venerdì 4 novembre 2016

Restituire dignità alla festività dei defunti - alcune riflessioni storico-culturali

di Luigi Mariani

 


Ricostruzione della tomba Neanderthal di  La Chapelle-des-Saints.
Riassunto
I resti archeologici ci mostrano che il culto dei morti è stato uno dei primi segni della cultura umana, risalendo almeno al Paleolitico superiore, ed è stato mantenuto durante tutta la nostra storia fino al presente e costituisce tutt’oggi una delle basi della nostra civiltà. Di qui l'affermazione che la festività dei defunti del 2 novembre, che in Italia è stata abolita diversi anni fa per ragioni di produttività dell’economia, meriterebbe di essere recuperata.

Abstract
The archaeological remains show us that the cult of the dead was one of the earliest signs of human culture dating back at least to the upper paleolithic and was maintained throughout whole our history until reaching the present and it is still one of the foundations of our civilization. Hence the claim that the feast of the dead, which in Italy was abolished several years ago for reasons of economic productivity, should be restored.



Le origini remote del culto dei defunti
La festività dei defunti affonda le proprie radici nel passato più remoto della nostra specie, come dimostrano le molte tracce archeologiche di culto dei defunti relative ai nostri parenti più prossimi e cioè i Neanderthal. Ad esempio sotto il deposito musteriano di La Chapelle-aux-Saints è stata rinvenuta una tomba tagliata nel pavimento roccioso e contenente lo scheletro rannicchiato di un uomo di Neanderthal e tombe simili sono state scoperte a La Ferrassie (Dordogna), a Kiik-Koba (Crimea) e a Teshik-Tash (Uzbekistan) mentre a Mugharet es-Skuul (Monte Carmelo) è stato rinvenuto un cimitero di 10 tombe con resti che andavano da bambini di 3 e 4 anni a un uomo di oltre 50 anni (Clark, 1986).
Lo stesso Clark (1986) narra che in Homo sapiens sapiens il culto dei morti assume forme più complesse. Nel paleolitico superiore (da 40mila a 10mila anni fa) i morti sono seppelliti vestiti e adorni degli ornamenti personali come ad esempio nella tomba di Sungir (presso Vladimir, a Nordest di Mosca) ove sono stati ritrovati, distesi supini e cosparsi di polvere d’ocra, un uomo di circa 60 anni e due ragazzi, sepolti testa a testa e che pare portassero mantelli, calzoni, copricapo e scarpe. Nella tomba sono state ritrovate 300 perle fabbricate con avorio di mammut, forse in origine cucite agli abiti, e altri ornamenti (sassolini e denti d’animale perforati).

Dal neolitico all’epoca romana
La rivoluzione neolitica e la conseguente nascita di forme di civiltà più evolute porta ad una varietà notevolissima di forme di onoranza dei defunti su cui non mi soffermerò per ovvi motivi di spazio. Mi preme solo segnalare le forme complesse e articolate che il culto per i defunti assumeva presso i romani, anche perché presentano vari punti di contatto con i riti attualmente in uso qui in Italia.
Nell’antica Roma era usanza che il maschio più anziano della casa, il pater familias, venisse chiamato al capezzale del moribondo per chiudere gli occhi al morente e raccoglierne l’ultimo alito vitale. Una moneta veniva quindi posta sotto la lingua del defunto come obolo per Caronte, traghettatore verso il mondo degli inferi. Aveva poi inizio la conclamatio, il lamento funebre intonato dai parenti che, a gran voce, invocavano il nome del defunto per dargli l’estremo saluto. L’appartenenza al ceto differenziava le modalità di sepoltura. Se l’estinto era di condizione povera, lo stesso giorno del decesso il cadavere veniva portato alla sepoltura dai vespillones (trasportatori) e cremato o inumato fuori della Porta Esquilina a spese di associazioni costituite a tale scopo, che provvedevano anche alla costruzione di cimiteri comuni. Se invece l’estinto era di origine nobile o patrizia, il rito funebre era affidato dai libitinarii (impresari di pompe funebri) (Gelati, 2016).
Il corteo funebre si articolava in maniera differente a seconda delle condizioni sociali delle famiglie: quello per persone umili o per bambini si svolgeva di notte, mentre quello per gente aristocratica, del quale un araldo comunicava al pubblico il giorno e l’ora, si svolgeva alla luce del giorno e con particolare solennità. Al termine della processione, quando il corteo giungeva al Foro, veniva pronunciata la laudatio funebris del defunto. Il feretro, in cui il defunto era adagiato scoperto, veniva trasportato a spalla dai congiunti o dai liberti e in casi particolari da senatori o cavalieri. Mimi, danzatori e suonatori di corno o di tibia aprivano il corteo seguiti dai portatori di fiaccole e dalle préfiche, donne che cantavano lamenti funebri e lodi all’estinto. Parenti e amici seguivano la bara. Il cadavere veniva inumato o cremato (Gelati, 2016).
Nove giorni dopo la collocazione definitiva della salma aveva luogo una festa (coena novendialis) in occasione della quale sulla tomba venivano versati vino o altre bevande di pregio. Poiché la cremazione era la scelta prevalente, le ceneri, dopo essere state cosparse di vino e di latte e poste nell’unguento e nel miele, erano raccolte in un’urna funeraria circolare con l’iscrizione del nome del defunto, deposta in una nicchia ricavata in un sepolcro collettivo chiamato columbarium (colombaia). Durante questi nove giorni la casa era considerata contaminata (funesta) e veniva ornata di rami di cipresso o tasso perché ne fossero avvertiti i passanti. Alla fine di questo periodo, veniva spazzata e lavata per purificarla dal fantasma del defunto (Gelati, 2016).
Ricordiamo infine che presso i romani la commemorazione dei defunti avveniva in occasione dei Parentàlia (dal 13 al 21 febbraio), durante i quali ogni famiglia onorava genitori e altri congiunti. L'ultimo giorno dei Parentàlia era quello dei Feràlia, destinato a cerimonie pubbliche. La legge romana prescriveva che i cimiteri sorgessero all'esterno delle mura, dove le tombe si sviluppavano ai lati delle strade che uscivano dalle porte urbiche (Gelati, 2016).

Cosa ci dice oggi tutto ciò
Questa lunghissima storia, seppur trattata per sommi capi, giustifica in modo più che mai eloquente il fatto che la festività dei defunti è ancor oggi per molti di noi un momento centrale dell’anno e lo è in virtù di quanto ci lega ai nostri antenati. Per questo trovo un segno di barbarie e non certo di progresso l’avere da anni abolito questa festività, costringendo coloro che vogliono partecipare alle cerimonie che si tengono in tutti i cimiteri d’Italia a funamboliche ricerche di compatibilità con i tempi del lavoro. Peraltro il problema è aggravato dal fatto che le tombe di famiglia sono spesso lontane in virtù dell’inurbamento di molte famiglie che ha avuto luogo a partire dagli anni 50 del XX secolo.
Sottolineo peraltro che la festività dei defunti riveste al contempo carattere religioso e laico, il che avvalora a maggior ragione l’importanza di un suo re-inserimento in un calendario che in Italia prevede come festività anche extra-domenicali 4 festività civili (1 gennaio, 25 aprile, 1 maggio, 2 giugno), 2 feste religiose e civili (Assunzione di Maria Vergine coincidente con Ferragosto, Santa Madre di Dio coincidente con Capodanno) e 7 feste religiose (Lunedì dell'Angelo, Santo Stefano, festa del Santo Patrono nelle singole località, Epifania, Tutti i Santi, Immacolata Concezione, Natale).
Il dibattito sul restituire dignità festiva alla celebrazione dei defunti va a mio avviso riaperto e centrale in tal senso resta ancor oggi il contributo storico-culturale del nostro grande poeta Ugo Foscolo, che ai defunti teneva in modo molto particolare come dimostrò nel sonetto “In morte del fratello Giovanni”.
La riflessione di Foscolo raggiunge il proprio apice nel carme “Dei sepolcri”, che Giosuè Carducci a ragione definì “la sola poesia lirica, nel grande significato pindarico, che abbia l’Italia”. Il carme fu scritto nel 1807 per contestare il napoleonico editto di Saint Cloud che, per motivi igienici e ripristinando l’usanza romana, aboliva le sepolture urbane, fatto questo che Foscolo riteneva in grado di rompere il legame fra passato e presente, fra vivi e morti su cui si regge, oggi come nel remoto paleolitico, la nostra civiltà (A egregie cose il forte animo accendono / L’urne de’ forti, o Pindemonte; e bella / E santa fanno al peregrin la terra / Che le ricetta..).


Bibliografia

Clark G., 1986. La preistoria del mondo, una nuova prospettiva, Garzanti.

Foscolo U., 1807. Dei sepolcri (qui) (sito visitato il 2 novembre 2016).

Gelati M.A., 2016. Il culto dei defunti nell'antica Roma (qui) (sito visitato il 2 novembre 2016).







Luigi Mariani
Docente di Storia dell' Agricoltura Università degli Studi di Milano-Disaa, condirettore del
Museo Lombardo di Storia dell'Agricoltura di Sant'Angelo Lodigiano. E' stato anche Docente di Agrometeorologia e Agronomia nello stesso Ateneo e Presidente dell’Associazione Italiana di Agrometeorologia.


 

2 commenti:


  1. Gentile prof, oltre al 2 novembre lo stato italiano dovrebbe ripristinare anche la vecchia festa del 20 settembre...

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  2. Egregio Professore,
    per quanto abbia cercato in rete, non sono riuscito a determinare con esattezza in quale anno e con quale legge (e governo) sia stata abolità la festività civile del 2 novembre. Può dirmelo Lei?
    Grazie,
    attendo in posta privata.
    Con stima,
    Avv. Pietro Cuniberti
    pietro.cuniberti@danesideluca.it

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