L' articolo è uscito in in origine su Climatemonitor
Il conflitto siriano che imperversa nell’area dal 2011 con rischi
consistenti per l’equilibrio dell’intero Medio Oriente e sofferenze
terribili per la popolazione civile, è stato oggetto di un mio
precedente intervento originariamente uscito su Nuova Bussola Quotidiana
e ripreso poi da CM (Migranti climatici bufala universale)[1].
In quella sede mi espressi in modo drastico circa il legame fra
cambiamento climatico e guerra civile siriana, ipotizzato ad esempio
dall’allora presidente degli Stati Uniti Barak Obama in una sua
intervista al Corriere della sera o in diverse altre sedi. La mia
critica fu allora fondata sui dati di piovosità dell’area e sui livelli
produttivi dei cereali di fonte FAO e, data anche l’esiguità dei mezzi a
mia disposizione, non poteva che essere una critica sintetica che
prendeva spunto anche da un’esperienza professionale in campo
agro-climatologico che mi porta a diffidare del riduzionismo in favore
di un approccio sistemico ai problemi dell’agro-ecosistema e delle
popolazioni che in esso vivono.
In virtù di ciò è stato per me di grande conforto leggere il recentissimo articolo apparso sulla rivista scientifica Political Geography
dal titolo “Climate change and the Syrian civil war revisited” e a
firma di Jan Selby (Department of International Relations, University of
Sussex, Brighton), Omar S. Dahi (School of Critical Social Inquiry,
Hampshire College, MA, USA), Christiane Frohlich (Center for Earth
System Research and Sustainability, University of Hamburg, Germany) e
del climatologo Mike Hulme (Department of Geography, King’s College
London), liberamente scaricabile qui e di cui consiglio vivamente la lettura integrale.
La teoria del cambiamento climatico antropico come “moltiplicatore di minacce”
Gli autori iniziano la loro analisi evidenziando l’esistenza di una
corrente di pensiero secondo la quale il cambiamento climatico antropico
costituirebbe un “moltiplicatore di minacce” alla stabilità a livello
globale. Per tale corrente di pensiero, che ha radici nel discorso fatto
da Barak Obama (2009) in occasione del ritiro del Nobel per la pace, la
guerra civile siriana è diventata un punto di riferimento ricorrente,
fornendo una prova all’apparenza convincente che i conflitti armati
determinati dal clima che cambia siano già fra noi. Più nello specifico
la catena causale ipotizzata è quella secondo cui il cambiamento
climatico indotto dall’uomo avrebbe provocato una siccità estrema
sperimentata dalla Siria prima della guerra civile; tale siccità avrebbe
a sua volta portato a una migrazione su larga scala verso contesti
urbani degradati e tale migrazione avrebbe esacerbato gli stress
socio-economici, ponendosi all’origine del conflitto armato. Le tesi di
Obama sono state poi riprese dal presidente della Commissione europea
Jean Claude Junker che ha additato il cambiamento climatico a causa
primaria dell’ondata di profughi dalla Siria e da altri che hanno
qualificato i profughi dalla Siria come “migranti climatici” o
“rifugiati climatici” (ad esempio Baker, 2015).
In linea con le tesi di Obama sono in particolare gli articoli
scientifici di Femia e Werrell (2012), Gleick et al. (2014) e Kelley et
al. (2015), qui di seguito indicati come FGK e che Selby et al (2017)
sottopongono ad aspra critica, non dopo aver sottolineato che
l’interpretazione della guerra siriana come frutto di cambiamento
climatico antropico non è una novità assoluta in quanto qualcosa di
analogo si ebbe nei riguardi della guerra del Darfur, che a detta del
Segretario generale dell’ONU Ban Ki-moon sarebbe stata originata da una
siccità saheliana innescata dal global warming antropogenico, fatto
questo che è stato poi messo in discussione nella letteratura
scientifica che ha negato tale origine sottolineando che il segretario
generale ONU in tal modo trascurava gli aspetti socio-economici alla
base del conflitto (Selby et al., 2014).
Le vere cause della migrazione dalle campagne verso le città in Siria
Gi autori mostrano che nelle annate agricole 2006/2007 e 2008/2009
c’è stata in effetti una siccità che tuttavia non ha colpito in modo
omogeneo la Siria ma si è concentrata sulla parte Nordorientale del
paese e più precisamente nel governatorato di Hasakah (figura 1). In
tale area, i cui andamenti pluviometrici sono riportati in figura 2,
l’agricoltura si fonda sulla cerealicoltura (cereali vernini – frumento e
orzo – in gran parte irrigui) e sulla zootecnia ovina le cui risorse
alimentari sono costituite da mangimi e da residui colturali (paglie e
stoppie dei cereali). La disponibilità di acqua irrigua ha fatto si che
la cerealicoltura abbia risentito solo in modo marginale della carenza
di piogge invernali e i caratteri della zootecnia la rendono poco
sensibile alla siccità in presenza di disponibilità adeguata di mangimi a
prezzi accessibili per i produttori zootecnici. Ed è qui che secondo
gli autori si collocano le vere ragioni della crisi. Infatti il governo
di Assad proprio negli anni della siccità ha adottato le seguenti misure
di liberalizzazione per il settore agricolo:
- 2007: liberalizzazione dei contratti agrari con possibilità dei proprietari terrieri di cacciare gli affittuari
- maggio 2008: eliminazione dei sussidi per carburanti agricoli, con aumento dei prezzi del 342%
- maggio 2009: eliminazione dei sussidi per i concimi con aumento dei prezzi del 200-450%.
A ciò si aggiungano:
- Il sussistere di livelli d’inflazione elevatissimi che hanno portato i mezzi tecnici agricoli a un aumento di prezzo dell’87% nel solo 2007/2008.
- La gelata tardiva di fine inverno 2008 con gravi danni i seminativi di frumento e orzo segnalati ad esempio dall’addetto agricolo dell’ambasciata Usa.
- La fine, avvenuta nel 2005, delle migrazioni stagionali di braccianti agricoli siriani verso il Libano, con conseguente crescita dei livelli di povertà nelle popolazioni rurali.
A ciò si aggiunga che:
- L’inurbamento della popolazione agricola era in atto ben prima che la siccità avesse luogo ed è proseguito anche dopo che le piogge hanno ripreso il loro corso normale. In particolare sono stati gli estremi livelli di povertà a spingere all’inurbamento 2 milioni di persone nel 2003-2004 e 2,4 milioni nel 2004-2007.
- La migrazione avvenuta nel 2009 e conseguente alle siccità 2006/2007 e 2008/2009 si riduce secondo Selby et al., 2017) a 40-60000 famiglie, cifre ben lontane dunque dagli 1,5-2 milioni di individui di cui si parla.
In sintesi dunque Selby et al. (2017) evidenziano che FGK hanno
proposto una lettura erroneamente “siccità-centrica” di un fenomeno che è
invece ben più complesso coinvolgendo svariati aspetti sociali ed
economici e che ha visto come fattori primari una serie di profondi
mutamenti strutturali che hanno investito il settore agricolo siriano.
La siccità siriana e il cambiamento climatico antropogenico
Circa l’attribuzione della siccità a influenze antropiche sul sistema
climatico globale Selby et al (2017) osservano che Kelley et al.
(2015) hanno fatto un esercizio di attribuzione basato su tre
passaggi: (a) individuazione di un trend di lungo termine di decrescita
delle precipitazioni, (b) stima dell’aumento della probabilità che la
siccità si verifichi alla luce di tale trend (c) confronto di tale
tendenza con la tendenza simulata dai GCM. In tale schema tuttavia vi
sono due elementi di debolezza: (a) le serie storiche non mostrano trend
di lungo termine al calo delle precipitazioni nella mezzaluna Fertile e
in Siria e (b) le simulazioni delle precipitazioni eseguite con GCM
presentano enormi livelli di incertezza.
Siccità ed eventi bellici
Altro aspetto oggetto della rflessione di Selby et al. (2017) è il
legame fra siccità ed eventi bellici. A tale riguardo gli autori
evidenziano anzitutto che in FGK si coglie un preoccupante cortocircuito
con i media da cui i ricercatori attingono le loro informazioni.
Infatti il legame fra siccità ed eventi bellici viene analizzato
utilizzando come fonte i media generalisti o le testimonianze dirette di
alcuni siriani le quali per quanto interessanti in sé non hanno altro
che valore aneddotico.
Dalla loro analisi Selby et al. (2017) concludono che le prove
raccolte da FGK e da altri autori a sostegno della tesi di guerra civile
legata alla migrazione indotta dalla siccità sono estremamente deboli:
né le affermazioni di FGK circa i flussi migratori interni né quelle su
cronologia e geografia dei primi disordini della Siria né infine le
testimonianze individuali che citano offrono una base solida alle loro
conclusioni secondo cui la migrazione dalla Siria nordorientale, colpita
dalla siccità, sia stato un fattore d’innesco della guerra civile.
Al contrario Selby et al. portano prove del fatto che i migranti
provenienti dal nord-est della Siria non siano stati significativamente
coinvolti nell’inizio dei disordini iniziati nel 2011.
Quali conclusioni
In estrema sintesi l’articolo di Selby et al. (2017) giunge alle seguenti conclusioni:
- che la siccità non è stata estesa all’intero paese ma ha colpito il solo Nordest della Siria
- che non sussistono evidenze del fatto che il cambiamento climatico antropico sia il fattore causale della siccità in questione
- che non sussistono evidenze del fatto che la siccità abbia causato la migrazione
- che non esiste una solida evidenza che i flussi migratori indotti dalla siccità abbiano contribuito all’innesco della guerra civile.
Il caso della Siria non consente dunque di confermare la teoria che
vede nel cambiamento climatico un “moltiplicatore di minaccia” per i
conflitti.
Tale conclusione non esclude ovviamente che clima e cambiamento
climatico possano contribuire all’innesco e alla successiva evoluzione
di conflitti armati (es. conflitti per risorse naturali limitate come
l’acqua o le aree di pascolo). Bisognerebbe tuttavia evitare in tutti i
modi che la scienza si presti a visioni riduzionistiche che la rendono
“mosca cocchiera” di interessi molto più grandi di lei.
Interessante in tal senso è il fatto che Selby et al. (2017) invitino
i responsabili politici, i commentatori e gli studiosi a esercitare una
maggiore cautela quando ipotizzano legami fra conflitti armati e
cambiamento climatico.
All’articolo di Selby et al (2017) è poi seguita, sempre su Political Geography,
la pubblicazione di una nota a firma di Hendrix (2017), con la quale si
conferma la validità dell’approccio di Selby et al. (2017) anche
citando un lavoro del 2014 (Salehyan and Hendrix 2014) che pone in luce
una correlazione diretta (e non inversa!) fra abbondanza delle risorse
idriche e violenza. In sostanza l’analisi di svariati conflitti
evidenziano che popoli oppressi da siccità hanno minor propensione alla
violenza di popoli che dipongono di risorse idriche abbondanti.
Riferimenti citati nel testo
- Baker A., 2015. How climate change is behind the surge of migrants to Europe. Time Magazine (7 September); available at: http://time.com/4024210/climate-change-migrants/ (Accessed 22 December 2015).
- Femia F., Werrell C., 2012. Syria: climate change, drought and social unrest. Briefer no. 11. Washington, DC: Center for Climate and Security (29 February); available at: http://climateandsecurity.org/reports/ (Accessed 22 December 2015).
- Gleick P., 2014. Water, drought, climate change, and conflict in Syria. Weather, Climate and Society, 6(3), 331e340.
- Hendrix 2017 A comment on “climate change and the Syrian civil war revisited”, Political Geography 60, 251-252
- Kelley, Colin, et al. (2015). Climate change in the fertile crescent and implications of the recent Syrian drought. Proceedings of the National Academy of Sciences, 112(11), 3241e3246.
- Obama B., 2009. A just and lasting peace. Oslo: Nobel Peace Prize Lecture (10 December); available at: http://www.nobelprize.org/nobel_prizes/peace/laureates/2009/obama-lecture_en.html
- Salehyan and Hendrix 2014 Climate shocks and political violence, Global Environmental Change, 28, 239–250
- Selby J. and Hoffmann C., 2014. Beyond scarcity: rethinking water, climate change and conflict in the Sudans. Global Environmental Change, 29, 360e370.
- Selby J. etal 2017 Climate change and the Syrian civil war revisited, Political Geography 60, 232-244
Docente di Storia dell' Agricoltura Università degli Studi di Milano-Disaa, condirettore del Museo Lombardo di Storia dell'Agricoltura di Sant'Angelo Lodigiano. E' stato anche Docente
di
Agrometeorologia e Agronomia nello stesso Ateneo e
Presidente dell’Associazione
Italiana di Agrometeorologia.
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