di Albero Guidorzi
arnia |
figura-1
figura-2 |
Per chi tra i lettori non è pratico di allevamento di api diciamo che è normale che all’uscita dell’inverno il numero di api sia minore di quando in autunno si sono rinchiuse nell’alveare. Il clima più o meno rigido invernale ne è la causa principale. Evidentemente i rigori invernali sono legati alla latitudine e quindi morie del 15-20% sono normali in Canada, mentre ad esempio in Italia la normalità si situa intorno al 5-8%. In queste percentuali, però bisogna comprendere anche la morte per fame che avviene se non si integra la quantità di alimenti che l’ape si è procurata ed ha stoccato nella stagione dei voli. Ormai il cambiamento degli scenari agricoli, nel senso della diminuzione di piante mellifere, ha evidenziato di più il fenomeno.
Dagli anni 1980 in poi si sono, però, aggiunti vari altri fattori che hanno influito sulla moria delle api e tra questi vi sono due malattie causa di vere e proprie distruzioni totali di colonie: La varroa (un acaro che succhia l’emolinfa e che è apportatore anche di virus parassiti delle api) e la nosema (un fungo microscopico). Inoltre vi è da dire che la Varroa non ha mai colpito fino al 1960 l’Apis mellifera o ape europea, La malattia era presente solo sull’Apis cerana o ape asiatica. Solo che la volontà produttivistica (e poi s’incolpa solo l’agricoltura di questa tendenza…) scaturita dall’aumento della popolazione umana e dalla sua volontà di migliorare la dieta ha permeato anche gli apicoltori occidentali in questa pressante ricerca di poter produrre più miele per aumentare le vendite o affittare più arnie per l’impollinazione ortofrutticola. Si è quindi proceduto ad importazioni, senza la necessaria cautela, di api asiatiche (specialmente di api regine) che hanno contaminato con l’acaro parassita tutta l’Europa e l’America del Nord. Attualmente solo l’Australia è risparmiata da questo pericoloso parassita. Comunque lo scenario veritiero degli “accidenti gravi” che incombono sulle api attualmente è quello dianzi delineato e mi pare che ve ne sia abbastanza per essere preoccupati della sanità degli alveari e delle cure enormemente aumentate che devono praticare gli apicoltori se vogliono salvaguardarli; cura, si badi bene, che questi sono obbligati a fare anche con pesticidi (acaricidi ad esempio) che, ribadiamolo, non sono certo degli elisir di lunga vita per le api. Lo schema sotto riportato mostra la caterva di nemici naturali delle api domestiche:
Intanto in agricoltura abbiamo assistito ad una evoluzione (oserei dire rivoluzione) dei fitofarmaci insetticidi che è andata sempre più affinandosi per diminuire gli effetti tossici e l’impatto ambientale. Dagli Organoclorurati come il DDT, molto persistenti, si è passati agli Organofosforici (molto tossici per i mammiferi e poco persistenti) poi ai Carbammati (tossici e moderatamente persistenti) ed infine agli insetticidi sintetizzati copiando la struttura molecolare di sostanze insetticide di origine vegetale quali il piretro e la nicotina e che per questo sono raggruppati nella classe dei “piretroidi” e dei “neonicotinoidi”. Sono stati creati appositamente per eliminare i difetti delle sostanze naturali, il piretro agisce come il DDT ed ha un’azione immediata, ma è scarsissimamente persistente, la nicotina e un potentissimo veleno di prima classe come si vedrà sotto. Ora organoclorurati, organo fosforici e carbammati sono stati in gran parte proibiti, sostituendoli appunto con le ultime due classi suddette.
Infatti, se prendiamo in considerazione la classificazione in funzione del DL50, vale a dire la dose letale che uccide il 50% degli animali in prova (ratti e conigli) gli insetticidi si suddividono in classi di tossicità (I,II,III,IV) rispetto ai mammiferi: ad esempio gli organo fosforici sono di “1ªclasse” cioè i più tossici e in questa classe dobbiamo includere la nicotina; il DDT è di “2ª Classe” e solo alcuni Carbammati sono di “3ª Classe”, mentre altri sono di 1ª. La “4ª Classe” comprende i prodotti meno tossici o addirittura non tossici. A questi si fanno ascrivere gli insetticidi di origine vegetale, ma se per il piretro è vero, per la nicotina abbiamo visto che non è così. In conclusione il piretro (usato anche in agricoltura biologica) è poco tossico per i mammiferi, ma lo è per gli insetti e inoltre è scarsamente persistente (fotolabile e dilavabile) ed è questo che salva le api e non perché non è tossico, mentre la nicotina è impensabile riportarla in uso. La ricerca chimica ha quindi deciso di prendere a modello queste molecole insetticide naturali, ne ha studiato il meccanismo d’azione, cercando di lasciarlo intatto per conservarne l’efficacia nella protezione dei coltivi, ma nello stesso tempo ha sperimentato come eliminare i difetti: nel piretro vi era da eliminare la labilità pur mantenendone un buono spettro di tossicità, mentre nella nicotina occorreva togliere l’estrema tossicità e aumentarne la persistenza. Lo scopo è stato raggiunto e nei fitofarmaci si è formata appunto la classe dei “piretrodi” e quella dei “neonicotinoidi” di sintesi che per i mammiferi sono in molti casi classificabili come praticamente non tossici. Altra caratteristica peculiare è che si sono ridotte enormemente anche le dosi senza intaccarne l’efficacia. Certamente non si poteva renderli non tossici per gli insetti visto che dovevano essere proprio loro il bersaglio da colpire.
Purtroppo
tra gli insetti sono comprese anche le api e queste non potevano
essere escluse dall’azione venefica se si voleva che questi
prodotti di trattamento avessero efficacia su altri parassiti
devastatori dei raccolti agricoli. Altra categoria di viventi che
non si è potuta escludere dalla tossicità è la fauna acquatica.
Tuttavia con il rispetto delle norme (non trattare vicino ai corsi
d’acqua e non intervenire durante la fioritura delle piante) si
riesce ad ovviare a danni verso animali acquatici e insetti pronubi
(api incluse). Insomma un fitofarmaco, come anche le medicine che
l’uomo ingerisce, non può mai essere un “elisir di lunga vita”,
ma si possono evitare danni rispettando appieno le prescrizioni.
Chi
dice, quindi, che oggi l’agricoltura avvelena dovrebbe documentarsi
per verificare che in mezzo secolo si sono fatti passi giganteschi in
fatto di sicurezza ed inoltre se eliminiamo i più moderni di questi
fitofarmaci saremo obbligati a riusare molecole ormai dismesse, ma a
tossicità ed impatto ambientale molto più elevato. Al riguardo
basti riflettere sul fatto che i primi insetticidi usati in
agricoltura contenevano sostanze come il piombo e l’arsenico che
permanevano indefinitamente in natura.
Un
esempio lo abbiamo quest’anno in Francia dove il Ministro
dell’agricoltura su pressione di movimenti ambientalisti ha
proibitivo l’uso dell’insetticida dimetoato (un organofosforico)
che con un trattamento solo difendeva le ciliegie dalla Drosophila
suzukii, un piccolo dittero venuto dall’Asia e che depone le uova
nelle ciliegie facendovi nascere un vermiciattolo all’epoca della
maturazione del frutto (l’Italia non ne è esente e le zone
cerasicole lo sanno bene). La proibizione ha dunque obbligato i
produttori di ciliegie a ricorrere a prodotti di trattamento
sostitutivi, ma meno efficaci, tanto che hanno dovuto trattare almeno
5 volte nello spazio di 20 giorni. Hanno usato dei prodotti
sostitutivi consentiti, ma non neutri verso gli insetti non bersaglio
come le api e le cicale, tanto che il Prefetto del Vaucluse ha
inviato una relazione dicendo che nella zona api e cicale erano
praticamente sparite.
Ritornando
ai neonicotinoidi dobbiamo dire che per molte colture si è da tempo
affermata la pratica della semina di precisione affinché si
sviluppi una pianta che arrivi a dar frutto. E’ ben comprensibile
che in questo contesto la pianta vada difesa fin da quando germina
ed è una giovane piantina esposta a più pericoli gravi per la sua
sopravvivenza. In tal senso i neonicotinoidi si prestarono benissimo
ad essere usati per rivestire i semi difendendoli così nelle prime
fasi di maggiore vulnerabilità.
Ecco che
coltivazioni come il mais, il colza, la bietola da zucchero, girasole
e molte piante orticole subiscono questo trattamento di disinfezione
preventiva. Il prodotto inoltre entra nelle parti verdi della pianta
e rimaneva colà confinato e attivo fino ad un certo periodo di
crescita della pianta.
In
conclusione tutte le colpe di un fenomeno complesso quale è la moria
delle api cominciò ad essere scaricato solo sui neonicotinoidi, come
se, aboliti questi, potessero cominciare a scorrere fiumi di miele.
Inoltre nessuno studio serio mostrava inequivocabilmente che la causa
della moria delle api fosse da imputare principalmente ai
neonicotinoidi.
Anche in
tutte le altre parti del mondo era stato assodato che i
neonicotinoidi non erano benefici per le api, ma si era altresì
consci di sue dati di fatto:
1. vi
erano sufficienti margini di sicurezza se i neonicotinoidi erano
impiegati con criterio
2.
l’attenzione andava posta prioritariamente a fattori di rischio ben
più rilevanti nel causare la moria delle api (sanità degli alveari,
selezione delle regine, integrazione dell’alimentazione).
Ecco un
esauriente relazione:
qui
Pertanto
a nessuno al mondo venne in mente di interdire i neonicotinoidi se
non all’Europa che con un provvedimento del 24/5/2013, non unanime
e con evidenti fini politico-elettoralistici, pensò di abolire l’uso
dei neonicotinoidi nella concia delle sementi, in previsione di fare
il punto dopo due anni, cioè a metà 2015, grazie alle risultanze
del lavoro di una apposita commissione. Quest’ultima tuttavia è
stata insediata solo ad inizio 2016 e potrà dare una risposta nel
2017 e dunque i due anni sono divenuti 4 e non è nella più totale
incertezza su cosa capiterà dopo. Si consideri peraltro che nella
stragrande maggioranza dei casi chi ha voluto questo non sono stati
gli apicoltori ma le associazioni ambientaliste. Infatti, sono
proprio gli apicoltori singoli, cioè i diretti interessati, ma le
associazioni apicole, e che hanno ben altri fini, viste le alleanza
con i movimenti antifitofarmaci usati in agricoltura, che non fanno
la battaglia prioritaria per l’abolizione di questa classe di
fitoarmaci (al massimo gli apicoltori la fanno per un uso più
responsabile); che lo evidenzia è questa inchiesta fatta in Canada
nelle varie province, compreso l’Ontario che è l’unica che ha
preso qualche provvedimento per limitare i neonicotinoidi; da notare
che in Canada è diffusissima la coltivazione di colza e che questa è
per l’80% seminata con semi protetti da neonicotinoidi e i fiori di
colza sono grandemente visitati dalle api. Non vi è un apicoltore
canadese interpellato circa i fattori di rischio per le api che parli
di neonicotinoidi, mentre invece sono spesso citate la mancanza di
cibo, le condizioni meteorologiche, la qualità delle regine, la
scarsa popolazione di api già in autunno e soprattutto le malattie.
Qui una tabella delle risposte date dagli apicoltori canadesi circa
la moria delle loro api:
Fonte qui
Anche in
USA, uno studio preliminare l’EPA ( l’Agenzia per la protezione
ambientale) dice che dai neonicotinoidi che proteggono le sementi
deriva un pericolo marginale. qui
In
Europa per ora i dati dicono che sul numero delle api non vi è stato
nessun disastro fino al 2013 (vedi grafico sopra), eppure i
neonicotinoidi sono in uso sulle sementi da inizio 2000. Tuttavia,
dobbiamo far presente che, essendo ormai vicini al 2017, cioè la
data di valutazione dell’effetto della proibizioni dei
neonicotinoidi sulle sementi, è già cominciato il fuoco di
sbarramento. La rivista “Nature”,
che dimostra di prestarsi anche lei a pubblicare lavori ancora molto
interlocutori e non definitivi, viene dal pubblicare uno studio
inglese
(qui)sul rapporto tra
mortalità degli insetti impollinatori e l’uso dei neonicotinoidi e
su cui si è subito scatenata un’azione di lobbing. Se ben
analizzato è uno studio complesso ed infarcito di acrobazie
intellettuali e statistiche che mostrano una correlazione, frutto
anche di una previsione ricavata dall’uso di un modello matematico.
Solo che di correlazioni se ne possono trovare infinite che però non
dimostrano nulla. Esemplare la correlazione che lega gli errori di
ortografia al numero di scarpa: essi tendono a calare man mano che
cresce l’età, cioè con l’aumento della scolarità, solo che con
l’età cresce anche la lunghezza del piede e di conseguenza il
numero di scarpa. Tutto ciò potrebbe portare a far desumere che il
“genio” dell’ortografia stia nei piedi !!!!. Ebbene dello
studio se n’è già impadronito ad esempio il giornale francese “Le
Monde” che ha titolato: “i pesticidi triplicano il tasso di morte
degli insetti pronubi”; il che dallo studio non risulta e
d’altronde il capofila degli autori dello studio (M. Woodcock)
ne fa una disamina molto più onesta dicendo: “più
colza si coltiva e più insetti pronubi ne visitano i fiori, solo che
la coltura del colza non si può fare senza l’uso di pesticidi fin
dall’emergenza dal terreno delle giovani piante, e questa è la
realtà. Quindi se si deduce dallo studio che bisogna abolire i
neonicotinoidi, sicuramente gli agricoltori useranno un altro
pesticida irrorandolo e questo oltre ad influenzare gli insetti
pronubi verrà dilavato ed andrà a contaminare le acque, quindi non
mi pare saggio dire salviamo le api e tutto il resto vada al
diavolo”. Vedi quanto
detto sopra circa la protezione delle ciliegie, oppure si valuti la
dannosità maggiore dei piretroidi (non proibiti) che sono usati
diffusamente sia in agricoltura che in giardinaggio o per uso
domestico.
Conclusione:
L’Europa vive un’epoca di vero e proprio oscurantismo, rifiuta le
sementi OGM, priva gli agricoltori, che, tra l’altro, si dimostrano
sempre più ignavi, di strumenti validissimi per una conduzione a
minor impatto ambientale possibile, come lo è l’uso dell’erbicida
glyphosate e della pratica di protezione dei seminativi fin dal loro
impianto con insetticidi meno tossici. Ma ciò che è più grave è
che si prendono decisioni senza che la scienza abbia emesso un
verdetto definitivo . Il solo principio
di precauzione,
trasformato in “principio
di proibizione”
tout court, è la bussola smagnetizzata che guida le scelte. Quando
avverrà che la realtà delle cose farà pagare il conto ai cittadini
europei per questo comportamento da struzzi? Io non so prevedere
quando, ma so certamente che quando ciò avverrà saranno solo
rimpianti per decisioni che a quel punto saranno già state pagate a
caro prezzo.
Agronomo.
Diplomato all' Istituto Tecnico Agrario di Remedello (BS) e laureto in
Scienze Agrarie presso UCSC Piacenza. Ha lavorato per tre anni presso
la nota azienda sementiera francese Florimond Desprez
come aiuto miglioratore genetico di specie agrarie interessanti
l'Italia. Successivamente ne è diventato il rappresentante esclusivo
per Italia ; incarico che ha svolto per 40 anni accumulando così
conoscenze sia dell'agricoltura francese che italiana.
Lei non smentisce in nessun modo la correlazione riportata dall'articolo di Nature. Non tutte le correlazioni di cui non si comprende il meccanismo sottostante, e che magari non ci piacciono, sono false. I metaboliti del glifosate si trovano nelle acque (vedasi ottimo rapporto Ispra su pesticidi nelle acque) ; non è dimostrato che facciano male ma se lei dovesse scegliere tra un acqua col metabolita e una senza, quale sceglierebbe di bere nei decenni? Questi prodotti sono molto potenti; messi in mano all'agricoltore medio, sono come pistole date a un bambino. Il problema è che l' agroindustria non ha interesse a ridurre l'uso di questi prodotti, a promuovere pratiche alternative valide, a sperimentarle e capirne bene il funzionamento. E in un paese come l'Italia dove la sperimentazione pubblica non esiste o se esiste si occupa di dettagli e gingilli per radical chic, come giustamente e contro corrente il blog denuncia, la sperimentazione e la formazione dell'agricoltore la fa il tecnico che vende il prodotto se non addirittura il banconiere del consorzio. Non so se lei abbia visto questo, ma tenere presente il caso dell'atrazina, per esempio, renderebbe i suoi appassionati post più robusti. Andrej
RispondiEliminaE c'è un ulteriore aspetto:esistono le specie dei pronubi selvatici di cui conosciamo poco la biologia e la funzione ecologica, non solo le api allevate. Infine le chiedo un'opinione sul piano Ecophyto per la riduzione dei fitofarmaci e sull'approccio francese alla direttiva europea
RispondiEliminaDeciditi: facciamo agricoltura o facciamo apicoltura? L'apicoltura può benissimo sopravvivere ad un'agricoltura professionale, infatti non è morta neppure quando, ma 30 annni fa e più, si sono fatte le mattane di distribuire fitofarmaci molto più pericolosi ed in dosi massive. Quando si parla di un prodotto occorre conoscerlo e non farne uno spauracchio da caccia alle streghe come ne fai tu. Il gliphosate ha una tossicità che è pari a quella del sale quando lo si usa per diserbare.
RispondiEliminaIl CIRC è stato smentito da tutti gli istituti di ricerca e dai più importanti organismi statali di difesa del consumatore.
In questa rubrica si parla solo se documentati tutti gli altri commenti li classifichiamo come "pareri da bar sport".
E allora cuociti la pasta con gliphosate.
EliminaIl piano ecophito non permette di fare agricoltura e produrre cibo. Prendi l'esempio delle ciliegie e del dimetoato nel 2016.
RispondiEliminaMi documenterò! Nessuna caccia alle streghe:lo ha trovato l'Ispra in Lombardia (unica regione in cui si sono fatte queste ), mica io o i ghostbusters. Le mattane che lei dice non sono senza conseguenze anche attuali. I bar sport non sempre portano citazioni a fondo pagina ma compensano qualche volta con l'apertura mentale. Ho dei dubbi che sul glifosate si avessero informazioni sufficienti per il buon uso; qualora se ne avessero, ho dei dubbi che siano arrivate a tutti gli utilizzatori; qualora siano arrivate, ho dei dubbi che tutti abbiano ritenuto sensato applicarle. Perché se no me lo spiega lei com'è arrivato nelle falde? L'apicoltura, al netto di presunte citazioni di Einstein, è effettivamente un indicatore ecologico. Se lo sciame perso lo reintegri, non altrettanto si può fare con i pronubi selvatici di cui non si conosce la biologia.
RispondiEliminaLe impressioni sono come le correlazioni! Non hanno nessuna validità scientifica finchè non vi è una conferma sperimentale valida. Citami per favore le conferme sperimentali. Lo studio dell'Ispra non ha validità scientifica perchè inadeguato come percorso sperimentale.
RispondiEliminaciao
RispondiElimina.
.