Le diverse "agricolture": incidenza attuale e prospettive future per le produzioni vegetali dinnanzi alle sfide del XXI secolo
di Enrico Francia
a cura di Alessandro Cantarelli
La presentazione è suddivisa in tre parti e cerca di dare alcuni spunti sull’agricoltura (che è un condensato di storia e tecnologia), un’invenzione umana che ha premesso lo sviluppo delle civiltà. L’agricoltura ci ha permesso di essere qui oggi! Poi naturalmente ci sono state le rivoluzioni industriale, tecnologica…, internet…
intervento audio
Parte I
Guardando al passato (slide 4: “Uno sguardo al passato”), relativamente ai cereali (frumento e orzo in particolare) e alla loro produzione, nel Neolitico quando è stata inventata l’agricoltura si producevano queste “quantità”: 1-1,5 q.li/ ha (pari a 500 semi per m²). Quando si parla di produzione bisogna analizzarne le componenti; in questo caso è fondamentale misurare quanti semi ci riesce a dare il cereale per ogni unità di superficie, tipo il m².
Col passare del tempo (peraltro incrementi molto piccoli), le innovazioni (chiamiamole “tecnologiche”), messe a punto dall’uomo e messe in pratica dagli agricoltori, hanno portato a questi incrementi. Nel periodo romano un importante avanzamento fu l’introduzione delle rotazioni, poi in larga parte abbandonate nel Medioevo e quindi reintrodotte nel Rinascimento. Tuttavia, solo con la comprensione delle basi dell’ereditarietà (le basi teoriche: incrociando due piante posso trovare piante migliori o anche peggiori: si è trattato di capire il perché) queste conoscenze hanno permesso incrementi di resa mai visti in precedenza. Molto importante a livello nazionale fu l'attività di Nazareno Strampelli attuata nella prima metà del ‘900 per aumentare la produzione di grano in Italia (e dare da mangiare agli italiani, quando si decise che l’Italia non avrebbe più preso frumento dall’estero). Solo l’innovazione tecnologica, ossia il pensare a come produrre di più, come ad es. i grani a bassa taglia -ed è chiara la differenza produttiva per unità di superficie rispetto al passato: 20.000 semi al m²-, ha permesso di risolvere il problema della scarsità di grano (blocco delle importazioni, ai tempi del Ventennio, n.d.r). Che differenza con i campi di oggi, e che molti dei presenti in sala coltivano attualmente!
(La rivoluzione verde nel XX° sec.). Allarghiamo ora l'orizzonte di questa analisi a diverse nazioni: in ascisse gli anni (dal ‘900 al 2000) e, sulle ordinate le produzioni. Circa a metà del periodo considerato si rileva un’impennata, dovuta alla rivoluzione verde, proprio perché in quegli anni Norman Borlaug ha introdotto i geni della bassa taglia nei frumenti. Come noto poi, questa cosa si accoppia con l’industrializzazione dell’agricoltura. È interessante notare che, seppure con intensità differenti, ovunque sia stata applicata la rivoluzione verde (es. Canada, Argentina, Francia, Inghilterra) gli effetti sulla produzione sono stati gli stessi. Invece, dove non si è avuto questo tipo di introduzione (es. Algeria), si nota una nuvola di puntini neri sul grafico (e rese decisamente più basse). Questo significa che non vi è stato nessun cambiamento, da prima del 1950 a dopo! In certi casi poi è aumentata anche la qualità della granella, come ad es. il tenore proteico. Ma quali sono stati i fattori responsabili di questo incremento?
(Quali fattori sono responsabili di questo incremento?)
Come gli agricoltori ben sanno, si devono coltivare le varietà migliori nelle condizioni migliori. Queste due cose insieme, con un peso relativo che possiamo stimare 50:50, hanno consentito questo incremento produttivo. Il Prof. Francia fa questo esempio ai propri studenti: non possiamo pensare di guidare una Ferrari in uno stradello di campagna con le buche! Ma allo stesso tempo non si può pensare di guidare una vecchia topolino sulla pista di Fiorano…, perché la prestazione sarà quella che sarà! Esiste dunque una interdipendenza delle due azioni in entrambi i sensi: la Genetica e il miglioramento genetico delle piante coltivate da un lato (con peso relativo 50%) e l’Agronomia con le più mordere tecniche di coltivazione delle piante in campo (= le culture, ancora con peso relativo 50%).
(innovazioni (rivoluzioni) agronomiche).
Queste innovazioni, o rivoluzioni, agronomiche sono già state messe in atto. Abbiamo ad es., 1) la meccanizzazione; 2) la fertilizzazione; 3) la fitoiatria; 4) l’uso di nuovi materiali (plastici): che hanno dato una svolta non solo nella nostra vita di tutti i giorni ma anche all’agricoltura; 5) la forzatura delle colture (ci sono modi per fare crescere la coltura dove e quando non crescerebbe ugualmente).
(Agricoltura moderna e innovazioni già acquisite: innovazioni genetiche).
Anche sul lato genetico, come detto, abbiamo ottenuto grandi risultati. In particolare sono state seguite due vie: una è stata sicuramente quella di aumentare la produzione (biomassa) totale, l’altra invece quella di perseguire una ripartizione più favorevole della biomassa raccolta. In pratica abbiamo “insegnato” alle piante coltivate (nel secondo caso), a ridurre l’altezza della pianta utilizzando la biomassa “risparmiata” per accumulare ulteriore granella. È interessante il confronto fra le varietà moderne con quelle antiche, perché si nota che la biomassa totale della pianta sostanzialmente non cambia, mentre cambia la ripartizione della biomassa in favore di quella che verrà raccolta.
Abbiamo inserito caratteri utili o perso quelli sfavorevoli, come ad es. la bassa taglia in riso e frumento (carattere utile, n.d.r.), rispetto alle varietà antiche. Indice di raccolto (HI)= biomassa raccolta/biomassa totale.
(Slide 10: “Incremento della biomassa totale: eterosi nel mais”)
Indice di raccolto (HI)= biomassa raccolta/biomassa totale
Per certe piante abbiamo anche imparato a sfruttare il fenomeno dell’eterosi: incrociando due linee pure, l’ibrido –in termini di produzione-, ha una performance molto migliore!
Principali tappe: 1908: si (ri)scoprono l’imbreeding e l’eterosi; 1918: introduzione dell’ibrido a due vie. Si è così passati da 1 t/ha nel 1930 a 10 t/ha nel 2000! Da notare anche in questo caso che, fissato l’H.I, aumenta il raccolto totale.
Come si diceva, abbiamo insegnato alle piante a distribuire meglio la biomassa, come nel caso del grano e mais moderni rispetto agli antichi, ma abbiamo anche cambiato la forma, “l’architettura” delle piante. Nel riso ad esempio, con taglie più basse ma anche una “forma” o architettura” diversa. Oppure negli ibridi di mais che hanno foglie maggiormente erette. E coloro che coltivano mais sanno che questo fatto, permette alle foglie di intercettare meglio la luce. Inoltre rimangono verdi fino alla fine (stay green). Queste caratteristiche permettono alle molte piante che stanno fitte per unità di superficie (densità elevata), di potere sfruttare fino in fondo ogni raggio di luce che penetra attraverso l’insieme delle foglie e dei fusti (la canopy o canopia). Infine, sempre nel mais, l’introduzione di ibridi fino a 4 vie, è stata un’innovazione incredibile in termini di resa.
Oggi però, come sapete, restano tante avversità con cui dobbiamo fare i conti. Ci sono avversità BIOTICHE (esseri viventi), ABIOTICHE (condizioni ambientali) che pongono dei limiti alle potenzialità produttiva, ovvero ciò che potrei produrre nelle condizioni potenziali più favorevoli, nell’anno migliore possibile (teorico). Ancora oggi, troppo spesso, anche con la genetica e l’agronomia che abbiamo a disposizione non sappiamo gestire in modo efficace tali problematiche e la potenzialità produttiva si riduce (=le rese reali saranno basse).
(Strategie di miglioramento per le piante del futuro).
Ci sono tante strategie per migliorare le piante, ossia.
a) quello che sappiamo fare normalmente (breeding convenzionale), ossia migliorare attraverso l’incrocio, la selezione, cercando di volta in volta i soggetti migliori.
Inoltre, le conoscenze odierne ci permettono di eliminare i caratteri negativi, ed allora:
b) eliminazione dei caratteri negativi (uso di loci e alleli noti), ci permettono di:
c) selezionare geni (= quei fattori che sono la base dell’ereditarietà, o regioni che hanno un grosso effetto sul carattere (es. sulla resistenza, sulla produzione). Possiamo andare a cercare queste cose sfruttando la biodiversità cioè nelle razze/varietà locali, nelle banche di germoplasma (=collezioni di individui di una specie).
Possiamo anche fare una cosa complicata che si chiama “selezione del genoma intero”. In questo molte nazioni avanzate tecnologicamente e le multinazionali (quindi tutti coloro che investono molto in ricerca e sviluppo), in particolare sul frumento, sono in grado di scegliere le piante in base al loro DNA nel complesso, ossia non per il singolo gene ma per tutti i geni in una volta sola (considerando quindi loci multipli a “piccolo effetto”).
Quindi:
d) loci multipli a “piccolo effetto”. Possiamo modificare le vie metaboliche nelle piante,
e) ingegneria genetica, genome editing ecc., ossia fare produrre cose nuove alle piante, ed in questo le biotecnologie possono aiutare molto, dare opportunità. Poi le scelte politiche sono un’altra cosa, ma le opportunità ci sono!!
Addirittura funghi micorrizici e nodulazione: le simbiosi che “aiutano a nutrire il pianeta, stiamo scoprendo un mondo che non vediamo, ma che sta nel terreno ed interagisce con la radice. Scopriamo che ci sono molti funghi che chiamiamo “micorrize”, oppure batteri che fanno noduli, ed anziché essere un fattore negativo, in realtà potenziano positivamente la produzione, perché si attua uno scambio mutualistico in cui la pianta dà loro qualcosa (tipo un composto carbonioso che deriva dalla fotosintesi) ed il fungo dà a sua volta qualcosa in cambio, perché il fungo aiuta la radice a cercare dei nutrienti del terreno, dove la radice non riuscirebbe ad arrivare.
Parte II
Si passa ora a fare ai presenti alcuni esempi presi da ricerche in corso nel gruppo del Prof. Francia e che riguardano la questione della sostenibilità (Quando la filiera del biogas incontra quella della vite-vino).
Progetto Bio.Vi.Vi, in cui come dipartimento dell’UniMoRe si è coinvolti, facciamo ricerche per dare maggiore sostenibilità a queste due filiere che sono ben visibili nei campi reggiani (vite-vino e biogas –sul quale vi è stato un forte sviluppo dei biodigestori/bioreattori).
Gli agricoltori, sfruttando la digestione anaerobica da parte di microrganismi, producono energia (sotto forma di biogas ed elettricità) e il digestato (sottoprodotto) che resta può rappresentare un'ulteriore opportunità di sostenibilità se opportunamente valorizzato. Dall’altra parte (gestione vigneto), abbiamo un sacco di prodotto legnoso (potature, sarmenti ecc.), ma come gestirlo in modo efficiente anziché ad es. bruciarlo producendo così CO₂ (è anche una questione ambientale)? Interrarli (sono residui ricchi di lignina), ma il terreno non si “mangia” tutto con la stessa velocità. Allora possiamo fare incontrare queste due filiere (progetto Bio.Vi.Vi.), utilizzando i sottoprodotti e chiudendo il ciclo della vite, facendone un digestato che rappresenta un fertilizzante “innovativo”, in quanto più sostenibile, più rinnovabile e a più lento rilascio di nutrienti. Al primo anno di progetto cosa si è notato? Passando dal digestato t.q. al pellet (riducendo l’acqua, quindi), vi è un incremento percentuale dei macroelementi; il contenuto degli elementi della fertilità rimane pressoché costante, perché questo processo ha un effetto sull’abbattimento della carica batterica (effetto utile al fine del fare tornare il prodotto alla terra).
Assieme alle ditte SCAM di Modena e CAT di Correggio, è stato creato un fertilizzante organo minerale, che ha un effetto che stiamo testando in diverse aziende-prova viticole, confrontandolo col fertilizante commerciale minerale e facendo prove di microvinificazione (test qualitativi sul vino).
(Sostenibilità nel pomodoro da industria).
Un secondo esempio che si porta è quello del pomodoro da industria, settore sul quale vi è molto interesse in questa zona. E’ una produzione tipica del made in Italy, ma si sa che il pomodoro è un’orticola di pieno campo, che ha dei problemi quali: 1) alti costi di produzione, 2) questione della resa rispetto alla sostenibilità ambientale. Inoltre, il nostro paese si deve confrontare in un mercato in cui gli altri sanno fare meglio di noi per quanto riguarda ad es. la resa (un nostro competitor diretto è il Portogallo, ma anche la California). Chiaramente hanno delle condizioni ambientali molto diverse dalle nostre, ma questa è la realtà!
(Il futuro della produzione del pomodoro da industria passa per la sostenibilità”.)
Siamo inseriti in un mercato mondiale dove il fusto di conserva che viene dalla Cina o dalla California compete con il nostro fusto che proviene da 10 km. Però noi siamo dei grossi esportatori, primi in questo senso, Europa ed anche altri continenti, producendo il 12% del mercato mondiale.
Ci siamo chiesti: possiamo aumentare la sostenibilità del pomodoro da industria? I fattori in gioco sono (gli agricoltori li conoscono bene): 1) la fertilità del suolo (=attitudine del suolo a produrre); 2) gestione dell’acqua e dei nutrienti (fondamentali in un frutto che produce una bacca); 3) difesa dalle patologie; 4) input energetici; 5) ricavi del produttore (redditività della coltura).
Diverse sperimentazioni sono state compiute sia qui che nel sud Italia (ossia in diverse località ed ambienti), per mettere a confronto il sistema di coltivazione biologico con il convenzionale. Perché il biologico può essere un modo per portare avanti le coltivazioni e comincia ad avere un mercato dedicato per cui si trovano linee di prodotto trasformato dedicate.
Come già sapevamo, su 3 anni di prova la resa del pomodoro bio è stata circa del 50% in meno rispetto al convenzionale; però nel bilancio c’è anche del positivo: l’input energetico si è abbassato quasi del 50% e dal punto di vista dell’impatto della CO₂, la cosa è molto interessante. Ma la reddittività? Allora ci devono essere delle modalità per intraprendere questa sostenibilità, ossia non possiamo farla solo per il “gusto di rischiare”, perchè alla fine si rimane comunque degli imprenditori agricoli.
(Vie principali verso la sostenibilità):
Ecco allora che la soluzione si deve basare su:
1) sviluppo di varietà migliorate e adattate in sistemi agricoli a basso input;
2) gestione agronomica mirata ad elevato contenuto tecnologico;
3) politiche agricole ed ambientali che promuovano agrosistemi più sostenibili (la ricerca agronomica fa la sua parte, gli agricoltori fanno la loro, ci vuole però che questo sistema abbia un volano).
E’ chiaro che le soluzioni desiderate sono sempre più complesse! Così come non possiamo pensare di risolvere problemi complessi in modo semplice.
Terzo esempio (lo aveva accennato il Prof. Stanca), (Il genoma del frumento).
E’ stato coinvolto anche il Dipartimento di UNIMORE in cui lavora il Prof. Francia nel progetto “frumento” e, già si diceva stamane quanto è grande il genoma del frumento: ci sono tantissimi geni! Ma a cosa serve sapere dove stanno i geni? Serve perché nelle piante, dai loro geni, possiamo andare a controllare i caratteri, per es. con delle tecniche che facciamo abitualmente in laboratorio, possiamo ad es. per la ruggine, sapere in base alla presenza di una banda, quale è la varietà resistente e quale no (“semplici” tecniche di genomica al servizio del miglioramento delle piante). Non c’è bisogno di aspettare come si comportano le piante (figli), nell’ambiente esterno, aspettando quindi necessariamente che le piante arrivino ad un certo stadio di sviluppo.
Parte III
Per concludere, (Verso un’agricoltura next generation (1))
Noi abbiamo a disposizione una serie di strumenti che ci permetteranno di sviluppare varietà altamente produttive (highly productive varieties), chiamiamola “agricoltura della next generation” (della prossima generazione). Possiamo andare a pescare informazioni nel DNA (Banche del germoplasma), di piante che stanno nelle banche dati della biodiversità. La biodiversità quindi, è al servizio dell’agricoltura ed è per l’agricoltura. Poi (inoltre), gli agricoltori possono essere protagonisti nel preservare la biodiversità e, si possono usare questi tipi di accessioni: varietà, popolazioni locali ecc.
(Precision farming: una tecnologia al servizio dell’agricoltura)
Dobbiamo basarci sulla tecnologia, molto si sta facendo con l’agricoltura di precisione, dove da satellite, oggi con i droni e anche con le macchine operatrici, possiamo fare delle mappe del nostro campo e decidere in maniera molto precisa e mirata quando dosare di più per es. l’N, l’acqua, oppure al contrario dosarlo di meno, quindi avere molta più uniformità e produzione nel campo.
Possiamo inoltre andare verso un’agricoltura che gestisce il suolo (nel senso dei suoi componenti; ossia ci sono batteri e funghi che hanno un’azione positiva ed oggi, stiamo capendo come sia possibile sfruttare tutto questo come si trattasse di concimazioni.
(Verso un’agricoltura next generation (2): gestione del microbioma del suolo)
Si possono fare delle analisi geochimiche del suolo e lo studio del microbioma del suolo con tecniche di sequenziamento.
Per meglio comprendere il concetto, posso cioè fare un piano di fertilizzazione dei concimi chimici e/o posso fare un piano di “fertilizzazione biologica del terreno”, perché quello che gestisce l’agricoltore-coltivatore è un sistema complesso, un agroecosistema, dove ci sono tante componenti (anche gli aspetti economici e sociali), ma che permettono a questo sistema di restare sostenibile (per definizione, anche per le generazioni future).
Quindi gli spunti conclusivi: gli effetti sugli agroecosistemi dell’agricoltura intensiva, hanno portato a delle preoccupazioni per la loro sostenibilità, certamente. Ma dobbiamo sviluppare nuove tecniche che mantengano il processo produttivo agricolo remunerativo per gli agricoltori ma anche sostenibile nel futuro (quindi una cosa complicata…!). Ancora una volta l’agronomia ed il miglioramento genetico dovranno dare un contributo sostanziale.
Messaggio finale!” (slide 30): “L’innovazione è sempre strategica per lo sviluppo sostenibile”.¹⁻²⁻³
¹L’International Alliance for Sustainable Agricolture definisce agricoltura sostenibile come un’agricoltura ecologicamente idonea, economicamente valida e socialmente giusta ed umana. La CGIAR (Consultative Group on International Agricultural Research come l’agricoltura che attua una proficua gestione delle risorse agricole per soddisfare le necessità umane nel mentre mantiene o migliora la qualità dell’ambiente e conserva le risorse naturali. In: Landi R., Agronomia e Ambiente. Edagricole, Bologna, 1999, pag XVI.
²Il Giardini la definisce come l’agricoltura che persegue l’ottenimento del migliore risultato economico, tecnico ed ambientale, senza compromettere la possibilità che le generazioni future possano fare altrettanto. In: Giardini L., L’Agronomia per conservare il futuro. Pàtron editore, Bologna, 2012 (VI ediz.), pag. 682.
³Cfr. Scaramuzzi F., Invito alla lettura, pagg. V-VI. In: Pisante M. (a cura di), Agricoltura sostenibile, Edagricole, Bologna, 2013.
Enrico Francia
Docente di
Agronomia e coltivazioni erbacee presso il Dipartimento di Scienze
della Vita dell’Università di Modena e Reggio Emilia, studia
l’ecofisiologia e l’adattamento delle piante coltivate agli
stress abiotici integrando aspetti innovativi delle scienze ‘omiche’
alle scienze agrarie applicate. È autore di numerose pubblicazioni
scientifiche su riviste nazionali ed internazionali del settore.
Ineccepibile l'analisi della parte n° 1
RispondiEliminaPer il resto in linea teorica è tutto condivisibile, ma vi sono due punti deboli nella prefigurazione: 1° il progresso e l'innovazione auspicati purtroppo arriverebbe a troppo pochi agricoltori in quanto un grande numero di questi non non dispone delle capacità e delle strutture adeguate per recepirli; 2° Perchè il progresso genetico abbia compimento occorre disporre di una struttura sementiera che sia all'altezza e che funzioni, cosa della quale l'Italia non dispone più.