lunedì 17 ottobre 2016

Riflessioni a margine della giornata mondiale dell' alimentazione - Dal messaggio stonato di Papa Francesco ad alcune iniziative concrete

 di Luigi Mariani

 

La realtà agricola mondiale e l’interpretazione di Papa Francesco 



Domenica 16 ottobre 2016 è caduta come ogni anno la giornata mondiale dell’alimentazione, indetta dalla FAO e dedicata quest’anno al tema “Il clima sta cambiando. Il cibo e l'agricoltura anche”. Il 2016 è peraltro anche l’anno internazionale dei legumi.
Leggo dal sito della FAO, in cui la giornata mondiale dell’alimentazione viene pubblicizzata che “I più poveri del mondo - molti dei quali sono contadini, pescatori e pastori - sono stati i più duramente colpiti dal cambiamento climatico. Se rafforziamo la capacità di ripresa dei piccoli coltivatori, possiamo garantire la sicurezza alimentare per la crescente popolazione del pianeta e ridurre anche le emissioni.”

Ma sono davvero i cambiamenti climatici a fare la differenza? Non sarà invece un modello basato sull’agricoltura di pura sussistenza, insostenibile sul piano economico, ecologico e sociale (come dimostra il fatto che nei paesi sviluppati è grazie a Dio scomparso fra gli anni 50 e gli anni 70 del XX secolo) a rendere i più poveri del mondo sempre più poveri e sempre più propensi dunque a fuggire verso le città e verso i paesi delle “vacche grasse” (Stati Uniti, Europa Canada, Australia, ecc.)?
Vogliamo guardare anche ai dati statistici che la FAO stessa diffonde (qui) e che ci dicono che la percentuale di popolazione mondiale al di sotto della soglia di sicurezza alimentare non è mai stata tanto ridotta quanto oggi tanto in termini assoluti (800 milioni di individui contro i 980 milioni del 2004) che relativi (10,5% della popolazione mondiale nel 2015 contro il 35% del 1970 e il 50% del 1945)? O che le rese unitarie ettariali delle grandi colture che sfamano il mondo (mais, frumento, riso e soia) salgono a ritmi del 2-3% l’anno e che ciò avviene nei paesi ad agricoltura evoluti? O che l’agricoltura africana copre oggi solo il 50% del proprio fabbisogno alimentare a differenza di tutti gli altri continenti?
Partendo da questi dati emerge una visione diversa, non dico più ottimistica ma certamente più fattiva. Una visione secondo cui la tecnologica è oggi come non mai la strategia vincente per garantire sicurezza alimentare e che dunque va diffusa anche ai Paesi che oggi non hanno accesso alla stessa. E qui so di dire cose che sono fieramente contestate da una lobby che comprende illustri personaggi come Carlo Petrini, Ermanno Olmi, la famiglia Obama, il principe Carlo d’Inghilterra e che vengono ahimè distillate e messe a sistema da papa Francesco nel suo messaggio per la giornata mondiale dell'alimentazione 2016 (qui). 

Di tale messaggio stigmatizzo in particolare i seguenti concetti:
  1. bisogna superare le logiche del mercato e del profitto (“Dalla saggezza delle comunità rurali possiamo apprendere uno stile di vita che può aiutare a difendersi dalla logica del consumo e della produzione ad ogni costo, logica che, ammantandosi di buone giustificazioni, come l’aumento della popolazione, in realtà mira solo all’aumento dei profitti.”
  2. è il mercato che genera penuria (“abbiamo ricordato che i livelli di produzione mondiale permettono di assicurare alimenti per tutti, purché ci sia un’equa distribuzione. Ma possiamo ancora continuare su questa linea, se poi le logiche di mercato seguono altre strade giungendo a fare dei prodotti agricoli una merce qualsiasi, ad usare sempre più il cibo per scopi non alimentari o a distruggere alimenti per il solo fatto che sono in eccesso rispetto al profitto e non ai bisogni?”)
  3. non bisogna guardare più di tanto ai dati (“Dobbiamo interrogarci sulle nostre responsabilità singole e collettive senza ricorrere a facili sofismi che si nascondono dietro dati statistici o previsioni discordanti”)
  4. il principio di precauzione non basta più “perché molto spesso si limita a non permettere di fare qualcosa, mentre c’è bisogno di agire con equilibrio e onestà. Selezionare geneticamente una qualità di pianta può dare risultati impressionanti dal punto di vista quantitativo, ma abbiamo tenuto conto dei terreni che perderanno la loro capacità di produrre, degli allevatori che non avranno pascolo per il loro bestiame, e di quante risorse acquifere diventeranno inservibili? E soprattutto, ci siamo chiesti se e in che misura concorreremo a modificare il clima? Non precauzione, dunque, ma saggezza! Quella che contadini, pescatori, allevatori conservano nella memoria di generazioni e che oggi vedono derisa e dimenticata da un modello di produzione che è a tutto vantaggio di gruppi ristretti e di un’esigua porzione della popolazione mondiale. Ricordiamoci che si tratta di un modello che, con tutta la sua scienza, permette che circa ottocento milioni di persone soffrano ancora la fame.”

Rispetto a tali concetti inizierò la mia analisi critica rammentando che se il principio di precauzione fosse stato applicato dai nostri progenitori (i quali grazie a Dio se ne guardarono bene!) saremmo ancora impegnati da organizzare turni di guardia contro i grandi predatori fuori dalle caverne, ovviamente armati di clava. A fronte dell’idea contraddittoria di superare il principio di precauzione per ritornare alla saggezza egli antichi, occorre rammentare che l’agricoltura negli ultimi 100 anni ha fatto un miracolo enorme, come ci ricorda spesso da queste pagine l’amico Antonio Saltini, riuscendo a nutrire sempre meglio in quantità e qualità una popolazione mondiale passata da 1 miliardo a 7 miliardi di esseri umani in un secolo.
Questo miracolo è avvenuto grazie a logiche di mercato che hanno visto agricoltori trasformarsi da “saggi contadini” che operavano secondo obiettivi di pura sussistenza a imprenditori in grado di rifornire i grandi mercati delle città in cui moltissimi contadini si erano nel frattempo trasferiti. Se ciò non fosse accaduto, oggi non saremmo 7 miliardi poiché la grande falce maltusiana avrebbe mietuto moltissime vittime, come si è puntualmente verificato nei paesi che hanno negato le logiche del mercato come fa a cuor leggero Papa Francesco, e qui per rispetto alle vittime non posso dimenticare la Cina con i 45 milioni di morti durante il grande balzo di Mao (Bianco, 2011), la Russia con i milioni di morti durante la collettivizzazione staliniana (Glover, 1999) e più di recente la Cambogia con i 1-3 milioni di morti sotto il regime di Pol Pot (qui)..
Il mercato non dev’essere il regno della sopraffazione del più forte sul più debole ma deve fondarsi su regole che valgano per tutti e sulla protezione dei più deboli. L’esperienza del XX secolo ci insegna tuttavia che tale obiettivo non si ottiene adottando bolsi schemi vetero-marxisti o vetero-ambientalistici e rinunciando alla grande messe di strumenti tecnico scientifici in campo socio-economico e agronomico (penso a quelli disponibili presso le Università Cattoliche) che sono oggi indispensabili per interpretare al giusto livello di approfondimento, e migliorare dove ciò occorra, una realtà complessa e multiforme come il sistema agricolo-alimentare mondiale.

Mantenere aperte le vie dell’innovazione tecnologica

Ragionare di tecnologia in agricoltura significa oggi riportarci alle radici della produzione vegetale per ottimizzare l’uso delle risorse (termiche, idriche, nutrizionali, a partire dalla nutrizione carbonica e azotata) e minimizzare le limitazioni (temperature estreme, siccità, eccesso idrico, ecc.).
Per fare ciò si deve agire sui due versanti della genetica e delle agrotecniche. Sul versante della genetica occorrono nuove varietà in grado di meglio sfruttare le risorse, a iniziare dai maggiori livelli atmosferici di CO2, che oggi a parità di limitazioni garantiscono il 20-40% in più di produzione rispetto al periodo pre-industriale. Sempre la genetica ci può offrire varietà in grado di meglio resistere alle limitazioni (siccità, ondate di caldo e di freddo, vento forte, salinizzazione, ecc.).
Circa le agrotecniche si pensi all’insieme di tecniche colturali che vanno dalle sistemazioni idraulico-agrarie alle tecniche di sistemazione del letto di semina, concimazioni, trattamenti, diserbi, raccolta. Il tutto può essere oggi orientato in chiave conservativa, di precisione e di difesa integrata, che poi sono le tecnologie di punta disponibili a livello mondiale per garantire la sostenibilità economica e ambientale di un’agricoltura che nel 2050 sarà chiamata a nutrire più di 9 miliardi di abitanti.
Occorre inoltre mettere a punto tecnologie di post-raccolta che limitino le perdite enormi che oggi si registrano in particolare nei paesi più arretrati, ove ad esempio manca energia e dunque non c’è la catena del freddo e mancano gli antiparassitari per combattere i nemici delle derrate (topi, insetti, ecc.).

Problemi fondiari, di trasferimento tecnologico e di sovranità alimentare

Mantenere aperte le vie dell’innovazione tecnologica non può prescindere dall’affrontare il problema fondiario, del trasferimento tecnologico e della sovranità alimentare, che grande rilevanza assumono nei paesi ad agricoltura più arretrata.
Il problema fondiario è oltremodo diverso da Paese a Paese e in moltissimi casi tarpa le ali a qualunque volontà innovativa dei singoli agricoltori. In proposito mi limito a ricordare quanto scriveva Stuart Mill (1846) a proposito della grande carestia d’Irlanda, citando il grande agronomo inglese Arthur Young, “date a un uomo il sicuro possesso di una nuda roccia e la trasformerà in un giardino; dategli in affitto un giardino per nove anni, e lo trasformerà in un deserto”.
Circa il problema del trasferimento tecnologico mi limito a ricordare che per fare in concreto sviluppo agricolo occorre confrontarsi con comunità locali estremamente diversificate, per cui ricette pre-confezionate sono soggette a elevatissimi rischi di insuccesso.
Circa infine il tema della sovranità alimentare, ricordo che l’Europa ha fondato su questo concetto le politiche agricole di questo dopoguerra. In tal senso finché i Paesi africani dovranno dipendere da Paesi terzi per garantire la propria sicurezza alimentare non saranno mai veramente liberi, per cui sono cruciali i temi del trasferimento tecnologico e del regime fondiario per portare tali Paesi a un obiettivo strategicamente così essenziale.


Due iniziative concrete: il progetto C3S e il seminario sulle leguminose da granella

In tema di cooperazione allo sviluppo segnalo il progetto C3S (Produzione di cibo appropriato: sufficiente, sicuro e sostenibile - qui e qui) coordinato dal professor Giuseppe Bertoni dell’Università Cattolica di Piacenza e della Fondazione Romeo ed Enrica Invernizzi. Tale progetto, posto in essere grazie a una vasta messe di sponsor, mira a coinvolgere le comunità locali in un processo d’Innovazione partecipato e che trasferisce tecnologie in modo graduale e con l’aspirazione a creare strutture fondiarie adeguate anche per mezzo della diffusione della cooperazione. Il progetto, che vede oggi attivi due centri in India e Repubblica Democratica del Congo, è descritto nel libro a cura di Giuseppe Bertoni “Produzione e uso del cibo – sufficienza, sicurezza e sostenibilità” (2015) ed è stato illustrato in un convegno tenuto a Piacenza il 9 ottobre scorso per iniziativa dell’Associazione Necchi dei Laureati della Cattolica.
Sempre sul tema della sicurezza alimentare segnalo il seminario Leguminose da granella organizzato da Museo Lombardo di Storia dell’Agricoltura, Società Agraria di Lombardia, Fondazione Morando Bolognini e Accademia del georgofili –sez. Nordovest. Il seminario si è svolto venerdì 14 ottobre 2016 a Sant’Angelo Lodigiano e, partendo da una robusta base storica, ha affrontato i temi del miglioramento nella genetica e nelle agrotecniche che possano garantire una maggiore spazio nelle nostre diete per i prodotti di queste colture. In tale sede si è anche discusso della possibilità di lanciare un progetto internazionale per la valorizzazione a tutti i livelli, dal campo alla tavola, di queste importanti colture. I PDF delle relazioni sono disponibili al sito (qui).


Conclusioni 
In sintesi dunque se da un lato c’è chi a ogni piè sospinto paventa catastrofi con il concreto rischio di far assumere ai governi decisioni strategicamente deleterie e di annichilire nei giovani ogni volontà di fare per risolvere i problemi globali tutt’ora presenti, dall’altro vi sono ancor oggi iniziative e che mirano a trovare soluzioni concrete ai problemi. Credo occorra essere a favore di queste ultime e soprattutto non perdere mai la speranza. 


Bibliografia

Bertoni G., 2015. Produzione e uso del cibo – sufficienza, sicurezza e sostenibilità, Fondazione Romeo e Enrica Invernizzi e EGEA spa, 154 pp. 

Bianco L., 2011. Frank Dikötter, Mao’s Great Famine, The History of China’s most devastating catastrophe, 1958-62, China Perspectives [Online], 2011/2, Online since 30 June 2011, connection on 16 February 2015. URL: qui  
Cinnella E., 2015. 1932-33: Ucraina, il genocidio dimenticato Della porta editori, 302 pp.  
Glover J., 1999. Humanity, a moral history of the twentieth century, Pimlico, 466 pp. 
Stuart Mill John, 1846. Articolo pubblicato il 26 ottobre sul Morning cronicle, in An Gorta Mór - La Grande carestia irlandese (1845-1850), Scritti di Carlo Cattaneo e John Stuart Mill, Fondazione Ivo de Carneri Onlus, Collana Fronte-Retro, 2016, 157 pp.

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Luigi Mariani Docente di Storia dell' Agricoltura Università degli Studi di Milano-Disaa, condirettore del Museo Lombardo di Storia dell'Agricoltura di Sant'Angelo Lodigiano. E' stato anche Docente di Agrometeorologia e Agronomia nello stesso Ateneo e Presidente dell’Associazione Italiana di Agrometeorologia.

2 commenti:

  1. Meno male che dopo 53 anni dalla mia laurea in questo ateneo, sento ancora sintonia con ciò che mi hanno insegnato e su ciò che ci si prefigge di fare in senso cristiano.

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  2. Bellissimo articolo, chiaro anche per un profano. Possibile che il Santo Padre non abbia mai sentito parlare dell'Università Cattolica? Se ci sono cattolici così illuminati, come può il Sommo Pontefice lasciarsi condizionare da spot televisivi?

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