pianificazione regionale e lo sviluppo; l’attuazione delle politiche e dei piani volti al miglioramento dell’efficienza delle risorse, della mitigazione dei cambiamenti climatici adattamento, dell’inclusione sociale, ecc. L’importanza del verde urbano per avere città migliori è sottolineata nell’obiettivo che prevede di garantire, entro il 2030, l’accesso universale a spazi pubblici verdi che siano sicuri, inclusivi e accessibili, in particolare alle donne e ai bambini, agli anziani e alle persone con disabilità (Konijnendijk et al., 2017). Gli spazi verdi e la vegetazione urbana offrono una vasta gamma di benefici essenziali per la società attraverso una serie di servizi ecosistemici. Il verde urbano in generale e gli alberi in particolare possono aiutare le città nel ridurre l’effetto isola di calore urbana, nel ridurre l’inquinamento dell’aria e dell’acqua, e nel limitare gli effetti talvolta catastrofici delle alluvioni e degli eventi estremi. Possono fornire cibo e foraggio, ma anche ridurre i nostri livelli di stress e incoraggiarci a essere più attivi fisicamente.
Inoltre, le aree verdi urbane sono luoghi d’incontro, fonte d’ispirazione e di apprendimento e di stimolo della creatività (Konijnendijk et al., 2013; Roy et al., 2014; Miller et al., 2015). Ciononostante, gli spazi verdi urbani non sempre sono compresi nella pianificazione delle città del futuro. Uno degli approcci di pianificazione e di sviluppo urbano che ha acquisito importanza negli ultimi anni è, infatti, quello della densificazione, pensata per migliorare l’efficienza e l’innovazione tecnologica, riducendo il consumo di risorse e di energia (Haaland, Konijnendijk van den Bosch, 2015) e vista come una risposta alla continua espansione urbana (urban sprawl) e dei suoi molti effetti negativi. Tuttavia, da un punto di vista degli spazi verdi, la densificazione è considerata una sfida, poiché si riduce la loro quantità e spesso anche la qualità risulta negativamente influenzata quando le città diventano più compatte, con effetti negativi sulla salute e sul benessere delle persone (Haaland, Konijnendijk van den Bosch, 2015).
La densificazione si aggiunge alle grandi sfide che gli ambienti urbani comportano per la vegetazione. In questo scenario futuro, come possiamo fare in modo che la vegetazione urbana e gli spazi verdi diventino fondamentali ‘key-actions’ per sviluppare città inclusive, sicure, resilienti e sostenibili? Città che non siano una minaccia per la salute pubblica, ma che al contrario la promuovano? L’arboricoltura e la selvicoltura urbana rappresentano un approccio interdisciplinare alla progettazione e alla gestione della componente vegetale,soprattutto nelle aree densamente urbanizzate (Miller et al., 2015) dove essa si trova a dover fronteggiare condizioni pedo-ambientali spesso fortemente avverse. Queste condizioni ci impongono dei cambiamenti anche radicali nel modo di affrontare le diverse situazioni perché è impossibile pensare di risolvere i problemi con la stessa mentalità che li ha creati.
Le sfide che abbiamo di fronte includono il fatto che molti alberi hanno raggiunto o stanno raggiungendo la fine del loro ciclo di vita naturale, poiché molte piantagioni sono state effettuate in tempi passati a seguito della realizzazione di piani urbanistici (es. il Piano di Poggi per Firenze Capitale) o nell’immediato dopoguerra, per cui le piante hanno ormai diverse decine di anni, se non addirittura più di un secolo. Questo, sommato agli effetti della siccità, dell’aumento delle ondate di calore e dell’inquinamento, e a cattive pratiche gestionale (come le insensate potature) ha accelerato il declino di singoli individui o di intere alberature, in molti casi in modo irreversibile. Adesso disponiamo delle conoscenze per trasformare la nostra foresta urbana pubblica e privata in una foresta sana, biodiversa, resiliente e ben progettata che permetterà alla nostra città di adattarsi meglio ai cambiamenti climatici, di mitigare gli effetti dell’isola di calore e di fornire protezione e benessere per la comunità. Le attività che dovranno essere condotte dovranno essere basate su principi sviluppati per garantire che tutti i futuri progetti/interventi contribuiranno a raggiungere questa visione. Fra questi possono essere indicati:
L’obiettivo n. 11 mette in evidenza le aree urbane, sotto il titolo ‘Rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili’. Diversi sotto-obiettivi sono stati formulati all’interno dell’obiettivo 11, come la riduzione dell’impatto ambientale negativo delle città; il rafforzamento della protezione e la salvaguardia del patrimonio culturale e naturale del mondo e dei positivi collegamenti economici, sociali e ambientali tra le zone urbane, peri-urbane e rurali, consolidando la pianificazione regionale e lo sviluppo; l’attuazione delle politiche e dei piani volti al miglioramento dell’efficienza delle risorse, della mitigazione dei cambiamenti climatici adattamento, dell’inclusione sociale, ecc. L’importanza del verde urbano per avere città migliori è sottolineata nell’obiettivo che prevede di garantire, entro il 2030, l’accesso universale a spazi pubblici verdi che siano sicuri, inclusivi e accessibili, in particolare alle donne e ai bambini, agli anziani e alle persone con disabilità (Konijnendijk et al., 2017). Gli spazi verdi e la vegetazione urbana offrono una vasta gamma di benefici essenziali per la società attraverso una serie di servizi ecosistemici. Il verde urbano in generale e gli alberi in particolare possono aiutare le città nel ridurre l’effetto isola di calore urbana, nel ridurre l’inquinamento dell’aria e dell’acqua, e nel limitare gli effetti talvolta catastrofici delle alluvioni e degli eventi estremi. Possono fornire cibo e foraggio, ma anche ridurre i nostri livelli di stress e incoraggiarci a essere più attivi fisicamente.
Inoltre, le aree verdi urbane sono luoghi d’incontro, fonte d’ispirazione e di apprendimento e di stimolo della creatività (Konijnendijk et al., 2013; Roy et al., 2014; Miller et al., 2015). Ciononostante, gli spazi verdi urbani non sempre sono compresi nella pianificazione delle città del futuro. Uno degli approcci di pianificazione e di sviluppo urbano che ha acquisito importanza negli ultimi anni è, infatti, quello della densificazione, pensata per migliorare l’efficienza e l’innovazione tecnologica, riducendo il consumo di risorse e di energia (Haaland, Konijnendijk van den Bosch, 2015) e vista come una risposta alla continua espansione urbana (urban sprawl) e dei suoi molti effetti negativi. Tuttavia, da un punto di vista degli spazi verdi, la densificazione è considerata una sfida, poiché si riduce la loro quantità e spesso anche la qualità risulta negativamente influenzata quando le città diventano più compatte, con effetti negativi sulla salute e sul benessere delle persone (Haaland, Konijnendijk van den Bosch, 2015).
La densificazione si aggiunge alle grandi sfide che gli ambienti urbani comportano per la vegetazione. In questo scenario futuro, come possiamo fare in modo che la vegetazione urbana e gli spazi verdi diventino fondamentali ‘key-actions’ per sviluppare città inclusive, sicure, resilienti e sostenibili? Città che non siano una minaccia per la salute pubblica, ma che al contrario la promuovano? L’arboricoltura e la selvicoltura urbana rappresentano un approccio interdisciplinare alla progettazione e alla gestione della componente vegetale,soprattutto nelle aree densamente urbanizzate (Miller et al., 2015) dove essa si trova a dover fronteggiare condizioni pedo-ambientali spesso fortemente avverse. Queste condizioni ci impongono dei cambiamenti anche radicali nel modo di affrontare le diverse situazioni perché è impossibile pensare di risolvere i problemi con la stessa mentalità che li ha creati.
Le sfide che abbiamo di fronte includono il fatto che molti alberi hanno raggiunto o stanno raggiungendo la fine del loro ciclo di vita naturale, poiché molte piantagioni sono state effettuate in tempi passati a seguito della realizzazione di piani urbanistici (es. il Piano di Poggi per Firenze Capitale) o nell’immediato dopoguerra, per cui le piante hanno ormai diverse decine di anni, se non addirittura più di un secolo. Questo, sommato agli effetti della siccità, dell’aumento delle ondate di calore e dell’inquinamento, e a cattive pratiche gestionale (come le insensate potature) ha accelerato il declino di singoli individui o di intere alberature, in molti casi in modo irreversibile. Adesso disponiamo delle conoscenze per trasformare la nostra foresta urbana pubblica e privata in una foresta sana, biodiversa, resiliente e ben progettata che permetterà alla nostra città di adattarsi meglio ai cambiamenti climatici, di mitigare gli effetti dell’isola di calore e di fornire protezione e benessere per la comunità. Le attività che dovranno essere condotte dovranno essere basate su principi sviluppati per garantire che tutti i futuri progetti/interventi contribuiranno a raggiungere questa visione. Fra questi possono essere indicati:
- Adattamento ai cambiamenti climatici.
- Mitigazione gli effetti dell’isola di calore urbana.
- Creazione di città ‘water-sensitive’ cioè con un approccio progettuale di pianificazione del territorio e di ingegneria che integri il ciclo delle acque urbane, tra cui le acque piovane, le acque sotterranee e la gestione delle acque reflue, in una progettazione urbana volta ridurre al minimo il degrado ambientale, a migliorare l’aspetto estetico e aumentare la fruizione ricreativa.
- Creazione di ecosistemi sani.
- Pianificare e progettare gli spazi verdi urbani per migliorare la salute, il benessere e la vivibilità delle comunità urbane. Se si guarda soprattutto alla componente arborea, le aree urbane limitano la crescita degli alberi e la loro sopravvivenza.
Come detto, siccità, scarsa qualità e compattazione del suolo, l’eterogeneità nella radiazione solare, lo stress da trapianto, gli inquinanti, la salinità, gli agenti patogeni e i conflitti con le attività umane sono spesso causa di morte prematura dell’impianto, riducendo in tal modo il beneficio netto degli alberi (Bussotti et al., 2014; Ferrini et al., 2014). È quindi importante comprendere meglio le dinamiche che portano al declino degli alberi in ambiente urbano e sviluppare strategie e tecniche volte a migliorare la tolleranza ‘agronomica’ delle specie, cioè la capacità di fornire benefici e non solo di sopravvivere, in condizioni di stress (Flowers, Yeo, 1995; Fini et al., 2013). Queste includono le tecniche di pre-condizionamento in vivaio e la gestione post-impianto, ma un ruolo fondamentale è giocato dalla selezione di specie (Franco et al., 2006; Fini et al., 2009). Pur essendo il numero di specie presenti nelle nostre città relativamente elevato, i criteri di selezione sono spesso basati sull’estetica e sull’origine della specie (con un preferenza, non sempre tecnicamente giustificata, per le specie native), piuttosto che sulla tolleranza alle sollecitazioni tipiche imposte dall’ambiente costruito e sulla conseguente capacità di fornire benefici essenziali. Questo ha generato conoscenze limitate sulla ecofisiologia degli alberi in ambiente urbano, se confrontate con quelle relative agli alberi da frutto e alle specie coltivate a fini produttivi. Alla luce delle nuove conoscenze sui benefici ecosistemici forniti dalle piante, risulta invece molto importante acquisire conoscenze più approfondite che ci consentono di effettuare scelte mirate tenendo presente che errori in questa fase possono manifestarsi anche nel medio lungo termine.
Come parte di questo processo, una necessità è quella di produrre una lista di specie basata sui risultati della ricerca e della sperimentazione che possa essere la base per garantire la diversità all’interno della nostra foresta urbana: la diversità genetica, cronologica, dimensionale e cromatica. Il conseguimento di questo obiettivo richiede un complesso di conoscenze, derivanti dalla ricerca sperimentale e dall’esperienza pratica che al momento attuale, risultano purtroppo carenti e, per alcuni aspetti, completamente assenti nel nostro Paese. È tuttavia indubbio che le ricerche su questi temi sono particolarmente intense negli Stati Uniti e in vari paesi europei, dove sono in atto da anni progetti di lungo termine circa il ruolo del verde e della foresta urbana per la sostenibilità delle aree cittadine.
Come parte di questo processo, una necessità è quella di produrre una lista di specie basata sui risultati della ricerca e della sperimentazione che possa essere la base per garantire la diversità all’interno della nostra foresta urbana: la diversità genetica, cronologica, dimensionale e cromatica. Il conseguimento di questo obiettivo richiede un complesso di conoscenze, derivanti dalla ricerca sperimentale e dall’esperienza pratica che al momento attuale, risultano purtroppo carenti e, per alcuni aspetti, completamente assenti nel nostro Paese. È tuttavia indubbio che le ricerche su questi temi sono particolarmente intense negli Stati Uniti e in vari paesi europei, dove sono in atto da anni progetti di lungo termine circa il ruolo del verde e della foresta urbana per la sostenibilità delle aree cittadine.
È, a mio parere, necessità improcrastinabile la messa a punto di progetti di ricerca che vedano il contributo delle diverse professionalità che a vario titolo/livello sono coinvolte nel processo di pianificazione-progettazione-gestione. Per quanto riguarda il settore di mia competenza, cioè l’arboricoltura urbana, è noto che uno dei metodi migliori per combattere gli effetti del cambiamento climatico sia quello di piantare alberi non solo nelle aree extraurbane ma anche, e soprattutto, nelle città e nelle aree periurbane di proprietà sia pubblica che privata. Ma conosciamo l’effetto dei cambiamenti climatici sugli alberi e come saranno guidare le nostre scelte? Per specificare gli effetti futuri dei cambiamenti climatici sulla arboricoltura, sono necessarie previsioni affidabili dei cambiamenti transitori del clima regionale e globale. C’è un consenso quasi generale sul fatto che la temperatura mondiale aumenterà in misura senza precedenti nella storia documentata dell’umanità, e che questo è dovuto principalmente all’’’effetto serra’. Pertanto abbiamo bisogno di selezionare le piante che tollerino il cambiamento climatico con un regime delle precipitazioni alterato, con un aumento della frequenza e della gravità di siccità estiva nei diversi settori in entrambi gli emisferi e, probabilmente, di eventi meteorologici estremi (tempeste, trombe d’aria, ecc.).
La siccità è considerato il fattore più significativo non solo nei climi mediterraneo, per come può fortemente influenzare la sopravvivenza e la crescita di alberi appena piantati e il successivo sviluppo di fattori di resistenza delle piante. Con la scarsità d’acqua imminente in molte aree urbane che potrà determinare divieti nell’uso dell’acqua, piantare alberi che siano più tolleranti a condizioni di siccità prolungata è la migliore soluzionea lungo termine per un paesaggio più sano e a bassa manutenzione. In questo scenario le possibili misure di adattamento comprendono cambiamenti delle pratiche di impianto e gestione dell’albero, una migliore corrispondenza delle specie, e la messa a dimora di specie non indigene ma che abbiano una maggiore resistenza agli stress. Opinione corrente è quello di incoraggiare la messa a dimora di provenienze locali delle specie autoctone, citando il loro adattamento alle locali condizioni, e l’obbligo di mantenere la biodiversità e una base genetica nativa. Tuttavia, le specie autoctone o naturalizzate potrebbero non essere in grado di adattarsi ai cambiamenti climatici, soprattutto in considerazione del tasso di variazione previsto. Reperire piante da regioni con un clima simile a quello che prevedono gli studi sul futuro climatico, può fornire una possibilità, anche se è necessario prestare attenzione, assicurandosi che le piante siano selezionate per non incorrere in rischi, per esempio, come quelli da gelate primaverili che sarebbero dannose per lo sviluppo dell’albero.
Oltre al cambiamento climatico, devono essere considerati altri fattori al fine di garantire che l’impianto corretto è posto in un luogo specifico nel momento specifico e con le tecniche appropriate in generale. In particolare, i fattori da considerare nella scelta di alberi per le strade della città o nei parchi includono i requisiti tecnici come la risposta alla potatura, la stabilità, la resistenza alle malattie e l’assenza di parassiti catastrofici, l’adattamento del terreno, la tolleranza del sole o dell’ombra, la provenienza e sui potenziali benefici apportati dagli alberi all’ambiente urbano. Per quanto riguarda la biodiversità un vecchio lavoro di Santamour (1990) indicava che la scelta delle specie avrebbe dovuto seguire la regola del 10-20-30, secondo la quale non più del 30% di individui di nuovo impianto dovesse appartenere alla medesima famiglia, non più del 20% al medesimo genere e non più del 10% alla medesima specie. Adesso questa regola viene messa in discussione e recentemente Ball (2015) ha proposto che non più del 5% delle specie utilizzate per i nuovi impianti appartenga a un solo genere. In pratica abbiamo bisogno di incrementare la biodiversità, un concetto che, seppure utilizzato spesso fuori, nei discorsi di tutti i giorni risulta difficile da definire e non così facile da mettere in pratica. È illogico provare ad aumentare la biodiversità nelle aree aumentando il numero di specie adottate, se questo significa rimpiazzare le specie presenti, che hanno dimostrato elevata adattabilità, con specie non sufficientemente testate in certi ambienti. Il concetto di adattabilità è più importante di quello di diversità, per cui la regola che suggerisce che una specie non dovrebbe avere un’incidenza superiore al 10% non si basa su dati scientifici e potrebbe rivelarsi errata qualora portasse alla sostituzione di specie dimostratesi agro-ambientalmente valide.
La siccità è considerato il fattore più significativo non solo nei climi mediterraneo, per come può fortemente influenzare la sopravvivenza e la crescita di alberi appena piantati e il successivo sviluppo di fattori di resistenza delle piante. Con la scarsità d’acqua imminente in molte aree urbane che potrà determinare divieti nell’uso dell’acqua, piantare alberi che siano più tolleranti a condizioni di siccità prolungata è la migliore soluzionea lungo termine per un paesaggio più sano e a bassa manutenzione. In questo scenario le possibili misure di adattamento comprendono cambiamenti delle pratiche di impianto e gestione dell’albero, una migliore corrispondenza delle specie, e la messa a dimora di specie non indigene ma che abbiano una maggiore resistenza agli stress. Opinione corrente è quello di incoraggiare la messa a dimora di provenienze locali delle specie autoctone, citando il loro adattamento alle locali condizioni, e l’obbligo di mantenere la biodiversità e una base genetica nativa. Tuttavia, le specie autoctone o naturalizzate potrebbero non essere in grado di adattarsi ai cambiamenti climatici, soprattutto in considerazione del tasso di variazione previsto. Reperire piante da regioni con un clima simile a quello che prevedono gli studi sul futuro climatico, può fornire una possibilità, anche se è necessario prestare attenzione, assicurandosi che le piante siano selezionate per non incorrere in rischi, per esempio, come quelli da gelate primaverili che sarebbero dannose per lo sviluppo dell’albero.
Oltre al cambiamento climatico, devono essere considerati altri fattori al fine di garantire che l’impianto corretto è posto in un luogo specifico nel momento specifico e con le tecniche appropriate in generale. In particolare, i fattori da considerare nella scelta di alberi per le strade della città o nei parchi includono i requisiti tecnici come la risposta alla potatura, la stabilità, la resistenza alle malattie e l’assenza di parassiti catastrofici, l’adattamento del terreno, la tolleranza del sole o dell’ombra, la provenienza e sui potenziali benefici apportati dagli alberi all’ambiente urbano. Per quanto riguarda la biodiversità un vecchio lavoro di Santamour (1990) indicava che la scelta delle specie avrebbe dovuto seguire la regola del 10-20-30, secondo la quale non più del 30% di individui di nuovo impianto dovesse appartenere alla medesima famiglia, non più del 20% al medesimo genere e non più del 10% alla medesima specie. Adesso questa regola viene messa in discussione e recentemente Ball (2015) ha proposto che non più del 5% delle specie utilizzate per i nuovi impianti appartenga a un solo genere. In pratica abbiamo bisogno di incrementare la biodiversità, un concetto che, seppure utilizzato spesso fuori, nei discorsi di tutti i giorni risulta difficile da definire e non così facile da mettere in pratica. È illogico provare ad aumentare la biodiversità nelle aree aumentando il numero di specie adottate, se questo significa rimpiazzare le specie presenti, che hanno dimostrato elevata adattabilità, con specie non sufficientemente testate in certi ambienti. Il concetto di adattabilità è più importante di quello di diversità, per cui la regola che suggerisce che una specie non dovrebbe avere un’incidenza superiore al 10% non si basa su dati scientifici e potrebbe rivelarsi errata qualora portasse alla sostituzione di specie dimostratesi agro-ambientalmente valide.
Fig. 2 — Danni causati dalle radici superficiali di un olmo (sinstra) e Materiale d' impianto di pessima qualità (destra)
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- 1. adattabilità ai cambiamenti climatici;
- 2. lta capacità di sequestrare CO2 atmosferica;
- 3. capacità di sopravvivere in condizioni di relativa carenza idrica;
- 4. limitata produzione di composti organici volatili;
- 5. solidità strutturale di chioma e fusto;
- 6. buona tolleranza al trapianto;
- 7. capacità di vivere a lungo in assenza di eventi avversi imprevisti;
- 8. ridotta o assente allergenicità;
- 9. tolleranza o scarsa attrattività nei confronti di patogeni;
- 10.radici profonde o, comunque, che non arrechino danni alle
pavimentazioni; - 11. buona capacità di compartimentazione delle carie del legno;
- 12. non invasività;
- 13. limitati problemi legati alla caduta delle foglie e/o dei frutti.
In tale contesto, si è inserito il progetto Qualiviva, finanziato dal MIPAAF che ha visto lavorare insieme ricercatori, professionisti e operatori del settore. In particolare l’azione 2 del progetto ha raccolto, in oltre 100 schede, informazioni relative a specie arboree ornamentali pensate allo scopo di aiutare e indirizzare pianificatori e municipalità verso una progettazione funzionale del verde urbano, ovvero una progettazione in grado di massimizzare i benefici forniti dalle aree verdi e ridurre al massimo i costi derivanti da problematiche gestionali, manutentive e fitosanitarie. Le specie descritte sono state selezionate in base al loro largo uso nel verde urbano o in base alla loro potenziale utilizzabilità. Tuttavia, tale elenco non vuole in alcun modo essere esaustivo, o far sì che nella futura progettazione del verde vengano impiegate solo queste specie, piuttosto vuole essere un punto di partenza e di ispirazione per capire che il beneficio del verde dipende in larga parte dalle specie messe a dimora e che è necessario quindi passare da una scelta delle specie puramente basata sull’estetica, a una basata sul rapporto tra benefici offerti e costi di gestione, che consideri criteri ecologici, economici, sociali, fitosanitari e ambientali. Perseguendo tale finalità, ben poco spazio è stato dedicato, nelle schede, alle caratteristiche estetiche, prediligendo invece gli aspetti dimensionali, di tolleranza alle condizioni del suolo, ai patogeni e agli stress abiotici, e le problematiche che l’uso del le singole specie può causare. La novità delle schede,rispetto ad altri database è la stima, per ciascuna specie, della CO2 potenzialmente stoccata, degli inquinanti rimossi, e della produzione di composti organici volatili. Per il calcolo dello stoccaggio di CO2 e per l’abbattimento degli inquinanti si è utilizzato il software I-Tree (USDA, www.itreetools.org) adattandolo alle nostre situazioni ambientali, diverse da quelle americane su cui sono basati gli algoritmi del modello. Per ciascuna specie, è stata individuata una classe climatica statunitense simile a quella in cui la specie vegeta nel nostro paese, similmente a quanto fatto da Soares et al. (2011). Per nuovo impianto, è considerato, per tutte le specie, un diametro di 5,4 cm (classe di circonferenza 16-18). Per gli esemplari maturi è stato stimato il diametro medio, per ogni specie, in ambiente urbano al raggiungimento della maturità. Tali valori sono stati ottenuti sulla base di dati bibliografici, delle esperienze personali e dei risultati di sperimentazioni condotte in ambiente urbano da parte dei ricercatori coinvolti nel progetto. I valori di CO2 stoccata e assimilata, così come quelli di inquinanti rimossi, si riferiscono ad alberi in buono stato di salute e correttamente potati (non capitozzati).
Tuttavia, vista la variabilità della crescita edella fotosintesi in funzione delle condizioni microclimati he del sito d’impianto, tali valori non devonoessere assunti ‘a dogma’, ma devono essere ritenuti puramente indicativi. Infine, alcune specie vegetali emettono composti organici volatili che possono divenire precursori dell’ozono troposferico in ambienti inquinati (es. da ossidi di azoto). Tali composti, detti VOC, principalmente isoprene e monoterpeni, sono prodotti in modo estremamente variabile (sia dal punto di vista quantitativo, sia qualitativo) dalle diverse specie, che possono venire così classificate in:
- 1. non emettitrici;
- 2. emettitrici di isoprene;
- 3. emettitrici di monoterpeni;
- 4. emettitrici di isoprene e di monoterpeni.
I dati qualitativi e quantitativi sull’emissività delle diverse specie presenti nelle schede sono stati ricavati sulla base della specifica esperienza nel settore e dalla letteratura scientifica. Con i dati reperiti o disponibili è stato poi costruito un data base attualmente disponibile sul sito dell’Associazione Vivaisti (http://www.vivaistiitaliani.it/qualiviva/consultazione-shede-tecniche). Oltre alla consultazione delle schede è anche possibile effettuare delle query con le quali si possono individuare le specie adatte a certe condizioni ambientalo che hanno performance diverse in funzionedelle condizioni ambientali.
Concludendo, mi sembra opportuno rimarcare che nella pianificazione delle future aree verdi e nella loro specifica progettazione dovranno essere messi da parte alcuni pregiudizi personali e politici e leopinioni preconcette, al fine di affrontare i problemidi pianificazione con una mente aperta. Il risultato sarà una pianificazione equilibrata e sostenibile che eliminerà o almeno ridurrà al minimo molti dei potenziali problemi di gestione delle aree verdie, in particolar modo, degli alberi, e di manutenzione delle infrastrutture, consentendo la creazione di un connubio funzionale in cui le piante crescono e massimizzano i propri benefici garantendo anche una più facile fruibilità e una maggior durata delle infrastrutture.
Fonti bibliografiche
Ball J. 2015, Using A 5 PercentRule For TreeSelection, <http:// www.amerinursery.com/american-nurseryman/the-5-percent-rule/>.
Bussotti F., Pollastrini M., Killi D., Ferrini F., Fini A. 2014, Ecophysiology of urbantrees in a perspective of climatechange, «Agrochimica», July-September, pp. 247-268.
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Francesco Ferrini
Presidente
della Scuola di Agraria dell’Università di Firenze
. E' ordinario di Arboricoltura e Selvicoltura
urbana e docente del Master in Paesaggistica dell’Università di
Firenze.
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