di Sergio Salvi
Tra i prodotti agroalimentari tradizionali delle Marche troviamo la marmellata di cotogne e radici di cicoria, un prodotto molto particolare soprattutto per l’accostamento tra un classico ingrediente da confettura come la mela cotogna (Cydonia oblonga Mill. 1768) e una tipica verdura da insalata come la cicoria (Cichorium intybus L., 1753). Inoltre, la peculiarità del prodotto trova ulteriore giustificazione nel fatto di essere annoverato esclusivamente nel patrimonio agroalimentare tradizionale delle Marche; è infatti sufficiente interrogare il web per rendersi conto che un prodotto analogo non risulta essere riconducibile alla tradizione agroalimentare di nessun’altra regione d’Italia.
Tuttavia, nonostante questa natura così particolare, la marmellata di cotogne e radici di cicoria era indicata già come praticamente scomparsa all’epoca del censimento effettuato dalla Regione Marche a seguito del D. Lgs. n. 173 del 30 aprile 1998 che istituiva la categoria dei PAT (Prodotti Agroalimentari Tradizionali). A conferma di questa estinzione si può constatare l’attuale assenza di aziende, anche di piccolo cabotaggio, attive nella sua produzione. È un vero peccato poiché le caratteristiche salutistiche di questo prodotto sono tali da rendere auspicabile il suo ritorno sulla variegata scena dei prodotti tradizionali.
Cotogno e cicoria sono piante ricche di sostanze benefiche. Il frutto del cotogno presenta principi attivi ad azione antiossidante, astringente ed antiinfiammatoria soprattutto per l’intestino, mentre le radici di cicoria contengono sostanze amare in grado di stimolare la digestione e sono ricche di inulina, sostanza appartenente al gruppo dei frutto-oligosaccaridi (FOS) caratterizzata da spiccata azione prebiotica, ossia favorente lo sviluppo della microflora intestinale. Non stupisce, pertanto, che la marmellata di cotogne e radici di cicoria fosse utilizzata tradizionalmente soprattutto a fine pasto come digestivo.
Le virtù di questo prodotto sembrano trovare la loro origine addirittura nella medicina galenica di epoca romana, alla quale fecero riferimento molti autori vissuti in epoca successiva e che ci hanno trasmesso, nelle loro opere scritte in lingua volgare, le nozioni circa le proprietà curative attribuite fin dall’antichità alle piante e ai loro derivati.
Ad esempio, nel De honesta voluptate et valetudine, trattato di gastronomia scritto nel 1474 da Bartolomeo Sacchi, meglio noto come Plàtina (Piadena, 1421-Roma, 1481), troviamo descritte le virtù antidiarroiche, antiemetiche e di generale azione regolatrice dell’apparato digerente espletate dal cotogno e quelle facilitanti la funzione epatica svolte della cicoria. Il Plàtina, inoltre, ricorda il duplice uso del cotogno per “stringere il corpo” se assunto prima dei pasti e per “sigillare lo stomaco” se consumato a fine pasto, nonché la sua capacità di facilitare l’evacuazione se assunto in grandi quantità. Sono tutte informazioni riprese da Galeno (Pergamo, 129 - Roma 201), medico greco operante a Roma, tra i principali promotori della cura del corpo attraverso l’alimentazione secondo i canoni ippocratici ed ampiamente citato, a sua volta, dal medico Pietro Andrea Mattioli (Siena, 1501 - Trento, 1578) nelle varie edizioni dei suoi Discorsi sull’opera medica di Dioscoride (Anazarbe, ca. 40 - ca. 90), nei quali i suddetti effetti sono ribaditi ed estesi allo stomaco. Da queste opere in volgare ne sono poi discese altre, destinate ad un pubblico di cultura inferiore, come Il tesoro della sanità di Castore Durante (Gualdo Tadino, 1529 - Viterbo, 1590), pubblicato nel 1586, e il Trattato di dodici bagni singolari della illustre città di Viterbo pubblicato nel 1595 da un altro Durante, Giulio, medico del Collegio Romano. In quest’ultima opera, l’autore riporta un menù consigliato ai fruitori dei bagni termali in cui la cicoria compare come l’unico tipo d’insalata ammesso, mentre il pasto viene chiuso con “un poco di gelo di cotogni”, richiamando in modo emblematico il già menzionato uso della marmellata di cotogne e radici di cicoria come digestivo.
Rimane al momento insoluto il mistero del nome dell’ideatore dell’accostamento di cotogno e cicoria nello stesso preparato; sebbene i due ingredienti siano ampiamente citati negli antichi trattati per le loro comuni virtù, finora nessuna ricetta del passato sembra indicarne l’uso abbinato nella costituzione di una medesima gelatina o marmellata. Pertanto, in attesa di scoprire a chi dobbiamo la formulazione di un simile prodotto, ribattezzare la marmellata di cotogne e radici di cicoria come la “marmellata di Galeno” non ci sembra affatto fuori luogo.
Tuttavia, nonostante questa natura così particolare, la marmellata di cotogne e radici di cicoria era indicata già come praticamente scomparsa all’epoca del censimento effettuato dalla Regione Marche a seguito del D. Lgs. n. 173 del 30 aprile 1998 che istituiva la categoria dei PAT (Prodotti Agroalimentari Tradizionali). A conferma di questa estinzione si può constatare l’attuale assenza di aziende, anche di piccolo cabotaggio, attive nella sua produzione. È un vero peccato poiché le caratteristiche salutistiche di questo prodotto sono tali da rendere auspicabile il suo ritorno sulla variegata scena dei prodotti tradizionali.
Cotogno e cicoria sono piante ricche di sostanze benefiche. Il frutto del cotogno presenta principi attivi ad azione antiossidante, astringente ed antiinfiammatoria soprattutto per l’intestino, mentre le radici di cicoria contengono sostanze amare in grado di stimolare la digestione e sono ricche di inulina, sostanza appartenente al gruppo dei frutto-oligosaccaridi (FOS) caratterizzata da spiccata azione prebiotica, ossia favorente lo sviluppo della microflora intestinale. Non stupisce, pertanto, che la marmellata di cotogne e radici di cicoria fosse utilizzata tradizionalmente soprattutto a fine pasto come digestivo.
Le virtù di questo prodotto sembrano trovare la loro origine addirittura nella medicina galenica di epoca romana, alla quale fecero riferimento molti autori vissuti in epoca successiva e che ci hanno trasmesso, nelle loro opere scritte in lingua volgare, le nozioni circa le proprietà curative attribuite fin dall’antichità alle piante e ai loro derivati.
Ad esempio, nel De honesta voluptate et valetudine, trattato di gastronomia scritto nel 1474 da Bartolomeo Sacchi, meglio noto come Plàtina (Piadena, 1421-Roma, 1481), troviamo descritte le virtù antidiarroiche, antiemetiche e di generale azione regolatrice dell’apparato digerente espletate dal cotogno e quelle facilitanti la funzione epatica svolte della cicoria. Il Plàtina, inoltre, ricorda il duplice uso del cotogno per “stringere il corpo” se assunto prima dei pasti e per “sigillare lo stomaco” se consumato a fine pasto, nonché la sua capacità di facilitare l’evacuazione se assunto in grandi quantità. Sono tutte informazioni riprese da Galeno (Pergamo, 129 - Roma 201), medico greco operante a Roma, tra i principali promotori della cura del corpo attraverso l’alimentazione secondo i canoni ippocratici ed ampiamente citato, a sua volta, dal medico Pietro Andrea Mattioli (Siena, 1501 - Trento, 1578) nelle varie edizioni dei suoi Discorsi sull’opera medica di Dioscoride (Anazarbe, ca. 40 - ca. 90), nei quali i suddetti effetti sono ribaditi ed estesi allo stomaco. Da queste opere in volgare ne sono poi discese altre, destinate ad un pubblico di cultura inferiore, come Il tesoro della sanità di Castore Durante (Gualdo Tadino, 1529 - Viterbo, 1590), pubblicato nel 1586, e il Trattato di dodici bagni singolari della illustre città di Viterbo pubblicato nel 1595 da un altro Durante, Giulio, medico del Collegio Romano. In quest’ultima opera, l’autore riporta un menù consigliato ai fruitori dei bagni termali in cui la cicoria compare come l’unico tipo d’insalata ammesso, mentre il pasto viene chiuso con “un poco di gelo di cotogni”, richiamando in modo emblematico il già menzionato uso della marmellata di cotogne e radici di cicoria come digestivo.
Rimane al momento insoluto il mistero del nome dell’ideatore dell’accostamento di cotogno e cicoria nello stesso preparato; sebbene i due ingredienti siano ampiamente citati negli antichi trattati per le loro comuni virtù, finora nessuna ricetta del passato sembra indicarne l’uso abbinato nella costituzione di una medesima gelatina o marmellata. Pertanto, in attesa di scoprire a chi dobbiamo la formulazione di un simile prodotto, ribattezzare la marmellata di cotogne e radici di cicoria come la “marmellata di Galeno” non ci sembra affatto fuori luogo.
Bibliografia
Durante Castore, Il tesoro della sanità, 1586.
Durante Giulio, Trattato di dodici bagni singolari della illustre città di Viterbo, PietroPaolo Orlando, Perugia 1595.
Johnston Peter, «Quince: the “drugification” of medicine and the decline of commodities», Herodotus (Stanford), 2014, vol. 24, pp. 68-76.
Mattioli Pietro Andrea, I discorsi di M. Pietro Andrea Mattioli medico sanese, ne i sei libri della materia medicinale di Pedacio Dioscoride Anazarbeo, Vincenzo Valgrisi e Baldassar Costantini, Venezia 1557.
Oliveira Andreia, Branca Silva, «Marmelo (Cydonia oblonga Miller): fonte de compostos biologicamente activos», Revista da Faculdade de Ciencias da Saude da Universidade Fernando Pessoa, 2007, pp. 76-86.
Sacchi Bartolomeo (Plàtina), De honesta voluptate et valetudine, 1474.
Salvi Sergio, Valutazione del rischio di estinzione dei prodotti agroalimentari tradizionali delle Marche, Accademia Georgica Treia, 2016.
Sergio Salvi
Laureato in Scienze Biologiche presso l’Università di Camerino, nel
corso della sua attività di ricercatore si è occupato di genetica
lavorando presso Enti di ricerca pubblici e privati. Attualmente svolge
attività di ricerca e divulgazione storico-scientifica su tematiche
riguardanti il settore agroalimentare e la genetica agraria in
particolare (biografia storico-scientifica di Nazareno Strampelli,
origine ed evoluzione delle varietà tradizionali di frumento e del
concetto di prodotto tipico, recupero di varietà agrarie d’interesse
storico). È socio corrispondente della Deputazione di Storia Patria per
le Marche.
Un po' di storia
RispondiEliminaAl genere Cichorium appartengono due specie: Endivia e Intybus. La seconda specie contiene le Radici di Soncino. A questa specie però sono ascivibili molte altre cicorie coltivate per la foglia, quali: tutte le cicorie da insalata (Radicchi), quelle da cuocere (Catalogna) e quelle le cui radici fanno oggetto di una forzatura per ottenerne grumoli imbiancati e teneri (Witloof e Radicchio di Treviso). La radici di cicoria hanno fatto oggetto fin dai tempi antichi di torrefazione per farne decozioni e molto più recentemente per un utilizzo industriale volto ad ottenere zuccheri dietetici e fibre alimentari.
L’utilizzazione della cicoria come alimento, e la sua accezione di pianta medicamentosa risale a circa 6000 anni fa:
Gli EGIZIANI, nel Papiro di Ebers (4000 a.C.) la citano già come pianta depurativa e digestiva (questo papiro è conservato al museo di Lipsia, è lungo 20 metri e può considerarsi l’enciclopedia medica del tempo)
I GRECI, ne parlano tramite Aristofane e Teofrasto
I ROMANI consumavano le foglie come verdura e le radici come medicamento (specialmente per stomaco, fegato e reni). Ne abbiamo testimonianza tramite Dioscoride, Galeno, Celso e Plinio il Vecchio. Alcuni poeti latini la citano nei loro scritti ( ORAZIO, nella terza ode, dice che si ristorava con poco: olive,cicoria e malva; mentre OVIDIO, ne fa una descrizione poetica, umanizzando l’eliotropismo dei fiori della pianta e ne fa il simbolo dell’amore eterno)
CARLO MAGNO ne ordina la coltivazione in tutti gli orti botanici dell’Impero (le case farmaceutiche del tempo).
Nel MEDIO EVO fioriscono molte leggende sulle caratteristiche della pianta (eliotropismo, cambiamento del colore dei fiori ecc.). Ciò ne testimonia l’uso diffuso.
Nel 1300 e 1400 presso gli speziali del tempo nasce l’uso di contenitori in ceramica artistica per contenere la cicoria (per infusi decotti e parti essiccate). Ne sono testimonianza le produzioni ceramiche conservate nei musei e provenienti dai maggiori centri di produzione italiana. (Firenze, Faenza, Montelupo, Deruta, Castelli ecc).
Nel 1500 e 1600 cominciamo ad avere notizia dell’utilizzazione delle radici di cicoria selvatica essiccate e torrefatte per farne decotti. (la torrefazione è il sistema più empirico per spaccare, idrolizzare in teminI chimici, le catene delle molecole di riserva complesse delle piante). L’abitudine probabilmente è di molto anteriore, ma ne abbiamo tanta notizia in quanto in Europa compare l’uso del Caffè( Coffea Arabica), e di tutte le altre bevande esotiche (Thé e Cioccolata). Spontaneo quindi ne è stato il paragone. Tutto ciò ha comportato l’aumento dei consumi dello zucchero, derivato dalla canna e quindi pure esso importato.