di Henri Regnault - traduzione di Alberto Guidorzi
Qui
di seguito il link di una articolo del Prof.
Henri Regnault (qui). Si
tratta di un articolo redatto nell’ottobre 2016 su richiesta di
un’istituzione internazionale mediterranea per essere pubblicato
nella loro “Watch Letter”. In seguito questa istituzione ha
rifiutato di pubblicarla. L’autore mette quindi a disposizione il
testo per lettori interessati. Norman Baurloug, padre della 2ª Rivoluzione Verde e premio Nobel, intervistato dal nostro prof. Antonio Saltini |
(Ndt
- Dato che ho trovato i contenuti dell’articolo siano pienamente
coincidenti con il mio pensare, ma anche estremamente interessanti
per i lettori di Agrarian Sciences. Ho quindi chiesto il permesso
dell’autore, concessomi, per assicurarne la traduzione integrale)
Riassunto
L’articolo
afferma anzitutto il legame inscindibile che esiste tra economicità
ed ecologicità dell’agricoltura se questa vuole sopravvivere. Poi
stabilisce una seconda caratteristica che connota l’agricoltura
moderna, vale a dire il legame con il mercato e analizza come i
diversi segmenti delle filiere agro-alimentari possono e devono
confrontarsi. Quindi prende in considerazione come le due Rivoluzioni
Verdi del passato, quella del XVIII e del XX secolo, hanno
compendiato l’esigenza di mantenimento del legame delineato
all’inizio: la 1ª definibile ecologicamente intensiva ed anche
produttivamente positiva, mentre la 2ª che ha squilibrato i due
aspetti (economicità e ecologicità) sotto la pressione della
crescita demografica. Alla fine di questa analisi l’autore
prefigura l’instaurarsi di una 3ª Rivoluzione agricola che
corregga la 2ª ma non a detrimento della produttività raggiunta,
anzi aumentandola. L’autore accenna anche agli strumenti idonei
per raggiungere tale obiettivo: oltre agli strumenti agronomici punta
molto sulla genetica mediante l’uso degli strumenti innovativi
delle Nuove Biotecnologie (NTB).
Si dice che l’agricoltura è inscritta nell’ecosistema e l’affermazione non è falsa... ma incompleta!
Perché
il problema dell’agricoltura e delle politiche agrarie risiede nel
fatto che esse devono sottostare a due elementi ecosistemici
fondanti, quello ECOlogico e quello ECOnomico. La difficoltà risiede
nel fatto che i due ECOsistemi devono essere in equilibrio fra loro
per cui se l’uno sopraffà l’altro, la stabilità e
riproducibilità del sistema agricolo nel medio e lungo termine è
messa a repentaglio.
“Agroecologia”
o “agro-economia territoriale duratura”
Una
volta coscienti della doppia natura ecosistemica dell’attività
agricola, ci dobbiamo interrogare sulla pertinenza dei concetti di
cui disponiamo per riflettere su questa doppia dimensione. Il
concetto di agroecologia è molto in voga a giusto titolo: il legame
tra agronomia ed ecologia è centrale nell’attività agricola al
fine di assicurare la sua continuità nel tempo preservandola da ogni
sconvolgimento maggiore a livello dei suoli, dei sistemi idrici e
della biodiversità. Tuttavia il concetto di agroecologia prima
delineato non è interamente soddisfatto su due livelli:
- ad un livello più superficiale, esso ha il difetto di essere divenuto la “torta alla crema” di ogni discorso politico benpensante volto a lasciar intravvedere un avvenire radioso agli agricoltori tacitando la suscettibilità degli ecologisti….ma a ben vedere ciò non può essere imputato al concetto stesso, il quale non meriterebbe una tale distorsione!
- ad un livello più profondo, esso ha il difetto di bloccare la riflessione sulla dimensione economica delle attività agricole o di spingerla alla periferia di ogni riflessione. Un perfezionismo agroecologico che non mettesse al centro della sua riflessione la dimensione economica è necessariamente destinato a restare un tentativo marginale e di sola testimonianza di un mondo talmente ideale da essere del tutto irreale.
Ecco
perché ci sembra da preferire la proposta di un concetto
“d’agroecologia territoriale durevole” comprendente la totalità
delle dimensioni e degli imperativi dell’attività agricola: se
l’agricoltura ha la missione di nutrire durevolmente i popoli,
essa non saprebbe farlo senza nutrire proprio gli agricoltori. Ma
quanti essa può e deve nutrirne? Dobbiamo tenere conto che essa lo
deve fare in un determinato stato delle società umane,
caratterizzate da numerose interazioni secondo una doppia
articolazione:
- un’articolazione dei diversi settori economici tra di loro, attraverso i quali l’agricoltura nutre gli agenti economici degli altri settori in condizioni di costo riproducibili della forza lavoro (salario standard) e che contribuiranno a determinare la competitività di questi altri settori.
- Un’articolazione delle agricolture degli altri paesi tra di loro attraverso un regime complesso di specializzazioni e di scambi; esso deve essere negoziato su scala regionale o mondiale sotto il vincolo degli interessi di altri settori di ogni paese e dei rapporti di forza che ne risultano e che determinano le posizioni commerciali delle diverse nazioni.
Valore
aggiunto e filiere agricole
La
questione più importante in materia agricola oggi è sicuramente
quella di assicurare un reddito soddisfacente per gli agricoltori e
dunque l’accesso ad una parte significativa del valore aggiunto
della filiera. Questo accesso presuppone, per ogni coltivatore, di
inserirsi in un itinerario tecnico pertinente in seno ad una filiera
e di un determinato territorio. Certe filiere come l’ortofrutta,
l’allevamento e la produzione di latte possono coniugarsi secondo
due modalità:
- Una prima sottofiliera corta che porta il prodotto al consumatore finale senza troppi passaggi, la più corta è quella che vede l’agricoltore vendere direttamente al consumatore finale e gli permette di intascare una parte preponderante del valore aggiunto. Questo esempio di filiera ultracorta può funzionare nell’ortofrutta, mentre funziona molto meno in altre filiere più complesse sul tipo ad esempio di quella in cui un produttore, come può essere un allevatore di maiali che autoproduce il mangime occorrente (mais) e cede la carne ad un trasformatore (produttore di insaccati). E’ vero che gli insaccati sono venduti direttamente al consumatore finale, ma è il passaggio intermedio che detiene la chiave del valore aggiunto dato che stabilisce a quale prezzo intende comprare la materia prima in base ad un rapporto qualità-prezzo che insindacabilmente giudicherà interessante. In questo caso il rapporto di forza tra produttore e trasformatore può anche essere equilibrato perché ognuna delle due figure ha bisogno dell’altra: il primo per trovare uno sbocco alla sua produzione ed il secondo per avere la certezza della qualità indispensabile della materia prima che gli occorre. Infatti, lo stabilire un protocollo di produzione che assicuri composizione nutrizionale e qualità organolettiche è elemento indispensabile nella strategia di questa filiera relativamente corta. Fino a quando questa condizione sarà rispettata, la questione della produttività della filiera e dei ricavi per l’agricoltore resterà in secondo piano perché la configurazione del mercato gli sarà comunque favorevole; tuttavia ciò è valido solo nel quadro di una produzione, di una trasformazione e di un consumo in ambiti territoriali limitati.
- Una sotto-filiera lunga invece porta il prodotto al consumatore finale attraverso un elevato numero di passaggi, come ad esempio un’agrofornitura sovente controllata solo da qualche gruppo industriale (oligopolio dei venditori), produzioni vegetali o allevamenti di qualità standard condotti da un gran numero di imprenditori agricoli con acquisto e trasformazione da parte di un’industria agroalimentare molto concentrata (polipsonio degli acquirenti) o addirittura un solo acquirente su un dato territorio (monopsonio) cui si aggiunge una grande distribuzione che contratta aspramente i prezzi con l’industria agroalimentare. Il produttore primario di questa filiera, preso tra oligopolio dei fornitori e oligopsonio o monopsonio degli acquirenti, a loro volta sottoposti alla grande pressione della grande distribuzione, diventa inevitabilmente il pollo da spennare della sua fetta di valore aggiunto. In una tale sottofiliera si salvano solamente gli imprenditori agricoli più performanti, operanti su grande scala, con le tecniche più adatte ed i costi di produzione più bassi possibile. Solo questi possono sperare nella durevolezza della loro azienda.
Le
filiere tipo cereali, oleoproteaginose, produzioni saccarifere, sono
le sole che possono adattarsi a questa logica produttiva, anche
perché non ci sono solo due sotto-filiere e non esistono territori
limitati di produzione associati a dei consumatori ben individuati
sul territorio. La produzione è mondiale, il prezzo anche, ed i
carichi d queste derrate di base viaggiano da capo all’altro del
pianeta e per giunta a costi molti bassi. Nell’ambito di queste
grandi coltivazioni, che si declinano in centinaia di milioni di
tonnellate, solo con agricolture altamente produttive si può
prefigurare un futuro al produttore iniziale.
Possiamo
chiederci se nel nome della produttività queste grandi coltivazioni
possono permettersi tutto, ossia inquinare senza limiti il suolo,
l’acqua, l’aria e dunque situarsi solo nel paradigma
agroeconomico e senza tener conto di quello agroecologico.
Sicuramente non è possibile, in quanto ciò minerebbe le basi
ecologiche sulle quali l’agricoltura si basa ed il tutto
comprometterebbe la durata economica dell’attività. Infatti, negli
ultimi due decenni questa grande agricoltura ha modificato le sue
pratiche nel senso di ricercare un miglior bilancio ecologico. Sono
problematiche attualissime e per comprenderle occorre ricordare le
rivoluzioni agricole.
Le
rivoluzioni agricole in prospettiva (Regnault 2012)
Con
l’introduzione di nuovi avvicendamenti, la Prima Rivoluzione
agricola (XVIII sec.) può essere qualificata come ecologicamente
intensiva ed anche produttivamente positiva. Facendo procedere la
coltivazione del grano da una leguminosa simbiontica (trifoglio e
erba medica) che fissa l’azoto dell’ aria nel suolo, essa ha
permesso migliori rese di frumento nell’anno dopo. Coltivando
piante foraggere, si è stati obbligati a sarchiare la successiva
coltivazione per eliminare le infestanti. Grazie poi a queste colture
foraggere si è potuto aumentare il numero di animali allevati e
quindi si è instaurato il binomio: maggiore alimentazione per gli
uomini e disponibilità di più deiezioni per concimare per il
terreno.
La
Seconda Rivoluzione Agricola (a metà del XX sec.) presenta un
bilancio molto meno equilibrato. Essa diviene produttivamente
intensiva ….e per fortuna visto che la popolazione mondiale si
andava accrescendo considerevolmente; in questo periodo si passò da
2,5 miliardi nel 1950 a 6 miliardi nel 2000. Per contro però essa è
un’agricoltura ecologicamente problematica: i suoi itinerari
tecnici, permessi dalla motorizzazione e dalla meccanizzazione, sono
all’origine di gravi problemi di erosione dei suoli, di
utilizzazione senza discernimento dei prodotti dell’agrochimica
(fitofarmaci e concimi azotati) con conseguenti inquinamenti dei
suoli e delle acque ed anche dell’aria. Per giunta l’agricoltura
sorta dalla Seconda Rivoluzione Agricola è particolarmente golosa di
energia fossile. Sorge dunque l’esigenza di correggere le
dimensioni negative di questa seconda rivoluzione agricola, ma con
l’obbligo di mantenere lo sforzo produttivo per continuare ad
alimentare un popolazione mondiale in continua crescita. Non è
dunque ipotizzabile nessun ridimensionamento della produzione
agricola anche perché l’urbanizzazione cementifica delle buone
terre ed è necessario preservare grandi superfici non coltivate come
riserve di biodiversità, esigenza sempre più sentita; quindi
produrre di più in queste condizioni non sarà possibile se non
perseguendo l’aumento ulteriore delle rese unitarie.
A
partire da queste considerazioni sulle due prime rivoluzioni
agricole è possibile far discendere due possibili scenari:
- Si ritorna indietro e ci s’inspira alla 1ª Rivoluzione agricola, in un contesto di mitizzazione dell’agricoltura tradizionale, non rifiutando comunque una certa meccanizzazione, ma rinunciando ad ogni apporto derivato dall’agrochimica di sintesi e soprattutto ad ogni “mostro vegetale creato dalla biotecnologie …i famosi OGM (Organismi Geneticamente Modificati)! Cioè ci si adegua in tutto e per tutto alla filiera della coltivazione e produzione detta “biologica”. Ma allora occorre chiedersi se con questo sistema riusciremo a nutrire 10 miliardi di persone nel 2050 e la risposta è sicuramente no! Tra l’altro vi è la contraddizione che anche se essa rifiuta i fitofarmaci di sintesi, essa non è esente dall’uso di altri fitofarmaci. Infatti, essa superutilizza gli elementi chimici forniti dalla natura come lo zolfo o il rame e quest’ultimo si accumula nei suoli (ndt. tra l’altro dobbiamo dire che i preparati a base di questi due elementi che vengono usati oggi sono formulati per sintesi). Inoltre la coltivazione biologica presente dei seri rischi sanitari per il produttore ed il consumatore (Seznec, 2016). Inoltre visto che il 50% dell’apporto proteico della popolazione umana mondiale proviene dall’ammoniaca sintetizzata con processi industriali a partire dall’azoto molecolare atmosferico, se rifiutassimo l’azoto di sintesi l’apporto proteico diverrebbe gravemente insufficiente. Ai miei occhi di economista, l’agricoltura biologica ha un solo vantaggio, creare una nicchia da utilizzare nel marketing, permettendo all’agricoltore di realizzare un valore aggiunto e dunque remunerarsi, solo che lo stesso risultato si può ottenere in filiera corta convenzionale ragionata.
- Si continua ad andare avanti correggendo gli errori ed evitando gli eccessi della 2ª Rivoluzione e mettendo in opera compiutamente le potenzialità e le prospettive aperte dalla biotecnologie (Ricroch 2011) e applicando nuove tecniche agronomiche: diminuzione degli interventi agrochimici tramite degli OGM ben concepiti e valutazione precisa della loro intensificazione grazie alle innovazioni dell’agricoltura digitale, di cui le nuove tecniche di visione disponibili (utilizzazione dei dromi in particolare); promozione delle tecniche colturali semplificate (meno arature, semina su sodo se possibile, diminuzione del numero dei passaggi degli strumenti meccanici sul campo). Si tratta della 3ª Rivoluzione agricola, la quale deve mettere fuori causa l’oscurantismo al fine di metterla in opera compiutamente e trarne tutti i benefici.
Di
fronte ai movimenti anti-scienza che si nascondono dietro ad una
opposizione radicale ai progressi agronomici rappresentati dagli OGM,
è difficile non riandare all’aggressività delle “Guardie Rosse”
verso tutto ciò che la Cina aveva di elites scientifiche o non
pensare alla lotta fatta alla “scienza borghese” in nome dello
spirito proletario. Oggi, in nome dell’ecologia dura e pura, sono
le biotecnologie a essere violentemente contestate da movimenti
oscurantisti e con metodi che non hanno nulla di diverso dalla
delinquenza delle Guardie Rosse. A questo punto occorre domandarsi
chi sarà il Deng Xiaoping europeo che verrà a liberarci da questa
cricca oscurantista, imponendo l’evidenza secondo la quale poco
importa che l’OGM sia bianco o nero ……purché nutra o curi
l’umanità!
Con
i movimenti di opposizione agli OGM, non siamo di fronte ad una
iniziativa riflettuta e documentata che mette in bilancio i vantaggi
e gli inconvenienti o i costi ed i benefici su cui si potrebbe
discutere, bensì alla volontà di un rigetto globale, quasi
metafisico, d’ispirazione creazionista. Infatti, nella loro
opposizione radicale, questi oppositori sembrano volerci dire che le
piante sono state create così da e per sempre e che non appartiene
all’uomo modificarle introducendovi dei geni esogeni (transgenesi)
o forzandoli a mutare il loro patrimonio genetico (mutagenesi), e
dotandoci di nuove “forbici” genetiche come l’ultima arrivata
conosciuta con l’acronimo di CRISP/CAS9!
Occorre
forse temere che gli OGM possano essere nocivi per la salute umana?
E’ certo che all’inizio il porci questa questione non aveva
nulla di assurdo, anzi niente esclude che un giorno quel tale preciso
OGM , ma sicuramente non gli OGM in toto, presenti un rischio
allergico o inconvenienti diversi presso individui particolarmente
sensibili. Per contro e rimanendo all’attualità, dopo 20 anni di
utilizzazione alimentare degli OGM creati, nulla permette di pensare
che degli OGM con effetti nutrizionali indesiderabili siano stati
posti in commercio. L’immensa maggioranza degli esperti
(indipendenti dall’industria sementiera…occorre ben precisarlo)
è d’accordo sull’innocuità alimentare degli OGM attualmente sul
mercato. Questo è ciò che conferma anche un recente rapporto
dell’Accademia delle Scienze Americane (National Academies of
Sciences, Engineering, and Medicine, 2016). Oggi possiamo dire che
non esistono argomenti scientifici tangibili per opporsi agli OGM.
Per contro gli argomenti non mancano per sottolineare il promettente
potenziale, sia nel campo della ricerca medica, delle applicazioni
terapeutiche che in quello agronomico. Il riscaldamento climatico è
una realtà: occorre contemporaneamente combatterne le cause per
limitarne la deriva e capire come adattarvisi. L’adattamento
dell’agricoltura all’aumento delle temperature medie suppone una
intensa ricerca varietale e il vantaggio delle biotecnologie è
quello di accelerare il processo di adattamento selezionando delle
nuove varietà che più si adattano all’aumento delle temperature e
all’aridità crescente in vaste zone agricole. Non dimentichiamo
anche che il riscaldamento dell’atmosfera del globo rende
coltivabili più proficuamente le zone più settentrionali del
pianeta. Tuttavia le condizioni specifiche di irraggiamento solare e
quindi di fotosintesi di queste non cambieranno e pertanto occorre
disporre di nuove varietà vegetali a ciclo vegetativo corto: ancora
una volta le biotecnologie saranno decisive per selezionare in modo
rapido delle varietà capaci di dare una produzione vegetale
soddisfacente con solo qualche mese di insolazione effettiva.
Certi
OGM presentano anche il vantaggio di poter diminuire i trattamenti
chimici, che è l’obiettivo importante dell’agricoltura
ecologicamente intensiva che vogliamo perseguire per preservare
meglio l’ambiente. Il caso di un OGM come la soia resistente al
gliphosate (più conosciuto sotto il nome di Roundup) può essere
messo in discussione; si modifica l’uso degli erbicidi perché si
rimpiazzano dei diserbanti selettivi che hanno profili tossicologici
marcati e distribuibili con tanti passaggi sul campo, con un
diserbante non selettivo su una coltura la cui pianta è stata
preliminarmente, tramite transgenesi , resa insensibile al diserbante
sistemico. Per contro il mais Bt, altro OGM largamente utilizzato su
scala mondiale, presenta l’immenso vantaggio di non dover essere
più trattato contro la piralide o la sesamia del mais nella misura
in cui la pianta è stata resa capace di avvelenare i due parassiti.
Sviluppare questo modo di argomentare logico, valutando pro e contro,
può sembrare, nei confronti delle tesi degli oppositori agli OGM, un
cambiamento troppo razionale per delle menti manichee! Circa gli
uomini e le donne della politica che fanno finta di ignorare un
rapporto rischi/benefici molto promettente per le biotecnologie….si
sbagliano: prima di tutto incoraggiano delle derive antiscientifiche,
oscurantiste, e, in secondo luogo, ostacolano le ricerche
indispensabili alla messa a punto di varietà vegetali suscettibili
di contribuire a sormontare le sfide alimentari di oggi e di domani.
Conclusione
Al
termine di questo breve periplo tra ecologia e economia, non si può
che insistere sull’importanza della tematica della 3ª Rivoluzione
Agricola, sia a livello mondiale che a quello del bacino mediterraneo
particolarmente interessato dalla prospettiva del cambiamento
climatico. In realtà, di fronte a questa prospettiva, l’agricoltura
si deve confrontare con una doppia sfida:
- da una parte si devono ripensare le tecniche agronomiche al fine di limitare le emissioni di carbonio onde contribuire alla lotta contro il riscaldamento e limitarne l’ampiezza,
- Dall’altra parte, adattarsi a questo riscaldamento ed agli effetti connessi (modifica del regime delle precipitazioni e aridità accresciuta in certe zone).
Andare
incontro a questa duplice sfida presupporrà sia di ottimizzare l’uso
degli interventi chimici e meccanici che disporre di varietà
vegetali adattate alle modifiche climatiche. La padronanza delle
attrezzature digitali e delle biotecnologie sarà decisiva per
portare a termine questo duplice obiettivo.
--------------
Bibliografia
-
Le Buanec B., 2012, Le
tout bio est-il possible ?, Quae.
-
National Academies of Sciences, Engineering, and Medicine, 2016,
Genetically
Engineered Crops: Experiences and Prospects,
National Academic Press.
-
Regnault H., Arnauld de Sartre X., Regnault-Roger C., 2012, Les
révolutions agricoles en perspective,
France Agricole.
-
Ricroch A., Dattée Y., Fellous M., 2011, Biotechnologies
végétales,
Vuibert-AFBV.
-
Seznec E., 2016, Traitements
bio, toxiques naturellement,
UFC Que choisir.
Henri Regnault
Docente Universitario, economista, Professore emerito all’Université de Pau et des Pays de l’Adour - Centre d’Etudes sur l’Intégration et la Mondialisation, UQAM.
Alberto Guidorzi
Agronomo. Diplomato all' Istituto Tecnico Agrario di Remedello (BS) e laureato in Scienze Agrarie presso UCSC Piacenza. Ha lavorato per tre anni presso la nota azienda sementiera francese Florimond Desprez come aiuto miglioratore genetico di specie agrarie interessanti l'Italia. Successivamente ne è diventato il rappresentante esclusivo per Italia; incarico che ha svolto per 40 anni accumulando così conoscenze sia dell'agricoltura francese che italiana
Chissà se il ministro vi legge!
RispondiEliminaAndrej
RispondiEliminaquale ministro ci deve leggere? O il tuo commento era destinato per altro articolo?
Lo spero che vi legga. Perché da queste riflessioni dovrebbero partire le politiche agricole
RispondiEliminaAndrej
RispondiEliminaCredevo che ti riferissi a quanto dico sulla Brambilla in altro articolo ( è stata ministra anche lei ....). Circa invece la tua chiarificazione sono perfettamente d'accordo con te ed è per questo che ho voluto tradurre l'articolo e presentarlo, infatti nella sue direttrici ci ricorda ciò che abbiamo fatto di bene e di male in agricoltura. La filosofia del contadino avveduto è sempre stata: produrre cibo e preservare prima di tutto il luoghi e gli ambienti di produzione e quando lo ha dimenticato (e lo ha fatto anche perchè spinto da certe politiche) ne ha pagato le conseguenze, solo che si dimentica di dire che delle correzioni sono state già apportate....ma non possiamo sederci a guardare.