domenica 15 gennaio 2017

Ponti, traghetti e imbonitori mendaci

di Antonio Saltini

 

Stretto di Messina
La grande farsa referendaria si è gloriosamente conclusa con la dimostrazione, di eloquenza persino brutale, che gli Italiani non hanno alcuna stima nella classe politica che li governa. Forse Matteo Renzi era l’unico italiano che non lo sapesse. La sua saccenza fiorentina lo aveva illuso che la propria euforia da venditore di salsicce al mercatino rionale gli avesse guadagnato la fiducia e la simpatia nazionale. Chi scrive non ha introdotto una scheda nelle urne. Ha osservato l'ex  Premier in circostanze diverse, seguì con particolare attenzione, ad esempio, la fantastica prova di sé che il Paese offrì al Pianeta con l’Expo: fiumi di denaro pubblico profuso in strutture faraoniche che sarebbero state offerte gratuitamente a osti e bettolieri legati da amicizia al Presidente, di quel presidente non offrirono l’immagine del grande statista. Chi può essere tanto insano da affidare la modifica della Magna Charta della vita nazionale a chi dissipa il denaro pubblico nelle bettole degli amici? Gli Italiani non si sono fidati di Renzi, che ha indetto un referendum sulla propria credibilità con i risultati che, palesemente, erano inevitabili.
Non mi sono recato a deporre una scheda nell’urna, e non credo che la riforma costituzionale dell’erede di Calandrino avrebbe mutato il destino che pare incombere, sempre più cupamente, su questo Paese. Ma se si chiude un capitolo senza storia delle disavventure nazionali, nella vicenda sussiste un elemento che mi ricolma di autentico compiacimento. Se Matteo Renzi proseguirà la luminosa carriera come sindaco di Pontassieve, autentica perla sull’Arno “d’argento” è verosimile che il fatidico Ponte non si faccia, e ciò sarebbe sufficiente a giustificare le spese del carnevale referendario. Ricordo quando del ponte si parlò la prima volta, ai tempi felici di Craxi o di qualche concorrente. Conoscendo la Sicilia fui preso dall’angoscia. Siccome era assolutamente certo che tutti i subappalti sarebbero spettati, per diritto, alla Mafia, significava donare alla Mafia un’intera provincia, quella di Messina, una provincia “pulita”, civile, una delle pochissime rimaste, nell’Isola dove governasse, per quanto possibile, la legge.
Nutro il dubbio che la pirotecnia di slogan da fruttivendolo ambulante sfoggiata da Renzi come sponsor del Ponte, rivelasse, ancora una volta, che del dono avrebbe beneficiato un compare, che tutto fosse già stabilito. Un dubbio che vorrei fosse mera chimera, ma quando la Sicilia suggerisce chimere non sono, abitualmente, chimere beneaugurali.
Ma se l' ex Premier non si è prodigato, per il Ponte, secondo le regole che vincolerebbero un capo di governo all’imparzialità (anche per il ponticello sul greto del Mugnone), i buffoni di corte all’impegno per l’imbonimento hanno aggiunto prove clamorose di falsità e ignoranza (ma il lustrascarpe dello “statista” italico deve saper essere, insieme, falso e ignorante).
Non possiedo una televisione, e ne ignoro star e mezzibusti, ma una sera, casualmente a casa di un amico, ne sono stato spettatore. Un figuro che parlava malamente l’italiano (chi si è laureato a Cambridge sarà, dopo dieci parole, riconosciuto in tutto il mondo, e la regola vale anche per chi ha fatto le elementari a Centocelle), parlamentare e forse ministro, proclamò essere una vergogna nazionale che lo Stretto mancasse di un ponte, costringendo migliaia di passeggeri a scendere dai vagoni provenienti da Catania e Palermo per un lungo percorso, trascinando le valige, tra schiuma marina e, magari, scrosci di pioggia, per raggiungere, ormai verso il mare aperto, la “barca” che li avrebbe tragittati. Il nostro parlamentare usava il termine “barca” non sapendo distinguere, verosimilmente, un motopeschereccio da un natante di 25.000 tonnellate.
Credo, in materia di traghetti dello Stretto, di vantare, legittimamente, un’esperienza alquanto superiore a quella del portaborse renziano, e di poterlo dimostrare bugiardo senza tema di smentita. Vanto un’esperienza inconfutabile siccome conto settantatre anni, ma sono passeggero abituale dei traghetti di Messina da settantaquattro. Papà, richiamato, dopo il corso ufficiali ebbe il comando di una batteria costiera a Villa San Giovanni. Secondo il regolamento della Marina (da cui dipendevano le difese costiere) un comandante di settore aveva facoltà di condurre seco la moglie. Mamma soffriva di male di denti, a Villa non c’erano, allora, dentisti, mamma saliva sul Caronte, sistematicamente minacciato dagli aerosiluranti inglesi, e, con una cieca fiducia nella contraerea di papà, andava dal dentista, imbarcandosi nella fioritissima stazione di Villa e scendendo nell’elegante stazione di Messina centrale (sottolineo centrale)
E’ evidente che, essendo incinta, doveva portami dal dentista con sé. E’ altrettanto evidente che se la situazione allo sbarco fosse stata quella immaginata dall’imbonitore renziano, una signora incinta non avrebbe potuto sfidare la furia degli elementi per raggiungere vagoni ferroviari in galleggiamento tra Scilla e Cariddi. Invece, anche con i caccia britannici incombenti, i ferrovieri arrestavano i treni alle banchine delle stazioni centrali e magari, autentici siciliani, porgevano la mano alle signore incinte.
Credo che la traversata sul Caronte dentro la mamma mi abbia inculcato l’amore per la Sicilia: ho conosciuto Siracusa, Catania e Palermo, ho passato lo Stretto decine e decine di volte, di notte, in cuccetta, senza che nessun ferroviere mi abbia svegliato per farmi scendere e trascinare le valige tra le onde che sciabordavano trai binari semisommersi. Se mi svegliavo osservavo con affetto, dal finestrino, il faro di Villa che si avvicinava immaginando la mamma che tra i fiori del giardinetto in affitto sognava di conversare col bambino che portava con sé.
Proclamo, a conclusione, che il Calandrino fiorentino meritasse di perdere il referendum con l’impietosa vergogna di una sconfitta campale: chi si circonda di bari, mentitori e ciarlatani sarebbe meglio aprisse un banco sotto la tettoia del fatidico “porcellino” e vendesse ciccioli.





Antonio Saltini
Docente di Storia dell'agricoltura all'Università di Milano, giornalista, storico delle scienze agrarie. Ha diretto la rivista mensile di agricoltura Genio Rurale ed è stato vicedirettore del settimanale, sempre di argomento agricolo, Terra e Vita. E' autore della Storia delle Scienze Agrarie opera in 7 volumi.  www.itempidellaterra.com (qui).

 

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