di
Luigi Mariani
Meteorologia nel
mondo antico: ambito disciplinare, linguaggio specialistico e
rilevanza
La meteorologia
deriva il suo nome dal termine metéōros (e dalle sue forme
affini, inclusa quella di metársios), che significa
semplicemente ‘che è in alto’ (Vallance, 2001). Secondo
l’etimologia, essa avrebbe quindi dovuto occuparsi esclusivamente
dello studio dei fenomeni atmosferici, e vi era un consenso unanime
nel ritenere che il compito del meteorologo fosse quello di studiare
le «cose che accadono nel cielo» (è con questa espressione che il
biografo della Tarda Antichità Diogene Laerzio (180-240), nel
descrivere l’opera dedicata dallo stoico Posidonio a questo
soggetto, spiegava il termine ‘meteorologia’). In pratica, però,
la meteorologia trattava di una vastissima area di problemi naturali:
dall’origine delle comete e dall’origine e dalla natura della Via
Lattea, delle meteore, dei fulmini, dei venti, dei terremoti, dei
vulcani, degli oceani e delle maree, fino alla formazione dei fiumi,
delle montagne, delle rocce, dei minerali e dei metalli. Alcuni
studiosi si concentravano su particolari tipi di problemi, ma, in
generale, il termine ‘meteorologia’ era spesso impiegato per
designare l’indagine della Natura nella sua totalità. La
meteorologia antica fu pertanto materia di grande vastità e
complessità e come tale può essere oggi assunta ad esempio
paradigmatico delle scienze fisiche non esatte nel mondo antico
(Vallance, 2011).
La nascita di una
disciplina scientifica presuppone la presenza di un linguaggio
specialistico ed infatti all’epoca di Platone e Aristotele venne
coniata una terminologia meteorologica che comprendeva ad esempio il
vapore (atmis), l’esalazione (anathymiasis), la
trasformazione (metabolé), l’umido e il secco (hygron e
xeron), rarefatto e denso (pyknon e manon)
(Vallance, 2011).
Almeno quattro filoni
di pensiero posso essere individuati nella meteorologia antica:
- un filone religioso che associa gli eventi meteorologici a cause divine e di cui permane traccia ad esempio nella Bibbia e in varie opere poetiche
- un filone teorico legato ai filosofi della natura
- un filone pratico proprio di agricoltori, marinai e medici
- una filone di contestazione fondata sul luogo comune secondo cui i filosofi sarebbero dei perdigiorno impegnati a speculare sulle cose del cielo e di sottoterra e che ha il proprio apice nella commedia Le nuvole di Aristofane.
Il
filone religioso: eventi meteorologici e cause divine
Scrive
acutamente Giacomo Leopardi (1899) che “Era
naturale che i primi uomini, atterriti dalla folgore, e vedendola
accompagnata da uno strepito maestoso e da un imponente apparato di
tutto il cielo, la credessero cosa soprannaturale e derivata
immediatamente dall'Essere supremo. L'agricoltore primitivo fuggendo
per una vasta campagna, mentre la pioggia sopraggiunta
improvvisamente, strepita sopra le messi e rovescia con un rombo cupo
sopra la sua testa; mentre il tuono, che sembra essersi inoltrato
verso di lui scoppia più distintamente e gli rumoreggia d'intorno;
mentre il lampo, assalendolo con una luce trista e repentina,
l'obbliga di tratto in tratto a batter le palpebre; rompendo col
petto la corrente di un vento romoroso che gli agita impetuosamente
le vesti, e gli spinge in faccia larghe onde di acqua, vede di
lontano nella foresta una quercia tocca dal fulmine. Da quel momento
egli riguarda quell'albero come sacro, concepisce per esso una
venerazione mista di orrore, e non ardisce più avvicinarsi al luogo
ove il fulmine è caduto. Il tuono e la folgore furono annoverati fra
gli tributi della Divinità e fra gl'indizj più manifesti del suo
supremo potere.” Queste parole ci
richiamano al fatto che i fenomeni atmosferici e i loro effetti
(alluvioni, siccità, ondate di caldo e di freddo, ecc.)
impressionano da sempre l’uomo evocando la presenza della divinità
(i fulmini scagliati da Giove, la tempeste prodotte dall’ira di
Poseidone, i venti favorevoli non concessi da Artemide e che
conducono al sacrifico di Ifigenia, ecc.).
Da
una tale temperie è espressione la narrazione del Diluvio, per molti
versi simile a quella biblica, tratta da Gilgamesh,
poema epico dei popoli mesopotamici le cui prime testimonianze
scritte risalgono al terzo millennio a.C.: I
venti soffiarono per sei giorni e sei notti; fiumana, bufera e piena
sopraffecero il mondo, bufera e piena infuriarono insieme come
schiere in battaglia. All'alba del settimo giorno la tempesta dal Sud
diminuì, divenne calmo il mare, la piena si acquietò; guardai la
faccia del mondo e c'era silenzio, tutta l'umanità era stata
trasformata in argilla. La superficie del mare si estendeva piatta
come un tetto, aprii un boccaporto e la luce cadde sul mio viso. Poi
mi inchinai, mi sedetti e piansi, le lacrime scorrevano sul mio volto
poiché da ogni parte c'era il deserto d'acqua. Invano cercai una
terra, ma a quattordici leghe di distanza apparve una montagna, e lì
si arenò la nave; sul monte Nisir rimase incagliata e non si mosse.
Per un giorno rimase incagliata, per un secondo giorno rimase
incagliata sul Nisir e non si mosse; per un terzo e per un quarto
giorno rimase incagliata sul monte e non si mosse; per un quinto e
per un sesto giorno rimase incagliata sulla montagna. All'alba del
settimo giorno liberai una colomba e la lasciai andare.
Il
mito del diluvio, proprio di molte popolazioni umane (non solo
Ebrei e Sumeri ma anche gli aborigeni australiani e i popoli
pre-colombiani) è forse l’esempio più immediato del legame fra
fenomeni atmosferici e la volontà divina che i nostri antenati
stabilirono in virtù del potere di vita e di morte che i fenomeni
atmosferici esercitavano su un’umanità che viveva per lo più
all’aperto, in balia delle intemperie. Assai evocativa in tal senso
è l’immagine in figura 1 ove
si mostra la divinità suprema degli urriti Teshub che esercitava il
proprio imperio sulle tempeste e sull’agricoltura.
Nella Bibbia (Esodo
9,23-34. 23) è così descritta la settima delle dieci piaghe
d’Egitto: “Mosè stese il bastone verso il cielo e il Signore
mandò tuoni e grandine; un fuoco guizzò sul paese e il Signore fece
piovere grandine su tutto il paese d'Egitto”.
L’origine divina
dei fenomeni atmosferici è anche presente nei poemi di Omero
(Vallance, 2001) che sottintendono una cosmologia caratterizzata da
una terra piatta, circolare e circondata alle sue estremità dal
fiume Oceano, genitore di tutte le cose, dei inclusi. In tale
contesto i fenomeni naturali (tempeste marine, terremoti, ecc.) sono
suscitati dagli dei e pertanto la causa divina nei fenomeni
naturali è un elemento cruciale.
All’approccio
religioso si richiamano anche le visioni poetiche greche basate sui
miti eziologici, per cui ad esempio il poeta Mimnermo spiega
il succedersi del giorno e della notte dicendo che il Sole cavalca
attraverso la volta celeste, e poi naviga attorno alla Terra sul
possente fiume, prima di sorgere il giorno successivo (Vallance,
2001).
Luigi Mariani
Docente di Storia dell' Agricoltura Università degli Studi di Milano-Disaa, condirettore del Museo Lombardo di Storia dell'Agricoltura di Sant'Angelo Lodigiano. E' stato anche Docente di Agrometeorologia e Agronomia nello stesso Ateneo e Presidente dell’Associazione Italiana di Agrometeorologia.
Docente di Storia dell' Agricoltura Università degli Studi di Milano-Disaa, condirettore del Museo Lombardo di Storia dell'Agricoltura di Sant'Angelo Lodigiano. E' stato anche Docente di Agrometeorologia e Agronomia nello stesso Ateneo e Presidente dell’Associazione Italiana di Agrometeorologia.
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