domenica 4 dicembre 2016

Se i geni allarmano il telespettatore


di Roberto Tuberosa

Collection: Medical Photographic Library
Credit Spooky Pooka, Wellcome Images


Da poco ha fatto notizia l’acquisto di Inter e Milan da parte di magnati cinesi, mentre scarsa attenzione ha ricevuto il passaggio ai cinesi stessi della Produttori Sementi Bologna, azienda leader nella selezione di frumento duro e tenero in Italia. Nulla di cui stupirsi si dirà, in quanto il calcio è seguito con passione da quasi ogni Italiano, mentre la selezione di sementi migliorate di frumento interessa solo pochi addetti all’agricoltura. Invece questa notizia ci riguarda tutti.
Il frumento da sempre costituisce il pilastro della nostra dieta e civiltà. Quasi metà del frumento utilizzato dalla filiera agroalimentare nazionale proviene dall’estero (es. Australia, Canada, Francia, ecc.): altro che “chilometro zero”. Per quanto tempo ancora potremo chiamare “italiana” la nostra pasta sui mercati del mondo? Parallelamente si assiste a un crescente interesse per la coltivazione dei frumenti antichi che, se attuata su larga scala senza un congruo incremento della superficie coltivata, aumenterebbe ancora le importazioni in quanto le varietà dei nostri nonni producono meno della metà rispetto ai grani moderni, che sono frutto di un secolo di sapiente innovazione varietale avviata da Nazareno Strampelli e Francesco Todaro. 
Stime della Fao indicano che nei prossimi 40 anni sarà necessario incrementare del 70% la produzione attuale di frumento. Altro fattore preoccupante è la progressiva riduzione della quota di seme certificato di frumento prodotto da aziende italiane, con buona pace della nostra bilancia commerciale. Come contrastare questa potenziale “tempesta perfetta”, soprattutto in vista dei mutamenti climatici in atto, e della crescente richiesta di grano? La soluzione la offre soprattutto – ma ovviamente non solo l’innovazione varietale e quindi l’investimento nella ricerca genetica e nei suoi più recenti sviluppi, come ad esempio l’editing del genoma, la nuova tecnica che consente di ottimizzare la funzione dei geni e quindi la performance della pianta. In una recente relazione presentata al World Food Forum tenutosi a maggio a Parma, Sanjaya Rajaram – insignito nel 2014 del World Food Prize, l’equivalente del Nobel in agricoltura – ha affermato che saranno soprattutto le applicazioni dell’editing del genoma al miglioramento genetico delle piante ad assicurare il futuro della Food Security dell’umanità.
L’applicazione dell’editing tuttavia richiede l’identificazione e il sequenziamento dei geni che controllano i caratteri desiderati, obiettivi oggi perseguibili grazie ai progressi della ricerca genomica. Se tuttavia le piante di frumento oggetto di editing fossero classificate come ogm, ne verrebbe preclusa la coltivazione in Italia, con le ovvie conseguenze. Nel corso di una recente intervista in materia di ricerca sul frumento in Italia mi è stato suggerito di evitare di menzionare la parola “geni” nel timore che questo potesse allarmare i telespettatori. Questo episodio è specchio di un Paese in cui la percezione delle cose, soprattutto in materia di agricoltura, è scollegata dalla realtà.
Se in futuro continuerà a prevalere un atteggiamento ostile verso l’innovazione genetica, allora il rischio di depotenziare ulteriormente, e forse irrimediabilmente, la ricerca genetica sulle piante e il comparto sementiero diventerà realtà, con le ovvie conseguenze sulla competitività della nostra agricoltura e sulla bilancia dei pagamenti. Finiremo per comprare gli spaghetti dai cinesi – forse i loro antichi inventori – come già in parte avviene per la passata di pomodoro?


Roberto Tuberosa  
Professore ordinario di Genetica Agraria, Università di Bologna.
Durante gli ultimi due decenni ha introdotto nel proprio dipartimento le tecniche analitiche legate alle biotecnologie delle piante, ed ha organizzato e diretto i laboratori di colture cellulari/ingegneria genetica, di manipolazione di radioisotopi e di utilizzo dei marcatori molecolari.

6 commenti:

  1. Prof. Tuberosa

    Sono stato in mezzo alle sementi e alla costituzione delle piante di grande coltura per 50 anni ed è da tempo che ripeto che un paese che non possiede un'industria sementiera creatrice non può pensare di sviluppare la propria agricoltura. Il caso del frumento è emblematico. Innanzitutto è la pianta di cui, in quanto autogama, se ne può affrontare il miglioramento genetico con una quantità di mezzi non proibitiva, ma è anche la pianta che più ha bisogno di essere migliorata in funzione dell'ambiente. Lavorando per una ditta famigliare francese, verso gli anni 90 mi sono accorto che in Francia si stavano ottenendo frumenti abbastanza precoci da poter tentare di introdurli in Italia. Ho introdotto prima il Soissons, poi il Tibet, il Guadaloupe e Isengrain. Mi accorsi subito, però, che erano al limite della precocità per l'ambiente della pianura padana. Quando ho chiesto se si poteva fare un ulteriore sforzo per renderli più precoci, mi è stato detto che il loro obiettivo era il Sud della Francia e le varietà ottenute erano ottime. Per l'Italia non avrebbero fatto altri sforzi anche perchè era un mercato che pagava royalties troppo ridotte e spesso non le pagava neppure.

    Perchè questo lungo preambolo? Per far capire, non certo a lei, ma all'ambiente agricolo che l'agricoltura italiana diveniva sempre più orfana della selezione nazionale e quindi pagava lo scotto di eventualmente ricevere varietà inadatte,che seppure valide non avrebbero mai fatto godere di tutte le potenzialità offerte dal miglioramento genetico fatto esclusivamente per l'ambiente italiano.

    Ultimamente alla ditta per cui ho lavorato ho anche fatto pervenire il germoplasma del frumento italiano in quanto di fronte al cambiamento climatico hanno bisogno di aumentare la precocità dei loro frumenti per l'ambiente francese. Solo che per la stessa ragione anche noi dovremo precocizzare ulteriormente le nostre, ma loro possono accedere al germoplasma italiano mentre a noi non ci resta che quello del Nord Africa che è praticamente inesistente.

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    1. Innanzitutto ringrazio l'Autore del bell'articolo contro l'ipocrisia dei media e del marketing. Volevo chiederle dott.Guidorzi se il suo passo che riporto "Per l'Italia non avrebbero fatto altri sforzi anche perchè era un mercato che pagava royalties troppo ridotte e spesso non le pagava neppure." si riferisca al fatto che si usa riseminarsi le sementi o se le poche royalties pagate si devono ad altro. Inoltre volevo chiederle un parere:nell'attuale situazione c'è necessità di selezione varietale per il nostro Paese? Se sì, può il settore privato farsene carico e avrebbe un senso economico, o dovrebbe essere invece il pubblico? Preciso che non conosco il mondo della selezione varietale, se la mia curiosità dovesse risultare peregrina.

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    2. No Andrej la tua domanda non è peregrina anzi. Devo comunque premettere che il ragionamento è valido solo per le specie autogame, cioè quelle specie che si autofecondano e quindi mantengono intatte le loro caratteristiche per un certo numero di generazioni come ad esempio il frumento. Delle piante allogame, in cui la fecondazione incrociata è la regola come il mais e tante altre, invece, non si può riseminare il seme dell'anno precedente pena un calo di produzione già l'anno successivo, pertanto queste si autoproteggono automaticamente e le royalties sono assicurate ogni anno.
      Circa la mia affermazione che riporti ti posso dire che l'Italia fin dal 1976 anno dell'emanazione sementiera chiese che dopo il "seme di base" di una nuova varietà di frumento (si tratta del seme elite prodotto dal costitutore della varietà)si potesse commercializzare sia la prima moltiplicazione che la seconda moltiplicazione, mentre in tutti gli altri paesi dell'Europa dal seme di base si fa solo la prima moltiplicazione. Questo ha fatto si che gli italiani andassero ad esempio in Francia a comprare la prima moltiplicazione per seminarla in Italia e moltiplicare la semente senza pagare nessuna royalties. Altro aspetto è il tasso di royalties fissato in Italia molto più ridotto che non in Francia o in Germania.
      Circa la situazione sementiera del nostro paese praticamente non abbiamo una industria sementiera nazionale. Avevamo conservato una certa autonomia sui frumenti (duro e tenero)ma la caratteristica della specie (si può riseminare senza penalizzazioni eccessive) non ha permesso ai creatori varietali nazionali di finanziare la ricerca tramite le royalties incassate per una varietà che aveva successo. Man mano ciò ha determinato la chiusura delle ditte sementiere nazionali.

      La ricerca pubblica è da un trentennio che crea più varietà di frumento.

      Abbiamo una necessità estrema di selezionare varietà per i nostri ambienti specialmente per il grano duro che rappresenta solo il 10% della produzione di frumento.

      In Francia ad esempio esiste una ricerca pubblica che fa ricerca di base e non crea varietà, ma lavora per la ricerca privata che poi usa questo materiale per finalizzare la creazione varietale per gli agricoltori.

      Anche in Francia molta gente risemina la propria produzione, ma lo Stato ha fatto da mediatore affinchè anche quelli che riseminano la loro produzione paghino una royaltie seppure ridotta, ma la paghino comunque. E' un accordo siglato tra sementieri e sindacati degli agricoltori, cioè gli agricoltori hanno capito che se spariscono i sementieri la creazione di nuove varietà sempre più migliorate finirebbe e quindi anche per loro sarebbe un danno.

      Questo è un ragionamento improponibile all'agricoltore italiano perchè non è un impreditore.

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    3. Grazie, avrei qualche ulteriore curiosità.
      1)Dove dice “l'Italia fin dal 1976”,materialmente chi è che fa questa richiesta? Ministero, sindacati agricoli, ecc?
      2) quindi in Italia di fatto non si studia materiale adatto alla nostra situazione, da affidare poi magari a qualche ditta straniera perchè lo renda disponibile al mercato?
      3) In che modo in Francia si ha sotto controllo la situazione delle risemine? Lo Stato risarcisce le sementiere delle mancate royalties?
      4) Il tasso di royalties chi lo decide, tramite quali contrattazioni? La materia non è normata a livello europeo?

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  2. Gentile prof. Tuberosa è davvero tutto molto avvilente, se si continua cosi la genetica agraria italiana , vanto della nostra ricerca, sarà spazzata vi come anche la nostra agricoltura e paradossalmente anche le nostre produzioni tipiche che più di altre hanno bisogno delle moderne tecnologie.

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  3. Paradossalmente ho detto in un convegno che a noi italiani l'introduzione di un gene d'interesse mediante la tecnica del DNA ricombinante non interessa perchè non sappiamo dove applicarla, ossia dove metterlo!
    Una sola modifica genetica non fa divenire valida una varietà coltivata che nel suo complesso genetico non è valida, infatti, prima occorre creare con le metodologie di miglioramento genetico classico delle ottime varietà vegetali e solo dopo si può pensare di introdurre un particolare gene d'interesse esogeno.

    Solo che noi non avendo nessuna varietà valida nostra è demenziale pensare di farle divenire valide con la tecnica del DNA ricombinante.

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