di Sergio Salvi
Pur
avendo lavorato in un Ente pubblico che si occupava di alimenti e
nutrizione ed accumulato anche una discreta conoscenza sui cereali in
genere e sul frumento in particolare, mi sono sempre guardato dallo
scrivere su argomenti già fin troppo inflazionati come celiachia,
allergia al grano o - peggio - la cosiddetta “intolleranza al
glutine”.
Tuttavia,
una serie di recenti letture e visite a blog
e siti internet inneggianti ai “grani antichi” quale soluzione
del problema dell’intolleranza al glutine, mi obbliga a fare almeno
un breve punto della situazione su questa particolare condizione che
affligge un numero imprecisato di pazienti, e per i quali una
diagnosi certa è cosa tutt’altro che facile da ottenere (e vedremo
perché).
Entrando
subito nel merito, ricordo che l’intolleranza al glutine, o
sensibilità al glutine o NCGS (Non Celiac Gluten Sensitivity, come
andrebbe indicata secondo l’acronimo anglosassone adottato dai
ricercatori impegnati su questo nuovo fronte delle intolleranze
alimentari), è caratterizzata da sintomi di natura sia
gastrointestinale sia extra-gastrointestinale. I primi consistono in
dolore addominale, diarrea o stitichezza, nausea, vomito. I secondi
consistono in mal di testa, dolori muscolo-scheletrici, sensazione di
annebbiamento mentale, affaticamento e persino depressione. Tutti
questi sintomi dipenderebbero dal consumo di derivati del frumento e,
verosimilmente, dal famigerato glutine. Chi lo dice? Può sembrare
incredibile ma, allo stato attuale, è il paziente stesso che incolpa
il glutine. La dimostrazione della veridicità di questa affermazione
è semplice, almeno per i pazienti: i sintomi svaniscono una volta
escluso il glutine dalla loro alimentazione. In altre parole, almeno
nella fase pre-clinica, le relazioni causa-effetto e la conseguente
terapia sono valutate e stabilite esclusivamente dal paziente, quindi
sulla base di un’opinione strettamente personale.
Ma
anche a voler coinvolgere il medico, cosa che ovviamente ad un certo
punto viene fatta dal paziente, rimangono sul tappeto una serie di
problemi. Per prima cosa, allo stato attuale si brancola ancora nel
buio circa l’esatta patogenesi di questa condizione. Inoltre, non
esistono ancora né criteri diagnostici che consentano di poter
affrontare in maniera standardizzata l’esame obiettivo del
paziente, né marcatori clinici da rilevare e/o quantificare mediante
l’allestimento di specifici esami di laboratorio utili a confermare
la diagnosi anche sul piano molecolare. Il medico, in ogni modo,
prima di formulare una seppur vaga diagnosi di NCGS deve poter
escludere che la causa dei sintomi lamentati dal paziente dipenda
dalla presenza di malattia celiaca (CD, Celiac Disease, ormai ben
definita clinicamente e diagnosticabile grazie a specifici test
genetici ed immunologici), la quale condivide con la NCGS almeno
alcuni dei sintomi gastrointestinali sopra elencati.
In
secondo luogo, occorre considerare che chi studia seriamente questa
particolare condizione patologica nutre molti dubbi sulla presunta
colpevolezza del glutine. Recentemente, infatti, l’attenzione dei
ricercatori clinici è stata richiamata da altre sostanze presenti
nel frumento e che sembrerebbero svolgere un ruolo ben più
accreditato nella patogenesi della NCGS. Primo fra tutti è il gruppo
dei cosiddetti FODMAP (Fermentable Oligosaccharides, Disaccharides,
Monosaccharides And Polyols), ossia i carboidrati fermentabili
contenuti nelle farine (in particolare frutto-oligosaccaridi,
fruttani e galattani) che hanno fama di essere piuttosto indigesti al
nostro organismo.
La
prova che chiama in causa i FODMAP, piuttosto che il glutine,
nell’eziogenesi della patologia starebbe nel fatto che se si
sottopongono i pazienti che lamentano di essere intolleranti al
glutine a una dieta povera di FODMAP non solo i sintomi migliorano
ma, nella maggior parte dei casi, la successiva reintroduzione di
glutine nella dieta non determina la ricomparsa dei sintomi.
Sarebbero quindi i FODMAP, e non il glutine, i principali colpevoli
della “intolleranza al glutine”, la quale, peraltro, presenta
molti punti in comune con l’altrettanto famosa “sindrome
dell’intestino irritabile” (IBS, Irritable Bowel Syndrome),
anch’essa recentemente messa in relazione con i FODMAP piuttosto
che con il glutine. Si dovrebbe quindi parlare, più correttamente,
di “intolleranza al frumento” piuttosto che al glutine.
Se
le cose stanno così, come mai i pazienti hanno individuato proprio
nel glutine il responsabile dei loro disturbi?
E’
una bella domanda, alla quale, istintivamente, mi viene da rispondere
che probabilmente tutto deriva dalla confusione, ancora in corso
soprattutto tra i non addetti ai lavori, nell’uso dell’espressione
“intolleranza al glutine” per indicare sia la malattia celiaca
(che è piuttosto una forma di vera e propria tossicità al glutine)
sia il restante ed ampio spettro dei disturbi legati al consumo di
frumento. Data la sovrapponibilità di almeno una parte dei sintomi
tra la malattia celiaca e l’intolleranza al frumento, diventa
piuttosto istintivo dare la colpa al glutine nel tentativo di
spiegare anche la ben meno grave condizione d’intolleranza che
affligge i pazienti non celiaci.
Tornando
alle cause della NCGS, se il glutine sembra azzeccarci poco come
agente eziologico, allora sulla base di quali argomentazioni è
fiorita questa cultura, ormai straripante, secondo la quale il
glutine presente nelle farine (semole) dei “grani antichi”
sarebbe più tollerato dagli intolleranti rispetto al glutine
presente nelle farine (semole) dei “grani moderni”?
Qualche
anno fa uscì un bel lavoro di un gruppo di ricerca olandese (van den
Broeck et al, 2010) che mostrava come la frequenza delle porzioni
proteiche del glutine dotate di attività immunostimolante fosse
maggiore in un gruppo di “grani moderni” rispetto ad un gruppo di
“grani antichi” col quale era stato messo a confronto. Lo studio
fu salutato con entusiasmo dai sostenitori della maggior salubrità
dei “grani antichi” ed è stato citato più volte negli scritti
dedicati all’argomento. E forse ha anche contribuito a far ritenere
i “grani antichi”, per quanto anch’essi non adatti al consumo
da parte dei pazienti celiaci, perlomeno idonei al consumo da parte
dei semplici “intolleranti al glutine”.
È
invece finora passato in sordina un altro studio, uscito pochi mesi
fa (Ribeiro et al, 2016), nel quale un gruppo di ricerca portoghese
ha ottenuto, confrontando tra loro altri gruppi di “grani antichi”
e “moderni”, risultati completamente diversi, addirittura
mostrando come alcuni “grani antichi” siano ben più
immunostimolanti di molte varietà “moderne”. Questo dimostra che
cambiando i gruppi di frumenti a confronto possono cambiare anche i
risultati delle analisi statistiche su di essi effettuate.
Tuttavia,
la realtà è che mancano totalmente gli studi clinici che dimostrino
un reale beneficio apportato dal consumo di “grani antichi” ai
pazienti sofferenti di NCGS. Pertanto, il nodo sarà sciolto solo
quando saranno effettuati dei rigorosi trials
clinici condotti in doppio cieco, anche per escludere il possibile
ruolo giocato dall’effetto
placebo,
visto che la presunta salubrità dei grani antichi sembra poggiare,
così come il presunto ruolo nocivo esercitato dal glutine nella
NCGS, prevalentemente sulle sensazioni individuali. Senza trials
clinici i sostenitori dei “grani antichi” continueranno a
discettare sulla fuffa.
A
chi ha comunque deciso di adottare una dieta a base di “grani
antichi” per alleviare i sintomi della NCGS, alcuni ricercatori
suggeriscono di buttarsi sullo spelta (Triticum
spelta
L.): il pane che se ne ricava ha un contenuto di fruttano (uno degli
incriminati FODMAP) pari ad appena un quinto rispetto al pane di
frumento ed è persino inferiore a quello presente nel pane
gluten-free
(a base di riso e/o mais). Ma occorre sapere che nemmeno il pane di
spelta è a buon mercato.
Elli L., Roncoroni L., Bardella M.T., 2015. Non-celiac gluten sensitivity: time for sifting the grain, World Journal of Gastroenterology, 21(27): 8221-8226.
El-Salhy M., Hatlebakk J.G., Gilja O.H., Hausken T., 2015. The relation between celiac disease, nonceliac gluten sensitivity and irritable bowel syndrome, Nutrion Journal, 14: 92.
Lebwohl B., Ludvigsson J.F., Green P.H., 2015. Celiac disease and non-celiac gluten sensitivity,
British Medical Journal, 351: h4347.
Ribeiro M., Rodriguez-Quijano M., Nunes F.M., Carrillo J.M., Branlard G., Igrejas G., 2016. New insights into wheat toxicity: Breeding did not seem to contribute to a prevalence of potential celiac disease's immunostimulatory epitopes, Food Chemistry, 213: 8-18.
Van den Broeck H.C., de Jong H.C., Salentijn E.M., Dekking L., Bosch D., Hamer R.J., Gilissen L.J., van der Meer I.M., Smulders M.J., 2010. Presence of celiac disease epitopes in modern and old hexaploid wheat varieties: wheat breeding may have contributed to increased prevalence of celiac disease, Theoretical and Applied Genetics, 121(8): 1527-1539.
Volta U., Caio G., De Giorgio R., Henriksen C., Skodje G., Lundin K.E., 2015. Non-celiac gluten sensitivity: a work-in-progress entity in the spectrum of wheat-related disorders, Best Practice and Research: Clinical Gastroenterology, 29(3):477-491.
Laureato in Scienze Biologiche presso l’Università di Camerino, nel corso della sua attività di ricercatore si è occupato di genetica lavorando presso Enti di ricerca pubblici e privati. Attualmente svolge attività di ricerca e divulgazione storico-scientifica su tematiche riguardanti il settore agroalimentare e la genetica agraria in particolare (biografia storico-scientifica di Nazareno Strampelli, origine ed evoluzione delle varietà tradizionali di frumento e del concetto di prodotto tipico, recupero di varietà agrarie d’interesse storico). È socio corrispondente della Deputazione di Storia Patria per le Marche.
Se risultasse obiettivamente dimostrato l'azione dei FODMAP, ci sarebbe proprio da sbudellarsi dal ridere visto le campagna pubblicitarie che si fanno sull'effetto benefico dei fruttolisaccaridi.
RispondiEliminaArticolo molto interessante, grazie. Mi domandavo quale sia la ragione fisiologica della presenza dei FODMAP e se il miglioramento genetico del frumento possa fare qualcosa per ridurla.
RispondiEliminaUn articolo sui cereali ricchi di fruttani si trova qui:
Eliminadownload.kataweb.it/mediaweb/pdf/espresso/scienze/1998_363_8.pdf
Luigi
RispondiEliminaAnzi fino ad ora ci hanno chiesto di aumentarli in quanto trattasi di alimenti funzionali, vedi il caso del betaglucani nell'orzo.
Salve, proprio oggi al supermercato c'era un pieghevole dello IOR (istituto oncologico romagnolo) dove consiglia: "diminuiamo l'impiego di farine raffinate, preferendo grani antichi".
RispondiEliminaIl supermercato afferisce per caso al gruppo Conad?
EliminaLo IOR ha infatti stipulato una convenzione con Commercianti Indipendenti Associati, una delle cooperative fondatrici del Consorzio Conad, e Luca Panzavolta è uno dei principali testimonial dello IOR:
http://www.ior-forli.it/news/articolo/17.html
Peraltro lo IOR punta moltissimo sulla salute a tavola; niente di più facile che abbia recepito il trend attuale pro grani antichi passando anche per Conad...
Giovanni ma ti rendi conto a che livello di ignoranza si arriva? Ora e senza entrare nel merito perchè io sono un agronomo e non medico, mi chiedo ma quale correlazione esiste tra farine raffinate e grani antichi? Si dovevano limitare a dire che era meglio usare farine meno raffinate e senza aggiungere altro, infatti, le farine non raffinate si fanno anche con i grani moderni; nessuno impedisce di prendere una manciata di un grano moderno, metterla in un mortaio e pestarla, poi setacciarla e ricavarci un prodotto da forno.
RispondiEliminaAlberto, l'accostamento può essere letto anche come pro-farine non raffinate E meglio se di grani antichi. Ma comunque la si veda la capziosità è evidente. A Giovanni vorrei chiedere se ha il pieghevole e ce ne può mandare una scansione per email. Sono curioso di leggere in che contesto hanno inserito questo suggerimento e se aggiungono il perchè di una simile esortazione, cioè perchè proprio i grani antichi...
EliminaSalve. Volentieri vi faccio la scansione. A quale indirizzo mail devo inviarlo?
RispondiEliminaGentile Tonini può inviarlo al seguente idirizzo: agrarian.sciences@gmail.com
EliminaHo letto la brochure fatta pervenire dal Sig. Tonini.
EliminaIl consiglio di consumare grani antichi non e' accompagnato da giustificazioni e pertanto appare come calato dall'alto, per partito preso, allineato con la tendenza corrente...
Sergio
RispondiEliminaConcordo con te, ma è utile che alla gente si dica anche questo per completezza:
una correlazione, ma solo una correlazione, esisterebbe nella misura in cui una farina meno raffinata contiene più fibre e quindi ciò faciliterebbe il transito intestinale del cibo che sembrerebbe non favorire l'insorgere di tumori intestinali ( ma il tumore al polmone se fumi, il tumore alla pelle se stai troppo al sole, il tumore al cervello, il tumore alla prostata o al seno ecc. ecc. te li cucchi ancora tutti)
Altro aspetto è la quantità di fibre che ingoiamo con i prodotti da forno (se mangi una brioche integrale ingerisci praticamente zero fibre ed è meno buona, mentre se ne mangi tante per ingerire tante fibre ti riempi di grassi e di zuccheri semplici) per il pane in particolare, ne mangiamo circa 100 g a testa e quindi la quantità di fibre è ininfluente, molto meglio mangiare verdure crude e cotte che siano.
Pensiamo alla pasta che se fatta con farina integrale tiene meno la cottura e diciamolo francamente non ha un sapore che soddisfa tanto.
Quindi farina 00 che fa venire "i tumori" è prima di tutto una balla che dovrebbe essere permessa solo agli illetterati e non certo a gente che ha un titolo legale di studio e che quindi impunemente imbroglia e fa uso disonesto di un "pulpito( (il titolo di studio) che alla collettività è costato tanti soldi.
Stanti così le cose, cioè se è una questione di fibre, i frumenti moderni non è che siano privi dei tegumenti esterni e quindi l'eventuale prevenzione dei tumori la si può ottenere indifferentemente con una farina integrale di frumento moderno o antico che sia ....sempre crusca per maiali è.
Bel post di Dario Bressanini sul suo blog de Le Scienze:
RispondiEliminahttp://bressanini-lescienze.blogautore.espresso.repubblica.it/2017/01/09/esiste-davvero-la-sensibilita-al-glutine/
Un altro articolo che mostra come in un gruppo di grani antichi la quantità posseduta di peptidi immunostimolanti sia maggiore rispetto al gruppo di confronto costituito da varietà moderne:
RispondiEliminahttp://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0963996916305816
I due gruppi sono composti da pochi elementi ciascuno, tuttavia si conferma che la prevalenza di peptidi tossici varia da gruppo a gruppo a seconda di come i gruppi stessi sono composti, il che rende impossibile stabilire se i grani antichi siano in assoluto meno tossici di quelli moderni o viceversa.
Un lavoro su grano duro, sebbene su poche varietà antiche e moderne a confronto, che smonta alcuni luoghi comuni sul glutine delle varietà moderne:
RispondiEliminahttp://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S116103011730045X
http://www.ilfattoalimentare.it/pasta-con-grano-antico-moderni-spisni-bressanini.html
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