di Sergio Salvi
È stato appena pubblicato “Valutazione del rischio di estinzione dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali delle Marche”, un libro che illustra e riassume i risultati di uno studio che ho compiuto recentemente in collaborazione con l’Accademia Georgica di Treia e grazie al contributo della Camera di Commercio di Macerata, dedicato a quello che forse è il più sfuggente tra i vari gruppi di prodotti appartenenti alla tradizione agroalimentare italiana.
Riconosciuti dal Decreto Legislativo n. 173 del 30 aprile 1998, i prodotti agroalimentari tradizionali italiani (PAT) sono quelli “le cui metodiche di lavorazione, conservazione e stagionatura sono praticate sul territorio in maniera omogenea e secondo regole tradizionali, protratte nel tempo per un periodo non inferiore ai venticinque anni”. La stessa legge giustifica la creazione di questa categoria di prodotti tipici “orfani di marchio” (DOC, DOCG, DOP, IGP, IGT e via discorendo) con la finalità, da un lato, di porli in evidenza rispetto al resto del mercato comune europeo e, dall’altro, di favorire la promozione e la diffusione delle produzioni agroalimentari italiane tipiche e di qualità nell’ambito di un programma integrato di valorizzazione del patrimonio culturale, artigianale e turistico su scala regionale e nazionale.
Ogni anno, le singole regioni italiane aggiornano l’elenco di questi prodotti, redigendo delle apposite schede informative per ciascuna new entry ed eliminando dalla lista i prodotti nel frattempo evoluti a marchio (DOP, IGP e simili). I 20 elenchi regionali così prodotti sono quindi riuniti in quella che prende il nome di “revisione” dei prodotti agroalimentari tradizionali nazionali.
Ciò che colpisce, ad un primo esame di questo elenco, è la congerie di prodotti in esso presenti: si spazia, infatti, da vere e proprie eccellenze fino a delle plateali banalità. Nel caso delle Marche, troviamo prodotti sì pregiati e peculiari come il visner di Pergola, il gobbo di Trodica o il salame di Frattula, ma posti accanto alla generica salsiccia, al generico guanciale o alle altrettanto ubiquitarie sfrappe di Carnevale (chiamatele pure chiacchiere, bugie ovvero usando uno qualsiasi tra le decine di nomi con cui sono conosciute e consumate in tutta Italia). In altre parole, specialità davvero caratteristiche di una regione vivacchiano accanto a prodotti sicuramente legati alla tradizione regionale, ma fatti nello stesso modo e con gli stessi ingredienti in tutto il resto d’Italia. Perchè, allora, non ridurre il numero dei prodotti, eliminando i più generici e lasciando quelli dotati di requisiti genetico-biologici e territoriali più stringenti, integrando man mano con gli altri prodotti pregiati - e sarebbero molti - non ancora inclusi nella lista?
A parte le suddette considerazioni, l’aspetto fondamentale che lo studio ha inteso indagare è quello relativo allo “stato di salute” che caratterizza ciascuno di questi prodotti sul piano economico-commerciale. La stabilità commerciale rappresenta una nozione irrinunciabile da conoscere per poter comprendere la reale consistenza di questi prodotti, ma non è mai stata inclusa nelle schede descrittive dei PAT nè fatta oggetto di valutazione e di monitoraggio periodico. È infatti mia convinzione, già espressa in altri miei lavori, che un “prodotto tipico” sopravvive non perchè si fregia di una “intoccabilità” derivante dall’essere “tipico”, ma solo se possiede un proprio mercato, seppure di nicchia, che lo mantiene in vita. Da qui l’interesse a svolgere uno studio sul rischio di estinzione potenziale a cui questi prodotti - peraltro non protetti né pubblicizzati da marchi di origine o di qualità - sono esposti.
La questione appare rilevante soprattutto per quei PAT - e solo nelle Marche ne sono stati individuati almeno 24 su un totale di 151 - che appaiono dotati di peculiarità genetico-biologiche tali da unire, ad un’eventuale scomparsa del prodotto per carenza di mercato, anche la perdita di biodiversità, un rischio che di certo non corre una banale focaccia preparata con l’acqua e la prima farina che capita tra le mani.
L’analisi finale parla chiaro: i prodotti agroalimentari tradizionali marchigiani a rischio di estinzione (se non già di fatto scomparsi, pur continuando ad essere mantenuti artificialmente in vita nell’elenco) sono 12 (pari all’8%), mentre ben un prodotto su tre presenta un’affermazione economico-commerciale di tipo borderline: vivacchia, cioè, camminando in equilibrio sull’orlo del baratro, con un mercato che da un momento all’altro - magari complice la chiusura dell’unica azienda che lo produce e lo vende - può decretarne lo sprofondamento nel burrone. Tuttavia, il mercato di ciascun prodotto borderline potrebbe anche decollare previo opportuno investimento in termini sia economici che di idee imprenditoriali capaci di riproporlo e valorizzarlo adeguatamente.
Infine, vi è l’aspetto forse più interessante emerso da questo studio, ossia le molteplici chiavi di lettura della complessa realtà dei prodotti agroalimentari tradizionali. Queste chiavi di lettura, tanto per fare qualche esempio, raccontano di prodotti che spariscono dai territori, ma anche di “territori che spariscono dai prodotti” (come nel caso del Marrone del Montefeltro, una varietà di castagna che, di fatto, non può più dirsi marchigiana da quando il territorio dell’Alta Valmarecchia, dove è dislocato il nucleo produttivo del Marrone, è passato sotto la provincia di Rimini a seguito di referendum popolare nel 2009, lasciando alle Marche solo gli alberi sparpagliati nell’entroterra montano). Raccontano pure del ruolo di alcune aziende che, uniche a promuovere certi prodotti, assurgono anche al ruolo di depositarie di una cultura agroalimentare anch’essa a rischio di estinzione. Ma parlano anche di altre aziende che potrebbero nascere se solo si traesse l’ispirazione da chi, operante nelle regioni confinanti, sta tuttora puntando su business basati su prodotti pregiati comuni anche al patrimonio agroalimentare tradizionale delle Marche (perchè gli altri sì e noi no?).
Il messaggio finale, che secondo la mia opinione potrebbe essere esteso anche alle altre regioni, è il seguente: meno PAT - ma più specifici - e più monitorati sul piano economico-commerciale.
L’auspicio è che una riforma di questo particolare gruppo di prodotti serva a dare seguito a quella promozione e diffusione delle produzioni agroalimentari italiane tipiche e di qualità, agganciata alla valorizzazione del patrimonio culturale, artigianale e turistico, che la legge istitutiva dei PAT si proponeva di perseguire.
[ Per informazioni sul libro contattare direttamente l’autore scrivendo a: sergiosalvi@hotmail.com ]
Bibliografia
Salvi S., 2014. Alle origini del concetto di prodotto tipico: il caso del grano di Rieti, Proposte e ricerche, vol. 73, pp. 205-208.
Salvi S., 2016a. Varietà storiche di frumento e origine del concetto di prodotto tipico, In: Di Stefano E., Gentilucci, C. E. (a cura di), Risorse e territorio. Cibi, colture, sperimentazioni nell’Appennino centrale tra medioevo e contemporaneità, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, pp. 83-96.
Salvi S., 2016b. Valutazione del rischio di estinzione dei prodotti agroalimentari tradizionali delle Marche, Accademia Georgica Treia.
Sergio Salvi
Laureato in Scienze Biologiche presso l’Università di Camerino, nel corso della sua attività di ricercatore si è occupato di genetica lavorando presso Enti di ricerca pubblici e privati. Attualmente svolge attività di ricerca e divulgazione storico-scientifica su tematiche riguardanti il settore agroalimentare e la genetica agraria in particolare (biografia storico-scientifica di Nazareno Strampelli, origine ed evoluzione delle varietà tradizionali di frumento e del concetto di prodotto tipico, recupero di varietà agrarie d’interesse storico).È socio corrispondente della Deputazione di Storia Patria per le Marche.
Laureato in Scienze Biologiche presso l’Università di Camerino, nel corso della sua attività di ricercatore si è occupato di genetica lavorando presso Enti di ricerca pubblici e privati. Attualmente svolge attività di ricerca e divulgazione storico-scientifica su tematiche riguardanti il settore agroalimentare e la genetica agraria in particolare (biografia storico-scientifica di Nazareno Strampelli, origine ed evoluzione delle varietà tradizionali di frumento e del concetto di prodotto tipico, recupero di varietà agrarie d’interesse storico).È socio corrispondente della Deputazione di Storia Patria per le Marche.
Venerdi 2 dicembre 2016, a partire dalle ore 9.30, presso l'ITAS "Giuseppe Garibaldi" di Macerata saranno presentati i risultati della ricerca "Valutazione del rischio di estinzione dei prodotti agroalimentari tradizionali delle Marche". Seguirà la locandina dell'evento.
RispondiEliminaLinks dai quali si possono scaricare informazioni e materiali relativi alla ricerca e all'evento di presentazione del 2 Dicembre:
RispondiEliminahttp://www.accademiageorgica.it/attivita/attivitarealizzate/12-studioPAT.html
http://www.accademiageorgica.it/eventi/2016/studioPAT.html