mercoledì 2 novembre 2016

Conoscere per giudicare - L’esempio di una farm statunitense

di Alberto Guidorzi

 

Nelle tabelle 1 e 2 si riportano i conti economici di due colture (mais e soia) tratti dal sito (qui) e riferiti a un’azienda agricola americana, la Schmidt Farms Inc, che da tre generazioni coltiva circa 800 ettari sulla costa del Maryland. Dunque un’azienda agricola famigliare, non certo però di quelle che ha in mente Petrini; le sue, in una società mondiale che pian piano evolve come siamo evoluti noi occidentali e non c’è verso di farla evolvere diversamente, sono solo delle “prigioni” da cui i conduttori appena possono scappano. Più che “terramadre” sarebbe dunque il caso di chiamarla “terra matrigna” e molto cattiva tra l’altro. L’evoluzione immaginata da Petrini è appena stata riportata meritoriamente da Luigi Mariani in “il genocidio ucraino del 1932-33” frutto di uno Stato che si appropria delle proprietà dei contadini con l’assurda pretesa di far produrre di più. 
E’ un’azienda famigliare che non solo smentisce Petrini nella dimensione vivibile ma lo smentisce anche nel modo di conduzione, infatti gli avvicendamenti dell’azienda si basano sulle seguenti coltivazioni: mais e soia per alimentazione umana e animale, frumento, orzo, fieno, pomodori, fagiolini da conserva e uva da vino. Altroché monocoltura, altroché azienda capitalistica, qui vi lavorano a tempo pieno due fratelli, le loro mogli e i due genitori. Per chi ne vuole sapere di più: (qui),
Il resoconto è fatto da Jennie Schmidt, la moglie di uno dei due fratelli, la quale premette al resoconto una spiegazione delle scelte operate che sono frutto di analisi plurifattoriali. La ragione di tali scelte può sfuggire a chi non sa di agricoltura perché manca il concetto di agricoltura durevole in senso ambientale, sociale ed economico; un trinomio inscindibile, contrariamente a quanto pensano molti. La Signora risponde anzitutto alla domanda sul perché comprino le sementi e non le autoproducano e precisa che la sua famiglia non si sente per nulla “schiavizzata” dalle ditte sementiere. Ella dice che il primo motivo è che essi vogliono avere accesso continuo alle novità varietali ed inoltre, usando più varietà, diversificano i comportamenti per cui in caso di attacchi di parassiti o patogeni evitano di mettere “tutte le uova nello stesso paniere”. Scegliere varietà diverse di soia o di mais, alcune con tratti GM differenti ed altre ancora non-GM, permette di ripartire i rischi, come ad esempio l’obbligo a diserbare in modo diverso le varietà GM rr (resistente al diserbante glyphosate) e quelle convenzionali, evitando così di selezionare e far aumentare di numero delle malerbe resistenti ai principi attivi diserbanti più usati. Tuttavia il motivo dominante delle loro scelte rimane quello di ottenere prodotti agricoli che abbiano un mercato. Ad esempio nel loro comprensorio vi è chi richiede e stocca soia GM ad alto contento oleico e quindi loro in parte ne coltivano al fine di lucrare un premio sul prezzo corrente. Ad esempio loro coltivano 40 ettari di pomodori da conserva solo e perché vi è un’industria che viene con propri mezzi a raccogliere e trasportare il prodotto maturo in stabilimento. Hanno scartato da subito l’idea di equipaggiarsi delle macchine necessarie perché non avrebbero mai ammortizzato la troppo costosa attrezzatura. 
I conti economici riportati sottendono una costante attenzione all’innovazione da introdurre con rapidità ad ogni nuovo di ciclo produttivo. In assenza di tale attenzione gli imprenditori rischierebbero di indebitarsi e quindi metterebbero in pericolo la continuità dell’azienda per la successiva generazione. La Schmidt Farms Inc è un’azienda modello per la Michigan State University e quindi i suoi conti sono controllati da questo istituto universitario. E’ stato loro chiesto di fare una valutazione comparando i costi di produzione tra mais e soia OGM e le altre loro coltivazioni, sempre di mais e soia, ma non OGM. Per le rimanenti colture il problema non si pone perché non esistono varietà GM sul mercato. Tuttavia, preliminarmente, prima di fare la scelta di coltivare varietà GM, i conduttori hanno dovuto guardare se il mercato richiedeva il mais e la soia sia GM che convenzionale che loro intendevano produrre. La domanda, infatti può non essere generalizzabile nei diversi comprensori, pertanto hanno posto in essere le varie coltivazioni dopo aver verificato che da loro vi era una domanda ed un mercato sia di prodotti GM che di prodotti zootecnici. 
Nel resoconto si dice anche che se i conduttori avessero ascoltato i media sarebbero stati largamente sconsigliati dalle scelte da loro operate in quanto ai media sfuggono le peculiarità del territorio in cui l’azienda opera. Infatti, i media non posseggono aziende da mandare in malora, mentre loro ne hanno una sola e se la tengono cara e per farlo non possono prescindere dall’analisi dei costi di gestione una volta comparati con le rese e i relativi prezzi. I dati che si riportano nelle tabelle sono i loro dati ed è su quelli che loro fanno previsioni e quindi non pensano minimamente di volerli trasferire ad altri per influenzarli. Se cambiassero le cose cambierebbero anche loro perché il loro obiettivo è quello di mantenere suoli sani, produrre alimenti sani e mantenere un’azienda agricola durevole da lasciare alla prossima generazione. E qui mi domando quanti imprenditori agricoli italiani abbiano una tale aspirazione e quanti possono avere le possibilità di realizzarla. Ben pochi direi, perché nella maggior parte dei casi non hanno successori e non li hanno perché hanno una struttura aziendale obsoleta e lascerebbero un’amara eredità; evidentemente da qui ne discende tutta una serie di conseguenze che connotano la nostra agricoltura: si fa solo la coltura ritenuta più redditizia e la monocoltura diviene una scelta obbligata. Il comandamento è quello di non spendere, non sono possibili innovazioni e si assiste a produzioni in calo. Le monocolture si fanno nelle aziende famigliari piccole e fuori contesto economico, non in quelle famigliari grandi e a più elevata professionalità: non fatevi ingannare da Petrini!!!

Colture GM contro non-GM – Comparazioni
 
E’ dal 1998 che Schmidt Farms Inc si coltivano soia e mais GM e no-GM, anche se per loro è una distinzione che non ha senso perché per loro tutto è geneticamente modificato. Inoltre fanno loro il motto che dice: “L’agricoltore deve essere un ottimista oppure non può essere agricoltore” che in definitiva è il motore del progresso in agricoltura. Il motto in Italia forse è andato nel dimenticatoio e se ad innovare sono solo gli ottimisti, allora è per questo che di innovazione in Italia se ne vede poca. Essi ogni inverno passano in rassegna i dati di raccolta e fanno la comparazione delle rese varietà per varietà, dei loro costi di produzione e analizzano le condizioni che hanno influenzato i raccolti in modo da scartare ciò che non ha risposto e scegliere i rimpiazzi. E’ ciò che loro chiamano “miglioramento continuo della qualità”. 





Cosa si può dire su questi dati? Che quelle GM sono le produzioni che fanno il maggior reddito e che l’incidenza del maggior costo del seme GM, spauracchio ventilato dai contrari, è inesistente perché il gioco vale molte candele.
Inoltre la panzana diffusa secondo la quale il gene aggiunto penalizza la produzione perché farebbe consumare energia in più, si rivela tale in tutta la sua falsità. Hanno anche inventato una locuzioneche fa presa e cioè “ yield drag”, ma senza nessun fondamento scientifico. 
Qualcuno potrebbe dire che “una rondine non fa primavera”, ma se ciò fosse vero dovremmo ammettere che il 12% degli arativi mondiali che oggi è coltivato a piante GM è frutto di agricoltori imbecilli che spendono 10 cent. per ricavarne 5. Altra contestazione potrebbe essere che due anni a confronto non sono probanti, ma intanto vi è il dato importante del 2015 che, pur essendo un’annata poco favorevole alle coltivazioni, mostra che il margine delle piante GM resta comunque superiore. L’azienda precisa anche che vi è stato un tempo in cui si coltivava mais convenzionale, GM e anche biologico. Tuttavia la coltivazione in biologico è stata eliminata e la superficie è stata decertificata in quanto le minori rese pagavano un dazio, nel senso di minor produzione pari a 31 q/ha, cosa economicamente insopportabile. Ecco i dati:





                                  
L’azienda dice che ha esperienza di oltre un quindicennio sul mais GM-Bt e nella tabella dei dati pluriennali riportata, con particolare riguardo ai risultati di annate marcatamente sfavorevoli, risulta lampante il progresso apportato dal miglioramento fatto con i metodi di genetica classici che in nulla possono essere sostituiti dalle biotecnologie; potranno solo essere sveltiti. Infatti, gli incrementi produttivi delle annate favorevoli sono pressappoco uguali alle susseguenti annate sfavorevoli, mentre il salto incrementale si nota nelle ultime tre annate mostrate dalla tabella. Questo è valido sia per il mais sia per la soia e ci dice in modo chiaro che noi italiani che seminiamo varietà di mais e soia convenzionali che provengono tutte dagli USA, oltre a non godere dei benefici del tratto GM riceviamo varietà ormai sorpassate. Ma gli agricoltori non le vedono e notano certe cose? Qualcuno potrebbe dire che gli incrementi della soia GM sono esigui, ma prima di giudicare deve sapere che l’impatto del miglioramento genetico sulla soia è ancora limitato e ciò perché, stante l’impossibilità di sfruttare l’eterosi, si è dovuti partire da una variabilità genetica stretta. Quindi sulla soia è preponderante l’aspetto di facilitazione del diserbo che lascia più tempo a disposizione per occuparsi delle altre coltivazioni aziendali (non si dimentichi che l’azienda mantiene in coltura ben 800 ettari).

In azienda si coltivano quattro tipi di soia
  1.  per l’alimentazione umana, 
  2.  per alimentazione animale, 
  3.  per ricavarne del seme, 
  4.  una specialità GM ad alto contenuto di acido oleico, dove l’olio che si estrae va all’alimentazione umana, mentre il panello va all’alimentazione animale.
Inoltre affermano che anche quando vi è un sovrapprezzo sui raccolti non-GM, quelli GM, a causa delle migliori rese, danno ricavi maggiori. Ci si chiederà, ma perché coltivano delle sementi non-GM allora? Semplice da spiegare: perché sono dei bravi agricoltori e non degli agricoltori di rapina e quindi preferiscono perdere qualcosa, ma guadagnare il vantaggio di non infestare i loro campi di piante resistenti al diserbo unico in quanto obbligati a variare i principi attivi diserbanti. Cosa facciamo noi in Europa? Aboliamo le piante GM e perfino l’ottimo diserbante che loro usano, vale a dire il glyphosate. 
Agricoltori italiani sveglia!!!

La rendicontatrice continua dicendo che le loro scelte sulle varietà di sementi che vogliono usare sono il frutto di sperimentazioni nel loro territorio e fatte dai ricercatori dell’università. Tuttavia essi fanno anche una prova di campo preliminare nella loro azienda investendo con una nuova varietà alcuni ettari e comparano i dati con altri ettari investiti con varietà ormai confermate. La scelta comunque tiene sempre preliminarmente conto dei mercati su cui venderanno e del tipo di domanda. Solo a valle di ciò saranno presi in considerazione i risultati delle loro prove di pieno campo.


Alberto Guidorzi
Agronomo. Diplomato all' Istituto Tecnico Agrario di Remedello (BS) e laureato in Scienze Agrarie presso UCSC Piacenza. Ha lavorato per tre anni presso la nota azienda sementiera francese Florimond Desprez come aiuto miglioratore genetico di specie agrarie interessanti l'Italia. Successivamente ne è diventato il rappresentante esclusivo per Italia ; incarico che ha svolto per 40 anni accumulando così conoscenze sia

dell'agricoltura francese che italiana. 

11 commenti:

  1. Io detesto il passatismo di chi esalta il bel mondo di una volta, ma in un certo senso lo fa anche lei. Perché i metaboliti dei diserbi (atrazina ma anche l'amato glifosate) ci sono o non ci sono nelle falde (veda report Ispra). Il fosforo e il petrolio sono o non sono materie prime in via di esaurimento e delle quali l'Italia peraltro è priva? Io capisco la sua esaltazione di un certo tipo di agricoltura ma se oggi riducessimo tutto il panorama agrario in aziende di centinaia di ettari di troveremmo con centinaia di migliaia di derelitti a rimpinguare la nostra disoccupazione che guarda caso è già molto alta nelle zone rurali. Significa l'abbandono dei territori, cosa che tutti vogliamo evitare e che i governanti, non sapendo che pesci pigliare, ci promettono che avverrà tramite il mitico turismo. Io detesto il fatto che il sistema bio non si ponga il problema della riduzione delle rese e arrampicandosi sugli specchi non ammetta il proprio elitismo. Ma nello stesso modo disapprovo chi esalta acriticamente il modello convenzionale globalizzato (o integrato obbligatorio) tutto preso dal raggiungimento delle rese dove l'unica discriminante nell'uso degli input è il loro costo. Che ha avuto la più nefasta delle conseguenze:il disprezzo del cibo, seguito all'abbassamento del suo prezzo, che ci ha trasformati in delle capre dal punto di vista dell'educazione alimentare, con gli Stati Uniti dove i poveri mangiano troppo e male e tendono all'obesità (vedasi La fame, bel reportage di Martin caparros). Petrini è senz'altro un reazionario, appunto perché reazione a tutto questo. L'agricoltura attuale non ha certo fallito come dice lui. Ma per il futuro, se tutti si mettono in testa di voler mangiare tutta la carne che vogliono, non può funzionare. Mi piacerebbe sapere come la vede lei su tutto questo, se pensa che un aumento indefinito delle rese sia possibile o se invece ci sia qualcosa da ripensare. Andrej

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  2. 1) quindi l'abbassamento del prezzo è un male?
    2) se la discriminante è il costo, non pensa che la cosa valga anche per i consumatori?
    3) centinaia di migliaia di derelitti? scusi ma non sarebbe meglio pagarli direttamente per fare altro invece che 4 soldi per stare sul trattore (vecchio) a compilare montagne di carte per averli?

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    1. 1) naturalmente no, lo sono alcune implicazioni. Il nostro Stato, il suo pagare molta gente e sprecare tanti soldi non sarebbe possibile senza un cibo a così buon prezzo che rende un'imposizione fiscale così alta (e in moneta sonante!) quasi accettabile ma ad ogni modo possibile 2) assolutamente sì:ma se non hai una cultura su ciò che mangi in realtà non stai scegliendo liberamente, e l'unico criterio che padroneggi, cioè il prezzo, potrebbe non essere il più adeguato. Il boom del bio è dovuto anche a una sua mitizzazione che un'adeguata cultura renderebbe più contenuta e circostanziata 3)forse, ma cosa? Nelle fabbriche delocalizzate? E chi mantiene il paesaggio rurale? E la leggendaria cura del territorio? E l'Italia Paese fragile e abbandonato? O lei si dissocia dall'opinione comune di agricoltore come guardiano del territorio e fornitore di servizi ecologici per tutta la comunità?

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    2. non mi sono spiegato:
      1)il mondo, non il nostro stato. L'imposizione fiscale e lo spreco ci sono anche dove il prezzo dei beni di consumo è proporzionalmente più alto, così come il contrario (ad esempio nella vicina Svizzera)
      2) d'accordo, ma si parlava di diminuzione generalizzata del prezzo del cibo, non di una diminuzione della qualità a parità di prezzo
      3) intendevo proprio quello: però la manutenzione del territorio deve essere remunerata esplicitamente, non in forma mascherata di sussidio, e possibilmente pianificata e controllata. Questo è il futuro dell'agricoltura marginale. Poi ci sarebbe anche un'agricoltura produttiva...

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  3. Andrej

    Se mi avessi letto attentamente ti renderesti conto che io sono l'esatto contrario di come mi giudichi. Io sono per l'agricoltura ecocompatibile ma produttiva. E' una forma di agricoltura possibile, ma si deve essere professionali.

    Comunque mi pare che tu abbia molti pregiudizi, cultura agronomica e non conoscenza di come èp evoluta l'agricoltura, Tu sei rimasto all'agricoltura degli anni 70/80 quando in campagna si guadagnava molto e gli input come tu li chiami costavano molto poco e la professionalità degli agricoltori lasciava molto a desiderare.

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  4. Io cerco di non giudicarla ma le sue opinioni sono senza tentennamenti e il messaggio mi pare chiaro. Però si tiene alla larga da qualche questione:il glifosate c'è o non c'è nelle falde? E se sì, come è potuto succedere? Ha funzionato tutto a dovere? Ed evitiamo il discorso del se faccia male o meno. Io non sono sicuro come lei che il convenzionale (o integrato obbligatorio) sia globalmente meno impattante del bio. Sulla seconda parte sono d'accordo, io non ho osservato le evoluzioni che ha visto lei nella sua lunga esperienza e che rende tanto interessanti i suoi post. Però la questione ambientale ho qualche volta il sentore che la consideri secondaria

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    1. mi permetto di ricordarle che nelle falde è stato trovato di tutto: dalla trielina al cromo agli idrocarburi.
      Resta da chiedersi perchè le notizie di inquinamenti di origine industriale o civile hanno vita breve, mentre quando si possono tirare in ballo gli agricoltori è tutta un'altra storia.
      Vedi anche atrazina, nitrati di origine civile, eutrofizzazione in Adriatico, etc, etc

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    2. E in questo sono d'accordissimo. Quella degli agrofarmaci è anch'essa un'industria e non delle più trascurabili. Ma non facciamo il solito discorso del "ben altri sono i veri problemi", gli inquinamenti di varie matrici si sommano, non si annullano a vicenda...

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    3. non ho detto questo, ho detto che, in generale:
      1) bisognerebbe vedere in che concentrazione è presente
      2) bisognerebbe capire da dove viene
      3) bisognerebbe rispettare le norme (che le ricordo stabiliscono condizioni assolutamente cautelative)
      Il benaltrismo lo fanno quelli che continuano a diffondere notizie di pericolosità, morte e malattia, sorvolando di proposito sulle risultanze di Efsa, OMS, Fao e letteratura

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  5. Nella falde c'è l'AMPA e non il gliphosate. L'AMPA è il primo prodotto che si forma dalla degradazione del gliphosate nel terreno. Ti ricordo che l'effetto diserbante del gliphosate non persiste nel terreno in quanto è altamente degradabile (è la caratteristica che lo ha fatto preferire a tutti gli altri diserbanti totali, specialmente l'atrazina che persisteva nel terreno).
    Ti informo anche che l'AMPA è il prodotto di degradazione di molti detersivi e non è che si possa conoscere se la molecola dall'AMPA viene da un detersivo o dal gliphosate. Secondo te si usano più detersivi o gliphosate?

    Morale della favola: Tu sei obnubilato dall'ideologia ambientalista, che è cosa ben diversa da una sana educazione ecologica che io invece possiedo, inoltre sei un gran ignorante di cose dell'agricoltura (nel senso che ignori le scienze agrarie) e quindi d'ora in poi mi rifiuto di rispondere ad ulteriori tuoi commenti fin quando non troverò un minimo di conoscenza e di documentazione scientificamente valida. Comincia a studiare e poi ne parliamo!

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    1. In effetti rispetto al glifosate, aveva ragione lei. Nelle falde non c'è ma c'è nelle acque superficiali invece sì. Questo significa che il glifosate è sì degradato dalla microflora del suolo, però viene dilavato, e nelle acque la sua degradabilità non risulta essere un granché. Nelle falde c'è il metabolita. Su questo metabolita ci sarebbe da dire che 1) non è provato che faccia male 2) deriva anche dai detersivi 3) secondo uno studio, gli impianti di depurazione urbani non sarebbero molto efficienti nel levarlo dalle acque. Il fatto dei detersivi mi era del tutto sconosciuto anche se sapevo che originariamente il glifosate doveva essere un detersivo (non so se è una leggenda metropolitana). Ho cercato di trovare dei dati sulla quantità di detersivi in grado di dare AMPA in Italia, non ho trovato. Non penso di essere obnubilato, con tutti i dubbi che ho. Però per quel che ho visto, le alternative meccaniche al diserbo non vengono prese in considerazione e il diserbo è una pratica di routine:questo secondo me rimane aberrante. Non ho visto molti erpici strigliatori in giro;eppure sono discretamente efficaci. Ho visto agricoltori alle prese con infestanti resistenti che non hanno nemmeno preso in considerazione l'alternativa alla via chimica. Il problema di base della chimica è questo:secondo me è poco diffusa la tecnica di monitoraggio per fare trattamenti solo dove davvero serve. Andrej

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