di Alberto Guidorzi
Ho analizzato la pubblicazione del MIPAF che riferisce la situazione della filiera del biologico nel 2013 e che è reperibile al link (qui). Rispetto ai dati presentati, l’analisi riassuntiva del Ministero non fa una grinza quando recita che:“ gli operatori biologici certificati in Italia al 31 dicembre 2013 sono 52.383 (erano 49.709 al 31 dicembre 2012). Rispetto ai dati riferiti al 2012 si rileva quindi un aumento complessivo del numero di operatori bio del 5,4%. In aumento anche la superficie coltivata secondo il metodo biologico, che risulta pari a 1.317.177 ettari (erano 1.167.362 nel 2012), con una crescita complessiva, rispetto al 2012, del 12,8%. Anche sul fronte del consumo interno i dati diffusi dal ministero, su rilevazione del Panel famiglie Ismea/Gfk-Eurisko nei primi cinque mesi del 2014, portano il segno positivo, grazie a una spesa di prodotti confezionati a marchio bio nel canale della Gdo ancora in espansione con addirittura un +17,3% in valore rispetto allo stesso periodo del 2013. Circa le produzioni animali gli incrementi sono ancora maggiori: +38,7% del numero dei capi equini, +31,4% del numero di capi di altri animali.
Tabella 1 – Superfici e colture in agricoltura biologica al 31/12/2013
(valori in ettari) (fonte: MIPAF).
* agli ortaggi
sono accorpate le voci "fragole"
e “funghi coltivati"
** la frutta comprende
"frutta da zona temperata", "frutta da zona
subtropicale", "piccoli frutti"
I dati per quanto riguarda operatori e Regioni sono riportati nella tabella 1 del succitato link, dove si fa anche la distinzione tra: “produttori esclusivi” (pari a 41.513 e che quindi dovrebbero essere gli agricoltori, ma vi è subito da dire che un’azienda agricola può avere anche solo una parte della superficie aziendale adibita alla produzione biologica, seppure la superficie non biologica sia praticamente contigua a quella biologica), “preparatori esclusivi” (6.154), produttori/preparatori (4.456) e importatori (260). Il totale è di 52.383, in aumento rispetto al 2012 di 2.674 unità pari al 5,4%.
Ai fini della presente nota, però, ci interessa enucleare solo il “dato agricolo” e non il “dato di filiera” e quindi ci interessano solo i produttori esclusivi e i produttori preparatori, nel senso che i primi sono agricoltori che producono e vendono ai preparatori, mentre i secondi assumono ambedue le figure. Ecco che allora il dato da tenere in considerazione per la disamina che faremo è da diminuire a 45.969.
Figura 1 – Andamento di
operatori e superfici coltivate a
biologico in Italia dal 1990 al
2012 (fonte: MIPAF).
Inoltre se si guarda il diagramma in figura 1 ripreso dal succitato report e relativo alle superfici e al numero degli operatori e si guardano gli istogrammi di questi ultimi si nota che questi sono praticamente in stagnazione rispetto alla crescita marcata 1990/2001; ciò sta a significare che assistiamo ad una disillusione nei riguardi degli introiti di una conduzione aziendale piena di contrattempi, di obblighi burocratici di oneri di certificazione e di produzioni inferiori e ballerine. La superficie invece per un certo tratto ha seguito lo stesso andamento in crescita rispetto agli operatori, per poi avere un’impennata a partire dal 2008 segnando una divaricazione netta. Anche qui vi è una spiegazione contingente, che è avulsa da quell’aumentata “coscienza biologico-ambientale” che si vorrebbe far credere. Essa è intimamente legata alla situazione delle difficoltà di reddito in agricoltura, dai cali degli aiuti PAC e agli incentivi economici che una politica, permeata di ideologia, ha concesso all’agricoltura biologica. Tuttavia non essendo venute meno le disillusioni ed i contrattempi, allora per mantenere i trend degli aumenti sbandierati si è optato per escamotages furbeschi. E dico furbeschi perché se si calcola la superficie dell’azienda media biologica si trova un dato irreale per la configurazione agricola italiana; infatti dividendo 1.317.177 ettari per 45.969 produttori si ottengono 28,6 ettari che sono ben lontani dalla la superficie media delle aziende italiane che l’ISTAT dichiara essere 7,5 ettari. Possibile che siano solo le aziende medio grandi italiane a fare agricoltura biologica?
Altro dato interessante su cui focalizzare la nostra attenzione, sempre rimanendo nel solo campo della produzione, è la localizzazione geografica e da qui risulta un dato difficilmente spiegabile a prima vista, ma comprensibile quando analizzeremo i dati delle specie coltivate biologicamente. I raggruppamenti portano a questi dati: le regioni meridionali annoverano ben 28.274 operatori, le altre regioni fortemente interessate da una orografia non facilitante l’agricoltura (regioni centrali con aggiunta Liguria, Trentino A.A. e Valle d’Aosta) contribuiscono con 10.726 operatori, mentre le regioni maggiormente pianeggianti italiane che si dividono la pianura padana, cioè dove è concentrata la più rilevante fetta della produzione agricola italiana, incidono per soli 6.969 operatori.
Percentualmente dunque le aziende biologiche sono per il 61,5% dal Sud, per il 23,3% nelle regioni centrali e per il 15,2% dalle quattro regioni di pianura. Da qui sembrerebbe dunque di cogliere che negli agricoltori dell’Italia meridionale sia concentrato un sentimento ambientalista tale da far apparire i padani quasi dei novelli “Attila”.Occorre invece analizzare il dato con la seguente chiave di lettura: laddove è molto più difficile fare agricoltura a causa delle condizioni climatiche e orografiche si hanno terreni praticamente incolti da tempo e per questi si è capito che dichiarandoli adibiti ad agricoltura biologica si può lucrare un po’ di plus valore aggiuntivo dato da incentivi pubblici elargiti a motivo di un presunto servizio alla collettività.Il parallelismo fatto credere all’opinione pubblica è paradossalmente il seguente: “con il metodo biologico io produco poco, perché mi rifiuto di usare intrans (intendendo con questo termine di uso internazionale gli apporti esterni di fattori di produzione come concimi, antiparassitari arature ecc), per cui mi si deve pagare per il servizio reso alla collettività”. Tradotto in soldoni significa questo: io opero per mettere a disposizione meno cibo per la collettività, aggravando la bilancia alimentare nazionale già molto negativa e questa deve premiarmi con un incentivo economico! Vi è poi anche da stabilire quale sia il “servizio” che si da alla collettività tutta perché se è vero che la domanda di prodotti biologici è molto sostenuta, è altrettanto vero che la domanda di agroalimentare è stagnante o tendente alla diminuzione a causa della congiuntura economica e quindi vi è solo una parte di popolazione interessata al biologico. Se poi osserviamo il grafico in figura 2 e ripreso da un’indagine condotta in Francia ma che si adatta
Figura 2 – Confronto
fra i prezzi di frutta e verdura biologica
(in blu) e convenzionale (in rosso).
Valori medi in Euro al kg relativi alla Francia (qui )
(in blu) e convenzionale (in rosso).
Valori medi in Euro al kg relativi alla Francia (qui )
perfettamente anche all’Italia, notiamo che le differenze di prezzo tra prodotto convenzionale e prodotto a marchio biologico sono connotate da importanti aumenti di prezzo del biologico che vanno da un 67 ad un 78% in più. La realtà è, quindi, che il servizio lo si offre solo alla parte più danarosa e snob della collettività e questa non mi pare certo una grande conquista sociale. Poi diciamocela tutta: “Cosa incide l’impatto ambientale di un 3% di superficie alla luce del fatto che siamo di fronte a una mancata produzione del 50% che comunque si deve recuperare? A tale proposito la risposta dell’ecologia politica e purtroppo anche del Ministro dell’agricoltura italiana è quella di aumentare la superficie coltivata a biologico per aumentare l’impatto ambientale presunto benefico, dimenticando, però, di considerare sia l’impatto negativo sulla nostra autosufficienza alimentare sia un dato tecnico inconfutabile: se io porto ad un 20% effettivo la superficie italiana a biologico (ma che produca cibo e non erba o ghiande….) incorreremmo nello scenario che l’impatto parassitario aumenterebbe al punto tale che il biologico non si salva ed il coltivare convenzionale sarebbe obbligato a usare fitofarmaci e concimi in misura molto aumentata per salvare le produzioni. Il biologico attuale si salva solo perché tutt’intorno, e per il 97% della superficie, si tiene basso il livello dell’inoculo dei parassiti grazie alla difesa antiparassitaria condotta dall’agricoltura convenzionale. Altro aspetto non trascurabile è: “ma quanto va a finire nelle tasche dei produttori di questi prezzi maggiorati al consumo? Ben poco e per saperlo basta chiedere ai produttori!
Le deduzioni ricavate dall’analisi dei dati del documento ministeriale sono ampiamente confermate se analizziamo l’incidenza del coltivare biologico nelle varie specie coltivate senza distinzione tra superfici già in produzione biologica ed in conversione da convenzionale a biologico (tabella 1). Per inciso si consideri comunque che non è detto che le superfici in conversione diventeranno tutte biologiche in quanto molti produttori, di fronte alle difficoltà e ai risultati, rinunciano specialmente se capitano anni particolarmente difficili come il 2014 e 2016 (vedi tab. 3 del link). Qui è opportuno distinguere tra superfici di coltivazioni che producono cibo con o senza trasformazione industriale e superfici che non producono cibo per l’uomo ed al limite lo producono per gli animali o per le quali addirittura si preferisce non procedere con la raccolta o lo sfruttamento perché troppo onerosa o di scarso valore. Le superfici della seconda categoria sono individuabili in: piante foraggere, olivo per una buona parte, colture permanenti, prati pascoli, pascolo magro e terreno a riposo. Tutte queste superficie sommate assieme ammontano a 779.174 ettari (ho ammesso che la metà della superficie olivicola dichiarata biologica siano degli uliveti dismessi o la cui raccolta avviene ad anni saltuari per effetto dell’incidenza dell’alternanza produttiva, della mosca dell’olivo o dei prezzi delle olive, ma sono sicuro di essere stato ottimista perché laddove imperversa la xilella sono in gran parte olivi da olio lampante. Ebbene questa superficie rappresenta il 60% delle superfici di cui il Ministero si fa tanto vanto, dimenticando però che sono superfici i cui metodi di coltivazione praticamente non differiscono se le coltivazioni si svolgono in biologico o in convenzionale. Dunque il dire che l’Italia è il paese più biologico dell’UE e farne vanto perché destina il 10% della sua SAU a questo tipo di coltivazione è una finzione oppure una “mariuolaggine” tipicamente italiana. Inoltre questo spiega anche perché le regioni meridionali mostrerebbero una tendenza ambientalistico biologica più marcata: sono le regioni che più annoverano superfici improduttive e dove cresce erba in funzione della pioggia. Sono in realtà terreni destinati all’abbandono seppure catastalmente agricoli che sono promossi “ope legis” a “coltivazioni biologiche”. Qui trovate anche la spiegazione per giustificare i molti animali pascolanti della tabella 4 e l’incremento degli equini (+38,7% in un anno) i quali in realtà sono lasciati liberi allo stato brado e per di più la loro carne diventa biologica e serve a fare lasagne biologiche come abbiamo visto dal recente scandalo francese: (qui). La chicca finale o meglio la ciliegina sulla torta delle considerazioni che si facevano sopra sta nell’ultima voce della tabella 3 che dice: “superfici forestali e/o superfici di raccolta spontanea (funghi selvatici, tartufi, bacche selvatiche) non pascolate e notificate dall’operatore; altro”.
A dire il vero si è avuto qui il pudore di dire che non sono da considerare nel totale della superficie a biologico, ma il fatto di distinguerne una parte in conversione a biologico e l’altra in produzione di biologico è veramente ridicolo. Ma cosa vi è da convertire (leggasi “purificare” perché questo è il senso della conversione) in una superficie allo stato naturale e dove non si può neppure pascolare? Cosa significa poi “notificate all’operatore”? Significa che al controllore certificatore del biologico è stato annunciato che vi è un terreno in un luogo imprecisato dove sta avvenendo la conversione e un altro dove si raccolgono frutti selvatici e/o ghiande per i suini biologici…? Da qui però appare in tutta la sua evidenza la contraddizione insita nella certificazione biologica e dall’evidente conflitto d’interessi. Essa è eseguita da organismi privati, seppure con l’agreement del Ministero: questi quindi campano con gli introiti delle certificazioni pagate dai produttori, sono cioè i controllori dei loro finanziatori e di conseguenza più si certifica e più s’incassa! E qui il motto andreattiano che “a pensar male è peccato, ma spesso ci si prende” non mi pare del tutto fuori luogo.
Articolo
uscito sul n. 4/2016 della rivista 21° Secolo
Alberto Guidorzi
Agronomo. Diplomato all' Istituto Tecnico Agrario di Remedello (BS) e laureato in Scienze Agrarie presso UCSC Piacenza. Ha lavorato per tre anni presso la nota azienda sementiera francese Florimond Desprez come aiuto miglioratore genetico di specie agrarie interessanti l'Italia. Successivamente ne è diventato il rappresentante esclusivo per Italia; incarico che ha svolto per 40 anni accumulando così conoscenze sia dell'agricoltura francese che italiana
Alberto Guidorzi
Agronomo. Diplomato all' Istituto Tecnico Agrario di Remedello (BS) e laureato in Scienze Agrarie presso UCSC Piacenza. Ha lavorato per tre anni presso la nota azienda sementiera francese Florimond Desprez come aiuto miglioratore genetico di specie agrarie interessanti l'Italia. Successivamente ne è diventato il rappresentante esclusivo per Italia; incarico che ha svolto per 40 anni accumulando così conoscenze sia dell'agricoltura francese che italiana
Ci sarebbe troppo da dire e servirebbe a poco, ognuno ha i suoi bias e quello del dott. Guidorzi è contro ogni forma di agricoltura non intensiva è sin troppo notorio.
RispondiEliminaAl punto che, per sostenere le sue appassionate tesi, può sovvenirgli, alla bisogna, di inventare "dati" inesistenti.
Nello specifico, il riferirsi a inesistenti cavalli bradi la cui "carne diventa biologica e serve a fare lasagne biologiche come abbiamo visto dal recente scandalo francese" è fasullo come una banconota da tre EUR: lo scandalo francese cui fa riferimento non ha neppure sfiorato una sola azienda agricola biologica: ha riguardato imprese di trasformazione convenzionali, che hanno usato carne di animali non bologici (alimentati con mangimi non biologici, realizzati grazie a fertilizzanti, erbicidi, anticrittogamici e insetticidi non ammessi in agricoltura biologica, gli stessi i cui residui derivanti dall'agricoltura non biologica troviamo nelle nostre acque superficiali e profonde) per realizzare ragù non biologici con cui farcire lasagne non biologiche.
Capisco il sacro fuoco da cui è preso, ma perchè ricorrere a bugie ("false affermazioni per trarre altri in errore, di solito a proprio vantaggio") per convincere il prossimo?
Il link riporta
RispondiElimina"elle implique toute la chaîne du commerce alimentaire européen dont des abattoirs, des intermédiaires".
La ditta Spanghero in sede di inchiesta ha detto che la carne di cavallo la comprava ovunque.
Quindi il pensar male è lecito, visto come certificate il grano biologico che si produce in Romania (vedi Report) e come i numeri che avete dato per il biologico italiano prefigurano qualcosa che di strano ha molto e che pone sul mondo del biologico notevoli dubbi
Dire che il bio si fa in prevalenza in zone marginali perchè lì sono tutti dei furbacchioni che vogliono vivere di contributi mi pare una semplificazione indebita. Posso ipotizzare che 1) nelle zone marginali si ricevono effettivamente più contributi 2) le problematiche agronomiche renderebbero in ogni caso deludenti le rese ottenute in queste zone quindi tanto vale valorizzare quel poco che si produce.
RispondiEliminaDetto questo: i ragionamenti nel biologico non affrontano certi problemi cruciali, quali il calo delle rese - certificati nei PSR che calcolano i contributi sulla base di cali del 30% - e il fatto che questo cibo non sia alla portata di tutti. In questo manca la ricerca: manca la ricerca sulle dinamiche agroecologiche che sono dimostrate (anche se forse sopravvalutate e comunque poco conosciute nel funzionamento a livello aziendale o comunque di piccoli comprensori) ma che Guidorzi non cita nemmeno di striscio nel suo lungo, e spesso puntuale, intervento. Manca la selezione varietale che dev'essere a livello più locale. Manca la sperimentazione aziendale. Queste cose, sono sicuro, ridurrebbero il calo delle rese. Invece, quando si rimane nel solco del lecito, si ragiona dicendo: se perdo il 30% della produzione, ma me la pagano il 40% in più e non cambiano le mie spese, allora la cosa ha un senso. Mi chiedo perchè non esistano finanziamenti per la ricerca aziendale. Infine: essere bio comporta, in primo luogo, di essere certificati. Mi chiedo se a questi aumenti di aziende corrisponda un aumento di certificatori, o meglio, se gli enti certificatori aumentino il personale. Perchè il boom vero è posteriore al 2013 con la nuova PAC. Andrej Drosghig
Andrej
RispondiEliminaIo sono contro il biologico perchè è uno spreco ed è il frutto di un imbroglio tecnico. Da agronomo ti posso assicurare e garantire che si può fare agricoltura ecocompatibile tanto quanto il biologico ma produttiva, è sufficiente essere più professionali. Sia l'intensificazione produttiva che la decrescita generata dal biologico sono due modi di intendere l'agricoltura sbagliati. E' una illusione che la ricerca sul biologico, con i canoni che gli sono stati imposti, possa far divenire questo modo di produrre sufficientemente produttivo. Forse tu non conosci la storia del frumento Renan creato e usato appositamente per la produzione biologica, ma che non risolve nessun problema anzi ad essere sinceri è stato ottenuto con tali e tante modifiche genetiche che gli aborriti OGM impallidiscono. Ma non ti sei reso conto che aumentano le aziende biologiche che non producono cibo ed aumentano solo dove è divenuto impossibile fare agricoltura? Ecco che allora si opta sul lucrare un contributo pubblico da parte del proprietario del terreno e nell'approfittarne per imporre la "manomorta" della certificazione su questi contributi.
Non conosco la storia di quel frumento e anzi la leggerei con molto piacere perché la storia delle varietà e della selezione è uno degli argomenti che sono più mancati nel mio percorso universitario. Per il biologico io credo che la selezione dovrebbe essere molto più mirata e frequente che nel convenzionale e non capisco perché si rifiuti la tecnologia Ogm anche quando potrebbe trasferire i geni desiderati tra diverse varietà senza perderci decenni con incroci infruttuosi. Credo profondamente nell'agricoltura integrata vera, ma vedo che non si fanno grossi sforzi e gli agricoltori sono abbandonati alla propria curiosità perché l'assistenza tecnica non c'è o se c'è è affidata ai venditori che certo non hanno come obbiettivo prioritario quello di ridurre gli input... Andrej
RispondiEliminaQuanto alle zone marginali:ho visto coi miei occhi ritornare l'agricoltura dove non ce n'era più da decenni. Sono cliente di alcuni di questi (per me) coraggiosi e le garantisco che producono cibo, e anche bene. Siccome li conosco, ho una qualche competenza e sono sicuro della loro onestà e dei loro ideali, sono disposto a pagare. Questo è il procedimento tipico della filiera corta, un procedimento forse elitario e riservato a chi vive in certi posti, forse limitabile solo ad alcuni alimenti ecc, ci sono decine di obiezioni possibili. Queste persone però mantengono vivi dei luoghi in cui non ci sarebbe niente da fare e i contributi, forse, sono giusti per questo. Uno Stato dignitoso certo avrebbe degli uffici con persone competenti per trovare chi abusa. In mancanza di un adeguato apparato dobbiamo fidarci, o vivere nel timore che ci stiano fregando. Io mi limito a fidarmi di quelli che ho visto lavorare.che prendono contributi ma, le assicuro, producono alimenti di mio assoluto gradimento
RispondiEliminaQuando ho proposto l'articolo di cui sopra ed è stato pubblicato, poi messo sul mio diario, poi segnalato in altri blog sapeste quanti improperi ho ricevuto perchè tacciato di raccontare balle! Ebbene ora ho una riprova che l'andazzo è anche francese e da un'analisi in altri paesi possiamo dire che esiste un modo disinvolto, chiamato coltivare biologicamente, di approfittare di soldi pubblici. Almeno per una volta non siamo solo quelli che vanno a donne e si ubriacano, ma siamo perfettamente il linea con quell'Europa che ci bacchetta. Ho sotto mano le statistiche del 2014 e del 2015 del biologico francese (fonte agence Bio/OC, Agreste 2014 e 2015): 1° Nel 2014 in Francia vi erano 720.000 ettari di superficie foraggera a biologico (che non produce cibo per umani dunque ) su un totale di 1.100.000 ettari totali a biologico. Dunque si aveva un 64% di superficie su cui si erogano contributi pubblici. ma che non producono cibo per umani e che si coltiva sempre alla stessa maniera sia che sia in metodo biologico che convenzionale. Le coltivazioni biologiche di grande coltura che danno cibo sono solo 230.000 ha, mentre gli ortofrutticoli sono solo 29.000 ettari. 2° Nel 2014 le cifre sono rispettivamente 850.000 ha, su 1.320,000 ha totali cioè ancora un 64% circa e le grandi colture a biologico sono circa 300.000 ha e l'ortofrutta è 31.000 ettari 3° Restando al 2015 la percentuale al biologico sulla SAU francese è del 4,91% (4,14 % nel 2014). Ebbene se noi applichiamo il 64% di colture che non danno cibo al 4,91% e al 4,14% otteniamo che la superficie che da cibo è rispettivamente dell'1.77% e del 1.49% della SAU francese. IN CONCLUSIONE ed a mio avviso la lettura deve essere questa: il tanto sbandierato aumento delle superfici a biologico si riduce ad un infimo 0,28%/anno e ciò sta ad indicare che chi fa biologico lo è a prescindere dal reddito e dalle notevoli difficoltà a salvare la propria produzione agricola. Infatti con una domanda di biologco così sostenuta (questo è un dato innegabile) l'offerta non mostra nessuna elasticità. Siamo cioè in presenza della constatazione che dal lato produttivo il fenomeno del biologico è totalmente marginale. La cosa è confermata dagli abbandoni che si verificano nel periodo di conversione, cioè la gente comincia ma poi smette di fronte alle difficoltà, salvo che i soldi dei contributi gli vengano concessi anche senza far niente.
RispondiEliminaPertanto il commento di cui sopra e alquanto condivisibile di Anonimo non rientra nella mia critica se come afferma serve per salvaguardare e tenere sotto controllo il territorio, anzi sarebbe un bene che si aumentassero questi contributi se dati a persone responsabili e oneste, anzi devono essere maggiorati se producono cibo. Solo che probabilmente Anonimo parla con una visione limitata ad un comprensorio fatto da persone serie, ma devo assicurarlo che non è generalizzabile a tutta Italia ed a suffragio della mia tesi porto il dato di dove è localizzato per l'85% il far dichiarare la superficie a biologico. Esso è localizzato in sole tre regioni del Sud. Possibile che Siciliani, Calabresi e Campani dimostrino il loro senso di rispetto dell'ambiente solo quando coltivano biologico?
Non mi pare infatti il loro territorio tenuto tanto meglio delle restanti parti d'Italia e che, ad esempio, facciano una raccolta differenziata dei rifiuti con alte percentuali